La settimana economica di Giuliano Zoppis

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Avvio di anno scoppiettante per l’azienda Italia ma pesa ancora l’incognita tassi

ROMA (ITALPRESS) – Avvio di anno scoppiettante per l’Azienda Italia con segnali prevalentemente positivi ma anche qualche ragionevole preoccupazione per i mesi futuri. Sono i dati sulla crescita a incoraggiare un timido ottimismo sulla tenuta della nostra economia, pur in un contesto che vede tutto il mondo vivere una congiuntura delicata (per il Fondo monetario il Pil 2024 salirà del solo 3,1%, come nel 2023). L’Italia nello scorso anno ha avuto una crescita positiva dello 0,7 (dello 0,8 la previsione del Governo) meglio dello 0 della Francia e del -0,3 della Germania in recessione. E meglio della media Ue dello 0,5%.

Un risultato certo in assoluto non da brindisi ma comunque positivo, grazie alle buone performance di industria e servizi che hanno compensato il dato negativo dell’agricoltura. Quello che più incoraggia è il confronto con il 2019, anno pre pandemia. Ebbene il nostro Paese ha recuperato rispetto ad allora un +2,9 del Pil superando il 2,5 della Spagna (al top con uguale dato nel 2023), l’1,8 della Francia e il misero 0,3 della Germania. Per il nuovo anno le prospettive di una crescita dell’1,2% ipotizzata dal Governo non sono le stesse del FMI (prevede uno 0,7) e di tutti gli altri centri di analisi e ricerca. Ma azzardare previsioni è molto complicato, molto dipenderà dalle crisi geopolitiche in atto e dalle relative conseguenze sull’economia.

Sul fronte interno verrà meno il contributo del costosissimo (per le casse dello Stato) Superbonus edilizio. E allora si punta sull’effetto positivo che si potrà avere sulla crescita dall’atteso avvio dei cantieri finanziati dal PNRR. Detto di una inflazione che in gennaio ha leggermente rialzato la testa per via di una rallentata diminuzione dei beni energetici e di quelli alimentari, interessanti indicazioni sono arrivate dai dati sull’occupazione. Abbiamo registrato un record di 23,745 milioni di occupati (456 mila in più rispetto al dicembre 2022) con un tasso di occupazione al 61,9% ed un tasso totale di disoccupazione totale del 7,2%, il più basso dal dicembre del 2008.

Bene anche il dato sui giovani al lavoro, mentre cresce e preoccupa l’aumento del numero dei cosiddetti inattivi (non lavorano e non cercano lavoro) salito al 33,2. Nel complesso si tratta di dati molto buoni, effetto anche di aggiustamenti statistici e che nel confronto con il mese di novembre vengono un po’ ridimensionati. Per questo aspettiamo con curiosità i dati di gennaio per una conferma.

In uno scenario così delicato per la congiuntura internazionale elemento decisivo per la sua evoluzione sarà il ruolo giocato dalle banche centrali e dalle decisioni che assumeranno nel corso dell’anno. Scottate dalle negative esperienze recenti, la Fed americana e l’europea BCE devono riscattarsi e muoversi questa volta senza sbagliare. Nel pieno della crisi pandemica, con la ripresa lenta dell’economia, non seppero interpretare i segnali che arrivavano dai dati. E, con erronea decisione comune, quasi spalleggiandosi, dissero che la ripresa dell’inflazione era episodica, frutto di contingenti pressioni sui prezzi. E non si mossero in tempo, occupate come erano a sostenere governi e finanza. Ecco perché ora, quando tutto farebbe deporre per un primo taglio dei tassi ufficiali, predicano cautela e rimandano il momento a una ennesima conferma del calo dell’inflazione. E vogliono vedere anche una tenuta delle economie, una politica salariale che non alimenti nuova inflazione.

Insomma le attese per decisioni che riportino la politica monetaria a livelli non più restrittivi sembra slittare, non più quel marzo-aprile che i mercati sembrano aver già scontato e che i rendimenti sui mutui hanno già incorporato. Nei giorni scorsi il Fondo Monetario, assistendo a questo balletto, ha detto chiaro chiaro che se è vero che tagliare troppo presto potrebbe essere pericoloso, il rimandare troppo sarebbe letale perché frenerebbe oltre il dovuto una crescita globale già bassa. Serve allora un atterraggio morbido con una inflazione che scende ormai verso gli obiettivi del 2%. Vedremo, certo che le variabili in gioco sono tante, troppe. Alle due principali crisi geopolitiche si aggiunge la situazione esplosiva del Mar Rosso ancora non risolta, con conseguenze pericolose per l’economia e per gli effetti pesanti sulla fornitura di beni e costi energetici. Un 2024 tutto da scoprire, e sono situazioni che ci toccano da vicino.

foto: agenzia Fotogramma

(ITALPRESS).

Agricoltori, le tante ragioni di una protesta che non va ignorata

ROMA (ITALPRESS) – In settimana arrivano a Roma i trattori per portare nella capitale una protesta che si è estesa ormai a macchia di leopardo in tutto il Paese. Partita dalla Germania, la rivolta agricola ha coinvolto tutta l’Europa e senza interventi risolutori il rischio di una esplosione sociale più vasta è assai concreto. A leggere le motivazioni della protesta, quelle comunitarie e quelle dei singoli paesi, sembra chiaro che arrivano tutti insieme sul tappeto problemi che si accumulano da anni e che ora si incrociano con una crisi del settore primario senza precedenti. Anche i recenti dati sulla crescita del Pil in Italia segnalano una buona tenuta di industria e terziario e una caduta del comparto agricolo. Le organizzazioni del settore non sono riuscite a convogliare la protesta sui consueti binari del confronto e della concertazione e quindi hanno avuto vita facile i movimenti spontaneisti, la cui contestazione è degenerata in alcuni casi anche in episodi non pacifici.

Ci vorrebbe un libro per esaminare le problematiche che gli agricoltori vorrebbero sciogliere, ma, accorpandole, possiamo individuare quelle di carattere regolamentare europeo, quelle del commercio internazionale, quelle interne. Il mondo agricolo contesta in linea generale il fatto che la transizione energetica in atto non lo abbia coinvolto come attore protagonista, ma lo abbia relegato a soggetto passivo di un processo che vede un trasferimento di risorse verso la rivoluzione green ignorando i protagonisti della terra. In questo contesto Bruxelles equipara come responsabili di inquinamento le stalle alle fabbriche, impone di “recuperare la natura” mettendo a riposo il 4% del terreno coltivabile, riduce del 50% la possibilità di utilizzare i fitofarmaci, taglia o cancella i bonus fiscali per il diesel agricolo. Troppo e tutto insieme.

Aggiungendo impegni regolamentari e burocratici che ampliano i costi di gestione per gli agricoltori, mettendo spesso a rischio l’erogazione di sussidi e agevolazioni. Un mondo che sembra sorpreso da queste misure, abituato come sempre e’ stato ad essere ben sussidiato, potendo contare sui fondi di un bilancio Ue che ha dedicato da sempre a questo settore il 30% delle risorse complessive. Ma tutto ciò sta cambiando e occorre allora trovare altre strade rispetto all’imposizione di regole dall’alto. Sul secondo fronte, quello commerciale, pesano motivazioni politiche. Bruxelles sta per concludere con il Mercosur, il mercato comune dei paesi sudamericani, una intesa commerciale per i prodotti agricoli. Da un anno vige un accordo che agevola fortemente l’import della produzione agricola ucraina, soprattutto grano.

Questi due accordi, secondo le critiche degli agricoltori, distorcono il mercato interno europeo, generando un serio problema di prezzi. Sul fronte interno, parlando del nostro, ci sono poi problemi di natura fiscale, generati dal taglio dell’esenzione Irpef sui redditi agricoli decretato dalla legge di bilancio. In piu sono forti le pressioni dei costi di produzione, per mangimi, carburante, energia, e le distorsioni della filiera agricola, con prezzi all’origine molto diversi rispetto alla vendita. I 50 centesimi pagati per un litro di latte arrivano ai due euro ed oltre che il consumatore finale deve pagare. In Italia come in Europa e’ poi forte la preoccupazione per i nuovi alimenti non naturali: carne coltivata, farine di insetti e quanto altro danneggiano il cibo italiano e il suo mercato nel mondo. Altra preoccupazione è la svalutazione dei terreni per l’abbandono delle attività agricole, terreni che allora vengono venduti a prezzi altissimi per altri scopi. Come avviene per le rinnovabili.

In Sicilia, Puglia, nella Tuscia laziale, per citare solo alcune aree del Paese, distese di pannelli solari hanno cambiato il paesaggio verde. Ora i tempi per Bruxelles e per i governi europei sono stretti. Il 26 febbraio il Consiglio agricolo europeo metterà sul tavolo un pacchetto di proposte per fermare la protesta. Si parla di rinvii (per il fermo produttivo dei terreni, per l’accordo con il Mercosur), di riduzione degli oneri amministrativi e burocratici, di una più accentuata flessibilità delle condizioni per accedere ai finanziamenti europei. Da noi, oltre al già annunciato aumento da 5 a 8 miliardi delle riserve del Pnrr per il mondo agricolo, possibile una proroga dell’esenzione Irpef, non per i produttori agricoli più grandi, un taglio dell’Iva per prodotti alimentari e vino, agevolazioni per il diesel agricolo. Ma a Bruxelles, come a Berlino, Roma, Parigi e nelle altre capitali europee, la situazione è in movimento, non si tratta di giorni ed ore ma di un fronte che sarà caldo per settimane e mesi.

Il tavolo di confronto resta l’unica strada e bisognerà vedere come questi nuovi protagonisti del mondo agricolo (molti i giovani che abbiamo visto sui trattori) sapranno confrontarsi con le istituzioni (si spera in modo pacifico) avendo bypassato, almeno per il momento, le loro organizzazioni rappresentative.

fonte foto: IPA Agency

(ITALPRESS).