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MARIO AGENO, LO SCIENZIATO CHE COSTRUÌ LA BIOFISICA

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Mario Ageno (1915-1992) fu un grande scienziato, severo e rigoroso, il quale ha creato una nuova disciplina e ha molto influito sulla mia vita di studioso, non solo attraverso i suoi libri e pubblicazioni, ma anche perché ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. 

Era nato a Livorno nel 1915; compì gli studi universitari a Genova, dove aveva frequentato il biennio di Fisica, e a Roma dove arrivò nell’autunno del 1934, approdando all’Istituto di Fisica diretto da Enrico Fermi.

In questa mitica Scuola, in cui regnava un clima altamente competitivo, Ageno fu accolto da Emilio Segré ed Edoardo Amaldi: lo steso Ageno raccontò, successivamente, questo incontro decisivo per la sua vita futura.

“Noi qui, allevamenti di cavoli non ne facciamo” – furono le parole di benvenuto di Segrè, soprannominato Il Basilisco per il suo carattere scorbutico – “Se siete gente in gamba potete restare, se no è meglio che ve ne andiate subito”. Ageno, per la sua vastissima cultura e per le doti di pensatore profondo e originale, potè rimanere con “i ragazzi di via Panisperna”, guidati da Enrico Fermi.

A Roma Fermi, dal punto di vista scientifico, divenne la voce più ascoltata  dagli italiani e sviluppò una scuola di eccellenza – creata da Orso Mario Corbino, siciliano di Augusta, aiuto a Palermo, professore a Messina e a Roma, senatore e poi ministro – con sperimentatori di ingegno, divenuti famosi con la denominazione di “i ragazzi di via Panisperna”, i quali per il carattere o per le loro funzioni avevano curiosi nomignoli: Trabacchi, detto “Divina Provvidenza”; Rasetti “Cardinal Vicario”; Majorana “Grande Inquisitore”; mentre i capi, Fermi e Corbino, erano rispettivamente “il Papa” e  “il Padreterno”; Ugo Fano, per la sua goffagine e i caratteri somatici pesanti era soprannominato “Urango Fanoide”.

 

Ageno ebbe una vita difficile. Partì per il servizio militare, che rappresentò un’esperienza dolorosa che segnò anche la sua carriera. Sottotenente di artiglieria, nelle torride sabbie della Cirenaica, cadde gravemente malato, iniziando dal ’41 una amara peregrinazione per ospedali e cliniche, con una lunga invalidità, che si protrasse sino agli anni ’60.

La malattia lo costrinse a rinunciare alla cattedra di Fisica Superiore, vinta nel 1949 a Cagliari; per necessità terapeutiche dovette rimanere a Roma e, pertanto, accettò un posto di assistente nell’Istituto Superiore di Sanità, dove lavorò vent’anni, sino alla nomina a direttore del Laboratorio di Fisica; ebbe, contestualmente, incarichi universitari, sino a quando – agli inizi degli anni ’70 – venne istituita per lui una Cattedra di Biofisica a Roma, di cui Ageno fu titolare sino all’uscita dal ruolo nel 1985.

Autore di circa trecento pubblicazioni scientifiche, tra cui una ventina di volumi e libri, per l’importanza delle sue ricerche fu nominato Socio all’Accademia dei Lincei ed ebbe riconoscimenti, onorificenze e lauree “honoris causa”. 

Tra i libri a me più cari v’è un piccolo trattato del 1962, “Le radiazioni e i loro effetti” di Mario Ageno, annotato e segnato dal mio maestro Pietro Cignolini, da lui avuto in dono quando – nel lontano anno accademico 1963-64 – entrai, quale allievo interno, nell’Istituto di Radiologia di Palermo.

 

Questo volume si apre con il paragrafo Il metodo, come orientamento generale del pensiero, ove Ageno rimarca che il metodo e, in un certo senso, più fondamentale delle stesse nozioni scientifiche particolari. In questa icastica affermazione si sostanzia l’uomo e lo scienziato, di straordinaria lucidità intellettuale e integrità morale: esigente, permanentemente dedito – con enorme capacità di lavoro – alla ricerca e al laboratorio.

Le problematiche importanti e attuali sollevate da Ageno sono sostanzialmente riconducibili alla seguente domanda: siamo noi già in possesso di strumenti concettuali adeguati, utili non solo a descrivere in modo razionale i fatti fondamentali della fisica e della chimica, ma anche tali da permettere almeno di avviare l’inquadramento dei fenomeni della vita?

Questi contenuti permetterebbero di comprendere – in base ai principi fisici – la realizzazione di sistemi, in cui la materia inorganica acquista le proprietà caratteristiche della materia vivente. Donde la sua definizione di essere vivente, quale sistema chimico coerente dotato di programma. Si collega, con un unico arco, il sasso all’uomo. Questioni che assumono la valenza di nodo centrale delle scienze della natura: l’origine della vita.

In questa linea di pensiero, l’oggetto della biologia viene affrontato e studiato coi metodi e col corredo concettuale della fisica. Non v’è alcun dubbio che la biofisica debba col tempo soppiantare completamente la biologia tradizionale, un po’ come la chimica ha superato l’alchimia.

Purtroppo siamo in un periodo in cui accade sempre più spesso che, nel trattare dell’impatto di questioni di natura scientifica sulla società, la competenza acquisita non sia più ritenuta necessaria. Tutto ciò incide gravemente sulla rilevanza dei saperi nell’uso sociale della scienza.

Agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso mi interessavo teoricamente e sperimentalmente degli effetti biologici delle radiazioni non ionizzanti e avevo organizzato un congresso a Palermo su questo tema. Con una certa presunzione – pur non conoscendolo personalmente – decisi di invitarlo. Ageno accettò. 

In pensione dal 1985, all’età di settantasette anni continuava ad andare nel suo laboratorio, ogni mattina alle 7.30: lì, a quest’ora mattutina, gli telefonavo, per concordare la sua partecipazione congressuale ed egli mi illustrava il taglio che voleva dare alla conferenza. Senza alcun filtro di segreteria rispondeva direttamente, con cortesia e gentilezza, prive di quella smisurata maestà accademica, tipica dei professori di non alta caratura.

Puntuale, preciso – con la modestia tipica dei grandi – si informava dei tempi del suo intervento, avendo financo la cortesia di sottopormi preventivamente il testo del rapporto. La sua lezione – “magistrale” per definizione e contenuti -fu pubblicata su una rivista scientifica radiologica, e questo scritto fu forse il suo ultimo.

L’eredità scientifica del Prof. Ageno è affidata ai suoi lavori e trattati e al suo insegnamento sul metodo nella ricerca. Mario Ageno fu un laico coerente e rigoroso, obbediente alla fede nella ragione: il suo magistero morale sarà tramandato dai suoi comportamenti. In particolare egli sempre attuò e mise in pratica – con ideale e perenne continuità intellettuale – il precetto di un altro grande laico, Piero Godetti, il quale affermava: “Educando noi stessi, avremo educato gli altri”.

Adelfio Elio Cardinale

 

RITRATTI DI SCIENZA E DINTORNI: ALEXANDER FLEMING

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ROMA (ITALPRESS) – L’archivio del futuro sta nei profondi abissi della memoria, affermava Giambattista Vico. Questa convinzione è profondamente vera per la scienza. Perché la cultura scientifica significa memoria del passato, progetti per il presente, visione dell’avvenire.

La scienza è il propellente di un Paese, perché non si esaurisce mai, è patrimonio di tutti e, soprattutto, crea crescita e ricchezza. V’è necessità di più scienza e abitudine alla ricerca, dall’asilo all’università. “In Italia – afferma il noto e grande sperimentatore Silvio Garattini – la cultura scientifica è rimasta Cenerentola”.

Solo una corretta conoscenza delle basi e dei progressi della scienza, fondata su evidenze inoppugnabili e ripetibili dalla comunità internazionale può evitare – o almeno ridurre – la periodica presenza e i gravi e delittuosi danni di imbonitori e cialtroni.

Pertanto, periodicamente, abbiamo deciso di scrivere “medaglioni” – non archeologici né numismatici – di grandi scienziati che hanno beneficato l’umanità. La storia della scienza – diceva Goethe – è la scienza stessa. 

“Piccolo di statura, viso arcigno sotto i capelli bianchi foltissimi, due occhi color di piombo fuso, duri e dolci come giade”, così lo descrisse Indro Montanelli. 

Nel 1955, moriva Alexander Fleming batteriologo e Premio Nobel, scopritore della penicillina. Nessuno più di lui – nella storia dell’umanità – ha salvato più vite, abbattendo la mortalità per alcune malattie, nel passato incurabili.

Fleming era nato il 6 agosto 1881, in Scozia, da famiglia di contadini. Alexander ricordava la grama fanciullezza, con il quotidiano cammino a piedi per raggiungere la scuola e la mamma che gli dava due patate bollenti, per riscaldarsi durante il tragitto e poi fare colazione. Nel 1901, grazie a un piccolo lascito, Fleming decise d’intraprendere la carriera medica. Come studente di medicina dimostrò subito eccezionali capacità e si laureò superando facilmente  tutti gli esami, guadagnandosi tutti i premi previsti per i laureandi.

Alec dopo la laurea entrò nel Dipartimento d’inoculazione del “St. Mary’s Hospital”,nel cui piccolo e disordinato laboratorio, lavorò tutta la vita; nel 1915 si sposò con un infermiera irlandese ed ebbe un figlio, Robert. Rimasto vedovo, si risposò nel 1953 con la dottoressa Amalia Coutsouri-Voureka, bella e intelligente ricercatrice greca, espulsa dal regime dei colonnelli. 

Anche dopo i successi e la fama lo scienziato rimase un uomo semplice, schivo e modesto  con  hobbies comuni – quali giardinaggio, biliardo, tiro al piattello, golf – dedito sempre alla ricerca e all’insegnamento. 

Fleming, durante i suoi studi, ebbe la fortuna di conoscere personalmente colossi della scienza biomedica, quali Metchnikoff, Shaw, Ehrlich : era rimasto, in particolare, colpito dalle ricerche di quest’ultimo (Premio Nobel, fondatore della chemioterapia, pioniere della teoria degli anticorpi, celebre per la scoperta del “salvarsan” contro la sifilide) che cercava una “pallottola magica”, in grado di uccidere l’agente infettivo senza danneggiare l’organismo ospite.

Alexander ebbe il suo primo successo sperimentale nel 1922, isolando il lisozima : un elemento che si trova nel muco nasale, nelle lacrime, nella saliva, capace di bloccare lo sviluppo di alcuni batteri. Purtroppo tale sostanza, che è un enzima, non rispose a pieno alle grandi speranze che aveva destato.

La sua sensazionale scoperta – dovuta a intuizione e casualità, o “serendipità” come si direbbe oggi – avvenne nel 1928. Fleming aveva lasciato dapprima aperta, per pochi secondi, una piastra ove si coltivavano batteri, che fu contaminata dalle spore di una muffa; quindi, dovendo partire per un mese di ferie, lasciò la capsula sul bancone di lavoro, invece di inserirla nell’incubatrice.

Al ritorno dalle vacanze, lo scienziato rilevò che i batteri stafilococchi si erano sviluppati, tranne che nelle zone pervase dalla muffa del “penicillium”. “E’ buffo”, bisbigliò Fleming e iniziò ad approfondire le ricerche, estraendo una sostanza che  chiamò penicillina. Iniziava una rivoluzione terapeutica, lunga e complicata, quasi romanzata.

Grazie, anche, alle successive sperimentazioni del patologo australiano Florey e del biochimico ebreo Chain, il farmaco meraviglioso fu depurato, misurato, sperimentato nell’uomo e reso disponibile per la clinica. Per rendere un’idea delle difficoltà connesse all’isolamento di una dose necessaria all’inoculazione in un paziente, erano necessari 2.000 litri di liquido di coltura di “penicillium notatum”. La penicillina presentava ottima solubilità, tossicità praticamente nulla e si dimostrò efficace contro la grande maggioranza dei germi gram-positivi (stafilococchi, pneumococchi, bacillo del tetano) e contro alcuni germi patogeni gram-negativi, quali meningococchi e gonococchi.

La produzione su scala industriale iniziò nel 1941 negli U.S.A. e in Inghilterra e ne beneficiarono in primo luogo le armate americane e britanniche, impegnate nella seconda guerra mondiale. Nel 1945 Fleming (con Florey e Chain) fu insignito del Premio Nobel per la medicina.

Anche diversi pazienti italiani, via via che avanzava l’occupazione americana, poterono godere tra i primi di questa rivoluzione terapeutica. I medici meno giovani ricordano con quale apprezzamento e stupore i grandi clinici e chirurghi – Frugoni, Villa, Condorelli, Valdoni, Dogliotti, Ascoli- di quel tempo osservarono sui malati le strepitose guarigioni prodotte dall’iniziale impiego dell’antibiotico, che cambiò la vita di moltitudini di uomini.

Nel 1948 divenne direttore dell’Istituto di microbiologia del St. Mary’s Hospital. Nel 1952 affermò di avere basato le sue ricerche sugli studi di Pasteur e Lister, padri della vaccinazione e dell’antisepsi sottolineando come ogni successo fosse dovuto a genio e fortuna insieme.

Nell’ultima fase della sua vita Fleming ebbe fama, successi, gloria, riverito da sovrani e governi, con una gratitudine infinita da parte del mondo intero e con plurimi riconoscimenti : lauree “honoris causa”, conferimento dal titolo di Sir, onorificenze e premi. Il grande scienziato morì d’infarto l’11 marzo 1955. 

Le sue spoglie riposano nella cripta della cattedrale londinese di Saint Paul, accanto a quelle di Wellington e di Nelson. La vera superiorità di Fleming – dissero nella sua commemorazione – consisteva nella fantastica capacità di comprendere il significato, di un’osservazione scientifica: in lui si poteva scorgere il “dito di Dio”.

Adelfio Elio Cardinale

 

IL CERVELLO, UNIVERSO PLURIVERSO IN VIA DI ESPLORAZIONE

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In un recente articolo per questa Agenzia affermavo che numerosi esponenti della comunità scientifica internazionale affermano che, nel campo delle neuroscienze, siamo all’inizio di un nuovo Rinascimento, come l’epoca che fu di somma grandezza in tema di arte e cultura. In vero quasi quotidianamente si susseguono sperimentazioni, ricerche e risultati inaspettati e sorprendenti per quanto riguarda le attività cerebrali.

Gli ulteriori, continui e spesso spettacolari avanzamenti nell’arco di pochi mesi in questo settore biomedico confermano la mia osservazione. Il cervello non è più una scatola nera o una selva oscura, ma un immenso universo pluriverso che la comunità scientifica esplora velocemente, iniziando a comprendere i penetrali anatomo-funzionali che governano le più alte attività umane.

Analizzeremo, più per sintesi che per analisi, i riscontri affatto recenti, compiaciuti che molti di essi sono dovuti a studiosi italiani: ma, ancora una volta, sconfortati dal fatto che gran parte di questi sperimentatori operano in atenei e centri di ricerca stranieri. L’Italia non riesce, perché inerte, a trattenere brillanti e giovani scienziati.

Le scoperte relative a questi filoni di ricerca avranno un impatto sulla società, miglioreranno la qualità di vita dei malati e i dati – “big data” – scientifici si valuta che raddoppiano ogni 6 mesi.

Alcuni esempi chiariranno meglio, per i non addetti ai lavori, quanto espresso mediante una semplice elencazione: le persone più creative sarebbero quelle in grado di sfruttare al meglio le connessioni tra i diversi network cerebrali; la corteccia prefrontale  ha un ruolo cruciale nelle nostre decisioni: l’autostima dipende in gran parte dall’attenzione e dagli incoraggiamenti ricevuti durante l’infanzia, provocando cambiamenti nei geni e accrescendo lo sviluppo cognitivo; avere fiducia nelle proprie capacità attenua il declino cognitivo.

Il futuro ha un cuore antico. Infatti Ippocrate, oltre 2000 anni addietro affermava che “il cervello è l’interprete di quelle cose che emanano dall’aria in uno stato di salute”.

Vengono esplorati, inoltre, i rapporti tra creatività e talento. Dick Swaab, dell’Università di Amsterdam, sostiene che ogni cervello è unico e diverso a causa del patrimonio genetico e dei processi di sviluppo. In presenza di strutture cerebrali particolarmente grandi o a connessioni assai efficienti si realizza il talento, fondato da situazioni innate e lavoro costante e impegnativo.

Un’altra importante ipotesi – formulata da Giulio Tononi e Chiara Torelli, dell’Università del Wisconsin – è l'”omeostasi sinaptica” che capovolge antiche convinzioni. Sino ad ora si era ritenuto che durante la notte le sinapsi – cioè le giunzioni filamentose tra le cellule nervose – si rafforzassero per consolidare ciò che si era appreso, ma gli Autori italiani sostengono che, al contrario, le sinapsi vengono indebolite, al fine di eliminare ricordi inutili per dare spazio ad altri.

Una buona notizia per i soggetti meno giovani. Una ricercatrice anch’essa italiana – che lavora nella Columbia University e nell’Istituto Psichiatrico di New York – ha dimostrato che al contrario delle conoscenze attuali, il cervello non invecchia e, anche all’età di 80 anni, ha la capacità di produrre migliaia di nuovi neuroni, che nascono da cellule progenitrici dell’ippocampo, zona profonda nell’encefalo, al ritmo di 700 nuovi neuroni al giorno.

I nuovi studi, specie su mini-cervelli, organoidi cerebrali rudimentali ma tridimensionali, derivati da cellule staminali umane, pongono nuovi  gravi questioni etiche. Questi organuli sono composti da pochi milioni di cellule (a fronte del cervello che comprende circa 85 miliardi di cellule), ma si pensa che possano provare qualcosa di simile a piacere, dolore, angoscia. In campo cerebrale – come negli altri comparti del corpo umano – le conquiste della scienza devono confrontarsi, anche in conflitto, con le profonde e inesplorate questioni etiche.

Anche in campo scientifico vale l’ammonimento di Plutarco: “Le battaglie si vincono con le lance dei giovani e con la saggezza dei vecchi comandanti”.

Adelfio Elio Cardinale

ULTIMISSIME DAL CERVELLO

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Numerosi esponenti della comunità scientifica internazionale affermano che, nel campo delle neuroscienze, siamo all’inizio di un nuovo Rinascimento, come l’epoca che fu di somma grandezza in tema di arte e cultura. In vero quasi quotidianamente si susseguono sperimentazioni, ricerche e risultati inaspettati e sorprendenti per quanto riguarda le attività cerebrali. Per tali motivazioni ho impiegato, per questo articolo, un titolo “urlato”, come si usava per le edizioni straordinarie dei quotidiani a stampa.

Si fa riferimento a raccordi, sinora misteriosi e insondabili, tra mente e funzioni per arrivare a riconoscere i penetrali della coscienza e dell’intelligenza, con identificazione dei siti cerebrali responsabili.

Tutto ciò è reso possibile dagli avanzamenti tecnologici di sofisticate macchine diagnostiche: impieghi e perfezionamenti innovativi dell’elettroencefalogramma; risonanza magnetica funzionale o con tensori di diffusione o con spettrometria capaci anche di fornire immagini tridimensionali di aree e mappe del cervello.

Il cervello dell’uomo possiede diversi sistemi di rilevazione degli errori, di correzione e verifica dei quali si serve per imparare. Ricerche dell’INSERM e del Centro di Neuroscienze di Lione hanno scoperto che alcune aree cerebrali emettono segnali di errore, quando l’uomo sbaglia, attraverso un segnale specifico – definito ERN, acronimo delle parole inglese “Errore Related Negative” – mediante rilevazioni dell’elettroencefalogramma. La regione del cervello, dal quale proviene tale impulso elettrico è la corteccia prefrontale mediana, zona capace di interrompere l’azione errata ed anche di correggerla se i tempi lo permettono.

In questo contesto di sperimentazioni si hanno, inoltre, notizie sul comportamento umano nello sperimentare, cercare novità e possibilità, verificandone il senso. Gestori di questi variegati tentativi sono i neuroni della corteccia cingolata mediana.

Sempre attraverso studi e rilevazioni con risonanza magnetica nucleare si è scoperto che quello che veniva considerato “rumore” di fondo con onde lente, che si propagano dalla nuca alla fronte erano, per contro, segnali che sincronizzano l’intero cervello, attivandosi solo se il soggetto è consapevole, permettendogli di lavorare come organo integrato: coordinando – affermano ricercatori della Washington University di Sant Luis – gli oltre 100 miliardi di neuroni che possiede l’essere umano. Con espressione divulgativa si può esprimere il concetto che si è “fotografata” la coscienza.

Un recente studio dell’Università Jiaotong di Pechino, sempre mediante una peculiare tecnica a risonanza magnetica – ha riscontrato che il nostro cervello è dotato di un continuo dinamismo. La struttura, specie a livello dei lobi temporali e parietali, cambia non solo nella fanciullezza e adolescenza ma anche nell’età adulta, in rapporto ai cambiamenti emotivi, questi ultimi in relazione con lo sviluppo del linguaggio e della scrittura.

Tuttavia, anche in età senile, il cervello non mantiene una struttura stabile, ma possiede una continuo dinamismo, dal quale si può monitorare lo stato di efficienza e buona salute del cervello. Questo mirabile organo possiede una specie di “riserva cognitiva” – secondo l’efficace espressione del docente di psicologia Alberto Oliverio – un silos, un granaio che può essere implementato quando si stimola la mente. Ne consegue che la continua rilevazione delle modifiche cerebrali può divenire segnale d’allarme, al fine di stimolare il cervello per prevenire le conseguenze di un invecchiamento intellettuale.

Siamo all’inizio di uno straordinario itinerario verso l’orizzonte degli eventi nelle neuroscienze. Il progresso nelle ricerche è un insieme di percorsi senza fine. La meraviglia – affermava Giambattista Vico – nasce dal non conoscere, ma diviene madre del sapere.

Adelfio Elio Cardinale