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Berlusconi simbolo della fiducia in un tempo migliore

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MILANO (ITALPRESS) – Tra i tanti ricordi personali che si affollano in queste ore ce n’è uno lontanissimo, ma significativo: 23 agosto 1988, Milano2, Jolly Hotel, primo incontro con l’editore per il nascente tg sperimentale della Fininvest, Dentro la notizia. Io vengo da Roma, nessuno mi parla, tutti si accalcano vicino all’entrata della sala. Berlusconi era già una star, aveva già fondato tre reti televisive con cui sfidava la Rai, aveva già portato al successo il Milan con il primo scudetto della sua era, aveva già costruito Milano2 e stava ultimando Milano3, aveva appena comprato la Standa. A sorpresa il Cav entrò invece da dietro e io in bella solitudine fui il primo a stringergli la mano. Mi guardava molto la faccia, forse fu per quell’imprinting che per anni divenni uno degli anchorman di riferimento della sua azienda.
Per la mia generazione Berlusconi fu il simbolo delle cose che potevano accadere senza avere una famiglia importante o un partito alle spalle. Fu il simbolo di un futuro da guardare con l’ottimismo di chi aveva osato e potuto tutto. Quell’uomo, qualche anno dopo, nel 1994, vinse le elezioni con un partito fondato in quattro mesi. Il suo successo era quello di chi trasferiva al paese, non solo a noi trentenni che costruivamo la tv commerciale, la fiducia di un tempo migliore, di un avvenire da poter prendere nelle proprie mani. Come sempre il viaggio dei sogni sulla terra è contorto. Già alla fine del ’94 lo scontro con una parte della magistratura diventa l’inizio di una battagli tra la politica e i giudici che ancora oggi non ha trovato una soluzione e che ha travolto in meno di 30 anni tante persone. Il suggestivo manifesto liberale degli inizi è rimasto un’idea platonica, nonostante il Cav abbia vinto di nuovo le elezioni nel 2001 e nel 2008.
Lo scandalo del Bunga bunga, la strategia dello spread, la non limpida ascesa di Monti, la condanna nel processo Mediatrade, i servizi sociali con l’immagine indimenticabile dell’anziano imboccato con il cucchiaio. E poi l’ascesa prima di Salvini e ora quella irresistibile di Giorgia Meloni. E poi quell’ultimo video, malinconico, dal San Raffaele, dove la fragilità del corpo viene mostrata con coraggio in primis per tenere unito il partito nella sua posizione filogovernativa. Era un video dove l’addio faceva capolino un po’ ovunque. Un addio che speravamo fosse il più lontano possibile, invece la morte ha bussato la mattina di un lunedì, all’improvviso, dopo un weekend definito tranquillo. Ci sarà tempo per le varie eredità, Forza Italia, tv, danaro, ci sarà tempo per il bilancio storico che sarà comunque quello di un uomo che ha rivoluzionato il linguaggio del nostro tempo. Ora è il momento del dolore, della pietas che avvolge sempre il mistero della fine. E speriamo che sia anche l’ora, nonostante Berlusconi sia stato sempre divisivo, di una concordia politica che abbia lo stile di una grande democrazia.

Claudio Brachino

– foto Agenziafotogramma.it –

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Comin “In Italia serve una legge sulle lobby”

ROMA (ITALPRESS) – “La democrazia si basa sulla sintesi degli interessi. Il compito nostro è rappresentare in maniera corretta questi interessi e portarli all’attenzione del decisore. Purtroppo in Italia l’attività del lobbista non è regolamentata, mentre negli altri Paesi ci sono degli Albi, ed è tutto molto trasparente. Ci sono state 70 proposte di legge presentate in Parlamento negli ultimi 30 anni, ma mai ne è stata approvata una. Speriamo che questo governo che gode di una maggioranza solida possa arrivare ad una regolamentazione, per dare la giusta perimetrazione al nostro lavoro”. Lo ha detto Gianluca Comin, presidente e fondatore dell’agenzia di comunicazione Comin&Partners, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress.
Parlando della propria attività imprenditoriale Comin spiega che “il rapporto con i media è fondamentale, ma c’è poi tutto un altro mondo, quello dei social, che è una realtà anarchica, e noi dobbiamo essere attrezzati a capire quello che succede nella rete. La comunicazione integrata – prosegue – è invece la capacità di utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione, in cui il protagonista non è l’azienda che comunica ma il destinatario”.
“E’ una comunicazione efficace perchè si entra a contatto con consumatori e stakeholder dalla mattina alla sera. Poi c’è il personal branding, che è la reputazione, ovvero come gli altri ti raccontano – sottolinea Comin -. Qui occorrono giusti messaggi, andare nei convegni giusti, usare i social in maniera appropriata, che porta a rafforzare la propria personalità. E a noi si affidano manager ma anche politici”.
Comin&Partners oggi conta 65 dipendenti e decine di collaboratori. “La scelta che abbiamo fatto – afferma il presidente – è di assumere solo ragazzi tra i 27 e i 30 anni: siamo una sorta di scuola di formazione. Lo smart working lo adottiamo, ma quello che si impara stando insieme è più efficace”. Alla domanda su come una società di comunicazione riesca a trovare prima degli altri i sintomi di una crisi di un’azienda cliente, Comin risponde che “le crisi le intercettiamo con analisi e monitoraggi: i sintomi possono emergere da dichiarazioni, da un tweet. Sottovalutare questi aspetti porta spesso a non recuperare la crisi”.
“Poi è importante immedesimarsi negli altri, e capire che i problemi concreti della gente vengono prima di tutto; sbaglierebbero le imprese se non tenessero conto nella loro comunicazione questo fattore rilevante. E questo vale per i manager, per gli imprenditori, ma anche per i politici. Il politico che è concreto nell’intercettare le problematiche concrete del Paese, e Meloni lo è, ha successo – prosegue -. Negli ultimi mesi c’è stato un cambiamento forte della comunicazione del presidente del Consiglio, e dietro c’è una strategia come quella messa in campo da Mario Sechi, che funziona”. Comin è anche autore del libro “Tu puoi cambiare il mondo” (Marsilio). “Un libro pratico – dice – che dà le istruzioni per un uso vincente della comunicazione”.

– foto Italpress –

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Riforme, Romeo “Disponibili al premierato ma con pesi e contrappesi”

ROMA (ITALPRESS) – “C’è la necessità di promuovere delle riforme istituzionali. La Lega ha dato subito la sua disponibilità, poi se non è il presidente della Repubblica perchè è una figura terza e si vuole virare più sul premier c’è questa disponibilità, purchè ci siano pesi e contrappesi tenendo conto che la nostra è una Repubblica parlamentare. L’importante è che venga garantito il fatto che non ci siano ribaltoni, perchè se i cittadini votano un premier non si possono ritrovare con una maggioranza diversa. Ci sono dei sistemi costituzionali, di intervento e legislativi che possono andare a tutela di questo garantendo la stabilità. C’è piena armonia da questo punto di vista, poi ci possono essere sensibilità diverse ma nel centrodestra questo è un arricchimento, si trovano mediazioni”. Così Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress.
“La posizione della Lega è sempre stata chiara anche in passato” sulle riforme. L’autonomia “riguarda l’attuazione della Costituzione dove si può cominciare a procedere coinvolgendo il Parlamento, dall’altra parte c’è la necessità di promuovere riforme istituzionali”, aggiunge.
Inevitabile uno sguardo a quanto sta accadendo in Emilia-Romagna nelle ultime ore. “Sono immagini drammatiche, non sopportiamo però vedere la polemica politica. La politica deve interrogarsi perchè sicuramente ci sono di mezzo i cambiamenti climatici, ma ci sono anche delle responsabilità soprattutto di quest’ultima. Quello che la politica non fa ma che dovrebbe fare – osserva – è la prevenzione, siamo molto bravi nell’emergenza ma se iniziassimo ad essere bravi anche nella prevenzione, probabilmente riusciremo a contenere la portata drammatica che vediamo in questi giorni. Non possiamo continuare sempre a basare la nostra azione sul consenso, bisogna prevenire, fare manutenzione e, anzichè realizzare cose nuove, manutenere le cose che abbiamo. Questo è un ragionamento complessivo che tutti dobbiamo fare a prescindere dai colori politici”.
Tra i vari temi toccati da Romeo, anche i rapporti all’interno della maggioranza di governo e i risultati delle ultime amministrative. “Rispetto al governo con i 5 Stelle, che era un’alleanza innaturale, e al governo Draghi, che era di unità nazionale fatto nell’interesse del Paese, adesso siamo in una dimensione di base valoriale comune che ci mette nelle condizioni di lavorare. Noi leghisti – spiega – siamo un movimento che vuole portare grande cambiamento e veniamo visti sempre con occhio sospetto, è una Lega sia di lotta che di governo, non esiste una Lega di governo se non c’è quella di lotta e viceversa. Lega di governo e movimentista vanno di pari passo ma con senso di responsabilità, con volontà di mediare e trovare soluzioni. Se avessimo tutti le stesse idee saremo un partito unico, anzi, avere delle diverse sensibilità arricchisce la coalizione di centrodestra perchè i valori sono comuni”.
Quello delle amministrative “è un risultato positivo, poi in politica di solito quando ci sono le elezioni hanno vinto tutti e non perde mai nessuno. Abbiamo conquistato alcune città e ne abbiamo confermato delle altre, complessivamente un risultato positivo, poi come Lega bisogna tenere conto che l’effetto liste civiche altera un pò i parametri nazionali. C’è soddisfazione ma usiamo prudenza perchè ci sono i ballottaggi, cerchiamo di fare l’appello ad andare a votare il più possibile ma usiamo prudenza perchè c’è anche il secondo tempo in alcune realtà”, osserva. Il presidente dei leghisti in Senato parla anche delle nomine e del caso Rai sottolineando che “ci sono dei cambiamenti che andavano fatti ed è giusto farli, perchè in tante occasioni abbiamo visto un indirizzo e orientamento politico un pò troppo pendente, nella tv pubblica bisogna fare un servizio oggettivo e dare spazio a tutti, guardando certi programmi si aveva la sensazione che pendeva la bilancia sempre da una parte. Un equilibrio e una certa oggettività nell’informazione sono alla base di un paese democratico”.
Sulla questione ucraina, all’indomani del tour europeo di Zelensky iniziato proprio a Roma, Romeo evidenzia come la Lega abbia “sempre sostenuto posizioni atlantiste e gli interventi in sostegno dell’Ucraina sono sempre stati votati. Quello che abbiamo rimarcato è che, da quello che ci dicono, il conflitto non si concluderà con la vittoria di uno sull’altro – aggiunge -, si arriverà a una soluzione diplomatica e bisogna intraprendere e sostenere l’iniziativa della Santa Sede almeno per il cessate il fuoco e per una tregua che possa, nel tempo, portare a trattative per la pace. Dobbiamo sostenere con forza l’iniziativa della Santa Sede e questo può andare di pari passo con il sostegno all’Ucraina, mi sembra una posizione di buon senso”.
Infine, la questione sicurezza. “La sicurezza resta la nostra priorità, è chiaro che quello di cui ci siamo accorti è che i cittadini non vogliono solo il dibattito ma dei risultati concreti, credo che la risposta migliore che si poteva dare con quanto accade alla stazione di Milano, l’abbia data Piantedosi con l’invio di nuovi agenti con una operazione importante per garantire sicurezza nelle stazioni. Oggi la Lega deve dare risposte e lo ha fatto con un intervento diretto da parte del ministro”, conclude.

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Giustizia, Greco “Noi avvocati pronti a discutere di una vera riforma”

ROMA (ITALPRESS) – “Noi avvocati siamo pronti a sederci e discutere della riforma vera della giustizia. Non rivendichiamo posizioni di privilegio, noi siamo pronti a metterci in discussione e fare tutti i sacrifici richiesti agli avvocati per rendere efficiente il sistema giudiziario, purchè ci sia questa volontà, purchè si metta in conto che un sistema non improntato a un principio di efficienza è destinato per sempre all’insuccesso”. Così Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress. Avere un “processo giusto è il mio sogno”, spiega Greco nel sottolineare come “purtroppo il dato più saliente con cui dobbiamo fare i conti è che in Italia la giustizia non funziona, in Italia la giustizia non è giusta. Tutte queste riforme, anche quella Cartabia, purtroppo non portano al giusto processo, nella nostra Costituzione abbiamo introdotto il principio del giusto processo che è qualcosa di scontato”.
“Paradossalmente – prosegue -, il cittadino perde la causa non perchè abbia torto o ragione, ma perchè ci sono una serie di insidie nel processo che portano ad una sentenza di un tipo piuttosto che alla sentenza giusta. Nel nostro sistema giuridico sono state introdotte, anche dalla riforma Cartabia, una quantità enorme di insidie e trabocchetti nel processo e, soprattutto in quello civile, vincerà chi non è incorso in una insidia, questa è una cosa incredibile. In tutti i sistemi dell’economia moderna vige il principio della responsabilità ed efficienza, nella giustizia questo principio non vale; della inefficienza della giustizia, però, non risponde nessuno e fino a quando non si introdurranno degli indici di valutazione dell’efficienza del singolo processo, la giustizia non potrà mai migliorare”.
Il presidente del CNF specifica che non parla di responsabilità civile “perchè è giusto che chi giudica abbia la serenità di poterlo fare, l’errore in buona fede non deve essere sanzionato, ma rispondere a un principio di efficienza sì”.
Inoltre, evidenzia come ci sia una “interlocuzione costante con il governo. Fino a stamane ho avuto un incontro al ministero e dialoghiamo molto spesso con il Gabinetto del ministro, in questo momento c’è una costante interlocuzione, che poi si riescano a fare le cose che noi chiediamo è un altro aspetto”. Con il CSM “c’è un dialogo avviato, ho già avuto contatti con il vicepresidente Pinelli per una serie di incontri e per affrontare tanti temi. Abbiamo, inoltre, incontrato la prima presidente della Corte di Cassazione per esprimere la disponibilità a un dialogo costante senza rivendicare posizioni di privilegio; abbiamo incontrato il presidente della Commissione Giustizia alla Camera e abbiamo chiesto il riconoscimento nella nostra Costituzione del ruolo degli avvocati, la Costituzione contiene un principio fondamentale per ogni democrazia: il diritto di difesa, però si ferma qui”.
“Noi auspichiamo che sia inserito che ogni cittadino abbia il diritto alla difesa tecnica – spiega -, riteniamo che riconoscere questo al cittadino sia un diritto, questo è un passaggio di civiltà giuridica. Dobbiamo ritornare a mettere al centro del processo il cittadino, soltanto così si potrà migliorare il sistema giudiziario. Un sistema che mira all’attuazione vera della democrazia non può prescindere dai diritti dei cittadini, purtroppo la nostra società comprime i diritti dei cittadini e questo non va bene per la salute della democrazia e per l’attuazione del principio di libertà. Noi siamo un Paese libero, ma i diritti non trovano attuazione piena. Se vogliamo veramente realizzare un principio vero di democrazia compiuta, dobbiamo riconoscere ai cittadini la possibilità di accedere alla tutela dei diritti senza difficoltà, oggi ci sono dei costi del processo altissimi. Inoltre, in Italia il numero dei magistrati è molto più basso rispetto agli altri Paesi europei, se si aumenta il numero dei giovani magistrati capaci, i tempi della giustizia si accorceranno”, assicura.
Infine, Greco parla del suo “avvocato ideale” che deve essere colui “che comprenda i problemi del proprio assistito e se ne faccia interprete, ma che sia anche indipendente e per esserlo deve essere economicamente sereno, i diritti non sono merci, la mercantilizzazione dei diritti noi non la possiamo sopportare”.

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Brizzi “‘Siamo scritti a matita’ è il mio omaggio alla lettura”

ROMA (ITALPRESS) – Un libro che ne racchiude tre: così Fausto Brizzi, regista e sceneggiatore (ma soprattutto “scrittore, perchè è così che mi descrivevo da bambino”) racconta il suo ultimo romanzo, ‘Siamo scritti a matità, edito da Longanesi. “E’ un libro che vale per tre: piacerà agli appassionati di thriller ma è anche un libro sentimentale, che racconta una storia d’amore di una donna che non ricorda più chi è suo marito. E poi è un libro nel libro, perchè il protagonista è anche uno scrittore e, nella narrazione, ci sono anche delle pagine del romanzo che sta scrivendo”, spiega nel corso di un’intervista a Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress.
“L’ho scritto durante la pandemia, quando eravamo in lockdown, e casa mia sembra proprio una libreria: questo è il mio omaggio al mondo della lettura e, in particolare, della lettura su carta. Approfitto del mestiere del protagonista per fare la mia personale playlist dei libri da leggere” attraverso questo libraio “che suggerisce ai suoi clienti dei libri che in realtà sono quelli che suggerirei io stesso, quei 50-60 testi per me fondamentali”, spiega. In fin dei conti, “la libreria è il mio parco giochi fin da quando ero bambino: andare in libreria e scoprire i libri di cui non sapevo niente mi ha sempre attratto. E poi la narrazione su carta è molto più interattiva del cinema: credo che siano due cose contemporaneamente diverse, ma come fruitore continuo a preferire” la lettura, “il voltare pagine”.
“Siamo scritti a matita” diventerà un film? “Ne hanno comprato i diritti già quando era in bozze”, ma “è un film molto costoso, d’azione, quindi non sarà un film italiano e non lo farò io”, annuncia Brizzi. Per il cinema italiano contemporaneo, comunque, “è un momento buonissimo, di grande qualità, però sto aspettando ancora i ‘giovani leonì. Mi sembra che i film più vitali li facciano ancora Marco Bellocchio e Nanni Moretti: per quanto li ami, mi sembra strano”, spiega.
Come regista è già al lavoro su nuovi progetti. “Il mio ultimo film è già girato, è un reboot di una pellicola degli anni Ottanta con Pozzetto, ‘Da grandè, che andrà direttamente su una piattaforma da luglio, e poi ho girato la mia prima serie tv per Raiuno, con Sabrina Ferilli e Massimo Ghini, che andrà in onda probabilmente all’inizio del 2024”.

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Gaia Tortora “Contro mio padre fu anche accanimento mediatico”

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ROMA (ITALPRESS) – Enzo Tortora era “una persona che era al massimo della popolarità”, ma anche “un uomo normale e, senza dubbio, un grandissimo professionista, molto colto, che amava il suo lavoro. Non mi sono mai spiegata l’accanimento mediatico che è stato messo in atto quando è stato arrestato: una certa informazione ha contribuito a stroncarlo”. Lo ha detto la vicedirettrice del Tg La7 Gaia Tortora, figlia del giornalista e conduttore televisivo Enzo, intervistata da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress. Del celebre caso di malagiustizia che ha visto coinvolto il padre, raccontato dal punto di vista di “chi gli era accanto”, ne ha scritto in “Testa alta, e avanti. In cerca di giustizia, storia della mia famiglia” (Mondadori): “È la mia storia, di mia sorella e di mia mamma. Avevo 14 anni” all’epoca dell’arresto “e sono diventata un piccolo soldatino: sono passata da una vita adolescente che giocava con le bambole a Regina Coeli”, ma “la mia famiglia era assolutamente una normale, non c’era nessun privilegio perché eravamo ‘figlie di’. Quando capitano queste cose, poi, si viene scaraventati in pasto a chiunque, chiunque si fa una sua idea, anche indirizzata da chi fa il suo mestiere”, spiega. Il riferimento è a un certo tipo di informazione che ha contribuito a “distruggere un uomo, senza farsi domande etiche che dovrebbero far parte del nostro mestiere. Sarà stata l’invidia? Dopo tanti anni, giuro che non riesco a capire”. Determinante, nel caso Tortora, è stato anche il ruolo della magistratura.

“Per carità, si può anche sbagliare, ma non vedo neanche buonafede. Però se faccio ripetutamente degli errori, di certo non avrò un avanzamento di carriera”. La storia di Enzo Tortora potrebbe essere la storia di tanti italiani. “Ce ne sono tanti di errori giudiziari, anche se in questo caso faccio fatica a chiamarlo così. A forza di parlare di malagiustizia, ho capito che nel caso di papà si è trattato di accanimento. E’ complicato mettere in discussione questo potere: mi aspettavo di più dal ministro Nordio, che aveva un’idea precisa della riforma della giustizia: inizio a chiedermi dove è finita”. Scrivere questo libro, per Gaia Tortora, è stata una terapia. “Credo che sia giusto riflettere anche su cosa accade a chi subisce gli ‘effetti collaterali’. Il dolore è un elemento portante della mia vita, nei vari percorsi di aiuto che ho cercato nella mia vita adulta, l’ho affrontato in modi diversi: all’inizio l’ho semplicemente attraversato, cercato di mantenere la barra dritta. Poi l’ho anestetizzato e infine ho capito dovevo accoglierlo, facendo un immenso lavoro per tirare fuori quella bambina, farla crescere e occuparmene”, sottolinea, raccontando anche “la paura e gli attacchi di panico” di cui ha sofferto da adulta.

“La cosa più difficile è stata parlarne nel libro, non ho mai avuto il coraggio di parlare di questo problema: un po’ per pudore, un po’ perché hai paura di perdere quello che hai raggiunto. La società ci obbliga ad essere performanti e resilienti, ma invece siamo fragili e gli attacchi di panico possono accadere a tutti. La terapia della scrittura mi ha aiutato ad avere coraggio”.

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Casini “Meloni politicamente forte ma Pd l’unico a riempire le piazze”

ROMA (ITALPRESS) – “L’eredità politica non si riceve, ma si conquista e si ruba. Meloni ne è la testimonianza: se l’è andata a prendere, se l’è conquistata e questo la rende forte dal punto di vista politico”. Lo ha detto il senatore Pier Ferdinando Casini, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress. “Questo è un governo politico, non c’è dubbio che Meloni si sia fatta da sola: ho grande rispetto per lei perchè ha fatto le sue battaglie, la sua lunga marcia e l’ha vinta”, spiega, rimarcando che “i governi tecnici non devono essere maledetti, sono fondamentali quando non ci sono altre soluzioni, ma sono come gli antibiotici: bisogna consigliare di prenderne il meno possibile, se no alla lunga le difese immunitarie dell’organismo si depotenziano. I governi tecnici sono le eccezioni, invece la fisiologia devono essere i governi politici”.
Però “l’unico partito che ha portato la gente in piazza è stato il PD, questo gli va riconosciuto. Obiettivamente è un partito pieno di difetti – gliene sottolineano sempre tanti, non si può dire che non la gente non li conosca – però da questo punto di vista è un partito che cerca di avere qualcosa a che fare con le formazioni politiche radicate su scala europea”. E Matteo Renzi? “Se non avesse l’avversario più terribile del mondo, cioè Matteo Renzi stesso, sarebbe il campione del mondo”. In questi anni, spiega l’ex presidente della Camera, “siamo stati travolti dall’antipolitica, che in qualche modo ha creato l’illusione che la politica non fosse importante e che l’antipolitica potesse sostituirla. Il mio libro si intitola ‘C’era una volta la politicà, perchè il sottinteso è che adesso non c’è più. E’ una provocazione, perchè la politica deve tornare: non c’è un’alternativa per occuparsi della vita della comunità”, sottolinea.
“Si parla tanto degli aspiranti presidenti della Repubblica, categoria peraltro molto affollata, ma che non esiste. Una cosa che ho imparato è che bisogna diffidare dei politici che si ritengono indispensabili: non siamo padroni del nostro destino, vedremo quello che capita”, dice rispondendo a una domanda sulla presidenza della Repubblica. Che cos’è il potere per Pier Ferdinando Casini? “E’ un’illusione ottica. La cosa importante è stato il messaggio che mi ha scritto mio figlio dopo che è stato eletto Mattarella, di cui sono orgoglioso: il potere passa, il resto rimane”, racconta. A una certa età “la reputazione diventa fondamentale perchè ti avvii ‘all’uscità e fa piacere che ci sia qualche applauso. Sono un politico di professione, faccio politica da quarant’anni: avere dai colleghi un riconoscimento di questo tipo per me è valso molto di più di tante altre cose”.
Poi, guardando all’attualità, sul Pnrr “penso che abbiamo una desertificazione delle competenze tecniche in Italia: mettere a cantiere questi progetti sarà difficilissimo. Poichè su questi soldi ci giochiamo il futuro dei nostri figli, credo che le forze politiche di maggioranza e di opposizione farebbero bene a litigare su tutto quello che vogliono, lasciando al riparo il tema del Pnrr”. E sui diritti, “non ho nessuna difficoltà a dire che sono assolutamente contro la maternità surrogata: ritengo che apra a uno sfruttamento inaccettabile del corpo delle donne e anche delle persone che hanno bisogno, non a caso molte di queste maternità surrogate avvengono in Paesi del terzo mondo, approfittando delle condizioni di debolezza” di queste donne.

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Friedman “Trump si dipingerà come martire, tenuta degli Usa a rischio”

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ROMA (ITALPRESS) – “Per l’America il rinvio a giudizio di Donald Trump da un lato è uno choc, dall’altro è la prova provata che la democrazia funziona e che nessun americano è al di sopra della legge”, ma “temo che Trump riuscirà a crescere politicamente”, perché “si dipingerà come martire e potrebbe anche diventare il candidato repubblicano alle prossime elezioni”, risultando anche eletto, un fatto che potrebbe portare a “una polarizzazione dell’America e quindi un indebolimento sulla scena internazionale”. E’ l’opinione del giornalista e scrittore Alan Friedman, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress. Per Trump, il rinvio a giudizio in relazione al suo presunto ruolo nell’operazione di riciclaggio del denaro versato alla pornostar Stormy Daniels. Secondo Friedman, il rinvio a giudizio per Trump “è il minore dei suoi problemi: qui a New York saranno rivelati nei prossimi giorni oltre 30 capi di accusa, non soltanto per il pagamento in nero alla pornostar, ma anche per una serie di frodi fiscali e finanziarie e diverse altre accuse”.
Il problema “più grave sarà in Georgia, dove secondo me Trump sarà rinviato a giudizio da una giuria popolare per l’ingerenza, il tentativo di cambiare il voto elettorale del 2020. E’ molto più pesante come accusa”, spiega. “Poi a Washington ci sarà un altro rinvio a giudizio, probabilmente per l’accusa di aver aizzato la violenza”, ricorda. “Temo che Trump riuscirà a crescere politicamente grazie a questo rinvio a giudizio, si dipingerà come martire e potrebbe anche diventare il candidato repubblicano alle prossime elezioni. Il vero interrogativo è quello: potrà candidarsi come presidente ed essere eletto nel 2024? Sì. Potrebbe essere un anno pericoloso per la democrazia. Navighiamo in acque non conosciute, sarà un grande test per la democrazia americana nei prossimi mesi, ma temo che ci sarà una polarizzazione dell’America e quindi un indebolimento sulla scena internazionale”, spiega. “Questo creerà incertezza e gli altri Paesi come Cina e Russia esulteranno grazie ai processi di Trump”.
Poi Friedman parla anche della situazione italiana e dei ritardi sul Pnrr. “I 200 miliardi di fondi europei rappresentano la più grande possibilità per l’Italia di alzare il Pil dal piano Marshall” e se saranno “spesi bene porterebbero un’economia e dei servizi più efficienti, ma per avere successo con il Pnrr è necessario” un governo “serio, sobrio e impegnato, con una forte volontà politica di portare avanti tutto, degno di quello di Draghi, che ha lasciato una macchina perfetta” e che aveva immaginato di “portare avanti una serie di riforme che avrebbero aumentato la produttività del Paese e il tasso di crescita”. Invece “il governo Meloni ha cominciato promettendo di riscrivere in Pnrr, già prima del voto del 25 settembre” e ora “ha messo le mani avanti: il ministro Fitto dice che è impossibile spendere questi soldi”, spiega. “Sono stati sprecati sei mesi: il governo Meloni non ha portato avanti le cose, ha smantellato la struttura lasciata da Draghi, spostando gli uffici, facendo confusione. Non mi sembrano tentativi seri di portare avanti un programma importante per il Paese”.

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