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Napoletano “Su Pnrr e riforme Governo Meloni al bivio”

ROMA (ITALPRESS) – Giorgia Meloni e Mario Draghi. La sfida che ha di fronte la prima donna premier tra riforme, Pnrr e un progetto Paese da mettere in campo, e il miracolo economico “nascosto” dell’ex presidente della Bce. Sono queste le vicende di “Riscatti e ricatti”, il nuovo libro di Roberto Napoletano, direttore del Quotidiano del Sud, edito da La Nave di Teseo. Intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress, Napoletano racconta del cosiddetto “Draghicidio” avvenuto per moventi interni e intrighi internazionali. “Draghi stava facendo bene, troppo bene, e i partiti, alcuni in particolare, hanno temuto di non toccare più palla. Stessa cosa i capi dell’amministrazione regionale o i capi dei ministri “che Draghi faceva filare dritto. Poi c’era un’arma, quella del racconto catastrofista italiano mentre, invece, avevamo sette trimestri consecutivi di crescita che non ha avuto nessuna grande economia europea, mezzo milione in più a tempo indeterminato, una riduzione del rischio povertà e delle diseguaglianze, con un Mezzogiorno che, per la prima volta, cresce più della media Ue. Insomma – spiega – una grande reputazione internazionale che significa: fiducia. Noi eravamo in presenza del più grande miracolo economico dal dopoguerra, perchè accreditare una crisi quando l’economia volava? Questo è il miracolo nascosto di Draghi, questa è stata l’arma usata”.
“Poi arriva la guerra di invasione dell’Ucraina. Si è capito subito che sarebbe diventata la guerra mondiale delle materie prime, e Draghi era l’unico vero capo di governo europeo, quello che ha salvato l’euro, quindi aveva una credibilità internazionale importante che si è tradotta in una leadership europea che l’Italia non aveva da anni. La sensazione era che Draghi dettasse la linea politica”, aggiunge. Si decise quindi di staccare la spina al governo dell’ex banchiere e quella decisione fu presa “nel momento di massima crescita del Paese, di massima reputazione internazionale, nel momento in cui il Paese più aveva bisogno di una figura come Draghi”, sottolinea Napoletano.
Ora a Palazzo Chigi siede Giorgia Meloni. “Credo che lei, soprattutto in campagna elettorale, abbia dimostrato responsabilità e realismo che non aveva avuto quando faceva opposizione. Lei ha accumulato due voti, quello di stomaco che era di protesta storica e un voto di responsabilità perchè, nel quadro dato, era quella che dava maggiore sicurezza anche ai ceti produttivi che hanno visto nella Meloni la possibilità che questo miracolo economico non si interrompesse. Il punto però – spiega Napoletano – è che il quadro globale è peggiore di quello che ha avuto Draghi, ma la resilienza del miracolo dell’economia italiana è ancora molto accentuata”.
“Due terzi della manovra sono identici a quello che ha fatto Draghi, ora però a tutto ciò bisogna affiancare a tutto ciò quella che è la vera rivoluzione e Meloni ha l’occasione di passare due volte nella storia: prima donna premier, ma potrebbe anche essere la prima donna premier che attua un progetto di Paese a medio termine dove riforme e investimenti fanno la differenza. A quel punto il Paese serio che ha recuperato reputazione e fiducia, diventa non più una parentesi ma l’inizio di una credibilità internazionale. La premier deve capire fino in fondo l’entità della sfida politica che ha davanti. Deve prendere decisioni chiare, attuando un progetto di Paese a medio termine nel quale riforme e investimenti fanno la differenza”, conclude.

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Barbano “La mafia va combattuta col diritto, senza scorciatoie”

ROMA (ITALPRESS) – “Sciascia aveva visto giusto perchè oggi l’Antimafia è una macchina dell’emergenza, che rischia di servire se stessa”. Così il giornalista Alessandro Barbano, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, nella quale ha presentato il suo ultimo libro “L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene”.
“Io sono partito da una riflessione – ha detto Barbano -: questo è un Paese in cui nello stesso giorno un cittadino può essere assolto e i suoi beni confiscati. Sei innocente ma ti tolgo tutto. Tutto questo nel sistema penale italiano è giusto, è consequenziale. Questa coerenza giuridica se la si mette al confronto con la vita, con l’impatto che ha, diventa un assurdo. In questo libro sono partito da questo divorzio tra la giustizia e la vita. L’Antimafia – ha aggiunto – è un sistema culturale, la deriva dei professionisti che Sciascia aveva capito: se tu crei una macchina dell’emergenza, questa macchina finirà di rispondere a se stessa. Io dico disarmiamo le testate atomiche dell’emergenza, disarmiamo il pentitismo a go go. Perchè se noi eterniamo la guerra eterniamo anche la mafia”.
“La trattativa Stato-mafia? Nasce da una interpretazione storicistica del rapporto tra mafia e potere sin dagli anni della monarchia, dove si struttura l’idea che la mafia potesse convivere con lo Stato. Noi siamo – ha poi proseguito Barbano – l’unico Paese che ha processato e poi condannato alla discriminazione culturale l’unica persona che ci ha permesso di sconfiggere Totò Riina, come il generale Mori, che ha pagato processi lunghissimi, ha subito l’umiliazione, mentre avremmo dovuto fargli una statua”.
“L’antimafia ha tradito la delega che lo Stato gli ha riconosciuto – ha spiegato il giornalista -. L’ha tradita perchè non ha risposto correttamente a questa delega. E’ un inganno che noi abbiamo la legislazione antimafia più bella del mondo, e che quella legislazione serve a combattere davvero la mafia. Non è vero. E’ vero il contrario. E’ non è vero che chi critica l’antimafia fa il gioco della mafia. Io non voglio fare il gioco della mafia delegittimando l’Antimafia, io la mafia la voglio combattere con tutti i mezzi leciti. Però ho il diritto-dovere di spiegare che questo sistema, oggi, serve a se stesso. E questo è l’inganno”, conclude Barbano.

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Santo Versace “Oggi manca l’amore per il lavoro”

MILANO (ITALPRESS) – “Questo è un libro che nasce dall’amore”. Così l’imprenditore Santo Versace, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, parla del suo volume “Fratelli. Una famiglia italiana”, sulla vita del fratello Gianni, ucciso a Miami nel 1997. “Siamo cresciuti in una famiglia straordinaria – ricorda -. Sia mio padre che mia madre erano lavoratori instancabili, mia madre aveva la sartoria e mio padre il commercio al dettaglio. Ci hanno insegnato sempre la libertà di fare. Ci hanno fatto vedere l’amore per il lavoro. Quando mi chiedono qual è il problema attuale io rispondo che manca purtroppo l’amore per il lavoro”.
“Gianni – ricorda ancora il fratello – si forma con mia madre, e la sua creatività è cresciuta nella sartoria. Tant’è che si definiva sarto, non stilista. Io invece mi sono formato con mio padre. Io e Gianni eravamo due facce della stessa medaglia. Ognuno aveva fiducia nell’altro. Gianni è stato un genio creativo straordinario. Ha creato la moda. Era un rivoluzionario. Ha liberato l’uomo da qualunque codice. Ha rotto tutti i legami, tutti i lacci. Ha avuto successo a Milano e con le star perchè quello che lui faceva era straordinario. Tutte le donne hanno amato Gianni in maniera incredibile. Era l’estro, era il dominatore della scena. Gianni era la sintesi della bellezza, voleva rendere uomini e donne liberi e belli”.
In riferimento all’omicidio del fratello, Santo Versace afferma che “fu una tragedia, e col libro, dopo 25 anni, mi libero da questa angoscia. La notizia della morte fu scioccante, chi se lo aspettava mai. Dopo la morte di mio fratello le banche d’affari ci davano per finite. La tragedia di Miami ha fermato il primo gruppo italiano, quello che aveva cambiato il mondo della moda. C’è chi ha scritto che c’è un prima e dopo Gianni Versace. Anche Armani ha patito la mancanza di Gianni. Questo libro – prosegue l’imprenditore – è anche merito di mia moglie Francesca, per tirarmi fuori da questo trauma, e siccome non abbiamo avuto figli abbiamo deciso con la nostra Fondazione Altagamma di aiutare i fragili”.
“La fondazione per noi rappresenta il figlio che non abbiamo avuto – sottolinea Santo Versace -. Vogliamo aiutare i progetti che ci piacciono, e creare la rete delle Fondazioni virtuose, per acquisire la forza di gruppo e realizzare i progetti che valgono. Quando mi chiedono cosa mi manca di Gianni, rispondo che mi mancano i suoi sorrisi, i suoi abbracci, il suo essere eterno bambino”. Parlando ancora del libro, l’imprenditore afferma che “sarà il primo libro di una serie, io voglio raccontare quello che faccio e quello che faremo. Io non mi sono mai sentito così giovane. La politica? Mi manca relativamente, perchè come cittadino continuo a farla”.

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Lepre “Servono interventi urgenti contro l’inflazione”

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ROMA (ITALPRESS)- “I 35 miliardi di questa manovra purtroppo sono pochi. I 21 miliardi destinati al caro bollette erano necessari perché altrimenti si rischia l’ulteriore povertà di un altro milione di famiglie, a fronte dei 5,5 milioni di famiglie già in difficoltà. Poi ci sono le imprese, oggi circa 120mila rischiano di chiudere con 600 mila posti di lavoro in pericolo. Tantissimi, se pensiamo che abbiamo una disoccupazione già al 10 per cento, con numeri ancora maggiori al Sud”. Lo ha detto Gianni Lepre, economista ed editorialista, intervistato da Claudio Brachino, nell’ambito della rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress, dove ha presentato il suo ultimo libro “Con il sole di Napoli negli occhi” (Mondadori), prefazione di Gennaro Sangiuliano. “Personalmente – ha proseguito – ho fatto dei calcoli e, quello che non viene speso oggi dal governo per aiutare imprese e famiglie, sarà triplicato in seguito per l’assistenza sociale”. Parlando degli aumenti dei prezzi, Lepre ha aggiunto che tutto è scaturito più che dalla pandemia dallo scoppio del conflitto in Ucraina, portando l’inflazione al 12 per cento. (ITALPRESS) – (SEGUE). “Sono numeri pericolosi che ci possono portare addirittura al default se non si prendono delle decisioni concrete. Tra le altre cose – ha poi spiegato – quando si fa la guerra si perde tutti. Per cui bisogna sedersi ad un tavolo, l’America, l’Europa e altri, e trattare. Non c’è altra soluzione. Fare il braccio di ferro non porta a niente. Abbiamo visto che le sanzioni alla Russia si sono ritorte contro di noi, e tutti quanti ne stiamo pagando le conseguenze. Perciò è necessario che tutti abbiano il buon senso di sedersi a un tavolo per le trattative. Devo dire – ha continuato Lepre – che al di là dell’aspetto politico, Giorgia Meloni, contrariamente alle previsioni catastrofiche di una certa parte della popolazione e della politica, sta dimostrando di sapersi districare. Mi auguro che si faccia promotrice di un tavolo di trattative”. Sull’aumento del tetto del contante deciso in Manovra, Lepre ha detto che questa misura “non è decisiva per quanto concerne l’evasione fiscale, ma è decisiva per l’economia”. E ha argomentato: “Una statistica seria ci dice che molti italiani, a parte i mille miliardi depositati nelle banche, hanno dei soldi conservati sotto le mattonelle o nelle cassette di sicurezza. Le leggi attuali hanno fatto in modo che questi risparmi nonp ossono essere usati, perché nel momento in cui qualcuno voglia usare questi solditutti assieme, anche solo 10-20-30mila euro, verrà perseguitato a vita dal fisco. Se invece con l’innalzamento del tetto del contante diamo la possibilità di spendere fino a 4.999,99 euro, si incentiva la gente usare quei soldi che tiene conservati e a beneficiarne sarà l’intera economia”.

Alla domanda sul reddito di cittadinanza, Lepre ha sostenuto che “noi dobbiamo dare la possibilità a chi è nell’età da lavoro di lavorare. Queste risorse stanziate per il Reddito sidebbono spostare dall’ipotetico lavoratore alle aziende che lo assume, fattosalvo gli anziani e gli invalidi, che vanno comunque salvaguardati”. Nel corso dell’intervista Gianni Lepre ha discusso anche del suo libro, nel quale “faccio anche un’invocazione ai giovani, ai quali dico ‘ponetevi un traguardo. Dopo averlo raggiunto cercatene di raggiungerne un altro, e poi un altro ancora’. Voglio dire che niente viene dal cielo, ma tutto deve essere frutto di impegno e di volontà costante”.

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Salis “Lo sport deve diventare un diritto e non un lusso”

ROMA (ITALPRESS) – Dalla pedana alla scrivania, dal martello alla penna, in prima linea per la parità di genere e l’abbattimento degli stereotipi. Silvia Salis, dopo una carriera ad alti livelli nell’atletica, dal 2021 è vicepresidente vicario del Coni, “una posizione che mi soddisfa molto perchè mi occupo di tutto quello che ho sempre amato, lo sport – racconta in un’intervista a Claudio Brachino per la rubrica ‘Primo Pianò dell’Agenzia Italpress – In generale ho sempre avuto una vocazione per la politica e mi farebbe piacere se venisse rivalutata la figura di chi si occupa della cosa pubblica, sogno che le persone ritrovino fiducia in chi rappresenta le istituzioni e che le istituzioni non vengano screditate”. Nei mesi scorsi la dirigente genovese ha girato l’Italia per presentare anche il suo libro “La bambina più forte del mondo”, che ha recentemente ricevuto il “Premio di Letteratura Sportiva Gianni Mura” per la sezione “Fuoriclasse” come miglior opera di letteratura sportiva per ragazze e ragazzi. Un’occasione per toccare con mano a che punto è la battaglia per la parità di genere. “Sono nata in un campo di atletica e ho scelto uno sport che esisteva solo per gli uomini. Oggi i genitori vogliono che i figli crescano con un altro modello: i bambini fino a una certa età non sentono questa differenza ed è per questo che bisogna lavorare su di loro”. Dall’altro lato, però, “la percezione di sport da maschi e da femmine esiste ancora, mi scontro con madri e padri ‘evolutì che dicono: ‘se mia figlia fa judo o pugilato si rovinà. E questo si riversa a cascata su altri temi. Poi c’è l’aspetto tecnico e dirigenziale: i numeri che nella pratica sono distribuiti, fra gli allenatori calano drasticamente e fra i dirigenti i dati sono ancora più bassi. Questo ci deve fare pensare. E’ vero che gli uomini votano più facilmente altri uomini anzichè una donna ma ora abbiamo come premier una donna che è stata molto votata: i simboli devono ispirare, ma per cambiare la realtà non bisogna nascondersi dietro i simboli”. La Salis sente di “far parte di questo momento di cambiamento” e rivendica l’utilità che hanno ricoperto le quote rosa, “una forzatura che però producono un cambiamento culturale”, ma serve anche un “cambiamento da parte delle donne che devono vedersi in altre figure e iniziare a concorrere con le regole che ci sono nei mondi ai quali vogliono avere accesso”. Ma la questione della parità di genere si inserisce in un quadro più ampio: “Il passaggio culturale che deve fare il nostro Paese è far diventare lo sport un diritto: per gran parte della popolazione è un lusso e non possiamo permettercelo”. Per la vicepresidente vicario del Coni “farlo diventare un diritto passa anche attraverso gli impianti sportivi: bisogna colmare il divario enorme fa nord e sud come impiantistica e rimettere in piedi e rendere agibili le strutture che abbiamo. Inoltre bisogna rendere lo sport un’attività che non sia un peso per le famiglie, questo è un problema a cui mettere mano profondamente – prosegue l’ex martellista – E ancora: quale risparmio avrebbe il nostro Paese se venisse garantita l’attività sportiva anche alla terza età? Sono temi scomodi, perchè comportano un grande sforzo economico, ma bisogna lavorare su due piani, da un lato sull’immediato e dall’altro avere una visione”. Un concetto rivolto idealmente anche al nuovo ministro dello Sport, Andrea Abodi. “Era già conosciuto per tutti i ruoli che ha rivestito nel mondo sportivo e non solo, non dobbiamo scoprire le sue competenze, la sua storia parla chiaro – aggiunge Salis – Il fatto di conoscerlo è un vantaggio, l’aspettativa è molto positiva”. Infine una battuta su un tema d’attualità, la Coppa del Mondo di calcio: “Credo che il Qatar che chiuderà questi Mondiali non sarà lo stesso Qatar che li ha aperti. Lo sport ha una comunicazione immediata e potentissima, il Qatar si è aperto al mondo organizzando questi Mondiali e sarà costretto a fare un passo avanti sul tema dei diritti”.
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Porti, Monti “Ragionare sull’elettrificazione delle banchine per dare energia alle navi”

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ROMA (ITALPRESS) – “Nel 2017 la Sicilia occidentale con i suoi porti si presentava non come un’industria ma come un insieme di disordinate economie. Abbiamo investito tanto, abbiamo infrastrutturato i porti e creato le strutture ricettive. Abbiamo sfruttato quella finestra del Covid e oggi ci sono risultati straordinari. In alcuni settori abbiamo quadruplicato il traffico e quest’anno abbiamo superato ampiamente i numeri del 2019, sia per i passeggeri, sia per le merci. Rappresentiamo un’isola felice a livello nazionale. Ne sono molto orgoglioso perché è un risultato positivo e va raccontato: può partire come messaggio dal Sud verso il Nord”. Lo ha detto Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress. Recentemente è stato sottoscritto un accordo con il Comune di Palermo per interventi di rigenerazione urbana nell’area. “Spesso – ha evidenziato – amiamo confrontarci con i porti del Nord Europa, che sono giganteschi, nati negli estuari dei fiumi e non sono inseriti nei contesti urbani. La nostra è una portualità diffusa sul territorio nazionale ed è inserita all’interno dei contesti urbani. Il problema in Italia è che spesso una portualità viene respirata come un’enclave, come una zona della città quasi squalificata. In realtà deve esistere un’interfaccia porto-città che ricolleghi e faccia comunicare la città con il suo porto. In Italia il turismo da mare è una realtà straordinariamente importante. Il porto rappresenta la porta d’ingresso, dal mare, delle nostre città”. Per questo, secondo Monti, “trovare con la comunità cittadina, quindi con il Comune, un accordo che vada in questa direzione è fondamentale. Soprattutto in quell’area di interazione tra la città e il suo porto”.

Anche per quanto riguarda i porti c’è il problema Nimby, ovvero le proteste di chi non vuole che un’opera sia costruita nel proprio territorio. Accade anche a Piombino, dove dovrebbe arrivare il rigassificatore. “Il nostro paese – ha affermato – sconta la mancanza di una politica energetica. Abbiamo cominciato a parlare di gas liquido che è un tema che tocca le nostre realtà ormai da un decennio. Se ne parla oggi per la crisi della guerra in Ucraina, evidentemente perché c’è questa carenza di materia prima. Il nostro – ha continuato – è un paese che produce 3 miliardi di metri cubi di gas e ne consuma 76 miliardi l’anno. Evidentemente vuol dire che non siamo infrastrutturati, quindi quando arrivano i momenti bui ne facciamo i conti e comprendiamo che invece è importante avere strutture che ci consentano di immettere gas nella rete e di non essere dipendenti da un unico paese. A Porto Empedocle nel 2014 è stato approvato un rigassificatore e ancora non è stato realizzato perché spesso la politica fa alle comunità locali un racconto di pancia. Quando ragioni con la pancia del popolo purtroppo non realizzi gli investimenti”. “Nei porti stiamo ragionando sull’elettrificazione delle banchine per dare energia alle navi”, ha aggiunto, parlando dell’importanza di spiegare “come arriva l’energia nel porto”. “Ormai – ha spiegato – le navi hanno una doppia capacità di rifornimento: una parte a gas e un’altra combustibile, quindi gasolio. Se non hai un deposito con il quale riesci a rifornire le navi quando arrivano in porto, queste consumano gasolio inquinando di più. Oggi non abbiamo bisogno solo di un’operazione di rigassificatori in termini di infrastruttura sostenibile ma anche di avere depositi di Gnl che a livello di sistema nazionale ci consentano di rifornire le navi e abbattere il livello di inquinamento nel Paese”.

Nel contesto di oggi pesa il caro energia ma in Sicilia c’è anche un altro problema. “Non siamo sulla terraferma – ha sottolineato – e quindi già soffriamo dell’insularità, perché tutto arriva via mare. Quando hai industrie che per esempio si occupano per l’enogastronomia di prodotti congelati – ha continuato – ti scontri con realtà che hanno quadruplicato i consumi e che quindi oggi vedono come insostenibile la prosecuzione della propria attività imprenditoriale”. Un’osservazione anche sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Il Pnrr – ha affermato – si basa su una pianificazione che è stata fatta in fretta e furia quindi ha preso progetti vecchi, alcuni addirittura del 2002, altri che hanno 50 anni. Quando affronti un tema come quello dell’infrastrutturazione e del dialogo tra le diverse modalità di trasporto, affronti un tema che riguarda la logistica in generale. Il nostro è un paese che ogni anno spende 70 miliardi di euro per i colli di bottiglia che esistono nel nostro sistema infrastrutturale. Il Pnrr prende alcuni progetti che sono del 2002, li cala a terra ma non si preoccupa di stabilire le regole del gioco. Il problema in Italia – ha affermato – non è mai stato quello dei soldi: il problema vero è passare dallo stanziamento alla spesa”. In generale, per Monti occorre “fare le cose e farle in modo sostenibile perché – ha detto – questo è un paese che ha bisogno di crescere”. Inoltre, bisogna “portare avanti una politica – ha aggiunto – che oggi non deve limitarsi a costruire infrastrutture ma deve riportare la produzione nel nostro paese. Per farlo – ha concluso – abbiamo bisogno di ragionare non solo di infrastrutture ma anche di agevolazioni alle industrie per tornare a produrre, a maggior ragione nel Meridione d’Italia”.

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Poletti “La guerra è ormai militarmente dalla parte dell’Ucraina”

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ROMA (ITALPRESS) – “Questa guerra traccia un confine tra due popoli che la storia aveva in qualche modo cancellato”. Lo ha detto Ugo Poletti, direttore di “The Odessa Journal”, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress, parlando della guerra in Ucraina. Nel paese “non c’erano ragioni per cui ci fosse questo scontro perché etnicamente era molto meticciato: secoli di impero russo e decadi di Unione sovietica avevano creato un miscuglio”, ha spiegato.
Per il direttore di Odessa Journal, ora “questa guerra è militarmente ormai totalmente dalla parte dell’Ucraina. Militarmente significa anche che un’intera società è rimasta compatta. I soldati in prima linea non combattono se non hanno una motivazione forte e se non hanno dietro una popolazione che li ama e li sostiene. I russi – ha proseguito – non hanno questa forza perché sono stati mandati lì senza spiegare al popolo russo cosa andavano a fare. La guerra ormai è vantaggiosa per gli ucraini e i russi sono in una crisi organizzativa cronica”.
Poletti, che ha scritto il libro “Nel cuore di Odessa”, edito da Rizzoli, ha ripercorso parte della sua storia, da quando si è trasferito dall’Italia nella città ucraina e alcuni momenti del conflitto. “Odessa è stata attaccata e mi sono svegliato sotto i bombardamenti”, ha raccontato. “Nella strategia militare russa, però – ha continuato -, Odessa doveva rimanere intatta: hanno colpito obiettivi militari e non il centro storico. Credo che ci siano diverse motivazioni. Sicuramente è una città emblematica storicamente e culturalmente anche per il mondo russo”.
“Questa guerra – ha sottolineato – sta cambiando tante cose, anche dal punto di vista tecnologico. I partigiani di oggi usano il cellulare e non più il fucile. Ogni contadino ucraino o casalinga faceva i video dei carri e dei mezzi nemici che passavano e li trasmetteva sul canale Telegram all’esercito ucraino. È una cosa nuova che rende ogni civile un partigiano”, ha aggiunto. Oltre alla “grande abbondanza di immagini”, però, ci sono “anche due propagande molto affilate”.
Per Poletti “la propaganda russa ha vincoli fortissimi a livello politico quindi una volta che decide una linea – ha detto – ha una scarsa flessibilità e deve rimanere rigidamente con quella linea. Gli ucraini – ha proseguito – hanno una propaganda che col tempo abbiamo visto cambiare perché anche loro hanno esagerato. Gli ucraini hanno capito che le brutte figure con i paesi occidentali non pagano e allora hanno iniziato ad abbassare il tono”.
In questo conflitto emergono due figure, quelle dei presidenti di Ucraina e Russia, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. “Non è Zelensky che decide cosa fa l’Ucraina – ha evidenziato – ma l’Ucraina che decide cosa fa Zelensky. Non deve essere confuso come un Putin ucraino perché deve rispecchiare, come presidente democraticamente eletto, i voleri del suo popolo. Anche perché è un popolo molto difficile da controllare. Quindi Zelensky – ha continuato – deve stare attento a non scollegarsi. Gli ucraini si identificano in lui però ci sono alcuni oppositori politici, non russi ma ucraini, che sperano in qualche passo falso per rivoltargli contro la popolazione”.
“Per quanto riguarda Putin – ha proseguito -, sappiamo che il sistema di potere russo si basa su un sistema di potere verticale, centralizzato, minaccioso che tiene insieme tutta la Russia. È questa la cosa che spaventa il mondo occidentale, se mettiamo in crisi quel potere nasce il caos. C’è anche un altro problema: la Russia ha una lunga storia di invasioni, occupazioni, persecuzioni e stragi. Per una volta dovrà rendersi conto che c’è una sconfitta e fare un esame di coscienza. Se vogliamo salvare la faccia ai russi, l’aggressività russa rimarrà un pericolo latente”, ha aggiunto.
Infine, una riflessione sul futuro di Odessa e dell’Ucraina. “Questa città – ha affermato – è destinata a un futuro molto interessante. Se parliamo di ricostruzione, sarà un momento magico per l’Ucraina, come lo è stato con l’Italia: abbiamo fatto il miracolo economico, che si fa se ci sono soldi e una classe dirigente motivata e organizzata. Credo che gli ucraini oggi, grazie anche alla guerra – ha spiegato -, abbiano creato una classe dirigente giovane, con ministri molto giovani e motivati. Odessa è il posto ideale dove un’azienda italiana potrebbe arrivare. Vedo una guerra che non durerà a lungo, una possibilità per le nostre aziende e Odessa che avrà un po’ di prestigio: mostrerà all’Ucraina – ha concluso – come si dialoga con l’Europa perché così è nata”.

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Piunti (Conou) “Fare economia circolare è il pilastro della battaglia climatica”

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ROMA (ITALPRESS) – “Fare economia circolare non è un optional, un tassello in più nella battaglia climatica, ma il pilastro fondamentale”. Lo ha detto Riccardo Piunti, presidente di Conou, il Consorzio nazionale degli oli minerali usati, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress. Di fronte alla questione climatica, “credo che l’allarme sia ancora non sufficiente”, ha affermato Piunti. “Nell’opinione pubblica – ha aggiunto – la sensazione della gravità della situazione forse non è ancora così matura”. Per il presidente di Conou, però, “tutti possiamo fare” qualcosa. “Credo che il Pianeta non possa sostenere l’attuale prelievo di materiali che stiamo facendo”, ha sottolineato, parlando della quantità di materiali che nel mondo vengono persi o che vengono riciclati.  Per quanto riguarda gli oli, per Piunti, il controllo dei flussi è importante. “Poichè dobbiamo garantire la priorità alla rigenerazione – ha spiegato -, abbiamo il controllo della situazione di dove va l’olio. Siamo noi a dire se un olio deve essere rigenerato o se non può essere rigenerato perché ha una qualità tale per cui deve essere bruciato. E noi ne bruciamo molto poco, l’1,5%. Nel resto d’Europa si brucia il 40% dell’olio raccolto perché nessuno gestisce i flussi”, ha aggiunto. Nel 2021, il Conou ha raccolto 186 mila tonnellate di olio minerale usato. “Come lo stadio Olimpico riempito d’olio usato”, ha osservato Piunti. “Abbiamo ricavato – ha spiegato – 125 mila tonnellate di nuovi lubrificanti, cioè lubrificanti che sono stati messi di nuovo in circolazione” e 38 mila altri prodotti, bitumi e gasolio. La rigenerazione è “al 98%”.
Poi il presidente di Conou si è soffermato sull’impegno presente e futuro e sulle possibilità di miglioramento. “Lottiamo sempre per migliorare – ha evidenziato -, stiamo lavorando molto sulla nostra filiera, che è formata da circa 60 imprese. Orientarle verso il fine ambientale, tutte insieme, garantendo la loro redditività è una cosa che non è mai raggiunta, nel senso che ogni giorno bisogna lavorare. Stiamo lavorando molto su questa squadra”. L’obiettivo è “avere una squadra di imprese che riescono a lavorare insieme, a risolvere e affrontare insieme i problemi. Ci sono tante cose che possono essere migliorate. C’è un piccolo vuoto normativo – ha proseguito – che riguarda i biolubrificanti, cioè i lubrificanti di origine vegetale, che quando sono vergini possono essere buttati al suolo e sono biodegradabili ma quando sono usati diventano un rifiuto pericoloso come gli altri. Non sono normati da questo punto di vista, quindi noi vorremmo che qualcuno decidesse qual è la regola del gioco perché noi siamo pronti a occuparcene”.
Per Piunti “nel territorio l’economia circolare richiede competenze molto specifiche e specialistiche”. Per il presidente di Conou, “le competenze e il know-how non possono essere tutte in una persona. È chiaro – ha continuato – che la collaborazione da questo punto di vista è importante. Come consorzio, proprio perché siamo senza fine di lucro e indipendenti, siamo pronti a dare la nostra collaborazione. Credo che il know-how che c’è in generale in Italia nei consorzi sia molto utile perché spesso è molto specifico e ogni rifiuto ha la sua specificità”. “Credo – ha aggiunto – che l’economia circolare sia fondamentale e cresce se si fanno gli impianti” ma “le autorizzazioni agli impianti sono la cosa più complessa”. “Qualche volta – ha sottolineato – si fanno provvedimenti per rendere più veloci le autorizzazioni ma non basta dire che bisogna rispondere entro un mese perché chi deve rispondere deve avere le risorse e la capacità. C’è un altro processo su cui bisogna intervenire: la gestione delle risorse attraverso i vari enti che sono preposti a questo. Se oggi i rifiuti rappresentano una materia importante – ha affermato -, bisogna convogliare le risorse ai rifiuti perché è lì che ci sono tante autorizzazioni, tante domande, tanti problemi e tanti ritardi”.
Occorre anche fare formazione e sensibilizzare ancora di più i giovani sui temi ambientali. “Abbiamo avviato – ha spiegato – il progetto ‘Green League’: un videogioco educativo in cui si parla di economia circolare e olio usato. Abbiamo fatto un concorso del genere facendo lavorare le classi con progetti ad hoc legati al tema ambientale. Cinquanta classi – ha continuato – hanno lavorato insieme in tutta Italia. Abbiamo realizzato una grande classe virtuale italiana di mille ragazzi e per questo anno scolastico aumenteremo il numero di classi. Ho il sogno di farlo su scala europea: parlando in inglese, si potrebbe creare una classe virtuale di 5 mila ragazzi europei”.

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