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Mineracqua, Fortuna “Costi +25%, per settore tempesta perfetta”

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ROMA (ITALPRESS) – “Abbiamo avuto due momenti, il primo tra gennaio e inizio febbraio, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, quando c’è stato un fortissimo aumento di tutti i costi delle materie prime, trainato dal gas e dall’aumento del costo dell’energia. Questo ha comportato anche un effetto speculativo sulle materie prime che non si trovavano, e che per noi che siamo imprese energivore ha comportato un aumento dei costi del 15 per cento. Poi dal 24 febbraio, con l’inizio della guerra in Ucraina, c’è stata un’ulteriore escalation di costi, indotta dall’aumento del gas ma anche da effetti di carattere speculativo. Che ha significato per noi un ulteriore aumento dei costi del 10 per cento”. Lo dice Ettore Fortuna, vicepresidente di Mineracqua, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress. Oltre all’aumento dell’energia Fortuna cita anche il rincaro della plastica, un tipo di plastica completamente riciclabile, il polietilene tereftalato (Pet), che in un anno, dal 2021 quando costava 700 euro a tonnellata, e passata nel 2022 a 1700 euro a tonnellata. E del vetro che non si trova.

“Mi chiedo – riflette Fortuna – come faranno gli agricoltori nella prossima vendemmia, quel vino dove lo mettono? Poi c’è il capitolo trasporti. In Italia – dice il vicepresidente di Mineracqua – mancano circa 18mila autisti. Una delle conseguenze del covid è che molti autisti hanno trovato un altro lavoro oppure se ne sono tornati a casa, penso a tutta quella platea di autisti non italiani. E’ un lavoro che rende anche molto, ma molto duro, per cui magari oggi i giovani non pensano proprio di andare a fare gli autisti, preferiscono prendersi un pò di reddito di cittadinanza a fare qualche altro lavoretto”. L’insieme di tutti questi fattori che Fortuna definisce “la tempesta perfetta”, comporta “che noi oggi siamo di fronte a una situazione difficilissima sotto il profilo della gestione delle aziende perché non riusciamo a ripagarci dei costi. Il mercato, in una fase di caldo prolungato come questa, va benissimo, siamo al +7 per cento, ma attenzione il mercato stagionale da solo può valere un 4-5 per cento in un anno”. “Come ne usciamo? La maggior parte delle aziende – prosegue Fortuna – sono a conduzione familiare quindi riescono ad autofinanziarsi con la liquidità che avevano prodotto, e poi investendo nella tecnologia, perchè più tecnologia abbiamo più recuperiamo efficienza. E poi come direbbe De Filippo ‘adda passà ‘a nuttata’. Anche perché “le altre difficoltà che noi abbiamo – sottolinea l’esponente dell’associazione di categoria – riguardano una direttiva europea: dobbiamo entro il 2025 mettere il 25 per cento di Pet riciclato in una nuova bottiglia. Va benissimo – dice Fortuna – ma oggi una tonnellata di Tnt riciclato costa 2700 euro a tonnellata, mentre una tonnellata di Pet vergine costa 1700 euro. Allora io devo andare a spendere 1000 euro in più a tonnellata per la sostenibilità? Per carità dobbiamo farlo, siamo pronti a farlo, già abbiamo bottiglie che girano con la plastica riciclata perché ci portiamo avanti, ma qualcuno si dovrà pur porre questa domanda”.

Soluzioni? “Sei mesi fa – risponde il numero due di Mineracqua – abbiamo avanzato ai ministri competenti e al presidente del Consiglio la nostra proposta: ridurre l’Iva, che in Italia sulle acque minerali è del 22 per cento, mentre in Francia del 5,5 per cento, in Germania del 19, in Spagna del 15. Riduciamo l’Iva all’aliquota ordinaria, il 10 per cento, e chi ne beneficerà per prima sarà il consumatore. Su un prodotto povero a basso valore aggiunto come è il nostro, sgravare di 12 punti di Iva è un bellissimo contributo”. Risposte? “Ancora nessuna”, spiega Fortuna. Nel corso dell’intervista è stato affrontato anche il tema della sostenibilità e della siccità. “La nostra industria – afferma Fortuna – ha iniziato a lavorare sulla sostenibilità da 10-12 anni. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo ridotto il peso delle bottiglie attraverso la tecnologia. In questi dieci anni il mercato è aumentato del 30 per cento ma la quantità di plastica immessa è sempre uguale: 310 mila tonnellate, questa è sostenibilità, e la sostenibilità per l’azienda non deve essere un costo secco, ma deve essere un’opportunità, perché io faccio la sostenibilità ma ne ho anche un ritorno in termini di efficienza perché impiegando meno plastica ho meno costi, questo è il concetto di sostenibilità e bisogna farlo capire a tutti”.

Sulla siccità dice: “I primi investimenti da fare in agricoltura sono gli invasi per raccogliere le acque piovane. Poi bisogna ridurre la dispersione idrica”. In questo senso per Fortuna una mano potrebbe arrivare anche dagli investimenti delle multiutilities, che in questi anni “hanno raggruppato i circa 4800 acquedotti presenti in Italia, o oggi si occupano anche di energia, riciclo. Sono società quotate in borsa dove il Comune è l’unico azionista di riferimento, e sono gestite anche molto bene: leggendo i bilanci, hanno un margine operativo lordo di 1,5 miliardi”. Infine un commento sulla transizione ecologica e il passaggio alle auto elettriche entro il 2035. “Sull’auto elettrica ad un certo punto qualcuno comprenderà che forse non sono la grande soluzione che si pensa, perché c’è chi sostiene che il motore tradizionale è forse più sostenibile”, conclude Fortuna.

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Via D’Amelio, 30 anni di depistaggi e “convergenze” di interessi

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ROMA (ITALPRESS) – Trent’anni! Una ricorrenza che oltre al doveroso esercizio della memoria verso una figura straordinaria come Paolo Borsellino, doveva segnare un passo in avanti anche in un altro esercizio doveroso, quello della ricerca della verità. C’era attesa per una sentenza , quella per il depistaggio nel primo processo sulla strage di Capaci, dove persero la vita oltre al magistrato cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Detto in termini non tecnici si doveva dare una prima forma giudiziaria a una vicenda che ha poco di razionale, l’aver creduto al pentito quantomeno controverso Vincenzo Scarantino per tutta la prima fase delle indagini e per ben tre processi, mandando in carcere persone innocenti. Poi dal 2008 altri pentiti hanno scritto un ben altra versione dei fatti. L’idea, e il conseguente teorema accusatorio della Procura di Caltanissetta, è che Scarantino non fosse solo nei suoi film ma che qualcuno lo abbia indotto a dire cose false con metodi non proprio civili. Tre gli ex poliziotti indagati, uno assolto, per due riconosciuta la calunnia, in prescrizione visto il tempo passato, ma non l’aggravante mafiosa.
Ah il tempo che passa e che prescrive, e che si è già portato nella tomba personaggi che nel processo avrebbero avuto un ben altro peso, La Barbera, ex capo della Mobile di Palermo, il Procuratore Tinebra, l’ex capo della polizia Parisi. Alla fine il depistaggio inaudito dell’accusa, ha partorito, sul piano della verità giudiziaria, l’ennesimo nulla di fatto. Però quella parola, depistaggio, con quel suo campo semantico ricorrente quando si parla di servizi segreti e di storia italiana, rimane nell’aria, con il suo sapore inquietante e sempre imprendibile. I magistrati che hanno indagato sulla morte di Borsellino l’hanno messa per iscritto in un’altra versione semantica, una convergenza di interessi tra la mafia e altri soggetti, altre forme di potere, oscuro, deviato, contiguo alle istituzioni. Anche Moro fu ucciso per una convergenza, terrorismo, certo, ma anche strategie politiche, nazionali e internazionali. La strage di Via D’Amelio non poteva essere stata compiuta da quattro picciotti improvvisati, era evidente fin da subito. E Cosa nostra per correre un rischio enorme, come quello di eliminare un altro giudice simbolo come Falcone appena 57 giorni dopo Falcone, certo non si era mossa da sola.
Decine di libri, decine di bravissimi giornalisti hanno raccontato le ombre di tutta questa intricata vicenda a cominciare da quella tragica domenica di luglio: una 126 imbottita di tritolo parcheggiata sotto la casa della madre del magistrato quando in quella via doveva esserci il divieto, l’agenda rossa, con tutti i suoi segreti, sparita dalla borsa sul sedile posteriore della macchina, le tante figure strane che si aggiravano sulla sulla scena del crimine dove oltretutto erano arrivate troppo presto. Come se si trattasse della cronaca di una morte annunciata, fin troppo annunciata. Troppe orecchie avevano sentito, troppi occhi c’erano quel giorno ad osservare gli spostamenti di Borsellino. Come in tutti gli omicidi complessi, non voglio usare la parola complotto perché ci porta lontano, ci deve essere sempre una ragione profonda, un cui prodest. Cosa sapeva, o cosa poteva arrivare a sapere Borsellino per essere fermato dalla mafia ma non solo.
A rischio oltretutto di una reazione dello Stato, e popolare, che già c’erano state con Falcone e che poi in effetti ci furono, indignazione morale, disgusto dell’opinione pubblica siciliana e nazionale, inasprimento delle leggi. Forse, per i trent’anni, qualcuno dovrebbe decidersi a parlare. Per la verità e per la memoria di quell’uomo straordinario che alla giustizia ha sacrificato la vita.

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Cybersecurity, Rapetto “Manca ancora una cultura per la difesa”

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ROMA (ITALPRESS) – “La cyber sicurezza viene venduta oggi come una novità ma non è così, io me ne occupo a tempo pieno dal 1987”. Così Umberto Rapetto, generale in congedo della Guardia di Finanza ed esperto di cybersecurity, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress. “All’epoca collaboravo con l’Università di Trieste, i computer non c’erano eppure il mio professore, al quale devo la mia scelta di vita, mi disse di occuparmi di computer crime. All’inizio non mi capacitavo di come potesse esistere un tale fenomeno, poi ho comprato un computer e ho cominciato a capire come funzionava e cosa avrebbe scelto o fatto un criminale con un macchinario del genere – racconta Rapetto -. Dovevo seguire il processo di immedesimazione dei soggetti che sfruttavano la velocità di quell’oggetto tecnologico, oltre al potenziale dell’estensione geografica. Piano piano ho imparato a interpretare il loro linguaggio”. Secondo quanto riportato dal generale in congedo, l’hacker è una persona sportiva. “Con alcuni di loro ho maturato un rapporto di confidenza e stima. Quando sono entrato nella Guardia di finanza, l’obiettivo era dare la caccia agli evasori fiscali e avevo inventato un nuovo metodo investigativo, adeguato ai nuovi strumenti che gli evasori avevano a disposizione. Con il computer cominciavano a cancellare i file e così misi su una piccola squadra per recuperare quei dati. Così è nato l’embrione del Gruppo Anticrimine Tecnologico”.

“Nel 2001 abbiamo catturato gli hacker che erano entrati al Pentagono, alla Nasa, qui in Italia invece si erano infiltrati nel sistema del Senato e avevano colpito la piccola e media impresa, prede facili”, ha proseguito. Per Rapetto, la cultura di difendersi da una minaccia del genere non c’è ancora oggi. “Il furto di dati che stiamo vivendo in questo periodo e che colpisce la proprietà intellettuale e la capacità industriale è una minaccia che non ha una forma. I dati sono il nuovo petrolio, una fonte energetica che può essere arricchita dalle esperienze che i computer riescono ad accumulare”, sottolinea l’esperto. “I cittadini del web sono ostaggio di grandi aziende che riescono a identificare tutte le informazioni sui nostri gusti, le preferenze e le opinioni quindi il mondo politico che vuole disegnare degli scenari futuri e capire quale possa essere il sentimento di chi deve dare il consenso, viene pilotato grazie a quel patrimonio. Si parla di modelli predittivi – spiega -: ricavare da quell’esperienza la prossima mossa in maniera da indirizzare la produzione industriale, gli sforzi commerciali ma anche politici. Nel 2019 Facebook ha subito un attacco informatico per cui sono stati rubati i dati di 533 milioni di soggetti e classificati secondo un carattere geografico nazionale. Tra le tante cartelle ce ne era una chiamata “Italy.zip” che conteneva i dati degli italiani. In un primo momento sembrava che San Marino fosse stata esclusa ma non era così. Con la gendarmeria di San Marino abbiamo proceduto a recuperare le informazioni di oltre 12 mila persone tra cui Ministri e Segretari di Stato e alla fine è stata emessa una sanzione di 4 milioni di euro che per un colosso come Facebook non è molto”.

Rapetto pone l’accento sulle insidie della guerra dell’informazione: “Si tratta di azioni decise sulla base della disponibilità di dati e informazioni che possono portare alla paralisi di qualunque attività, andando a colpire il settore dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti ma anche della finanza, mettendo a tappeto qualunque Paese. Il futuro ci impone di saper distinguere il vero dal falso, quello generato da eventi reali e quello che invece è solo verosimile, costruito ad arte da una macchina che raccoglie certe esperienze e così facendo condiziona le scelte di persone che altrimenti avrebbero avuto comportamenti differenti”. Riguardo all’intervento del Governo, per l’esperto “è l’approccio che è sbagliato. È stata creata un’agenzia cyber invece di mettere al lavoro tutte le risorse che si occupano di queste tematiche da anni. Ripartire da capo, quando c’è un gap sconfortante come quello dimostrato da eventi come l’attacco al sistema informatico della Regione Lazio, non è la soluzione. Per fronteggiare gli attacchi ai quali stiamo assistendo andrebbe ridisegnato il modello”.

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Via d’Amelio, Lucentini “Cronaca di una strage annunciata”

ROMA (ITALPRESS) – “La strage di via D’Amelio è davvero la cronaca di una morte annunciata perchè se noi torniamo indietro al 23 maggio, giorno dell’attentato a Capaci, da quel momento cominciano i 57 giorni della morte annunciata di Paolo Borsellino. Tutti sapevano che era il giudice e amico più vicino a Giovanni Falcone ed era ovvio il rischio che correva. Eppure nessuno in via D’Amelio aveva istituito la zona rimozione per le auto, nessuno aveva provveduto a proteggere la vita di Borsellino”. Così il giornalista Umberto Lucentini, intervistato da Claudio Brachino per lo speciale Primo Piano dell’agenzia Italpress dedicato al 30ennale della strage di via D’Amelio.
Lucentini nel suo libro “Paolo Borsellino 1992… La verità negata” scritto con Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino, figli del magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 a Palermo, ricostruisce tutta la vita del giudice e ricorda il momento in cui arrivò in via D’Amelio: “C’era di tutto, eppure le indagini che dovevano occuparsi di preservare il luogo della strage non sono state dal punto di vista professionale ineccepibili. Poi c’è la storia dell’agenda rossa che teneva sempre con sè, quella agenda che era in auto nella borsa di Borsellino è sparita, si è saputo subito che mancava all’appello ma dell’agenda rossa non c’è traccia”. Nella strage persero la vita anche cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.
“Borsellino – prosegue Lucentini – in quel periodo del 1992 a Palermo indagava per un certo periodo sul delitto di Salvo Lima, ma indagava anche sulle rivelazioni che stavano facendo importanti pentiti di mafia con un ruolo di primo piano ai vertici di Cosa Nostra e stava raccogliendo dichiarazioni che mettevano in luce le complicità con esponenti della politica e della magistratura. La mafia da sola aveva i propri interessi per eliminare Borsellino, ma sapeva che aveva un prezzo da pagare altissimo perchè dopo la morte di Falcone lo Stato aveva iniziato a reagire. Paolo Borsellino era una persona che aveva un altissimo senso delle istituzioni, quando negli ultimi giorni della sua vita ha cominciato a sapere da fonti attendibili che c’erano delle collusioni è stato fisicamente male, lo ha raccontato la moglie Agnese. Per lui, uomo di Stato tutto d’un pezzo, era impossibile ammettere che ci fosse qualcuno dei suoi colleghi o altri uomini delle istituzioni che potessero avere collusioni con la mafia”.
Lucentini sottolinea come per Borsellino la giustizia veniva prima di tutto, “una giustizia che deve essere veloce e giusta, lui non partiva da una tesi precostituita per arrivare a un obiettivo, raccoglieva fatti e testimonianze e dopo traeva le proprie conclusioni, è una eredità professionale ma anche morale ed etica perchè a lui non interessava raggiungere la propria tesi ma interessava avere giustizia. Borsellino – sottolinea – è un esempio, un’eredità che ci impone di scegliere da che parte stare. Ho una grandissima ammirazione, al di là dell’aspetto personale, per la signora Agnese e per Lucia, Manfredi e Fiammetta perchè hanno dimostrato con i loro comportamenti di vita quotidiana quanto siano i testimoni della grandissima umanità, profondità e generosità di Borsellino”. Infine un ricordo personale: “Era una persona di grande umanità e disponibilità verso il prossimo, senza un secondo fine. Io l’ho conosciuto a 24 anni, ero un giovane giornalista mentre lui era già un grande magistrato, quel giorno in cui lo vidi per la prima volta ho trovato un uomo grande e io mi sentii Enzo Biagi perchè mi dedicò tanto del suo tempo”, conclude Lucentini.

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Zoff “Bearzot chiave del successo”, Moglie Rossi “Rinato col Brasile”

ROMA (ITALPRESS) – “La parata su Oscar? Quoziente di difficoltà notevole non tanto tecnicamente ma per la circostanza, i brasiliani erano a due passi e non potevo respingerla, non potevo dare adito a spostamenti della palla. Mi è passato in mente l’amichevole con la Romania, in cui avevano dato gol ed ero 20 centimetri fuori”. Lo ha dichiarato Dino Zoff, in collegamento per la rubrica “Primo Piano – Spagna ’82, i 40 anni” dell’agenzia Italpress condotta da Claudio Brachino. “La chiave del successo? Il comandante, che era Bearzot, e il concetto di gruppo – sottolinea l’ex capitano azzurro – E’ una conseguenza del modo di pensare del comandante che dà le direttive, che si seguivano con particolare piacere. Non era uno feroce, era un po’ come un padre nella conduzione di una famiglia” ha aggiunto Zoff. “Ho assaporato il momento meglio di altri, per me c’era la consapevolezza dell’ultima in assoluto. Ho toccato il cielo e sono stato in gloria per alcuni momenti, poi sappiamo che nello sport dura poco. Ero più di un portavoce, ero il capitano. In campo internazionale non si può parlare a vanvera, ho detto ‘ci penso io, voi pensate a giocare’. Bisognava usare le parole giuste e non troppe. Seconda mancata qualificazione ai Mondiali? Ricordo quando siamo usciti al primo turno nel ’74 e dopo il Messico quando fu invasa Fiumicino. Adesso se ne parla ma poi va tutto in cavalleria”. Presente in studio, con il direttore editoriale dell’agenzia Italpress Italo Cucci, anche la moglie di Paolo Rossi, Federica Cappelletti. “Italia-Brasile è stata la sua partita, quella della sua rinascita, perché poi da lì è diventato leggenda. Raccontava di essere sceso in campo con una forza diversa” ha detto. “Diceva di sentire dentro qualcosa. Da lì ha ritrovato la sicurezza e la determinazione”. E a proposito dei festeggiamenti dopo la finale ha aggiunto:“Raccontava di essersi staccato dagli altri e di essersi steso in terra col tricolore, di aver provato un’emozione unica, di essere orgoglioso di rappresentare gli italiani e che avrebbe voluto fermare il tempo – ricorda Cappelletti – Paolo è stato straordinario come papà e marito, una figura sempre presente e romantica. Una persona leale, che c’era sempre nei momenti importanti”.
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Terzi “Quella di Putin è una guerra contro l’Europa, intimidisce i Paesi dell’Est”

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ROMA (ITALPRESS) – “Questa è una guerra contro l’Europa. Putin vuole l’uscita dalla Nato di tutti i Paesi che vi sono entrati dopo il ’97, cioè 9 Paesi dell’Europa dell’Est. Per questo vi è una guerra, per intimidire questi Paesi e farli uscire dalla Nato e dall’integrazione europea”. Lo dice Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente del Comitato globale per lo Stato di diritto “Marco Pannella”, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress. L’ex ministro degli Esteri del governo Monti, rispondendo a una domanda sulla narrazione del conflitto nei talk show, afferma che “senza nulla togliere alle voci del giornalismo italiano che animano queste trasmissioni, la vera storia che pesa su un minimo di obiettività è prima di tutto quella di rincorrere i social, che sono spaventosamente infiltrati dai troll russi e cinesi. La Russia poi nella manipolazione delle notizie è stata sempre molto attiva, e anche i cinesi hanno imparato e stanno imparando moltissimo”.

Cita al riguardo le elezioni americane del 2016 che, afferma “sono state pesantemente inficiate dalla presenza dei troll. Queste cose non sono illazioni ma calcoli statistici di istituti di ricerca. Ma i troll – aggiunge – hanno pesato anche sulle elezioni italiane e in quelle francesi”. E prosegue: “Io penso che sia stupido discettare sulla salute di Putin, ma se c’è una interpretazione da dare a questa uscita di Medvedev (“Occidentali bastardi e degenerati, finché sarò vivo, farò di tutto per farli sparire”, ha detto l’ex presidente russo, ndr) è di preparare la successione, perché vuol dimostrare di voler essere ancora più accanito, più radicale, più estremo nel volere l’eliminazione di questi Paesi o comunque di dominarli. Putin ha cominciato nel 2008 con l’invasione della Georgia, senza trovare allora nessuna resistenza, quando ha dichiarato la Repubblica autonoma dell’Abkhazia, quando nel 2014 ha invaso la Crimea. E infine il Donbass”. A condizionare la narrazione del conflitto russo-ucraino nei talk show per l’ex titolare della Farnesina è anche “un radicamento mentale di persone che hanno militato sotto molte bandiere, e sono gli epigoni del Sessantotto, o del ’73, o del post-tragedia Moro, per cui le colpe di tutto sono degli americani”.

Alla domanda su quale sia oggi lo stato di salute della democrazia in Italia, Giulio Terzi di Sant’Agata risponde che “si sta degradando” anche per “questo fenomeno degli ex-sessantottini che continuano a predicare contro l’America, per alcune ragioni buone ma con una totalità di giudizi pessimi. E queste idee vengono sempre più amplificate, con noi vittime di un’informazione che viene costruita a Mosca e Pechino -. Abbiamo – dice poi in riferimento a una possibile exit strategy dalla guerra – delle armi fortissime nel costruire la pace, e sono l’impegno totale sul piano dell’informazione: è di gran lunga il primo terreno di scontro, che non deve essere uno scontro ideologico, ma un impegno costante che ogni persona responsabile dell’Europa o dei Paesi atlantici deve mettere nel diritto ad essere informati in modo decente. E’ una sfida è enorme”, chiosa. Mentre alla domanda su cosa direbbe oggi Marco Pannella nelle discussioni sul conflitto russo-ucraino, Giulio Terzi di Sant’Agata risponde che “entrerebbe a gamba tesa sul diritto della gente di sapere, per un’informazione vera basata sulla Storia, fatta di documenti, di realtà, non quella riscritta da Putin. Una informazione di società libera e non un’informazione che è solo propaganda, elaborata, gestita, strumentalizzata, e guidata in maniera criminale persino, da regimi che sono alla fine dei regimi criminali”, conclude.

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Rutelli “Roma è di tutti, va riscoperta camminando”

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ROMA (ITALPRESS) – “In questo volume è racchiusa la camminata di una vita, tenendo conto che la mia è una famiglia romana da appena centoventi anni, mentre i miei bisnonni erano palermitani”. Lo ha affermato Francesco Rutelli, presidente di Anica, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, in merito al suo ultimo libro “Roma, camminando” (editori Laterza).
“Questa – prosegue l’ex ministro della Cultura – è una camminata non frettolosa, non distratta, e permette a chi viene a Roma di scoprire qualcosa che noi continuamente vediamo. Roma va vista camminando lentamente per accorgersi quanto la città sia accogliente e di tutti: basti pensare che la maggior parte degli imperatori o papi non erano romani, erano veneti, lombardi, campani, catalani, francesi”. Rutelli ha raccontato quanto affascinante può essere Roma.
“Non è detto – ha spiegato – che piazza del Popolo sia dedicata al popolo, ma è più possibile che sia dedicata ai pioppi, perché c’erano dei sepolcri antichi circondati da pioppi”. E ricorda: “Il sindaco del tempo faticò molto a far togliere le automobili, perché piazza del Popolo era un parcheggione devastante”.
Il libro ricostruisce 28 secoli di Roma attraverso 18 itinerari. Da via Tuscolana per conoscere gli acquedotti che la attraversano e le scenografie romane negli Studi di Cinecittà, oppure gli ultimi chilometri della via Francigena per ritrovare i panorami che per secoli i pellegrini ammiravano al termine del loro viaggio o, ancora, i Fori per scoprire i luoghi della politica della Roma antica”.
Le domande di Claudio Brachino a Rutelli sono poi proseguite sui temi della politica. “L’ho lasciata da tempo e non intendo ritornarci”, è stata la premessa di Rutelli, che ha spiegato di svolgere più che altro un ruolo nella formazione delle nuove generazioni. “Ho creato una squadra di volontariato di servizio civico, e ho appena saputo che uno dei partecipanti è stato assunto alla Commissione europea, un altro è diventato presidente del Municipio Tiburtina. Io vorrei – ha continuato – che nella politica, nell’amministrazione, crescesse il desiderio di formare le nuove generazioni”.
Sollecitato poi ad esprimere un giudizio sulla Giunta Capitolina guidata da Roberto Gualtieri, Rutelli ha detto che a Roma “c’è un sindaco che merita fiducia e il tempo necessario per fare le sue politiche. E più in generale occorre una generazione che lavori in squadra. Nella mia amministrazione – ha ricordato – ho scelto in alcuni settori persone più brave di me. L’altro aspetto fondamentale è la struttura amministrativa, dove con la digitalizzazione è necessario avere personale adeguatamente formato e deve sapere come rispondere ai cittadini. Va rimessa in piedi una capacità di base amministrativa e organizzativa che coinvolga chi lavora e crei un gioco di squadra tra i vertici. Ma questo vale per ogni città”.
Sulla situazione del Paese Rutelli ha detto che “abbiamo bisogno che il governo porti a casa quanti più risultati possibili. Anche chi ne critica alcuni aspetti, chi è all’opposizione come la Meloni, ha tutto l’interesse che i progetti, i finanziamenti, le realizzazioni si facciano. Quindi quello che serve è trasparenza, informazione, determinazione, meno ostacoli burocratici. Perché se l’Italia con il rischio recessione derivante dalla guerra, una pandemia ancora non completamente finita, perde questo grande finanziamento del Recovery Fund, perde credibilità e risultati. Se si perde questo treno veramente l’Italia potrebbe retrocedere nella considerazione internazionale, e anche la possibilità che l’Europa ci confermi dei finanziamenti che per noi sono cruciali”, ha concluso.
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Trent’anni senza Falcone, ma con la sua eredità

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ROMA (ITALPRESS) – Trent’anni senza Falcone. Senza di lui come uomo, con la somma delle sue responsabilità, delle sue battaglie, delle sue amarezze, dei suoi sogni. Senza quel sorriso disarmante, porta d’ingresso, dice chi l’ha conosciuto bene, di quell’ironia così sorprendente in chi aveva, per estrema consapevolezza, un rapporto diciamo costante con la morte. Eppure trent’anni anche con Falcone, con la sua eredità morale, intellettuale, giuridica. Mai come dopo l’attentato di Capaci, e subito dopo a luglio con l’attentato di Via D’Amelio in cui persero la vita Borsellino e cinque agenti della scorta, la lotta dello Stato alla mafia è stata dura, coerente, quasi vicina a un successo finale che poteva essere colto e non fu colto. Una quasi-vittoria che è stata possibile solo grazie al suo patrimonio investigativo, alle sue intuizioni, a quello che lui aveva capito e ci aveva fatto capire della composizione e della fenomenologia di Cosa nostra. Grazie anche alle leggi a alle strutture anticrimine messe a punto nella breve stagione come Direttore degli affari penali, incarico che gli diede l’allora ministro della Giustizia Martelli che gli diede anche, cosa fondamentale, autonomia e copertura politica.

Le ricorrenze, come pura liturgia, servono a poco, se non a riempire le librerie di saggi talvolta dimenticabili. Ma se l’esercizio della memoria si accompagna a una rivisitazione seria del contesto storico e a un’analisi giornalistica che può mettere dei focus nuovi sulla figura di Falcone senza paraventi ideologici, allora si fa un doppio lavoro utile. La lezione di legalità e di democrazia che viene da quell’esperienza drammatica e insieme straordinaria può essere trasferita nella sua potenza e nella sua bellezza alle giovani generazioni. Nello stesso tempo possiamo capire di più le ragioni di quello che accade in quel sanguinario pomeriggio di maggio sull’autostrada che da Punta Raisi porta a Palermo. Ci sono passato, dopo tanto tempo, in un’afosa giornata di ottobre. Ho chiesto al tassista di accostare e di fermarsi. Sono sceso e mi sono concesso quella che Proust chiamava Epifania, le cose che si rivelano. Ho rivisto in alto Brusca che preme il meccanismo della morte, ho rivisto il cratere del manto stradale. Ero un giovane anchorman di un giovane telegiornale quando accadde, emozionato e inesperto.

Avevamo cominciato con la guerra in Iraq e ora ci confrontavamo con la guerra che la mafia faceva allo Stato e ai suoi uomini migliori. Falcone quel giorno, quando lasciò la vita con l’amata Francesca e tre uomini della sua scorta, Schifani, Dicillo e Montinaro, non è vero che fosse un uomo solo, non è vero che la stagione romana fosse solo una fuga da una Palermo che non lo aveva capito e amato come avrebbe dovuto. E’ un luogo comune che va superato. Proprio in quella struttura politica e amministrativa aveva messo a punto armi affilate, dalla DIA alla superprocura, dall’inasprimento del carcere per i mafiosi alla strategia premiale per i collaboratori di giustizia. Non ci sono solo il successo del maxiprocesso e la mancanza delle coperture nelle istituzioni corrotte a spingere Cosa nostra verso quella strategia dello sterminio che le sarà poi fatale. Quell’ultimo Falcone, che pare avesse ritrovato anche una serenità di vita a Roma con Francesca, faceva paura quanto il magistrato inflessibile di Palermo. Ed è lì che le sentinelle, le spie e i sicari lo aspettavano il 23 maggio con il loro carico di distruzione.

Claudio Brachino

– foto agenziafotogramma.it –

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