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Tutti draghiani nell’Italia del consenso liquido

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Eravamo tutti contiani e siam già tutti draghiani. Il consenso politico in Italia è ormai come quello calcistico, liquido, isterico, trasformista in sé. Perdi due partite di fila e magari stai pure male fisicamente e il tuo Presidente che fa? Si guarda intorno, insomma ti destabilizza. Ogni riferimento a Gattuso è puramente casuale. Rino non è, o almeno non è ancora, Guardiola, ma ha il cuore grande ed è leale. Ah la lealtà! Conte fino alla morte, gridavano all’unisono i grillini, ma era la pièce sbagliata. È sceso a Roma il capocomico Grillo e ha messo ordine nella compagnia, una mano di vernice green e via, tutti ai piedi di Supermario. O Conte o morte, gridava fino a qualche giorno fa il segretario del Pd Zingaretti, ma in un lampo, egli disse, consultato, siamo con te. Tranne l’assonanza con il nuovo potenziale partito di Giuseppi (Con Te), voleva dire che in un batter d’occhio l’avvocato pugliese era stato già disarcionato. Ma ora, udite udite, anche il cattivo sovranista ci sta senza condizioni, e Salvini draghiano qualche problema lo crea. Ma perché Matteo non fa il duro e puro come la Meloni, si sono chiesti gli eredi del Pci, così si poteva fare un semplice maquillage della vecchia maggioranza et Voilà. Tanto Silvio era già pronto, aveva solo bisogno della prima occasione istituzionale per smarcarsi verso la cosisddetta responsabilità nazionale, combattere pandemia e crisi economica al di là delle alleanze ideologiche. Bisogna dire che stavolta Salvini, non so se da solo o con la guida di Giorgetti, lo ha oltrepassato al centro. Nell’agosto del 2019 scrissi un articolo sulla differenza tra leadesrship e premiership, due giorni dopo il Papeete e due giorni prima la crisi più tafazziana del mondo: uscire dal governo al 34% dei sondaggi e finire all’opposizione dove Conte per lungo tempo non ha fatto toccare palla alla Lega neanche per sbaglio. Ora sembra che il leader del Carroccio abbia capito, per governare bisogna diventare grandi, ristabilire i ponti con l’Europa e con il Vaticano. Se Draghi diventerà Capo dello Stato, quando si voterà, e gli italiani lo vorranno, nulla impedirà al Capitano di diventare premier. È l’unica vera novità politica di questo primo giro di consultazioni. Domani inizia la seconda tornata, poi i ministri, secondo me in gran parte tecnici, poi la fiducia in Parlamento. Poi l’Italia e qui siamo tutti draghiani per forza, senza nulla togliere alle capacità indiscusse dell’ex Presidente della Bce. Insomma, o il nostro Paese dà uno scatto o in breve fallisce. Un’ultima nota, sempre presa dal magico mondo virtuale dei sondaggi. Renzi sarebbe ai minimi storici, la sua colpa? Aver provocato una crisi in piena pandemia? Allora, cari connazionali, un po’ di dignità, senza la sua intelligenza politica avremmo avuto un Recovery fund di cui non avremmo saputo nulla. Alla fine è vero, la politica è come il calcio, le sorprese sono sempre possibili, ma meglio andare in campo con Ronaldo che con Cotechigno (scritto come si legge) alias Alvaro Vitali.

Claudio Brachino

(ITALPRESS).

Musella “Serve unità nazionale, su candidato per Milano valutiamo”

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“Io sono perché ci sia una grande unità nazionale, come un pò ha indicato il nostro presidente Berlusconi. Fare vedere che le istituzioni sono unite, consapevoli, responsabili. È un forte messaggio che si deve dare ai cittadini e credo che sia responsabilità dei politici e di chi siede in Parlamento”. Lo ha detto Graziano Musella, deputato e commissario provinciale a Milano di Forza Italia, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia di Stampa Italpress, parlando della crisi di governo. Per Musella si tratta di “una crisi molto complessa” con “tante variabili” in una situazione in cui “si sta brancolando un po’ nel buio”. Secondo il parlamentare, “è interesse anche di Conte riaprire con Renzi in questa situazione”. Dopo la rottura con Salvini e quella con Renzi, per Musella, “anche Conte ha un po’ di responsabilità in tutto questo contesto” e “deve cercare di capire che la politica è anche arte di mediazione e di rapporti”. Una “stanca continuazione”, però, “non è possibile per gli italiani. Abbiamo migliaia di aziende che chiudono – ha spiegato – persone che soffrono non solo per la pandemia, ma soprattutto per aspetti di carattere economico. L’Italia non se lo può permettere e neanche l’Europa, che sta aspettando un Recovery plan serio e condiviso il più possibile con il Parlamento. O si forma una nuova maggioranza con una sua solidità, che potrebbe essere anche un nuovo governo, o è evidente che il rischio elezioni è molto alto”. La poltrona? “Per me è stata la prima esperienza, può essere anche l’ultima. Adesso il governo ha fatto i banchi a rotelle, faremo anche le poltrone a rotelle”, ha detto Musella con una battuta. Le defezioni nel partito in occasione del voto in Parlamento sono state “un po’ un fulmine a ciel sereno” ma il deputato non teme un’emorragia tra gli azzurri. “In questo momento no. Il partito – ha spiegato – è abbastanza unito nella responsabilità nei confronti delle istituzioni. Dopodiché vediamo come vanno le trattative, cosa succede nel campo del centrosinistra e cosa succede col governo. Sono elementi che purtroppo possono cambiare alcune idealità anche all’interno di Forza Italia”. Per Musella “Conte sta puntando a fare, con grande velocità, un partito suo. Vuole fare un punto di centro moderato, rivale di Forza Italia ma anche sicuramente di altre formazioni minori di centro, per raccogliere un petalo di questo nuovo governo che sarà in futuro combinato in questa grossa coalizione moderati-Pd. È chiaro che una cosa di questo genere può illudere anche qualche nostro parlamentare, nel miraggio di una poltrona o di uno sviluppo futuro. Però per ora Forza Italia è bella quadrata”.
Spazio poi a una riflessione anche sulla situazione della pandemia in Lombardia. “L’anno scorso a marzo – ha ricordato – eravamo la regione che purtroppo ha subito per prima questa crisi che ci ha portati a chiudere in modo pesante. Adesso non è il caso, anche perché stiamo morendo dal punto di vista economico. Io sono per aprire tutto con regole molto ferree e chi sbaglia paga”, ha aggiunto. Musella è anche commissario di Forza Italia a Milano, dove si lavora per le prossime amministrative. “Molto è legato alla data delle elezioni, che non è ancora definita al 100%. Secondo me a giugno, con la chiusura delle scuole si potrebbe anche votare”, ha spiegato. E sul candidato azzurro osserva: “In questo momento stiamo valutando, si sta discutendo. Ci sono molti nomi sul tappeto. Lupi, per esempio, è stato uno dei candidati indicati. Non sono d’accordo su candidati civici, però a livello nazionale il nostro partito, Meloni e Salvini hanno deciso di scegliere candidati civici. Nel governare un Comune bisogna avere anche un’esperienza importante dal punto di vista amministrativo e politico”.  In generale, secondo Musella, sul territorio per il partito “il sentiment è quello di un’adesione a questa linea di responsabilità presa dal presidente Berlusconi. Siamo nel centrodestra e ci presenteremo uniti nelle varie elezioni locali”, ha aggiunto, parlando poi di “svolta di responsabilità e aiuto alle istituzioni. Non siamo sovranisti ma siamo europeisti. Questa scelta di linea ci sta caratterizzando e ci aiuta a crescere, anche dal punto di vista elettorale”.
(ITALPRESS).

Coronavirus, Senna “Sui numeri contro la Lombardia c’è accanimento”

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In Lombardia il Pil, a causa della pandemia, ha subito un crollo del 10%. A sottolinearlo il presidente della commissione Attività Produttive del Consiglio Regionale della Lombardia, Gianmarco Senna, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’Agenzia Italpress. Nell’intervista difende l’operato della Regione e denuncia un atteggiamento ostile nei confronti della Lombardia che definisce il motore del Paese “perché, ricordiamocelo, la colonna vertebrale di questo Paese parte da Torino e finisce a Trieste. I dati che abbiamo sul crollo del Pil fino a ottobre ci danno un -10,2%. Noi abbiamo 330 miliardi di prodotto interno lordo, il calcolo è semplice, significa 30 miliardi di calo con un rimbalzo ipotetico nel 2021 del +6,9%. Uno scarto ancora importante. Ci metteremo qualche anno per potere ritornare ai livelli pre-crisi”.
Quali sono i settori più colpiti? “La ristorazione, poi tutto il comparto delle palestre chiuse da 12 mesi. Tutto il mondo degli eventi, fatto di professionisti, fotografi, catering. Non c’è stato un evento sulla piazza di Milano, città che viveva di questo. Poi tutto l’indotto: mi vengono in mente gli Ncc, tassisti, alberghi che hanno registrato un -85%”.
Sui dati c’è stata una polemica, si spiega perché?
“Quando c’è un’emergenza economica c’è anche un’emergenza sanitaria, ogni perdita di punto di Pil determina problemi sanitari, perché ci si cura di meno e il servizio sanitario funziona di meno. La miopia politica è non leggere gli studi sulla crisi del 2008, gli anni della crisi hanno determinato una quantità di morti perché in una situazione economica difficile anche il fisico ne risponde. La capacità della politica dovrebbe essere quella di avere una visione di prospettiva. Non c’è stata e si fanno scelte sulla Lombardia che non sono supportate dai numeri”.
“I numeri – spiega – non mentono: abbiamo fatto 220 mila vaccini, se poi vado a vedere i dati dei decessi in proporzione alla popolazione ne abbiamo metà dell’Emilia. Abbiamo il numero di positivi tra i minori in proporzione alla popolazione. La situazione nei reparti di terapia intensiva è più bassa della media delle regioni italiane. Non riesco a capire questo accanimento nei confronti della Lombardia, che è un po’ azzoppare il cavallo. Se si ferma la Lombardia anche le prebende che hanno utilizzato in questi mesi per fare consenso si fermano, perché è innegabile che i Cinquestelle i voti li prendono nelle regioni in cui il reddito di cittadinanza ha avuto più successo. Non stiamo simpaticissimi come modello, da cittadino lombardo mi ha colpito l’accanimento contro la Lombardia”.
Sul rimpasto con l’arrivo di Moratti al posto di Gallera, dice: “Credo che nella vita, quando ti trovi a occupare un ruolo di assessore di Regione Lombardia alla Sanità che paragono al ruolo di ministro, una decisione di questo genere non faccia piacere. A me non stupisce un rimpasto dopo 2 anni e mezzo. Quando capita in Lombardia si dice che è Salvini che decide su Fontana. Voglio capire se nelle altre Regioni se un presidente decide un cambiamento se non si consulta con il leader del partito. Io sono soddisfatto del rimpasto, perché mi trovo come assessore Guido Guidesi. Uno che ha fatto il sottosegretario a Roma e accetta di fare l’assessore in Lombardia. Questo capita solo nella Lega. Crediamo che l’assessorato alle Attività produttive sia la seconda gamba nel rilancio, perché economia e sanità non possono andare divisi. E alla Famiglia va una persona che ha fatto il ministro, e questo non succede altrove. E’ la dimostrazione che siamo un partito vero, di territorio, con persone responsabili”.
La macchina delle vaccinazioni come va? “Benissimo, ma abbiamo un problema, non arrivano i vaccini, e qua si ritorna all’inefficienza di uno stato centrale, di un Arcuri che dall’inizio della pandemia, dal momento di inviare la mascherina non è stato all’altezza. Guardo gli altri stati, Israele è al 25% di vaccinati. La Germania quando è stato il momento ha forzato la mano e ha acquistato 30 milioni di dosi in più. Se non è responsabilità del governo centrale e del supercommissario Arcuri allora diamola alla Lombardia. Tanto…”.
Sul piano della ripresa economica nel 2021, qual è il giudizio che dà la Lega sui ristori, cosa manca e cosa bisogna fare?
“I ristori del governo sono arrivati pochi e in tempi non consoni a un’emergenza sanitaria”.
C’è qualcuno che dice date il vaccino a chi è più ricco. Moratti ha chiarito ma… “Non sono io che devo difendere Moratti, ma lei ha fatto un altro tipo di ragionamento che è molto più semplice”.
“Le dice: siccome sappiamo per certo che se non ripartiamo economicamente il problema diventa più grosso, vacciniamo coloro che vanno a lavorare, così un settore non si ferma generando Pil. Comunque i ristori sono arrivati pochi e in tempi non rapidi. Penso anche che questo Paese ha considerato cittadini di serie A e di serie B. Parlo dei dipendenti privati del settore della ristorazione”. Quante persone hanno perso il posto di lavoro a Milano in questo settore negli ultimi 6 mesi? “Non riusciamo a quantificarlo perché il blocco dei licenziamenti è a fine marzo, e poi verrà spostato al 30 giugno perché ci sono elezioni importanti e sappiamo come vanno queste cose. Quando si fermerà questa situazione drogata si parla solo nella ristorazione della chiusura del 30-40% delle attività, che quantificate sulla piazza di Milano si tratta di 10-155 mila posti di lavoro in meno. Gli autonomi, chi ha la partita iva non stanno incassando. Almeno in 500 mila hanno subito l’abbassamento del reddito. Cosa ha fatto Regione Lombardia? Noi abbiamo dato a fondo perduto 220 milioni aiutando i dimenticati dal governo, le categorie che non hanno preso un euro: abbiamo fatto un grosso lavoro sugli ambulanti, sui tassisti, sulle agenzie di viaggio. Abbiamo fatto un grosso lavoro su ristoranti e bar”.
Quindi questi ristori si possono fare?. “Questi ristori si possono fare se una regione ha i conti in ordine, e la Lombardia ce li ha. Abbiamo un attivo di bilancio, abbiamo chiuso l’anno scorso con 170 milioni e questo ci ha permesso di ritagliare tra le pieghe del bilancio fondi alle categorie che ne avevano bisogno. In due settimane abbiamo fatto i bandi, senza fare click day”. Ci sono i soldi per potenziare i trasporti, per prendere autobus privati e mandare i ragazzi a scuola in sicurezza? “Noi sul piano Lombardia abbiamo investito 4 miliardi, ma non in prebende, in conto privato. Abbiamo dato 400 milioni a 8 mila comuni per fare partire i cantieri, e 3,1 miliardi sulle grandi opere. Sono stati messi dei denari per i trasporti, c’è la possibilità di fare tornare in sicurezza a scuola i ragazzi. I tempi sono maturi per rimandarli a scuola. Anche perché c’è un problema relazionale. Siamo arrivati ad un punto di rottura che non ci possiamo più permettere. Scuola, lavoro e sanità sono 3 cardini che devono ripartire”.
Il sindaco di Milano sarà Rasia che piace a Salvini? “Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, è molto preparato, ragazzo svelto, è chiaro che se domani esce il nome sul quale non puoi dire di no le valutazioni si faranno. Dall’altra parte c’è un candidato sindaco uscente che vedo debole e stanco e non ha voglia di fare quello che sta facendo”.
Il governo dura o no? “C’è il rischio che Conte cada e non si vada a elezioni. Elezioni che sono il nostro sogno per andare a governare. In 60 giorni si darebbe stabilità al Paese”.
Milan l’è ancora un gran Milan? “Sì, dopo un periodo duro come Tangentopoli ha trovato la forza per ripartire, ma credo che anche questa volta ripartirà perché ha un’energia che ha solo questa città”.
(ITALPRESS)

Gibelli (Asstra) “Abituare le persone a muoversi in tempi diversi”

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Abituare le persone a muoversi in tempi diversi, con mezzi diversi, per una mobilità sostenibile: una politica a zero budget. È una delle ricette di Andrea Gibelli, presidente del gruppo Fnm e Asstra. Intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress ha spiegato che “i trasporti sono un settore che prima del Covid portava 5,4 miliardi di persone all’anno in Italia, un asset fondamentale per l’economia, la domanda è crollata per via della pandemia ma è un settore definito come ‘servizio essenziale’. La perdita dal ristoro per la bigliettazione più i costi legati alle sanificazioni, più tutto ciò che il governo ci ha imposto nella restituzione degli abbonamenti con la prima fase si arriva a 2,2 miliardi, oggi all’appello, dopo gli interventi del governo, mancano all’appello 800 milioni, noi, essendo un servizio essenziale, non possiamo chiudere. Gli 800 milioni che attendiamo sono sulla spesa corrente, quello che consente alle imprese di non fallire e quindi sono molti in stress per chiudere i bilanci 2020”.
Il presidente di Asstra sottolinea come le risorse da sole non bastano “non sempre le risorse risolvono i problemi se non si ha una visione, serve ridefinire i tempi della città: la mobilità vive all’interno di un principio di contraddizione storica, cioè ci sono meno mezzi nell’ora di punta e ci sono troppi mezzi nell’ora cosiddetta di ‘morbida’, scuole e lavoro partono tutti allo stesso orario. La pandemia ha dimostrato che nella differenziazione di orario si ottiene la rarefazione delle persone in una fascia oraria di punta più ampia, con una differenziazione di orario il Tpl ha funzionato”. Sul tema scuola Gibelli ha ricordato che “siamo in guerra, muoiono 500 persone al giorno tutti devono fare in passo indietro, in questa situazione drammatica ho detto scaglionamento, differenziazione di orario, aggiunta di autobus, e un senso di responsabilità per chi ha la possibilità di muoversi in orari diversi”.
Il modello di trasporto può diventare ‘smart’ seguendo la nuova modalità di lavoro: ” prima della pandemia il lavoro a distanza occupava circa 500 mila persone siamo passati a 6milioni, una svolta epocale, certo non si tornerà, alla fine della pandemia, a questa situazione, ma le aziende del terziario si stanno riorganizzando con una forte componente di smart working”. Una parte importante del Recovery Plan sarà dedicato alla modernizzazione del paese, si va verso un nuovo trasporto moderno e sostenibile, piano che per Gibelli deve seguire la filosofia di Asstra: “fare meglio con quello che abbiamo e se abbiamo di più orientarlo alla parte infrastrutturale e della vita reale, quindi investimenti orientati alla transizione energetica, e informazione attraverso piattaforme dedicate”.
(ITALPRESS).

Artom “In Italia non c’è una visione per l’impresa privata”

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“Bisogna iniziare a dare una visione per l’impresa privata del Paese, a mio parere questo è quello che manca”. Lo ha detto Arturo Artom, consulente economico ed esperto in tecnologie, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia di stampa Italpress.
“Siamo il paese – ha spiegato – delle 4-4,5 milioni di partite Iva. Tutti i nostri stipendi sono pagati dal prodotto interno lordo fatto dal privato. Le pmi in fondo sono ancora qualcosa di sconosciuto”, ha sottolineato, spiegando come questo si sia visto soprattutto durante l’emergenza della pandemia.
“Sono stati garantiti molto i dipendenti – ha aggiunto – ma la parte imprenditoriale che ha un rischio e che deve pagare 15-20 buste paga non si è sentita molto supportata. Non c’è la cultura di cosa voglia dire gestire una piccola e media impresa, che significa girarsi e non avere nessuno dietro”.
“Il Recovery plan – ha affermato – ce l’abbiamo già. Quest’anno abbiamo fatto un deficit di circa 10 punti. Il deficit normale annuo era il 2-3%”.
“Si è puntato – ha spiegato Artom – quasi esclusivamente sui sussidi andando a garantire lo stipendio a tutti i dipendenti pubblici e quasi tutti i dipendenti privati. Non si è pensato molto alla parte di investimenti e soprattutto a come iniziare a girare queste decine di miliardi per fare in modo che creino di nuovo lavoro e investimenti, quando l’emergenza Covid finirà”.
Uno sguardo, poi, alla questione dei licenziamenti. “Sarà una situazione drammatica”, ha detto, aggiungendo che “l’unico punto sarà la formazione”. “Tra le tante proposte che abbiamo fatto – ha continuato – è piaciuta molto quella di dare una strategia di Silicon Valley per le pmi. Durante la guerra del Golfo – ha ricordato – ci fu una crisi mondiale” e nella Silicon Valley “furono licenziate in una sola sera 70-80 mila persone”. “Si presume che – ha spiegato -, con gli incentivi dati dallo Stato della California, un terzo di queste crearono un’impresa che poi fu la fucina, l’ambiente, l’ecosistema dal quale nacquero tantissime piccole imprese che poi fecero il successo della Silicon Valley del software”.
“È un tabù – ha poi aggiunto – ma su alcuni settori dobbiamo fare un forte incentivo fiscale”.
“Il primo maggio – ha sottolineato Artom – dovrebbe essere la festa del lavoro, dei lavoratori ma anche degli imprenditori. Invece sostanzialmente non c’è mai la festa dell’imprenditore, inteso come valore aggiunto per il Paese. L’Italia storicamente ha questa visione: non dà un valore aggiunto a chi rischia”.
Per Artom, quindi, “bisogna valorizzare le quattro-cinquemila medie imprese che hanno un migliaio di dipendenti, che esportano, che realizzano una componente del prodotto che poi viene venduto dalla grande multinazionale straniera. Queste aziende, le famose multinazionali tascabili – ha continuato -, sono quelle che possono a loro volta tirare su i propri fornitori, milioni di partite Iva che stanno dietro. Bisogna avere una cultura industriale su questo. Di queste cose non se ne sente mai parlare. Capendole e conoscendole meglio si può fare politica industriale. Secondo me – ha aggiunto – è proprio un problema di conoscenza che riguarda sia destra che sinistra”.
Poi Artom ha fatto riferimento al “grande scontro che ci sarà in questo secolo tra il sistema cinese e quello occidentale. In questo momento, per affrontare la pandemia – ha evidenziato -, ha vinto quello cinese, che è riuscito a tenerla sotto controllo. Su questo iniziamo il 2021 come Italia in maniera non semplice”, ha aggiunto. In merito alle misure per fronteggiare la pandemia, secondo il consulente economico, “forse bisognava lasciare un po’ più novembre e chiudere molto dicembre, che è un mese in cui tutti vogliamo andare a fare shopping. Secondo me – ha proseguito – la strategia giusta deve essere vietare la movida e lasciare molta più libertà di spostamento”.
Adesso occorre “un vaccino economico per l’impresa privata”, ha spiegato. “Una visione per l’impresa – ha proseguito – che invece non c’è. Bisogna fare molte più coccole. È dal Pil che fa l’impresa privata che tutti noi paghiamo gli stipendi”. Il voto di Artom alla prima ripartizione delle risorse del Recovery plan è 6, perché “sono state tolte” risorse “per aumentare investimenti pubblici su quello che era per l’impresa privata. Sono stati tolti soldi al 4.0, bisogna rimetterli: molta più impresa privata”, ha concluso.
(ITALPRESS).

Spaziani Testa “Meno tasse sugli immobili e sbloccare gli sfratti”

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“Tutelare il diritto di proprietà rimuovendo la proroga del blocco degli sfratti e ridurre la tassazione sugli immobili”. È quanto chiede il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress.

Per gli italiani la casa è ancora un bene?

“La casa di abitazione ha ancora stesse le caratteristiche, l’italiano vuole stare nella casa di proprietà, quello che comincia da molto tempo a mancare è l’acquisto per l’investimento ma anche l’acquisto delle seconde case per villeggiatura”.

Qual è l’andamento del mercato immobiliare con il Covid?

“Ovviamente c’è stato un blocco totale nel periodo di lockdown dove non potevano muoversi nemmeno gli agenti immobiliari, le compravendite infatti sono molto scese nel 2020”.

Il blocco degli sfratti non è stato ancora prolungato ma non vi piace, perché?

“Nell’immaginario c’è la solita frase “Non mandiamo per strada le persone”, ma se si va a vedere di cosa si tratta si capisce che sono 16 mesi di impossibilità di applicare delle sentenze. Si tratta di situazioni precedenti al Covid quindi parliamo di tempi lunghissimi, perchè il proprietario prima di azionare la parte legale pazienta e aspetta, poi attiva il procedimento giudiziario dove passano mesi e alla fine ha un provvedimento, poi arriva la legge e dice che l’immobile non si libera più. La conseguenza è che ci sono beni indisponibili e costituzionalmente è inaccettabile, l’impossibilità di trarre un reddito e addirittura la necessità di pagare le spese condominiali oltre all’Imu. Noi non stiamo dicendo ‘fate macelleria sociale e buttate fuori tutti’ ma diciamo di andare a verificare le effettive situazioni di difficoltà che esistono e li cerchiamo di aiutare, ma non a carico del proprietario ma dello Stato. Spesso i più fragili sono proprietari e molti sono in estrema difficoltà”.

Le tasse sono un grande tema, voi cosa chiedete?

“Noi chiediamo di fare l’esatto contrario di quanto ha chiesto la Banca d’Italia, ovvero spostare le tasse da impresa e lavoro sul patrimonio immobiliare. Noi diciamo che va ridotta la tassazione sugli immobili, ci sono tanti immobili diversi dalla prima casa che non sono espressione di lusso ma spesso sono ereditati, si trovano in piccoli centri e hanno un peso di tassazione notevole. Passare dai 9 miliardi dell’Ici del 2011 ai 22 miliardi dell’Imu di questi anni non ha solo comportato un peso solo sui proprietari ma sull’intera economia, persino sulle garanzie delle banche ed effetti a catena sui consumi. Tassiamoli meno e vedremo effetti positivi anche sull’economia”.

Il Superbonus ecologico ha aiutato il mercato?

“Si parla molto del Superbonus del 110% è un’ottima iniziativa che si aggiunge ad altre. E’ dal punto di vista della semplicità che ha qualche mancanza e c’è qualche aspetto da curare meglio, in generale il sistema non lo inquadrerei nella categoria bonus ma in quella degli incentivi. Il Superbonus ha una cifra accattivante ma bisognerebbe guardare a tutto tondo nel sistema degli incentivi per scegliere il meglio”.

Questa pioggia di soldi che arrivano dall’Ue sono in gran parte per la trasformazione green, come pensate di poterne beneficiare?

“E’ importante stimolare interventi di efficientamento energetico e di risparmio ma da noi c’è qualcosa di più importante: la sicurezza sismica. Noi siamo un territorio sismico e per prevenire dobbiamo fare qualcosa di diverso rispetto ai paesi del nord Europa, dobbiamo concentrarci sul miglioramento della sicurezza dell’immobile, sulla sicurezza dei territori in genere, sulle infrastrutture fisiche ma anche digitali per favorire il possibile ritorno nei borghi in virtù del lavoro a distanza che molte aziende stanno promuovendo”.

Per rivalutare il patrimonio immobiliare quali sono le voci essenziali?

“C’è una voce che le precede tutte che è ridurre la tassazione, poi c’è la necessità di migliorare dal punto di vista della sicurezza, l’efficienza energetica, delle infrastrutture per favorire il raggiungimento di certi centri sia dal punto di vista dei trasporti che dell’aspetto digitale”.

Cosa ne pensa dello smart working?

“Abbiamo solo in minima parte delle aree dedicate agli uffici moderni, spesso sono mischiati con le abitazioni e questo ha un riflesso anche sul mercato immobiliare residenziale. Molti stanno decidendo di ridurre i propri spazi di lavoro e ci sono degli immobili che tornano sul mercato, nel breve lo vedo negativamente perchè contribuisce a diminuire il valore, ma in prospettiva ci può essere qualche cambiamento positivo”.

L’attività immobiliare oggi vuol dire anche finanza.

“La finanza è una parte dell’immobiliare che esiste, va valorizzata e fa parte del nostro mondo, non va messa in contrapposizione con il mattone e con la fluidità delle banconote. C’è un parte che contribuisce a far crescere l’economia e a farci dire che l’immobiliare, a differenza di quanti molti pensano, non è una ricchezza statica ma dinamica, l’immobiliare muove l’economia sia con i mattoni che con la finanza”.

Ci si lamenta spesso che in questo stato di emergenza c’è la sospensione delle liturgie democratiche e della macchina dell’ascolto, cosa chiedete al Governo?

“Siamo stati ascoltati ma non basta, siamo stati anche agli Stati Generali però abbiamo parlato come tanti altri, abbiamo detto le nostre cose, l’ascolto è un’altra cosa. Chiediamo di tutelare il diritto di proprietà, quindi di rimuovere la scelta sbagliata di sottrarre alla disponibilità dei proprietari per 16 mesi, che si aggiungono a tanti altri, gli immobili oggetto di sentenza e la seconda riduciamo la tassazione sugli immobili”.

(ITALPRESS).

Schifani “Se c’è da staccare la spina al Governo si faccia in fretta”

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Se c’è da staccare la spina al governo si faccia in fretta, il paese non può attendere. E’ quanto chiede il senatore di Forza Italia Renato Schifani, ospite della rubrica “Primo Piano” di Claudio Brachino per l’agenzia Italpress. A poche ore dalla conferenza stampa di Italia Viva, che segnerà, forse, le sorti del governo Conte, l’ex presidente del Senato auspica una risoluzione veloce dei problemi interni alla maggioranza: “Il Recovery Plan disegnerà il futuro del paese, le opposizioni devono poter dire la loro sul futuro dell’Italia, il piano non dovrebbe essere solo quello del governo, deve essere il piano della nazione, questa maggioranza si sta assumendo una gravissima responsabilità, non coinvolgendo una parte del paese, le opposizioni. L’erogazione dei fondi europei è collegata alla grandi riforme, a partire da quella della giustizia, l’Europa vuole garanzie, ce la faremo con senso di responsabilità, da un mese siamo paralizzati da questi litigi, se si deve staccare la spina si faccia, non si può restare paralizzati”.

Come andrà a finire questa crisi? Per Schifani sarà il presidente della Repubblica a decidere ma su una cosa è certo: “Escludo un sostegno di Forza Italia, non faremo i responsabili, noi siamo responsabili nella coerenza della nostra storia e il gruppo in Senato è molto compatto, molto coeso. Poi se il presidente Mattarella farà un richiamo a tutte le forze politiche per un’unità nazionale è evidente che il centrodestra ne parlerà e agirà unito nell’interesse del Paese, ma sono governi a termine che porteranno poi il Paese al voto. La legge elettorale c’è, si può andare a votare, abbiamo il decreto Ristori e il Recovery da approvare, dopodiché si può andare a votare”. Sul piano della gestione della pandemia Schifani non critica particolarmente il Governo ma chiede più coinvolgimento delle altre componenti del Paese.

“Non mi sento di polemizzare violentemente contro il governo sul modello di controllo della pandemia – ammette -. Il governo è chiamato a prendere delle scelte senza precedenti, non mi sento di contestare l’utilizzo dello strumento del Dpcm e di provvedimenti urgenti, la politica si deve adeguare al momento. Spero si lavori tutti insieme per uscire da questo tunnel, per esempio con i vaccini. Ci sono molte categorie che lamentano l’incertezza del domani, questo crea anche un danno economico, i ristori nella prima fase sono arrivati in ritardo, ci sono dei casi disperati di persone che rischiano di chiudere definitivamente la loro attività”.

Nel corso dell’intervista il senatore azzurro ha smentito anche una notizia apparsa sul quotidiano “La Repubblica” che lo vede in contrasto con il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gianfranco Miccichè: “Sono fortemente concentrato sul mio ruolo, ho sempre lavorato sul presente, mai sul domani, quando ci sono delle cariche istituzionali in corso non è corretto parlare del dopo, per rispetto del ruolo che stanno svolgendo”. Quanto invece al presidente della Regione, Schifani ha sottolineato: “Continuo a credere in Musumeci, sta facendo bene e per quanto mi riguarda può essere ancora il futuro candidato perché è una persona seria e competente”.

(ITALPRESS).

Recovery Plan, Mantovani “Coinvolgere i manager nella governance”

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“Un piano del genere va gestito con diverse centinaia, se non un migliaio di manager, di persone chiave che vanno mobilitate per avere speranza di successo”. Queste le parole di Mario Mantovani, presidente di Cida e Manageritalia, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia di stampa Italpress, parlando del Recovery Plan e auspicando un coinvolgimento delle competenze manageriali dopo il passaggio in Parlamento.

Cosa fanno queste associazioni in concreto e di cosa vi occupate?

“Manageritalia è quella che come le altre federazioni che aderiscono alla Cida ha in corpo gli associati, quindi è un sindacato che rappresenta i dirigenti e rappresenta direttamente i dirigenti nella contrattazione nazionale e nell’attività quotidiana di servizi di rappresentanza”.

Anche i manager hanno bisogno di tutela sindacale?

“Siamo lavoratori subordinati, questo prevede un certo tipo di organizzazione che abbiamo interpretato in maniera originale e innovativa. Cida raggruppa le federazioni dei dirigenti dei diversi settori privati e pubblici, quindi oltre a Manageritalia c’è Federmanager e le varie organizzazioni del pubblico, i dirigenti medici, della scuola e di altri settori pubblici e privati. Cida fa soprattutto una attività di rappresentanza”.

In questi giorni i dirigenti medici e scolastici staranno bussando alle porte?

“Sono da oltre 1 anno veramente in prima linea, ci siamo tutti perchè nelle nostre aziende abbiamo lavorato per trasformarle in poche settimane e portarle dal 25% di smart working all’82, però i medici e i dirigenti scolastici sono in prima linea da un tempo molto lungo e qualche segno di stanchezza comincia a vedersi”.

Sul Recovery Fund la vostra critica è che a livello di governance non vi piace, la vostra proposta?

“Intanto che ci sia una governance, quando ho partecipato agli Stati Generali al Presidente Conte ho fatto una domanda: vorrei capire in che modo pensate di gestirlo, con quali persone e con quale organizzazione. Penso che in qualunque azienda sia la prima domanda, ovvero come imposto un piano così unico nella storia del nostro Paese, con che tipo di governance, allora non ottenni risposte e purtroppo tutt’ora non mi sembra ci siano”.

La vostra proposta qual è?

“Credo che la governance debba partire da una struttura governativa, legata a quella ministeriale. Ci sono ministeri più strutturati che hanno anche risorse umane maggiori, penso al Mef dove c’è un know how nel gestire questo tipo di piani che è maggiore, l’idea è inserire competenze manageriali in quella struttura. Serve poi una struttura vera e propria di project management da collocare in un punto unico perché possono avere una visione trasversale e completa. Ma il vero problema è che un piano del genere va gestito con diverse centinaia, se non un migliaio di manager, persone chiave che vanno mobilitate nel Paese per avere speranza di successo. Bisogna arrivare nei vari filoni di attività abbastanza in profondità, mettere 10-15-25 persone al vertice di una macchina amministrativa che è nata per fare altro non funziona”.

Vogliamo dire una volta per tutte che abbiamo bisogno della competenza e che la gente deve fidarsi della competenza?

“Questo è sicuramente necessario ma faccio un esempio che funziona anche in azienda, in una azienda grande e strutturata abbiamo gli azionisti e i manager, i politici fondamentalmente hanno il ruolo che in azienda hanno gli azionisti, devono rappresentare ciò che è il bene per il Paese, quello è il ruolo fondamentale che incarna il Parlamento. Io credo che delle scelte di priorità di spesa, di progetti debbano passare dal Parlamento altrimenti davvero la domanda è ma cosa li abbiamo eletti a fare? Nell’esecuzione servono delle competenze”.

Questo piano ha l’obiettivo di dare una struttura più dignitosa alle prossime generazione, dobbiamo dare loro qualcosa e nei numeri letti sono confermati 100 miliardi tra green e innovazione tecnologica. Vi sembrano soldi giusti e proposte concrete?

“Il grande pregio del Next Generation Eu è che traccia due obiettivi di visione prospettica su cui è difficile non essere d’accordo che siano le priorità, il passaggio complessivo è declinarli in progetti e qui effettivamente nasce la difficoltà del nostro Paese. Da un lato credo sia stato anche abbastanza importante recuperare alcune progettualità degli anni precedenti, poi sono convinto è che sulla rivoluzione green si sia già giunti a un passaggio in cui l’industria e i diversi settori hanno compreso che è una evoluzione. L’innovazione digitale ci cambia la vita, la preoccupazione è che molte innovazioni che vengono presentate come tali non abbiano questo impatto. In alcuni il rischio è che andiamo a inseguire delle pseudo innovazioni che alla fine sono volatili”.

Vi aspettate che dopo un passaggio doveroso in Parlamento le varie parti sociali e le rappresentanze vengano convocate oppure no?

“Noi ci aspettiamo sempre di essere chiamati, lo stile è sempre stato chiamare, interloquire a distanza, in forma scritta e orale ma procedere sostanzialmente con una propria agenda che non tiene conto, se non in rarissimi casi e per pochissime organizzazioni, delle esigenze espresse, cioè non c’è mai stata una reale interlocuzione con questo governo sui temi di sostanza”.

C’è chi dice che l’Italia ha una disuguaglianza fattuale tra i pubblici dipendenti e il resto del Paese che non viene concepito da una maggioranza che si dice abbia una visione più per il pubblico? Un giudizio sullo smart working?

“Io parto da un ragionamento che il lavoro oggi è organizzato, c’è bisogno di organizzazione molto più sofisticata. Questa distinzione netta fatta nel Paese tra lavoro subordinato molto tutelato e rigido e lavoro autonomo poco tutelato e molto flessibile ha mostrato i suoi limiti molto chiaramente da entrambe le parti. Da un lato con lo smart working vengono meno quei capisaldi degli orari di lavoro tipici dei lavori rigidi, da un lato il lavoro semi autonomo si mostra per quello che è con nessun grado di autonomia. Essendo privo di tutele di rappresentanza, in molti casi diventa un problema sociale che dobbiamo coprire con delle mance o con dei tentativi di mettere in piedi ammortizzatori sociali partendo da zero in una fase critica”.

Nella Pubblica Amministrazione come funziona?

“Perchè sia effettivamente smart serve una riorganizzazione molto digitalizzata, come è la Pa? Dove è organizzata in maniera accettabile lo smart working funziona e ci sono casi di eccellenza, dove non lo è le persone stanno a casa rispondono alle mail, hanno il telefono deviato e basta”. La spaventa il futuro di questo lavoratore da solo a casa davanti al pc? “Funziona un mix. Tra i diritti del lavoratore smart secondo me dovrebbe esistere quello di avere anche un luogo di lavoro dove si può recare, ci sono alcune idee che si stanno portando avanti come creare dei centri di co-working in località periferiche dove molti lavoratori lavorano e possono riunirsi, un luogo che ricrei la comunità di lavoro”.

Tra le cose che ci chiede l’Ue spesso passa in secondo piano la riforma della giustizia ma anche quella fiscale. Quello dell’equità fiscale è un tema che vi sta a cuore.

“Credo che la via sia molto stretta, lo dobbiamo riconoscere, in Paesi che hanno un welfare più o meno sviluppato come il nostro dove siamo la cultura del welfare, questo chiede inevitabilmente una tassazione elevata. Tempo che quella delle tasse basse sia una illusione che ci dobbiamo togliere e che dobbiamo anche smettere anche di raccontare”.

Quindi le proposte dell’opposizione sul fisco sono inattuabili?

“Mi sembrano inattuabili, è chiaro che sono messaggi che colgono nel segno perchè nessuno di noi ama pagare le tasse, però nessuno è disposto a rinunciare a una serie di servizi che abbiamo, quindi togliamoci l’idea che le tasse possono diventare realmente basse. Andrebbe redistribuita sui tanti regimi speciali, questo credo chiede l’Europa, non abbiamo una tassazione omni comprensiva e dovremmo allineare e rendere neutrale la tassazione a seconda del lavoro che facciamo. Credo però che sia un ginepraio e che nel momento in cui uno apre il calderone si scontri contro una serie di proteste e difficoltà delle varie categorie, ma è una domanda da farsi da parte di un politico”.

I movimenti politici anti casta hanno avuto successo dicendo ‘Uno vale uno’, lei invece ha aperto a un mondo di gente competente.

“Il difetto dell’elite è non essere in grado di dare una visione di futuro migliore di chi oggi non è nelle condizioni di vedere un futuro migliore. La nostra generazione ha iniziato a lavorare negli anni 80, ci siamo occupati troppo delle nostre aziende e poco della cosa pubblica e adesso stiamo vedendo che ne paghiamo un po’ il prezzo”.

(ITALPRESS).