ROMA (ITALPRESS) – Il conflitto in Ucraina, i rapporti di forza tra gli Stati, una “calzamaglia” che avvolge la terra formata da decine di migliaia di satelliti. Il giornalista Frediano Finucci, nel suo libro “Operazione satellite. I conflitti invisibili dalla Guerra Fredda all’Ucraina” di Paesi Edizioni, punta a svelare e capire perchè questi satelliti sono così importanti, a che cosa servono e perchè questa tecnologia è diventata così pervasiva e così fondamentale nei rapporti tra gli Stati. Intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia Italpress, Finucci osserva come “tutti noi abbiamo la coscienza di cosa significava vivere senza internet, non tutti, anzi quasi nessuno, ha la consapevolezza di che cosa significherebbe vivere oggi senza la tecnologia dei satelliti. Noi dobbiamo immaginare il mondo circondato da una sorta di ‘calzamaglià formata dalle decine di migliaia di satelliti che si trovano in quella che in gergo viene chiamata l’orbita bassa, questi satelliti servono a tantissime cose, le più scontate le sappiamo tutti: le previsioni del tempo, la trasmissione dei segnali televisivi, internet; ad esempio non tutti sanno che servono anche per mandare il segnale orario, in giro per il mondo ci sono tantissime strutture che necessitano di essere coordinate e ricevono dai satelliti il segnale orario e se non ci fosse probabilmente molte aziende non sarebbero in grado di fornire i loro servizi. Questa è una cosa che noi diamo per scontata ma che assolutamente non lo è”.
Il giornalista e scrittore parla poi della guerra in Ucraina dove “tutti noi abbiamo scoperto l’esistenza di starlink di Elon Musk, questa costellazione è fondamentale per la guerra in Ucraina perchè sta dando la connessione al governo all’esercito e ai cittadini, e quindi tutti noi abbiamo scoperto la questione dei satelliti addirittura privati. Il 24 febbraio di due anni fa viene dato l’ordine di accendere i motori e attraversare la frontiera tra Russia e Ucraina, ma sei ore prima che venisse dato quest’ordine parte un gigantesco attacco informatico alle infrastrutture, non solo in Ucraina” perchè il governo di Kiev “non dispone di satelliti per le comunicazioni sicure, aveva solo un contratto con una società americana per un servizio internet fornito attraverso i satelliti; i russi quindi hanno disattivato i modem che consentono all’esercito e allo Stato di poter avere internet, l’esercito ucraino improvvisamente diventa cieco e sordo. Questo servizio, però, veniva usato da tantissime aziende private, al punto che circa 30mila modem vanno fuori uso con molte aziende, alcune anche italiane, si sono trovate senza internet. Gli ucraini si sono rivolti a Musk che il giorno dopo risponde starlink: è attivabile. Nessuno può credere che da un singolo tweet in sole 48h si possano mandare camion carichi di apparecchiature elettroniche in una zona bombardata – evidenzia -, Questo significa che Musk da tempo stava programmando di inviare starlink in Ucraina. Ma bisogna fare un passo indietro, 4 mesi prima dell’invasione dell’Ucraina i russi fanno un’azione dimostrativa spettacolare passata sottogamba dall’informazione, lanciano un loro missile balistico nello spazio e distruggono un loro satellite non più in funzione, questa distruzione provoca tremila pezzi che hanno disturbato i segnali dei satelliti di starlink; bene, 4 mesi prima alcuni analisti hanno detto questo è stato il primo campanello d’allarme dell’attacco in Ucraina. Ma non solo. Nell’aprile del 2014 succede qualcosa di mai avvenuto, il gps russo improvvisamente si spegne per 13 ore – racconta -, e nel libro ci sono documenti e testimonianze che che suggeriscono l’ipotesi che non si sia trattato di un guasto ma di un intervento esterno, molto probabilmente una ritorsione degli Usa per l’annessione russa della Crimea avvenuta 15 giorni prima”.
Ma qual è lo stato delle cose in Europa? Secondo Finucci “non siamo messi male perchè abbiamo tantissima tecnologia e conoscenza e anche noi italiani siamo molto bravi con delle aziende molto importanti, il problema è che noi non abbiamo i razzi per lanciare i satelliti. Speriamo di avere l’autonomia per portare i satelliti in orbita, però sicuramente se noi avremo questa autonomia ci sarà un piccolo punto, i lanciatori, i razzi europei purtroppo costeranno molto di più di quelli fatti da Musk, ciò significa che i servizi fatti dagli europei costeranno molto di più con uno svantaggio competitivo nei confronti degli americani che riescono a lanciare i satelliti a costi molto inferiori. Ci sono solo tre aziende che stanno integrando lo spazio nel loro business: Google, Amazon e Musk – conclude -, quest’ultimo è destinato a diventare il dominus dell’ordine digitale perchè lui ha creato una filiera perfetta che crea valore grazie alle attività spaziali”.
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“Operazione satellite”, i conflitti invisibili nel libro di Finucci
Cuzzilla “Il lavoro deve tornare a essere un punto di riferimento”
ROMA (ITALPRESS) – “Se vogliamo aumentare il Pil dobbiamo creare quel welfare particolare affinché le donne possano lavorare. Nello stesso tempo dobbiamo rivedere il costo del lavoro e dare forza agli stipendi che sono bassi”. Così Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager e di Cida, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress.
Gli ultimi dati sull’occupazione sono positivi. “Prendiamo bene questo dato positivo – ha affermato -, è l’inizio di una grossa ascesa che si deve fare. Le decisioni di questo governo nei prossimi mesi saranno importanti per capire come andrà questa crescita e che politica industriale si vuole fare in questo paese. Dobbiamo ritornare a fare politica industriale ed essere uno tra gli Stati più importanti al mondo sull’industria. Lo eravamo e dobbiamo tornare a esserlo con scelte coraggiose”.
Con Manuela Perrone, Cuzzilla ha scritto il libro “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane”, edito da Luiss University Press. “La persona – ha spiegato – è al centro delle imprese e della società. Quanto accaduto è come una tempesta perfetta che però non è finita: la crisi pandemica, quella bellica, energetica e di approvvigionamenti. Tutto questo ha portato a un ripensamento del mondo del lavoro, che parte dalla persona. Poi ci sono stati fenomeni che sono scoppiati come 1,6 milioni di dimissioni da posti fissi tra 2022 e 2023. La gente sta ripensando il proprio modo di lavorare”.
Per Cuzzilla, quindi, “dobbiamo mettere al centro la persona. I manager si stanno interrogando per disegnare un modello di business completamente diverso dove si lavora in team e si dà una formazione continua. Il lavoro deve tornare a essere un punto di riferimento”.
C’è anche la questione dell’occupazione femminile. “Oggi – ha affermato – lavora una donna su due e molte volte quando ha figli rinuncia al lavoro. È un dramma che non ci possiamo permettere, è un dato catastrofico del nostro paese”. Secondo il presidente di Federmanager occorre dare un “supporto di welfare alle donne” altrimenti non ci sono “donne nei posti di vertice, cioè governance miste che servono per mandare avanti bene le aziende, e nello stesso tempo perdiamo anche un’altra occasione perché se non ci sono situazioni di welfare giusto non ci sono nascite”. La donna è quindi “centrale”: “Questo è un tema a cui le aziende e le istituzioni devono dare la preferenza assoluta”, ha detto.
Inoltre, “abbiamo un Servizio sanitario nazionale eccellente – ha evidenziato – ma ormai serve una sanità integrativa. Su questo si deve lavorare di più con le istituzioni e lo stiamo facendo anche con le parti datoriali, per una defiscalizzazione maggiore degli importi che vengono messi”, ha aggiunto parlando anche di “previdenza integrativa”. “Oggi – ha continuato – abbiamo un attacco fortissimo al ceto medio e al discorso pensionistico e su questo stiamo lavorando come Cida per raccogliere firme e chiedere attenzione alle istituzioni. Il ceto medio era la parte forte di questo paese e oggi si sta impoverendo”.
Per Cuzzilla “il welfare giocherà una partita importante. Fatto bene e defiscalizzato dà un’armonia all’azienda, nello stesso tempo fa sentire coperti per le cose importanti della vita: la parte sanitaria, quella previdenziale e quello che riguarda le donne sul lavoro. Lavoreremo tantissimo per incentivare questo”.
“L’impresa – ha affermato – ha un costo del lavoro troppo alto e i lavoratori prendono stipendi troppo bassi. Questo non è competitivo, non ci dà speranze per il futuro e porta le persone qualificate ad andare in altri lidi. Il discorso ceto medio è anche più grave dal punto di vista sociale”.
“La politica, anche questo governo – ha aggiunto -, ci ha ascoltato però nella prossima finanziaria vogliamo vedere un cambio di rotta. Non si può sempre prendere dagli stessi. L’evasione fiscale è arrivata a livelli fuori misura. Oggi andiamo a prendere i soldi solo dove sono sicuri, sempre in quella fascia. Va fatta una lotta all’evasione seria, un ragionamento di posizione degli stipendi delle persone, un costo del lavoro inferiore, defiscalizzare. Le gare sono europee e internazionali e noi non siamo competitivi perché abbiamo un costo dell’energia e del lavoro troppo alto”.
La percezione nei confronti del manager sta cambiando. “Dal punto di vista imprenditoriale si sta concependo il manager come colui che può portare avanti l’azienda”, ha sottolineato, spiegando che il cambiamento è avvenuto anche dal punto di vista dei lavoratori: “Il manager – ha detto – è una figura importante e anche per i lavoratori sta diventando la figura che può traghettare il nuovo modo di lavorare”.
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2023 positivo o negativo? Sicuramente un anno difficile
ROMA (ITALPRESS) – Sarebbe bello lanciare dalla finestra del Tempo i grandi temi del 2023 come se fossero simboli del vecchio che passa, ma la Storia, ahimè, non tiene conto del nostro calendario festivo. Guerra, inflazione, Europa, intelligenza artificiale, immigrazione, sostenibilità, cambiamento climatico, sono alcune delle parole che ritroveremo anche quando la Befana avrà dato un colpo di scopa alle vacanze. Però siccome è tempo di bilanci proviamo comunque a tirare una linea: è stato un anno positivo o negativo? Diciamo che è stato sicuramente un anno difficile.
Il Napoli ha stra-vinto lo scudetto e i grandi giornali del mondo hanno fatto di De Laurentis un modello di governance contro gli stereotipi del sud. In pochi mesi però il Presidente-demiurgo è al secondo sostituto di Spalletti, mentre i tifosi già si chiedono se devono aspettare altri 33 anni per il prossimo titolo. I colori azzurri, quelli nazionali, si consolano con Sinner, nuovo eroe del tennis e nuovo simbolo del genio nazionale. Non tutti saranno d’accordo ma ha vinto invece il suo campionato Giorgia Meloni, attesa al suo primo anno da Premier da molte sfide e da molti esami di legittimazione.
Chi sarà poi legittimato a farli, questi esami, oltre al popolo sovrano che vota, non si capisce bene, fatto sta che l’ex underdog si è districata con abilità, e in lingua originale, con i grandi della Terra. L’Italia ha un governo stabile, con inevitabili inquietudini, e una premier giovane e credibile. Le opposizioni la criticano su ogni cosa, ma lei è stata pragmatica in economia secondo le regole di quell’Europa con cui abbiamo un dialogo aperto senza genuflessioni. Portiamo a casa i soldi del Pnrr (non era scontato), un dignitoso patto di stabilità, ci siamo invece incartati sul Mes ma una soluzione si potrà trovare dopo il voto per le Europee. Certo i problemi sono tanti, molti italiani stanno male e non si è trovata una quadra strutturale per l’immigrazione, la discussione sul premierato appare piena di insidie e i nostri concittadini credo per ora siano più interessati ai mutui variabili. Al prossimo giro, ovvero tra poche ore nel 2024, Giorgia dovrà decidere tra premiership di paese e leadership di partito, tra l’essere la Thatcher del prossimo decennio o la fustigatrice del pandoro benefico (è comunque della Ferragni la più brutta figura dell’anno).
Un’altra donna è arrivata sulla scena, Elly Schlein è la nuova segretaria del Pd, un’elezione accompagnata da un forte vento di novità sul mondo dei diritti e sul linguaggio politico, ma il campo largo è stato bombardato da Conte e sui temi economici la bussola la tiene Landini.
Scioperi, tanti, a parte, l’economia italiana va bene, lo dicono i numeri, dallo spread alla disoccupazione, e almeno sulla matematica a poche ore dal brindisi non vorrei discutere. Però le nostre imprese hanno bisogno di aiuto, formazione, innovazione, capitale umano, transizione ecologica, tutte sfide che si possono vincere solo con le riforme, dal fisco alla semplificazione, e spendendo in modo intelligente le risorse, ingenti, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (tradurre periodicamente le sigle). Intanto sempre di più quello che succede nel mondo non è mai lontano da noi, l’evolversi della geopolitica mondiale determina ormai le grandi strategie economiche ed energetiche. Abbiamo sperato per tutto l’anno che il convitato di pietra della crisi ucraina, la pace, diventasse una presenza reale di trattative degne di questo nome.
Invece niente, anzi, il 7 ottobre scorso i terroristi di Hamas hanno compiuto un terribile massacro contro la popolazione israeliana. La reazione di un Netanyahu ferito e senza futuro politico è stata durissima, 20.000 morti palestinesi a Gaza e non erano certo tutti miliziani. La guerra, intesa come puzzle di guerre in corso, non si ferma neanche a Natale, lo ha ricordato il Papa in un drammatico Urbi et Orbi. Un monito al mondo e all’anno che verrà.
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Veronesi “La lirica va difesa da chi vuole politicizzarla”
MILANO (ITALPRESS) – “In Italia ancora c’è da fare un grande cambiamento. L’Unesco ha riconosciuto il canto lirico italiano come patrimonio dell’umanità” ma “noi ci troviamo con una classe dirigente musical-culturale che massacra l’opera lirica. Trovo che sia uno scandalo che, per esempio, in Turandot vengano stravolte le scene e riscritta la trama, quando invece è una storia che dovrebbe essere approfondita ed esaltata dal regista”. Lo ha detto Alberto Veronesi, direttore d’orchestra e presidente del comitato delle celebrazioni pucciniane presso la Presidenza del Consiglio, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress.
“La tutela di questo patrimonio – ha continuato – parte dalla classe dirigente del Paese che, dal punto di vista culturale, va cambiata e migliorata. La legge che ha istituito i teatri italiani come enti lirici aveva istituito la figura del direttore artistico come un rinomato musicista. Arrivavi a guidare uno di questi grandi enti lirici finanziati dallo Stato con un curriculum, con una forza, non perchè sei amico del sindaco o perchè sei dello stesso partito. Questa rivoluzione del merito va fatta a maggior ragione oggi, dopo che è stata tolta questa figura negli anni ’90 con la riforma che ha istituito le fondazioni liriche”.
Per Veronesi “è molto importante conoscere la parte economica, cioè avere un vissuto manageriale, però poi ci vuole una distinzione dei due ruoli. Un conto – ha proseguito – è il direttore generale, colui che fa andare bene la struttura per quanto riguarda i conti, un altro è il direttore artistico che deve essere un rinomato musicista”.
A luglio di quest’anno Veronesi, per protesta, ha diretto bendato la Bohème in un allestimento ambientato nel ’68. “Sono riuscito a dirigere, nonostante la benda un pò stretta. L’opera – ha continuato – non ha bisogno di essere vista. Perchè i dirigenti dei teatri sono costretti a politicizzare l’opera? Perchè sono lì per ragioni politiche”. Cosa ha prodotto la protesta? “Tutti cominciano a parlare e porsi il problema del rispetto del testo”, ha spiegato. “Stiamo parlando di autori che sono morti” e “non possono difendersi”. “Oggi – ha aggiunto – c’è questo sport di distruggere”.
Per il direttore d’orchestra occorre, quindi, “riportare il merito a dirigere i teatri”. “I teatri devono tornare a diffondere l’arte musicale – ha evidenziato – e formare i quadri artistici. Queste due cose non vengono più fatte perchè non viene diffusa l’arte musicale ma una sua interpretazione e non vengono più formati i quadri artistici. Gli artisti vengono dall’estero perchè in Italia non c’è più la formazione. Quanti violoncellisti freelance ci sono da Napoli in giù? In tutto il Mezzogiorno sono 11 o 12. Dobbiamo tornare a formare i quadri artistici dando una prospettiva di lavoro. Perchè devi spendere milioni di euro per fare un allestimento che devasta l’opera e non hai i soldi da dare a un’orchestra di giovani del Mezzogiorno italiano? Dobbiamo tornare ai fondamentali. Penso che questo governo guidato da Giorgia Meloni – ha detto – sia un governo che finalmente fa andare il Paese dalla parte giusta perchè non va verso un’ideologizzazione”.
Sul piano politico, Veronesi è un sostenitore di Fratelli d’Italia. “Sono anche iscritto al partito”, ha detto. Però ha anche un passato con il Partito Democratico. “Qualcuno – ha evidenziato – mi ha accusato che seguo il potere. E’ il potere che ha seguito me perchè sono passato a destra quando la sinistra stravinceva dappertutto”.
“Da un punto di vista generale – ha poi affermato – oggi è il centrodestra che porta avanti le istanze dei lavoratori, delle masse, del benessere. La sinistra ormai è elitaria e pensa solo ai diritti dei gay: difende diritti dei gay che ci sono già, è contro il fascismo che non c’è”, ha aggiunto ricordando il loggionista che ha gridato “Viva l’Italia antifascista” al teatro alla Scala. “Quali sono le tue battaglie? Battaglie che non esistono: difendi diritti che già ci sono e sei contro qualcosa che non c’è”, ha affermato.
Nel Paese è in corso una trasformazione culturale. “Quello che sta succedendo adesso è un cambiamento graduale della classe dirigente culturale”, ha detto Veronesi, parlando anche di “rivoluzione del merito”. “E’ una cosa che prenderà un pò di tempo – ha aggiunto – ma che Sangiuliano sta realizzando in maniera determinata. Questo è il futuro di speranza per i tantissimi in Italia che hanno merito, sono bravissimi e hanno grande talento ma non hanno spazio”.
Quali sono gli obiettivi per il prossimo anno? “Ho una tournèe in Giappone – ha spiegato – dove dirigerò La traviata con artisti molto validi. Poi ho una tournèe in Cina dove ci saranno concerti sinfonici incentrati sulla lirica e altri progetti – ha concluso – che riguardano alcune orchestre italiane”.
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Mes, Donzelli “Il Governo pensa all’interesse degli italiani”
ROMA (ITALPRESS) – Dalla festa di Atreju agli obiettivi di governo, dal Pnrr al patto di stabilità. Ne ha parlato Giovanni Donzelli, responsabile nazionale Organizzazione di Fratelli d’Italia, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, da Castel Sant’Angelo, dove si svolge la manifestazione del partito. “Siamo cresciuti – ha detto Donzelli – sia noi che la festa. E’ passato qualche inverno dalla prima edizione del 1998 ad Atreju, ma lo spirito dei ragazzi e dei parlamentari è rimasto lo stesso: cioè quello di voler cambiare il mondo. Ora, però, oltre a volerlo cambiare, dobbiamo anche farlo: ne abbiamo il peso e la responsabilità. Abbiamo la consapevolezza della sfida che stiamo vivendo e cerchiamo di portarla avanti nel migliore dei modi, senza abbandonare la volontà del confronto, che è quello che caratterizza Atreju”.
Donzelli sottolinea quanto siano importanti, per il partito, la comunicazione e il dialogo: soprattutto con chi la pensa diversamente. “Da sempre abbiamo ospitato qualunque personaggio politico che avesse opinioni opposte, perchè solo chi non è forte delle proprie idee teme il confronto. Anzi, ci confrontiamo soprattutto con chi la pensa diversamente perchè ci serve anche per verificare i nostri progetti”.
E arriva così a lanciare una ‘frecciatà, alla leader del Partito democratico Elly Schlein, che ha rifiutato l’invito alla festa di Atreju, dicendo che il “confronto si fa in Parlamento”. “Siamo dispiaciuti che si sia persa questa occasione – ha commentato Donzelli – ma la festa sta andando avanti anche senza la Schlein. Altri leader dell’opposizione, comunque, hanno deciso di venire: ci saranno Carlo Calenda e Matteo Renzi, ma anche molti esponenti del Pd stesso”.
Agganciandosi a questo discorso, Donzelli ha criticato chi tende più a ‘battibeccarè in politica: “Litigare su tutto vuol dire, per me, che non si riesce a trovare una propria identità. Noi, ad esempio, che eravamo all’opposizione col governo Draghi, non eravamo in disaccordo su tutto. Se si cerca lo scontro per forza, significa che non si ha nulla da dire. La sinistra cerca continuamente la delegittimazione dell’avversario, perchè serve per legittimarsi davanti ai proprio elettori”.
Ci sono poi alcune curiosità legate alla manifestazione di Atreju. Innanzitutto, il motto ‘bentornato orgoglio italianò, che “negli ultimi anni si era perso”, secondo Donzelli. “Mentre ora l’Italia sta tornando al centro dell’attenzione geo-politica internazionale, che si confronta con i leader degli altri Paesi con orgoglio e consapevolezza”. E poi c’è la questione Elon Musk, l’ospite a sorpresa della festa, che ha fatto nascere diverse critiche e perplessità: “Ma banalmente vogliamo soltanto confrontarci con un uomo che è capace di immaginarsi il futuro: lo ascolteremo con la stessa attenzione degli altri. E’ un personaggio discusso, con idee forti e lo sappiamo, ma sarà interessante il confronto”.
Si passa poi al futuro, in particolare alle trattative europee del governo. “Finirà tutto nel miglior modo possibile – ha detto sicuro Donzelli – perchè se c’è una possibilità di far finire bene una trattativa quella è Giorgia Meloni. L’Europa ha già valutato che adesso il Pnrr è meglio di come era stato fatto precedentemente: porteremo a casa dei fondi che sennò avremmo perso, dato che erano incanalati in percorsi ‘mortì. Stesso discorso per il patto di stabilità e con eventuali altri casi. Tutto questo perchè finora in Italia non ci abbiamo mai provato, con i governi precedenti che non avevano una legittimazione interna forte, a differenza di quello di oggi”.
Un discorso un pò diverso per il Mes, che il Governo “difficilmente firmerà entro il 31 dicembre. Ma noi – ha aggiunto Donzelli – ci chiediamo a cosa serva uno strumento che tutti dicono di non volere utilizzare. Possiamo provare a fare delle modifiche affinchè esso abbia un senso per utilizzarlo. Se dobbiamo creare uno strumento inutile, perdiamo tempo ed energie. E bisogna anche andare oltre la convinzione che il Mes sia di destra o sinistra. Sono soldi di tutti gli italiani, sacrifici che fanno i cittadini”.
Infine, c’è un caso in particolare su cui si è soffermato Donzelli: quello di Andrea Delmastro, rinviato a giudizio per il caso Cospito. “In quel momento è stato messo in discussione il 41bis, che è ciò che la mafia teme più di tutto. E’ lo strumento che interrompe il legame fra carcere e territorio, serve ad isolare il mafioso ed è ciò che li porta a pentirsi. E’ stato messo in discussione con le pressioni di Cospito che, se fosse stato tolto dal 41bis, si sarebbe arrivati alla stessa soluzione per Messina Denaro: sarebbe un messaggio devastante per la lotta alla mafia. Noi siamo quindi orgogliosi di aver difeso il 41bis e la lotta alla mafia”.
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Abodi “Var aiuti arbitri, Euro2032 non risolve problema stadi”
ROMA (ITALPRESS) – Il futuro dello sport è adesso. Ne è convinto Andrea Abodi, ministro per lo sport e i giovani, che affronta le questioni sul tavolo partendo da Euro 2032, manifestazione che sarà organizzata dall’Italia insieme alla Turchia: “Noi abbiamo bisogno dell’appuntamento. Nel 2026 verranno scelti i 5 stadi che parteciperanno alla manifestazione, ma non è che risolviamo il problema degli stadi italiani con questi Europei”, le sue parole rilasciate in una intervista a Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress. “Anche quelli che non saranno scelti dovranno andare avanti, mi auguro si trovi una mediazione perchè il privato deve essere messo in condizione di intraprendere la propria azione”, sottolinea. E se sul tema della giustizia sportiva il ministro è convinto che la possibile riforma debba renderla “comprensibile, trasparente ed efficace nella tempistica” cercando di “rafforzare l’equa competizione” perchè “non possiamo accettare che qualcuno regoli le sue partite con l’erario e compri un giocatore e che un’altra società che rispetta le regole debba fare delle scelte tecniche”, sul VAR Abodi sottolinea: “E’ del tutto evidente che si prefigurano scenari di intelligenza artificiale che possano sostituire l’arbitro. Io sono per la tecnologia che affianca l’arbitro, un copilota che aiuta il pilota a sbagliare meno”. Chiusura finale, infine, per il tennis con il trionfo dell’Italia in Coppa Davis, una squadra “che può fare tanto anche fuori dall’ambito sportivo”, mentre su Sinner, Abodi ha ricordato come era stato criticato “perchè aveva preso atto delle sue difficoltà fisiche capendo che tirando troppo la corda avrebbe pregiudicato la sua presenza alle Finali Atp e alla Coppa Davis. Quella scelta gli ha dato ragione”, conclude.
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Castelli “Dal Superbonus effetto tossico sulla ricostruzione post-sisma”
ROMA (ITALPRESS) – Il Superbonus “ha prodotto un effetto tossico” sulla ricostruzione post-terremoto “perchè molte imprese si sono orientate verso il 110, lasciando sguarniti i cantieri del sisma”. Lo ha detto Guido Castelli, commissario straordinario di Governo per la ricostruzione post-sisma del 2016, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress.
Un altro effetto negativo del Superbonus è che “quando le imprese sono tornate a occuparsi di sisma”, avevano “i cassetti fiscali pieni e una fragilità economica che ha fatto perdurare questo effetto tossico. E’ stato un delitto non utilizzare quei soldi per la grande emergenza di un Paese in cui un terzo dei Comuni si trova in zone altamente vulnerabili: il Sisma bonus ha assorbito meno del 10% di quei 130 miliardi di costo e invece tutti si sono dati ai cappotti e agli infissi. Quando si verificherà la prossima scossa – che ci sarà, è inutile incrociare le dita o toccare ferro – dovremmo togliere i cappotti pagati dai contribuenti italiani per vedere se ci sono lesioni sugli immobili. Prima di fare i cappotti, bisognava trovare il modo di consolidare le strutture: rischiamo di avere altri disastri perchè si è invertito l’ordine delle priorità”. A che punto è la ricostruzione? “Sono stato chiamato a superare le molte false partenze che hanno afflitto la procedura, che si annunciava già particolarmente complessa: si parla spesso del terremoto, ma in realtà sono stati quattro che si sono susseguiti tra il 24 agosto 2016 e il 18 gennaio del 2017, per oltre 8mila km di cratere”. Il governo ha cercato di “dare un cambio di passo e posso dire che finalmente, dopo 11 mesi, i dati ci dicono che quel cambio di passo c’è stato: a novembre abbiamo fatto il record delle liquidazioni che materialmente stiamo facendo in favore delle imprese che lavorano concretamente nei cantieri, stiamo lavorando senza sosta e abbiamo semplificato molto”, ha spiegato.
Per quanto riguarda gli immobili privati “c’è un problema molto importante: su 50mila pratiche da terremoto che attendevamo, abbiamo avuto 29mila progetti depositati e ancora mancano 20mila progetti. C’è un problema di saturazione della classe tecnica, perchè abbiamo quasi completato la presenza professionale: i tecnici che si stanno applicando sul tema sono appena 4.000, quindi abbiamo un problema di ‘cilindratà. Sto facendo continuamente un appello affinchè siano anche altri i tecnici che si occupino di questa cosa”. Per Castelli “c’era una diffidenza che circondava gli operatori professionali, tante norme si affastellavano: via via abbiamo ‘disincrostatò, dando ai singoli progettisti il compito di prendersi le proprie responsabilità”. E’ necessario ricostruire ma bisogna anche “mantenere il flusso minimo vitale in zone che, anche prima del 24 agosto 2016, erano ‘malconcè dal punto di vista demografico e della vitalità economica: c’è un modello economico e sociale da rivedere”, per questo “abbiamo avuto la possibilità di utilizzare 1,8 miliardi di Fondo complementare al PNR Sisma per stimolare economicamente le imprese. I risultati sono stati davvero soddisfacenti: di fronte a 600 milioni messi in campo per lo stimolo alle imprese, abbiamo avuto richieste per 1,5 miliardi: vuol dire che c’è vita nel cratere”, ha sottolineato.
Il Centro Italia è fatto da piccole e medie imprese, start up giovanili, grandi aziende. “Abbiamo cercato di non escludere nulla: la nostra idea era quella di superare l’idea di un Appennino ‘presepè dove si va anche a passeggiare, ma dove ci sono anche delle realtà industriali importanti, per arrivare fino alle comunità energetiche rinnovabili e a un piano di viabilità che è il presupposto perchè la gente torni a vivere” in questi luoghi. Questo piano, “che serve a far uscire dall’isolamento quel quadrante del Centro Italia, complessivamente cuba 2,7 miliardi: in un anno abbiamo messo a terra 1,1 miliardi, non è poco in un’Italia in cui non si sa spendere”, ha proseguito Castelli. “Questo Centro sta scivolando verso Sud: dobbiamo recuperare la spina dorsale dell’Italia”. E’ uno dei motivi per cui è andato alla Cop28? “Assolutamente. Crisi climatica e crisi demografica sono due facce della stessa medaglia: se ripopoliamo l’Appennino – e questo è uno degli obiettivi impliciti della ricostruzione – creiamo le condizioni” anche per contenere “le 600mila frane attive che ci sono in Italia, attraverso un comportamento che non ha nulla a che fare con la pur necessaria limitazione dell’anidride carbonica: un vigneto trattiene una frana più del bosco, però se non ci sono gli uomini che coltivano la terra poi piangiamo i lutti”. Serve “un atteggiamento pragmatico e non ideologico: l’Italia è fragilissima e anche gli obiettivi di contenimento dell’inquinamento vanno declinati sulle specificità della nostra nazione. Non siamo un atollo del Pacifico, possiamo fare quel che riusciamo con l’elettrico ma è più importante che questo manufatto meraviglioso che si chiama Italia possa indebolirsi sempre di meno”. Quali sono i primi obiettivi per il 2024? “Sicuramente Amatrice: è il posto dove si è più indietro, ci sono tanti problemi. Dopo sette anni ancora troppa gente è fuori dalle proprie case: la bacchetta magica non ce l’ho, però devo dare quello che è possibile per far sì che il vuoto e la desolazione non siano prive di uno sguardo delle istituzioni”.
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Sara Doris “Mio padre Ennio un “mago” che ha aperto nuovi sentieri”
ROMA (ITALPRESS) – Ennio Doris “ha aperto nuovi sentieri, non per percorrerli da solo, ma per aprirli agli altri: la cifra della sua vita è sempre stata la condivisione, tant’è vero che la famiglia si mischiava con l’ambito lavorativo e l’ambito lavorativo si mischiava con la famiglia. Non c’è mai stata distinzione”. È il ritratto che fa di suo padre Sara Doris, vicepresidente di Banca Mediolanum e presidente di Fondazione Mediolanum Onlus e di Fondazione Ennio Doris, intervistata da Claudio Brachino per la rubrica Primo Piano dell’agenzia Italpress, in occasione dell’uscita del suo libro “Ennio, mio padre”, nel quale racconta la storia dell’imprenditore e parla del loro rapporto, i cui diritti “saranno devoluti proprio alla Fondazione Ennio Doris, che si occupa principalmente di sostenere ragazzi con le borse di studio per poter accedere all’università”.
“Da bambina invidiavo i miei compagni di scuola che avevano dei papà con un mestiere ‘semplice’ da descrivere, ad esempio il papà della mia compagna di banco faceva il macellaio. Quando toccò a me parlarne, dissi che il mio papà faceva diventare di più i soldi che uno risparmia. Allora un compagno di classe disse: ‘fa il mago!’…grazie al cielo non mi chiesero come faceva a farli diventare di più, perché sarei stata incapace di spiegarlo”, ha raccontato.
“Ho voluto scrivere questo libro perché mi sono resa conto che quegli insegnamenti che Ennio Doris ha lasciato nella nostra famiglia e nella famiglia Mediolanum continuavano a essere generativi: come figlia, ho assorbito i modi di interpretare la vita e di affrontare ciò che accade. In questi due anni dopo la sua scomparsa, quando avevo qualcosa da risolvere, mi chiedevo ‘come farebbe Ennio Doris?’ e la risposta mi arrivava. Siccome questo succedeva anche in azienda, mi sono detta che la grande eredità valoriale che ci ha lasciato non poteva rimanere confinata tra le mura domestiche di casa nostra o di casa Mediolanum”.
Il libro, infatti, “è un romanzo familiare: l’amore è il nucleo centrale”. Non racconta solo di business, ma ripercorre “la sua vita e i valori della famiglia che ti indicano la rotta e ti fanno mantenere la nave nella direzione della meta che hai stabilito”, ha spiegato Doris.
L’idea dell’uomo ‘al centro’ è qualcosa che Ennio Doris ha capito nel tempo. “Non voleva avere successo perché era bravo a vendere, non si è chiesto ‘cosa posso fare per guadagnare di più’ ma ‘cosa posso fare per essere utile’. Da lì è nata un’avventura molto più grande di quello che lui si era prospettato”, che ha dato vita a Banca Mediolanum, la banca “costruita intorno a te”. Un modo di pensare che Ennio Doris mise in pratica nel crack del 2008 di Lehman Brothers, rimborsando i correntisti. “Papà decise di dimostrare che eravamo veramente diversi, perché quando le cose non vanno bene, tu puoi fare la differenza”. Oggi questo progetto è affidato ai figli, oltre alla ‘testimonial’, mamma Lina.
“A maggio c’è stata la prima convention senza papà: nel 2019 c’era stata l’ultima, a causa della pandemia, e avevamo un grande desiderio di stare tutti insieme. La convention è stata aperta da mia mamma, perché ci siamo resi conto che questa è proprio una famiglia: papà chiamava le persone che lavoravano in Mediolanum ‘i miei ragazzi’ e noi abbiamo sempre sentito Mediolanum come il terzo fratello. Io e Massimo avevamo 12 e 15 anni quando nel 1982 è nata Programma Italia, la società di intermediazione mobiliare: da quella prima convention, abbiamo partecipato sempre a tutte. All’ultima convention, la sua eredità si è sentita molto: mamma è salita sul palco tra gli applausi, sembrava una rockstar. In lei vedevano un pezzo di mio padre, perché è sempre stata molto coinvolta in Mediolanum. Io e Massimo percepiamo molto questo passaggio del testimone: mi piace l’immagine della staffetta dove c’è qualcuno che ha corso prima di te e che ti sta consegnando una cosa, facendo il massimo dello sforzo. Tu prendi il testimone, questa persona si ferma però ti incita ad andare avanti e tu devi fare il tuo pezzo di strada e poi consegnarlo a qualcun altro. Non ti devi voltare indietro: ti volti solo quando lo prendi, poi devi correre con tutta la forza che l’altro ti ha lasciato, sapendo che la strada che devi fare è diversa e che ognuno corre secondo le proprie abilità”, ha spiegato. “Concepisco questa eredità che è stata lasciata a tutti noi – da 150 persone nel 1982, ora siamo più di 10.000 in Europa – come una grande occasione, incontro tante persone che hanno conosciuto papà e in tutte ha lasciato un segno positivo”.
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