ROMA (ITALPRESS) – UnionAlimentari Confapi ha sottoscritto con le organizzazioni sindacali Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil l’accordo di rinnovo per l’adeguamento per gli anni 2020-2024 del Ccnl dei lavoratori dipendenti della piccola e media industria alimentare, scaduto il 30 giugno 2020. L’incontro si è svolto nella sede di Confapi in un clima di confronto positivo, anche se in un momento storico difficile e senza precedenti. L’intesa sarà in vigore fino a ottobre 2024. Oltre ad un incremento pari a 119 euro (sul parametro medio) nell’arco dei 52 mesi di vigenza, che graverà maggiormente sulle aziende nel corso del biennio 2023-2024, si sottolineano fra i suoi aspetti salienti le novità in materia di microflessibilità, la gestione dell’orario di lavoro, le relazioni industriali e la regolamentazione del lavoro agile.
“E’ stato il rinnovo contrattuale più difficile da quando esiste il Ccnl, non solo per le modalità con le quali abbiamo dovuto svolgere la trattativa, ma soprattutto per le tante incertezze economiche – ha dichiarato il Presidente UnionAlimentari Confapi, Giorgio Zubani, dopo aver siglato l’accordo – Difficoltà che sicuramente hanno inciso in modo importante su alcune aziende e di questo ne abbiamo tenuto conto. Gli incrementi sono stati distribuiti in modo tale da consentire alle aziende di riprendersi dalla crisi dei consumi derivante dalla chiusura per moltissimi mesi del canale Ho.Re.Ca.. Inoltre importanti novità in tema di flessibilità. Ringraziamo per questo i rappresentanti della Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per il confronto positivo avuto in questi mesi”.
“Il rinnovo del contratto Unionalimentari-Confapi rappresenta un segnale positivo perchè, in una fase ancora delicata per il paese, garantisce nuove certezze economiche e normative alle oltre 30.000 lavoratrici e lavoratori dipendenti della piccola e media industria alimentare”, ha spiegato il segretario nazionale della Uila Michele Tartaglione.
“L’aumento salariale di 119 euro a regime è una cifra importante che mette soldi freschi in tasca ai lavoratori, permettendo così una ripartenza dei consumi e ridando fiducia alle persone”, prosegue Tartaglione che aggiunge: “l’accordo contiene buoni risultati anche sul versante normativo, a dimostrazione di come le buone relazioni sindacali e il confronto proficuo tra le parti sociali siano la strada giusta da percorrere per trovare le soluzioni migliori per i lavoratori”.
“Un altro risultato da sottolineare”, conclude il segretario nazionale, “è l’ampliamento delle prestazioni fornite dall’ente bilaterale Enfea che, grazie a un recente accordo interconfederale, incrementa il sistema di welfare per le lavoratrici e i lavoratori iscritti”.
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Accordo UnionAlimentari Confapi-sindacati per il rinnovo del contratto
Sardinia Food Awards, Murgia “Coniugare tecnologie e tradizioni”
CAGLIARI (ITALPRESS) – “La Sardegna è una terra ricca di tradizioni millenarie e custode di una cultura agroalimentare d’eccellenza che valorizza i suoi prodotti genuini, sempre più graditi al consumatore in Italia e all’estero. Abbiamo materie prime di elevata qualità, ricette tradizionali, lavorazioni attente e una consolidata esperienza culinaria. La sfida di oggi è quella di coniugare le tecnologie moderne con la qualità e le antiche tradizioni locali. Con l’auspicio che questa manifestazione prosegua con lo stesso successo riscontrato nelle precedenti edizioni, vi ringrazio per l’invito, vi assicuro il mio personale impegno e della Giunta Solinas per supportare nuove e importanti iniziative come quella di oggi”. Così l’assessora regionale dell’agricoltura della Sardegna, Gabriella Murgia, al Sardinia Food Awards, l’evento dedicato alle eccellenze agroalimentari della Sardegna, svoltosi ieri sera al Golf Club Is Molas.
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Export, volano i formaggi italiani nel mondo
ROMA (ITALPRESS) – Secondo le cifre rese note dal CLAL, società di consulenza e servizi per il settore lattiero – caseario, nei primi cinque mesi di quest’anno le esportazioni verso gli USA sono ammontate a 13.635 tonnellate, con un balzo in avanti di oltre il 120% nel solo mese di maggio. L’Italia è il primo esportatore di formaggi sul mercato statunitense. Sempre da gennaio a maggio, l’export verso Australia e Canada ha fatto registrare aumenti che sfiorano il 30% sullo stesso periodo del 2019.
“Per quanto riguarda il mercato canadese, con 2.627 tonnellate esportate, è stato conseguito il miglior risultato dal 2016, che è l’anno precedente all’entrata in vigore del CETA, l’accordo economico e commerciale tra UE e Canada – evidenzia il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti -. Questi dati confermano, una volta di più, che il CETA è vantaggioso per l’agricoltura italiana”.
“Gli accordi commerciali sottoscritti dalla UE sono, in generale, un valido strumento per supportare la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane – sostiene Giansanti – anche per la tutela assicurata alle indicazioni geografiche. Prima del CETA, ad esempio, le denominazioni Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele non potevano essere utilizzate sul mercato canadese”.
“Ora, però, serve un salto di qualità nella politica commerciale della UE nell’ottica della sostenibilità ambientale e della protezione delle risorse naturali”.
“L’Europa deve diventare un modello di riferimento su scala globale – sostiene il presidente di Confagricoltura -. La clausola di reciprocità deve essere inserita negli accordi con i Paesi terzi. In sostanza, il mercato unico può essere aperto soltanto ai prodotti ottenuti con regole compatibili con quelle europee in materia di sicurezza alimentare, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale e benessere degli animali”.
“Dobbiamo, inoltre, cominciare a lavorare per il varo di un sistema di certificazione ambientale dei prodotti agricoli. Per il Made in Italy – conclude Giansanti – sarebbe un riconoscimento aggiuntivo, oltre a quello consolidato e indiscutibile della qualità, per conquistare nuove posizioni sul mercato mondiale”.
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Una moneta dedicata a tortellini e lambrusco
ROMA (ITALPRESS) – I tortellini, un mattarello, uno spicchio di parmigiano con il tipico coltellino, un uovo e un calice di Lambrusco. Dopo la moneta dedicata alla pizza napoletana e alla mozzarella, ecco una delle nuove monete celebrative della Collezione Numismatica 2021, coniata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
La moneta, del valore nominale di 5 euro, con una tiratura di 12.000 esemplari, fa parte della Serie Cultura Enogastronomica Italiana: si tratta di un omaggio all’Emilia-Romagna e alle sue eccellenze enogastronomiche a Roma presso La Serra del Palazzo delle Esposizioni.
Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde e promotore della campagna #NoFakeFood a tutela del Made in Italy, che da Ministro delle Politiche Agricole ha coniato il termine “agropirateria”, ad intendere i casi dei falsi alimentari che rimandano all’italianità dei prodotti, anche associando false indicazioni di origine, ha salutato con soddisfazione questa nuova iniziativa.
L’incontro è avvenuto con la degustazione di un piatto di tortellini e di un calice di Lambrusco, a cui hanno preso parte la Sindaca di Roma, Virginia Raggi, il Presidente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Antonio Palma, la Senatrice Loredana De Petris, impegnata da sempre nella lotta alle agromafie, e lo chef Alessandro Circiello, portavoce nazionale della Federazione Italiana Cuochi.
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In uno studio la dieta del lockdown, tra abitudini e tribù alimentari
ROMA (ITALPRESS) – E’ stato appena pubblicato su ” Nutrients” lo studio, condotto dai ricercatori OERSA (Osservatorio sulle Eccedenze, sui Recuperi e sugli Sprechi Alimentari) del CREA Alimenti e Nutrizione, che elabora i risultati del questionario appositamente messo a punto in pieno lockdown (aprile – maggio 2020), con l’intento di documentare i mutamenti intercorsi nell’alimentazione quotidiana durante la quarantena.
L’applicazione della cluster analysis, ossia una metodica analitica che permette di raggruppare gli individui in gruppi caratteristici è un elemento di novità che, rispetto ad altri studi simili, condotti nello stesso periodo, ha permesso di identificare 4 gruppi, in base agli andamenti dei consumi durante il lockdown paragonati a quelli abituali: gli “usual eaters”(51,4%), che non hanno modificato le loro abitudini, seguiti dai “more eaters”(41,4%) che, al contrario, hanno incrementato i consumi di quasi tutte le categorie alimentari investigate; vi sono poi gli “healthy eaters”(26,8%), che, invece, hanno incrementato il consumo di alimenti salutari come legumi, cereali integrali e frutta secca, ma al tempo stesso anche quello di dolci-; chiudono, infine, i “less eaters”(7,5%), caratterizzati da coloro che hanno ridotto i consumi.
La relazione dei 4 gruppi con diverse variabili, ha permesso di sottolineare che chi possiede un’elevata aderenza alla Dieta Mediterranea ha continuato a migliorare le proprie abitudini alimentari anche durante il lockdown, mentre chi ha un’aderenza bassa non ha apportato miglioramenti. Nel periodo analizzato inoltre, si sono manifestate difficoltà socio-economiche, soprattutto tra i gruppi più vulnerabili come gli anziani. D’altra parte, però, due aspetti positivi sono emersi in tutti i 4 gruppi: maggior tempo speso a consumare i pasti insieme alla famiglia (circa nel 50% dei casi) e marcata attenzione al tema dello spreco alimentare (circa 80%).
Durante il lockdown, una parte degli intervistati sembra aver seguito adeguatamente le raccomandazioni degli esperti aumentando il consumo di frutta (24,5%), verdura (28,5%), legumi (22,1%), frutta secca (12%) e pesce (14%). Contemporaneamente però è aumentato il consumo di comfort food (22,7%) e dolci (36,9%) che insieme ad un’attività fisica non adeguata -più della metà degli intervistati infatti non ha praticato alcun tipo di attività o ne ha fatta meno di quanto indicato dalle raccomandazioni-, potrebbe essere stata la causa di un aumento di peso da parte di un gran numero di intervistati (circa 35%).
Hanno risposto 2768 persone, provenienti da tutte le regioni di Italia, di cui il 52 % costituito da femmine e il 48% da maschi. L’82% vive in famiglia e, di questi, il 20 % con bambini di meno di 12 anni, mentre l’16% vive da solo. La fascia di età più rappresentata è quella di 30-49 (32%) e 50-69 (33%) anni. I giovani tra i 18 e i 29 anni sono il 15%. Gli intervistati sono caratterizzati da un elevato livello di istruzione – il 69% è laureato e il 27% diplomato – e da una scarsa aderenza alla dieta mediterranea per il 62%.
“Nonostante una parte degli intervistati abbia seguito le raccomandazioni per mantenere abitudini alimentari e stili di vita sani, rispondendo dunque positivamente a questa situazione emergenziale – afferma la coordinatrice dello studio Laura Rossi, ricercatrice del CREA Alimenti e Nutrizione – un’altrettanta parte non vi si è conformata adeguatamente, portando ad esacerbare condizioni presenti in Italia già prima del lockdown, come l’alta prevalenza di individui con sovrappeso o obesità e la scarsa aderenza alla Dieta Mediterranea”.
“Inoltre – conclude Federica Grant autore principale dello studio – considerando che la pandemia è ancora in corso, queste evidenze dovrebbero essere il punto di partenza per la formulazione di future raccomandazioni e linee guida”.
(ITALPRESS).
Giansanti “Piano a 10 anni per agricoltura più forte e sostenibile”
ROMA (ITALPRESS) – “Bisogna fare un piano dell’agricoltura almeno a 10 anni in cui l’obiettivo è produrre di più e produrre in modo sostenibile preservando le risorse naturali. Questo si può fare attraverso l’innovazione. Le imprese agricole sono pronte ad investire, per aumentare il contributo alla lotta contro il cambiamento climatico e per accrescere la sostenibilità ambientale”. Lo ha detto il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, nella sua relazione alla 101esima Assemblea della confederazione dove erano presenti il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. “Gli obiettivi, però, vanno raggiunti puntando sulle innovazioni, non solo con i divieti – ha detto Giansanti – Una risposta deve arrivare dalla puntuale e piena applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha nella transizione ecologica un punto fondamentale. E’ però necessario che il contributo richiesto al nostro settore non venga inquadrato solo in termini restrittivi”.
(ITALPRESS) – (SEGUE).
“Va preso in considerazione anche l’apporto già assicurato alla lotta al cambiamento climatico – ha spiegato Giansanti – Dalle energie rinnovabili, al trattenimento del carbonio che si ottiene con alcune colture e con la forestazione. Quest’ultimo è un contributo che può essere valorizzato anche in termini di reddito per gli agricoltori, all’interno di appositi accordi di programma. I problemi posti dal cambiamento climatico hanno una dimensione globale e l’Unione europea incide per meno del 10% sulle emissioni totali di CO2. Il nostro modello deve essere preso come un punto di riferimento”. Parlando della Pac, Giansanti ha poi sottolineato che si tratta di una questione di “fondamentale importanza per il futuro dell’agricoltura, la Pac che entrerà in vigore nel 2023, ma per la quale già entro la fine di quest’anno gli Stati membri dovranno inviare alla Commissione europea i programmi strategici nazionali. Una novità assoluta, in quanto dovranno contenere sia le scelte sui pagamenti diretti, sia i programmi di sviluppo rurale a livello regionale”.
“Abbiamo espresso e motivato le nostre riserve sull’accordo che è stato raggiunto – ha evidenziato Giansanti – Ora c’è molto lavoro da fare e in tempi stretti. Nella fase di redazione del piano strategico puntiamo a risolvere i problemi posti esistenti, con particolare riferimento agli aiuti diretti che devono continuare ad essere una rete minima di sicurezza per i redditi degli agricoltori. Fatte le debite proporzioni, per il nostro settore il piano strategico per la nuova Pac ha la stessa valenza del Recovery Plan per l’economia italiana. Non possiamo sbagliare e va privilegiata la spesa effettivamente produttiva”. Per il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, “l’agricoltura ha delle grandi sfide che possono rappresentare anche delle occasioni per innovarsi mantenendo alto il valore delle nostre tradizioni e le produzioni. Abbiamo le risorse economiche per farlo, abbiamo la grande voglia dei produttori di essere presenti sul mercato internazionale. Serve quanto abbiamo previsto nel fondo complementare: 1,2 miliardi per i contratti di filiera”.
“Va monitorato e gestito il trasferimento del valore aggiunto della filiera – ha proseguito Patuanelli – perchè è evidente che c’è una distonia tra quanto rimane al produttore e quanto va al resto della filiera, ci sono interi settori che per una serie di ragioni hanno avuto un aumento dei costi di produzione e un abbassamento del prezzo del prodotto, questo non è accettabile. Penso che il contratto di filiera sia lo strumento migliore con cui gestire il trasferimento del valore aggiunto nella filiera”. Per il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, la filiera agrifood è “una eccellenza italiana sulla quale dobbiamo investire, anche per dare un miglioramento dal punto di vista dell’impatto ambientale che sia importante. L’agricoltura riveste due fondamentali, è una delle filiere di massima eccellenza del Paese, noi abbiamo dei prodotti eccellenti e credo sia fondamentale avere dei prodotti che oltre ad essere molto buoni hanno un background tecnologico formidabile”.
“Ma l’agricoltura è anche uno dei settori che impatta esattamente ed è giusto che sia sempre incentivata ed aiutata a diventare sostenibile, ma in Italia siamo molto meglio degli altri – ha concluso Cingolani – Il miglioramento tecnologico è al servizio di una tradizione millenaria e non può che migliorare la qualità del prodotto, sono compatibili e siamo uno dei pochi paesi al mondo che può mettere insieme tecnologia e tradizione di alto livello”.
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Agrobiodiversità, 790mila euro per razze e varietà a rischio in Toscana
FIRENZE (ITALPRESS) – Coltivatori custodi, banche del germoplasma vegetale e animale, un’anagrafe nazionale della biodiversità: sono queste le colonne di una squadra vera e propria impegnata a 360 gradi a far vincere l’agrobiodiversità in Toscana con il suo prezioso patrimonio di razze animali e vegetali a rischio estinzione.
Una storia che viene raccontata bene nell’ultima relazione a consuntivo delle attività svolte nel 2020 portata in giunta dalla vicepresidente e assessora all’agroalimentare Stefania Saccardi che ha sottolineato la qualità di un sistema regionale che, nonostante l’emergenza pandemica, in un anno ha permesso in totale di finanziare oltre 790mila euro.
Risorse così divise: – 281mila euro per sostenere le aziende agricole nell’allevamento di 20 razze animali autoctone a rischio di estinzione; – 46mila euro per sostenere le aziende agricole nella coltivazione di varietà locali a rischio di estinzione la cui semente è rientrata in commercio come varietà da conservazione (32 in tutto)
– 375mila euro, tramite Terre Regionali Toscane, per i coltivatori custodi, per le banche del germoplasma vegetale e animali, per la Rete di conservazione e sicurezza e i progetti di recupero, caratterizzazione, conservazione e valorizzazione delle risorse genetiche vegetali a rischio di estinzione;
– 83mila euro per programmi di animazione nelle Scuole superiori di secondo grado, ad indirizzo agrario della Toscana, per sensibilizzare i giovanissimi nei confronti della tutela dell’agrobiodiversità e finanziare un sistema di Comunità del cibo di interesse agricolo e alimentare.
“A sedici anni dall’emanazione della legge regionale sulla tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali a rischio di estinzione della Toscana – ha detto la vicepresidente Saccardi – possiamo dire di avere un bilancio positivo. Il sistema regionale attivato nel 2004 che si calava, rafforzandolo, in un sistema già presente istituito nel 1997 dalla legge 50 sulla tutela delle risorse genetiche autoctone toscane, prima legge in Italia sul tema, mostra ancora i suoi effetti e ne propone altri per possibili interessanti evoluzioni future sul tema dell’agrobiodiversità anche in vista della prossima programmazione del piano di sviluppo rurale. Significativo in questo settore è il numero crescente di giovani imprenditori che decidono di dedicarsi alla tutela dell’agrobiodiversità, che con le loro idee coniugano tradizione e innovazione, che lanciano un grande segnale di speranza per il futuro”.
Il risultato fa contare in Toscana la presenza di 758 risorse genetiche locali a rischio di estinzione di cui 732 già iscritte nell’Anagrafe nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare (L. 194/2015); 9 banche del germoplasma vegetale e una di germoplasma animale del sistema regionale toscano; 192 coltivatori custodi dislocati su tutto il territorio regionale, 152 dei quali già riconosciuti a livello nazionale; 137 iscritti alla Rete di conservazione e sicurezza come altri soggetti rispetto ai coltivatori custodi e alle banche del germoplasma, interessati a vario titolo alla conservazione e alla valorizzazione delle varietà vegetali locali a rischio di estinzione per un totale di 339 soggetti componenti la Rete, gestita, coordinata e animata per conto della Regione, dall’ente Terre Regionali Toscane.
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Il “Wine & Spirits” italiano sfida i mercati internazionali
ROMA (ITALPRESS) – Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero). L’ebit margin ha riportato una lieve contrazione arretrando al 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019. L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. E’ quanto emerge dal primo report congiunto sul settore vino & spirits italiano, dedicato all’analisi dei mercati domestici e internazionali e allo studio delle dinamiche socio-culturali di consumo, realizzato da Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di SACE e Ipsos.
L’evento di presentazione del report è stato un momento importante di confronto tra Istituzioni, aziende della filiera, produttori e rappresentanti del settore. Nel talk di apertura Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi di Mediobanca, Alessandro Terzulli, Chief Economist di SACE ed Enzo Risso, Direttore Scientifico di Ipsos hanno approfondito i principali risultati dell’indagine. Tra i relatori dell’evento anche Marco Magnocavallo, CEO e Co-Founder di Tannico; Roberto Castagner, CEO Acquavite S.p.A.; Alessandro Mutinelli, Chairman and CEO IWB; Luca Giavi, Direttore Generale di Consorzio di Tutela Prosecco DOC; Nadia Zenato, Owner Zenato Azienda vitivinicola; Giovanni Mantovani, Direttore Generale Veronafiere S.p.A.; Gianni Bruno, Exhibition Manager Wine & Food Vinitaly; Simonetta Acri, Chief Mid-Market Officer di SACE.
I vini frizzanti hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%. Il canale GDO ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%), quello Ho.Re.Ca. si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).
L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria. Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato; quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.
Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%; tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato. Infine, il 2020 ha portato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.
I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.
Vino e Spirits: propensione al consumo internazionale
La mappa mondiale della propensione al consumo di vino e di spirits rivela che il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del mondo (Canada e Svezia). La Cina emerge come un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più problematico l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits.
Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli USA e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili. Discorso a parte per il Regno Unito: crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano: Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22. Una curiosità: il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’UE che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.
Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits. Il 2020 ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1% del totale), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%).
Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in UK (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%). Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale. Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).
Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore. Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice, nel 2020, di vini è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino. Nell’anno della pandemia il Veneto ha subìto un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell’Umbria (-24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%). In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale. Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta.
Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.
La leadership di vendite nel 2020 è appannaggio del gruppo Cantine Riunite-GIV, con fatturato a 581 milioni di euro (-4,4% sul 2019), nettamente distanziato dalla seconda posizione ricoperta da un’altra cooperativa, la romagnola Caviro, il cui fatturato è cresciuto del 10%, avvicinandosi ai 362 milioni di euro. Completa il podio la veneta Casa Vinicola Botter (230 milioni, +6,4%). Seguono altre cinque aziende con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la toscana Antinori, il cui fatturato 2020 pari a 215 milioni di euro ha subìto un calo del 12,5%, la trentina Cavit (fatturato 2020 pari a 210 milioni di euro, +9,6% sul 2019), le piemontesi Fratelli Martini (208 milioni di euro, +1,1% sul 2019), IWB (204 milioni, +29,7%) e la veneta Enoitalia che ha realizzato una crescita del +0,8%, portandosi a 201 milioni di euro. In merito ai maggiori incrementi di fatturato nel 2020, IWB domina la scena con un +29,7% che la colloca davanti alla Contri Spumanti con un +13,8%, a Caviro e Mondodelvino, appaiate a +10%, a Cavit (+9,6%) e La Marca (+8,7%), per chiudere con il +6,4% di Botter e il +5,7% di Schenk Italia.
Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2020 vede in testa le società toscane e venete: Antinori (26%), Frescobaldi (24,5%) e Santa Margherita (24,2%). La recente acquisizione di IWB su Enoitalia forma un player da circa 405 milioni di euro che sarebbe secondo in Italia nel 2020. Le attività del fondo Clessidra (Botter e Mondodelvino) ammontano a circa 353 milioni e ne farebbero il quarto produttore italiano nel 2020, dietro Caviro.
La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti: il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella GDO si è ridotto al 52%. La GDO rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati. Gli italiani che non si sono mai rivolti a un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è in calo dal 48% prepandemico, al 42% attuale. L’aumento degli acquisti in enoteca ha coinvolto, in primis, l’universo femminile (con un decremento dei non frequentatori dell’8% (dal 52% ante Covid al 44% del 2021), ma ha toccato tutti i segmenti della società, con riduzioni del 5% tra i Millennials, del 6% nella Generazione X e tra i Baby Boomers.
Sono in aumento anche gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%. L’acquisto online è la stella dell’ultimo anno. L’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore: prima del lockdown il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online dai siti di una cantina, oggi la quota è scesa di sette punti (64%). Inoltre, la percentuale di persone che prima del Covid non aveva mai fatto ricorso al sito e-commerce o all’offerta online di una enoteca era del 74%, oggi la percentuale è scesa al 69%.
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