Agroalimentare

Nel primo trimestre l’export agroalimentare supera 6 mld

MILANO/PAVIA (ITALPRESS) – E’ stato pubblicato il Monitor dei distretti agro-alimentari italiani al primo trimestre 2022, curato dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo. Nonostante il contesto difficile, tra costi energetici in aumento, difficoltà di reperimento di materie prime e problemi nella logistica, le esportazioni dei distretti agro-alimentari italiani hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti anche nel 1° trimestre del 2022. Dopo il massimo storico del 2021 (22,6 miliardi di euro, +9,2% rispetto al 2020), i primi tre mesi del 2022 registrano un ulteriore balzo in avanti, con oltre 6 miliardi di export, 811 milioni in più rispetto allo stesso periodo del 2021 (+15,4%) e oltre 1,2 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2019. L’evoluzione dei distretti riflette quella dell’export agro-alimentare italiano nel suo complesso, che già lo scorso anno aveva superato i 50 miliardi di euro e che segna, nel 1° trimestre del 2022, una crescita del 18,9%. Il risultato risente in parte della dinamica inflattiva: l’indice dei prezzi praticati sul mercato estero dei prodotti alimentari italiani è cresciuto infatti nel 1° trimestre del 2022 dell’8,5% rispetto allo stesso periodo del 2021, con punte del 18,5% per oli e grassi e del 13,9% per le carni, mentre per le bevande l’incremento è stato più contenuto (+2,7%). All’alba della nuova crisi geopolitica, tutte le filiere si erano lasciate alle spalle la pandemia, anche quelle che erano rimaste più indietro perchè legate al mondo della ristorazione, come l’ittico. Questi importanti risultati devono fare oggi i conti con nuove tensioni causate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e speculativo, anche a causa dell’alto grado di dipendenza dall’estero dell’agro-alimentare italiano per molti approvvigionamenti critici. “Le esportazioni agroalimentari del primo trimestre sono cresciute a ritmi sostenuti nonostante le difficoltà legate sia allo scenario geopolitico sia ai fattori ambientali, in primis il lungo periodo di siccità – ha sottolineato Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo – Una conferma del valore che questo settore rappresenta per il nostro Paese, un comparto a cui Intesa Sanpaolo rivolge particolare attenzione con misure straordinarie come il plafond da 100 milioni per le aziende di aree colpite dalla siccità ed il supporto ai fabbisogni di liquidità legati all’aumento dei costi energetici e delle materie prime. Si aggiungono misure strutturali come il plafond dedicato da 3 miliardi di euro in accordo con Coldiretti, che ha tra i suoi obiettivi il sostegno alle iniziative del Pnrr e un grande impegno alla promozione degli investimenti green e digitali”. “Infine – aggiunge – non dimentichiamo l’importanza che distretti e filiere hanno nel garantire la qualità dei nostri prodotti e la sostenibilità anche territoriale delle catene del valore. Da questo punto di vista, Intesa Sanpaolo ha già avviato 170 contratti di filiera che hanno coinvolto oltre 6.500 fornitori, un giro d’affari complessivo di oltre 22 miliardi di euro e oltre 22.000 dipendenti del capo-filiera”.
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Mercato della frutta sconta aumento di energia e materie prime

ROMA (ITALPRESS) – Malgrado il grande caldo, che spingerebbe il consumo di frutta, ricca di acqua e di vitamine, il mercato è lento e sconta l’aumento dei prezzi di energia e materie prime, riducendo all’osso i margini dei produttori agricoli.
“Irrigazione, gasolio agricolo, energia per le celle frigorifere, carburante, fertilizzanti, materiale per il confezionamento e l’imballaggio. Tutto è aumentato – spiega Michele Ponso, presidente della Federazione nazionale frutticoltura di Confagricoltura-. Siamo in preda di un mix esplosivo. Al crollo del potere di acquisto dei consumatori si è aggiunta l’impennata dei costi di produzione. L’aumento dell’energia elettrica ha raddoppiato i prezzi per le celle frigorifere portando le bollette a 100 mila euro al mese. Mandare un camion in Germania prima costava 2.500 euro di gasolio, ora 4.000, senza dimenticare le elevate spese che sosteniamo per l’irrigazione. Intendiamoci – precisa – se i prezzi di vendita fossero riferiti all’anno scorso, il 2022 sarebbe giudicata un’ottima annata, ma gli aumenti esponenziali delle spese hanno ridotto i margini di oltre il 30%”. A causa dell’anomala e prolungata ondata siccitosa, sottolinea Confagricoltura, la parola d’ordine per i frutticoltori è stata diradare di più, per avere frutti più grandi e più resistenti. “Buoni i risultati per pesche e nettarine, anche se con l’avvicinarsi delle ferie preoccupa il rallentamento nei consumi. Discreta l’annata anche per i piccoli frutti, nonostante le perdite dovute alle temperature eccessive del mese di giugno. Si prospetta – conclude Michele Ponso – un’ottima produzione in termini qualitativi e quantitativi per mele e pere, ma l’incognita resta l’autunno e il panorama globale tra confitto ed inflazione”. “Aria calda, mercato fermo”. Sintetizza così, Massimiliano del Core, presidente della Organizzazione Interprofessionale dell’ortofrutta italiana, la situazione del comparto e aggiunge: “Dopo l’ottima partenza delle angurie sui mercati Nord europei, assistiamo ad un rallentamento. Bene le pesche e le albicocche, malgrado queste ultime siano un frutto delicato, che sconta la finestra stagionale stretta. La frutta presenta un ottimo grado zuccherino. Per l’uva da tavola – continua Del Core – l’incertezza sui mercati rende fredda la campagna, nonostante la qualità e le buone caratteristiche organolettiche. Resta sostenuta la domanda di prodotto di Club (uva e angurie) senza semi. Siamo ottimisti per l’uva da tavola, il periodo clue sarà dopo Ferragosto e si protrarrà fino a settembre-ottobre”.
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Cresce la produzione di Parmigiano Reggiano in Montagna

REGGIO EMILIA (ITALPRESS) – Grazie a una politica di rilancio articolata in importanti interventi, il Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP ha stimolato la produzione del Parmigiano Reggiano in Montagna, invertendo una tendenza alla decrescita che aveva colpito il comparto fino al 2014. Infatti nel decennio 2000-2010 nei territori di montagna dell’area di produzione si è assistito alla chiusura di 60 caseifici, con una riduzione del 10% di produzione del latte. Deficit che è stato azzerato dal 2014 a oggi grazie all’avvio del Piano di Regolazione offerta, che, tra le altre misure, ha previsto sconti specifici per i produttori e i caseifici ubicati in zone di montagna e il bacino “montagna” per le quote latte. Secondo i dati forniti dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, tra il 2016 e il 2021 la produzione di forme di Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna è aumentata del 12% rispetto al 2014. Crescita a doppia cifra (+15%) anche per la produzione di latte, sempre nello stesso periodo.
“La produzione nelle zone di Montagna è una delle caratteristiche del Parmigiano Reggiano da sempre – ha sottolineato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio – Nella dorsale appenninica da Bologna, a Modena, a Reggio Emilia a Parma, si realizza circa il 20% della produzione. Le aree di montagna da un lato soffrono di condizioni svantaggiate e maggiori costi di produzione, ma dall’altro la permanenza di una solida produzione agricola -zootecnica in questo territorio rappresenta un pilastro economico e sociale di interesse di tutta la comunità locale. Ecco perchè – ha aggiunto – è fondamentale che il Consorzio abbia messo in campo interventi che mirano alla diffusione e valorizzazione del Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna, e che continui a farlo anche nei prossimi anni a venire”. Il Parmigiano Reggiano, infatti, continua a essere il più importante prodotto DOP ottenuto in montagna: basti pensare che nel 2021 oltre il 20% della produzione totale della DOP, circa 850.000 forme, si è concentrata negli oltre 87 caseifici di Montagna sparsi tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna. Sono 915 gli allevatori coinvolti, per una produzione annuale di 4,35 milioni di quintali di latte. Altro segnale positivo è rappresentato dai cambiamenti generazionali all’interno dei caseifici e nelle comunità di territorio: l’età media dei produttori si va abbassando dai 57 anni di media ai 30-40 di oggi.
I prossimi risultati a cui mira il Consorzio sono sostenere il valore aggiunto del formaggio prodotto in montagna e il suo consolidamento commerciale. Obiettivi da raggiungere grazie al “Progetto Territorio Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna” che definisce oltre a quanto già previsto dai Regolamenti comunitari legati all’origine, una valutazione di qualità aggiuntiva da effettuarsi al ventiquattresimo mese di stagionatura. Per Guglielmo Garagnani, vicepresidente del Consorzio, “preso atto dei risultati raggiunti con il consolidamento della produzione nelle zone di montagna, ora la sfida è riuscire a rafforzare il valore commerciale del Parmigiano Reggiano di Montagna per avere un posizionamento nel mercato che riesca a rendere sostenibile tale produzione nel tempo”. Le attività di promozione del Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna trovano sostegno tra le comunità del territorio di produzione, come nel caso della Fiera del Parmigiano Reggiano di Casina, comune dell’Appennino reggiano che propone questa iniziativa giunta alla 56ma edizione. Un appuntamento molto atteso è quello di lunedì 8 agosto, quando è prevista la 10^ edizione del Palio Città di Casina: verrà premiato il miglior Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna dell’annata.
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Agrinsieme contraria alla vendita di olio d’oliva sfuso

ROMA (ITALPRESS) – Agrinsieme, coordinamento che riunisce Cia – Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari – ha scritto al ministero della Politiche Agricole affinchè si adoperi a respingere con forza la proposta della Commissione Ue di autorizzare la vendita di olio d’oliva sfuso su base volontaria. Il Coordinamento spiega che tale ipotesi, che prevede la modifica del Regolamento di esecuzione 29/2012, comporterebbe seri rischi di sicurezza, di mercato, di reputazione e di frode. Per Agrinsieme il primo rischio riguarda la qualità dell’olio d’oliva e la sicurezza sanitaria per il consumatore, che sarebbero compromesse dalla commercializzazione del prodotto in bottiglie aperte e riutilizzabili. Modalità che non darebbero alcuna garanzia neanche sul rispetto delle norme igieniche.
La proposta della Commissione Ue aumenterebbe anche il rischio di frodi, poichè risulterebbe molto difficile, se non impossibile, monitorare la qualità dell’olio d’oliva rimanente nel contenitore dopo la sua apertura. A essere compromessa sarebbe poi la trasparenza nei confronti dei consumatori, che non avrebbero garanzie sulla corrispondenza tra quanto indicato in etichetta e quanto contenuto nella bottiglia riempita. Tutto ciò – specifica Agrinsieme nella missiva al Mipaaf – vanificherebbe gli sforzi degli operatori del settore che nel corso degli anni hanno lavorato duramente per garantire la qualità dell’olio d’oliva immesso sul mercato e investito nella sensibilizzazione su qualità e valori nutrizionali di questo prodotto di eccellenza e simbolo della dieta mediterranea. Se venisse autorizzata la vendita di olio sfuso su base volontaria, verrebbero annullati molti di questi risultati e si andrebbe incontro ad una distorsione della concorrenza interna nel mercato unico.
In ogni caso, per Agrinsieme, l’autorizzazione alla vendita di prodotti sfusi su base volontaria non risponderebbe, come auspicato dalla Commissione, alle preoccupazioni dei consumatori in materia di sostenibilità ambientale: la vendita di prodotti sfusi al dettaglio, infatti, non riduce, nè elimina, l’impatto ambientale dell’imballaggio, poichè il prodotto dovrebbe essere comunque riconfezionato in contenitori nei negozi. Tali contenitori non offrirebbero lo stesso livello di garanzie igieniche degli imballaggi standardizzati, visto che non sarebbero soggetti a controlli obbligatori di conformità alle normative ambientali. Agrinsieme chiede quindi con forza il sostegno dell’amministrazione italiana sul mantenimento dell’obbligo di imbottigliamento per l’olio d’oliva, per non metterne a rischio sicurezza, qualità e reputazione, nonchè per il bene dei produttori e dei consumatori.
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Barilla, continua a crescere l’impegno per la sostenibilità

PARMA (ITALPRESS) – Nel 2021 il Gruppo Barilla continuato ad investire per migliorare pasta, sughi e prodotti da forno (488 i prodotti riformulati e migliorati dal 2010, 55 quelli lanciati nel 2021), innovare e ridurre l’impatto dei processi produttivi in termini di emissioni di CO2, energia e consumi idrici, promuovere filiere sostenibili e progettare gli imballi affinchè possano essere riciclati. Ha inoltre donato 12 milioni di euro e circa 2.700 tonnellate di prodotti. Sono alcuni highlights del nuovo Rapporto di sostenibilità del Gruppo Barilla pubblicato sul sito Barillagroup.com.
Il perchè di questo approccio è racchiuso nella frase “La gioia del cibo per una vita migliore”: un concetto che va oltre il buon cibo, parla di felicità e benessere olistico delle persone, e soprattutto parte dal gusto.
“Vogliamo portare la gioia attraverso i prodotti che offriamo ai consumatori, attraverso la gastronomia, la convivialità, contribuendo a migliorare la vita di coloro che scelgono i nostri prodotti e il mondo che ci circonda – afferma Claudio Colzani AD del Gruppo Barilla -. E’ un percorso che ci porterà nei prossimi mesi a definire obiettivi chiari e misurabili per uno sviluppo sostenibile. Continueremo a investire nelle nostre filiere introducendo principii di agricoltura rigenerativa, a ridurre ulteriormente il nostro impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 e consumo di acqua e a realizzare confezioni riciclabili”.
Dal Rapporto di sostenibilità Barilla emerge che prodotti e processi sono sempre più innovativi e attenti all’ambiente. In generale, rispetto al 2010, calano del 31% le emissioni di gas a effetto serra e del 18% i consumi idrici per tonnellata prodotto finito. Immaginando di realizzare la produzione di cibo
del 2021 negli impianti del 2010, la differenza in termini di efficienza energetica sarebbe di 128 milioni di kg di CO2 e 555 mila metri cubi di acqua. Grazie agli investimenti realizzati sono state tagliate in poco più di 10 anni emissioni equivalenti a 7 viaggi in macchina tra la Terra e il Sole e un quantitativo di acqua sufficiente a riempire 222 piscine olimpiche.
E ancora, il 64% dell’energia elettrica acquistata proviene da fonti rinnovabili con certificati di Garanzia d’Origine e oltre il 91% dei rifiuti prodotti è stato avviato a riciclo e recupero
energetico. Oggi il 95% dei prodotti del Gruppo Barilla è a basso impatto ambientale.

Foto: Ufficio Stampa Gruppo Barilla

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“Caseifici aperti” per imparare i segreti del Parmigiano Reggiano Dop

ROMA (ITALPRESS) – Dopo l’iniziativa di maggio, a distanza di pochi mesi i caseifici riaprono le porte al pubblico. Sabato 1 e domenica 2 ottobre torna “Caseifici Aperti” promosso dal Consorzio del Parmigiano Reggiano: l’appuntamento che offrirà a tutti – dai foodies e appassionati ai curiosi, grandi e bambini – la possibilità di partecipare e immergersi nella produzione del Parmigiano Reggiano Dop. L’iniziativa coinvolge tutte le province della Zona di Origine del Parmigiano Reggiano Dop: Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna alla sinistra del fiume Reno e Mantova alla destra del Po. Lo scopo di Caseifici Aperti e dell’accoglienza turistica nei caseifici è quello di contribuire a generare una relazione con i turisti che transitano nel territorio e che possa continuare anche dopo la visita, offrendo la possibilità di acquistare e ricevere il Parmigiano Reggiano direttamente a casa attraverso il portale https://shop.parmigianoreggiano.com/. Visite guidate al caseificio e al magazzino di stagionatura, spacci aperti, eventi per bambini e degustazioni, uniti alla passione dei casari offriranno la possibilità di vivere un’esperienza unica: un viaggio alla scoperta della zona d’origine del Parmigiano Reggiano, delle sue terre ricche di storia, arte e cultura. Assistere alla nascita della forma, passeggiare nei suggestivi magazzini di stagionatura, acquistare il formaggio direttamente dalle mani di chi lo crea: tutte esperienze uniche che il visitatore potrà vivere in un autentico viaggio nel tempo alla scoperta del metodo di lavorazione artigianale, rimasto pressochè immutato da oltre nove secoli. Il Parmigiano Reggiano, infatti, si produce oggi con gli stessi ingredienti di mille anni fa (latte crudo, sale e caglio), con immutata cura artigianale, grazie alla scelta di conservare una produzione del tutto naturale, senza l’uso di foraggi fermentati e di additivi. “Dopo anni difficili si ritorna a una estate che appare in grande ripresa – sottolinea Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Dop – L’antica e suggestiva tecnica di produzione del nostro formaggio, combinata agli innovativi strumenti che il Consorzio mette a disposizione dei visitatori per prenotare le visite nei caseifici, costituiscono un volano per il turismo enogastronomico e per la fidelizzazione delle comunità al nostro territorio”. Quest’anno Caseifici Aperti è in calendario nell’ultimo weekend di Settembre Gastronomico, la manifestazione (dal 2 settembre al 2 ottobre) promossa dalla Fondazione Parma Unesco City of Gastronomy, in collaborazione con il Comune di Parma, che promuove la cultura del cibo attraverso un ricco calendario di eventi. La collaborazione tra il Consorzio del Parmigiano Reggiano e la Fondazione, si propone di fare da volano per la valorizzazione nel mondo della cultura enogastronomica di Parma Food Valley. Per partecipare a Caseifici Aperti basta visitare il sito del Consorzio, parmigianoreggiano.com dove sarà presto pubblicato l’elenco dei Caseifici aderenti, e accedere all’area dedicata dove sono disponibili orari di apertura e attività proposte, a disposizione c’è anche un comodo strumento di geolocalizzazione per individuare il caseificio più vicino.
– Foto ufficio stampa Parmigiano Reggiano –
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Russia e Ucraina firmano l’accordo sul grano

MILANO (ITALPRESS) – Dopo il gas tocca al grano. E’ stato raggiunto l’accordo sul trasporto della produzione dell’Ucraina che segue, ad appena ventiquattrore, la riapertura del Nord Stream 1, il gigantesco tubo che porta il gas russo in Europa. L’intesa sul grano ha un valore simbolico, oltre che economico, importante perchè rappresenta il primo protocollo che Mosca e Kiev firmano dopo l’inizio della guerra. Non a caso alla cerimonia ha partecipato anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.
Non tutto, però, è filato liscio. I rappresentanti di Mosca e Kiev infatti non si sono incontrati evitando la foto ricordo mentre si stringono la mano. L’intesa è stata raggiunta in due fasi. In prima battuta hanno firmato il ministro delle Infrastrutture ucraino Oleksandr Kubrakov e il ministro della Difesa turco Hulusi Akar alla presenza di Antonio Guterres.
Poi è toccato al rappresentante di Mosca. La Russia ritiene che l’accordo sul grano con l’Ucraina sia “importante perchè i canali di approvvigionamento del mercato globale dovrebbero essere sbloccati a causa dell’incombente crisi alimentare”, riporta l’agenzia Tass.
A fare gli onori di casa il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che in questa maniera riafferma la sua centralità come unico mediatore in grado di trovare una soluzione al conflitto.
“Oggi è una giornata storica, siamo fieri del nostro ruolo svolto in questa iniziativa che ha risolto la crisi alimentare mondiale”, ha detto Erdogan, auspincando che si “riapra uno spiraglio per la pace”.
“L’accordo di oggi sul grano è un faro nel Mar Nero”, ha detto il segretario generale dell’Onu, Guterres.
“Con la ripresa delle esportazioni via mare dell’Ucraina, circa 20 milioni di tonnellate di grano potranno essere collocate sui mercati internazionali, con il risultato di ridurre sensibilmente il rischio di una crisi alimentare globale. Adesso valuteremo gli effetti dell’intesa sul mercato, anche alla luce della flessione che le produzioni hanno subito e subiranno a causa della siccità”, commenta il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.

– foto agenziafotogramma.it –

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Il caffè Aneri alla conquista della Gran Bretagna

ROMA (ITALPRESS) – Il caffè italiano di qualità alla conquista della Gran Bretagna: Aneri TriCaffè sarà servito nei ristoranti e nei corner di San Carlo, una catena con profonde radici italiane, ramificata in tutto il Regno Unito ma con propaggini anche in Arabia Saudita, in Bahrain e in quel Qatar che, fra qualche settimana, sarà teatro dei mondiali di calcio e con prossime nuove aperture a Dubai, Bangkok e Miami. L’accordo è stato firmato da Giancarlo Aneri, titolare di Aneri, e da Carlo Di Stefano, fondatore e proprietario di San Carlo.
La distribuzione di Aneri TriCaffè avverrà nei 26 ristoranti inglesi di San Carlo, una catena che esalta la cucina italiana, come è sempre stato nelle intenzioni di Di Stefano, fin da quando lasciò il vecchio mestiere di barbiere per aprire i primi ristoranti a Manchester e Birmingham. E che continua ad essere un legame indissolubile, anche adesso che ha costruito una vera fortuna.
“E’ un altro risultato di grande importanza per il nostro caffè, sul quale abbiamo investito molto in termini di qualità”, commenta Giancarlo Aneri, che aggiunge: “Mi fa particolarmente piacere che una delle basi di questo risultato sia l’accordo con Carlo Di Stefano, con il quale condivido alcuni principi, come il segreto del successo: avere la passione per quello che fai”.

– foto ufficio stampa caffè Aneri –

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