ROMA (ITALPRESS) – Oggi entrano in vigore in Italia le nuove regole sulla plastica monouso, frutto del recepimento della Direttiva europea SUP (single-use plastics) 2019/904, che mettono al bando alcuni prodotti usa e getta di uso comune con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento da plastica, soprattutto di mari e oceani.
Oggi, infatti, circa 80% dei rifiuti rinvenuti nelle spiagge europee è costituito da plastica e il 50% dei rifiuti marini da plastiche monouso.
Ad essere inclusi tra gli oggetti che non potranno più essere immessi sul mercato italiano, ci sono: piatti e posate, cannucce, agitatori per bevande, aste dei palloncini e contenitori per cibi e bevande in polistirolo espanso e relativi tappi e coperchi.
A questi divieti si aggiungono norme sulla riduzione del consumo per tazze e bicchieri (questi ultimi una novità italiana in quanto non inseriti nella direttiva europea), inclusi i loro tappi e coperchi, e contenitori, con o senza coperchio, per alimenti che vengono consumati sul posto o da asporto, direttamente dal recipiente e senza bisogno di ulteriore preparazione (esempi sono le box per insalate pronte e cibi da fast food). Sono presenti obiettivi più ambiziosi per le bottiglie sia per la raccolta differenziata sia per l’utilizzo di quantità crescenti di materiale riciclato per la loro produzione (25% di PET riciclato entro il 2025 e almeno il 30% dal 2030) nonchè meccanismi di responsabilità estesa del produttore anche per altri oggetti quali filtri di sigarette, salviette umidificate, articoli per l’igiene femminile e attrezzi da pesca.
Il Decreto inoltre prevede nuovi requisiti di etichettatura per informare i consumatori sulle plastiche contenute nei prodotti, le corrette/scorrette pratiche di smaltimento e i danni che possono arrecare se gettati nell’ ambiente, e stabilisce sanzioni per chi non rispetta le regole dettate dal Ministero.
Il recepimento italiano introduce un grande elemento di novità rispetto al testo europeo: l’esenzione per gli articoli monouso in plastica biodegradabile e compostabile conforme allo standard europeo UNI EN 13432. A questa va aggiunta anche l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva dei prodotti dotati di rivestimento in plastica con un peso inferiore al 10% dell’intero prodotto (es. piatti, bicchieri e contenitori in carta filmati in plastica).
Per WWF questa direttiva rappresenta un importante traguardo nella la lotta all’inquinamento da plastica. E’ però importante che la deroga sulle bioplastiche compostabili non si traduca nella sostituzione tout court delle plastiche tradizionali. Tutto il monouso, compreso quello in bioplastica, va ridotto significativamente e utilizzato solo se non è possibile accedere ad alternative riutilizzabili e solo quando è possibile conferirlo a un circuito che ne gestisca correttamente il fine vita. A livello nazionale è inoltre prioritario un adeguamento del sistema impiantistico che accompagni l’aumento della quantità di bioplastiche nella frazione organica per garantirne l’effettiva e corretta gestione.
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Nuove regole per la plastica monouso, Wwf “Importante passo avanti”
Clima, Enav ottiene la certificazione Science Based Target Initiative
ROMA (ITALPRESS) – ENAV, la società che gestisce il traffico aereo civile in Italia, ha ottenuto, a seguito di un approfondito assessment, la certificazione da parte di Science Based Target initiative (SBTi), l’iniziativa nata con l’intento di verificare che le strategie e le Climate Action definite dalle aziende siano in linea con i target scientifici per la lotta al cambiamento climatico.
I science-based target sono obiettivi di riduzione delle emissioni GHGs (Greenhouse Gas) la cui ambizione è in linea con il livello di decarbonizzazione richiesto per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 1,5°C, come descritto nel Fifth Assessment Report dell’Intergovernal Panel on Climate Change (IPCC), e nell’Accordo sul Clima di Parigi.
Nel settore Air Transportation – Airport Services, ENAV è la prima azienda italiana ad ottenere il prestigioso riconoscimento mentre, nel mondo, sono soltanto sette le società del settore che hanno presentato target in linea con gli obiettivi definiti da SBTi.
“Essere stati accreditati dallo Science Based Target initiative, prima azienda italiana nel settore Air Transportation – Airport Services ad ottenerlo, rappresenta per ENAV un punto di partenza e non di arrivo, una conferma importante sul percorso intrapreso – afferma l’amministratore delegato Paolo Simioni -. ENAV ha adottato da tempo un nuovo approccio di grande sensibilità verso le tematiche ambientali e, più in generale, adeguato il proprio modo di essere azienda. Stiamo progressivamente cambiando pelle, per garantire un utilizzo del cielo sostenibile nel lungo periodo, a beneficio delle future generazioni”.
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In Lombardia oltre 600mila ettari di foreste, +3% in 10 anni
MILANO (ITALPRESS) – La superficie forestale in Lombardia è di 619.726 ettari e ricopre il 26% del territorio regionale. Lo ha comunicato l’ERSAF (‘Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle forestè) oggi pomeriggio nella seduta congiunta della Commissione Permanente Agricoltura e della Commissione Speciale Montagna. La Lombardia è così la quarta Regione in Italia per estensione di boschi e foreste e, secondo quanto riferito dal Presidente di ERSAF Alessandro Fede Pellone, ogni lombardo ha a disposizione 622 mq di foresta. La superficie boscata nella nostra regione nel decennio 2009-2018 è aumentata complessivamente del 2,7% con un incremento medio annuo di 1.758 ettari che comprende un’espansione naturale del bosco di 1.699 ettari l’anno e la realizzazione di nuovi boschi per 176 ettari ogni anno. La provincia con la maggiore superficie boscata è Brescia, con 171.469 ettari, mentre Como e Lecco sono quelle con il maggiore tasso di boscosità con il 47% del territorio coperto da bosco.
Nelle foreste lombarde sono presenti ben 17 specie, a dimostrazione della grande biodiversità del territorio. Gli alberi più rappresentati sono castagni (11,3%), abeti rossi (11,1%), carpini neri (10,8%) e faggi (10,4%).
‘Le funzioni di produzione, protezione, benessere sociale e conservazione della biodiversità che il bosco è chiamato ad assolvere devono essere conservate attraverso una oculata gestione delle risorse disponibili. E’ pertanto necessario pianificare gli interventi in modo che i prelievi di massa legnosa siano sostenibili, favorendo in questo modo la stabilità e la qualità dei boschi. Regione Lombardia persegue questi obiettivi su scala territoriale attraverso i “Piani d’indirizzo forestale” e a livello locale con i “Piani di Assestamento forestalè’, ha dichiarato il presidente della Commissione Agricoltura Ruggero Invernizzi.
‘La lotta al cambiamento climatico – spiega Gigliola Spelzini, presidente della Commissione Montagna – passa soprattutto dalle piante, le nostre più importanti alleate contro l’effetto serra e il riscaldamento terrestre per la loro fondamentale capacità di assorbire anidride carbonica. Ecco perchè noi abbiamo il dovere di intervenire con progetti concreti, idee e risorse per dare un futuro migliore ai nostri figlì.
Boschi e foreste rappresentano la principale ‘armà contro le emissioni. Garantiscono una protezione del suolo e delle acque, la conservazione della biodiversità, la qualità del paesaggio e sono, soprattutto, un ‘serbatoiò di CO2. Il patrimonio forestale lombardo, infatti, è in grado di assorbire ogni anno 3,15 tonnellate di anidride carbonica, la principale responsabile del surriscaldamento della terra. Un albero assorbe nell’arco di 30 anni di vita 4.807 tonnellate di CO2. E se è vero che un chilometro in automobile produce 118 grammi di CO2, significa che un albero è in grado di eliminare dall’atmosfera le emissioni prodotte in 40.700 km, più di ciò che percorre un’auto per fare il giro della terra (dati Istituto di Biometereologia del Cnr).
I ‘Piani di Indirizzo Forestalè (PIF) vigenti gestiscono il 71% della superficie boscata regionale, corrispondenti a 440 mila ettari. Nel 2020 sono stati approvati sei nuovi PIF: Comunità Montana Lario Orientale – Valle San Martino; Comunità Montana Valle Seriana – Alta Valle; Comunità Montana Valle Seriana – Clusone; Comunità Montana Valle Seriana – Castione della Presolana; Comunità Montana Valle Brembana – Alta Valle; Comunità Montana Val Chiavenna. Sono, invece, quattro i nuovi ‘Piani di assestamento forestalè (PAF) entrati in vigore che hanno portato il totale dei PAF a 87. La superficie pianificata complessiva è di 145.733 ettari ed è costituita prevalentemente da boschi (75.008 ettari, 52%). Nel triennio 2021-2023 saranno 25 i PAF in scadenza, mentre quelli ‘in ingressò saranno 48. In crescita gli indicatori di qualità relativi alle certificazioni internazionali FSC e PEFC: la superficie ‘certificatà passa da 69.711 ettari a 70.667 ettari e i boschi da 67.621 ettari a 68.596 ettari.
Sono 4.519 le strade inserite nel ‘Sistema della Viabilità Agro-Silvo-Pastoralè per un’estensione di sei chilometri e mezzo sul territorio di 363 Comuni. Rispetto al 2019 si registra una riduzione di 38 strade e 71 chilometri. Ciò a causa dell’aggiornamento del sistema informativo e delle richieste di cancellazione dei Comuni e degli Enti montani per le difficoltà di gestione. Le strade in fase di progettazione o costruzione sono 1.315 per uno sviluppo di circa un chilometro e 600 metri.
Nel 2020 si sono registrati 143 incendi boschivi (44 in meno rispetto al 2019) che hanno interessato una superficie complessiva di 1.332 ettari di cui 1.195 boscati (l’89%). Un numero inferiore alla media regionale dell’ultimo decennio (pari a 171 incendi/anno), mentre la superficie coinvolta è pari a 9,3 ettari/anno in linea con la media degli ultimi dieci anni. Il 60% degli inneschi è dovuto all’uomo e ha avuto origine volontaria o involontaria (rispettivamente il 38% e il 21%). Il 37% è dovuto a cause dubbie o non classificabili a dimostrazione della complessità delle attività di indagine per i reati di incendio boschivo. Solo tre sono stati quelli riconducibili a cause naturali.
L’80% degli incendi ha avuto un’estensione inferiore a un ettaro, mentre due soli grandi incendi di oltre 500 ettari nel bresciano hanno riguardato l’82% della superfice totale coinvolta: si tratta di quelli avvenuti sul territorio dei Comuni montani di Casto (524 ettari di cui 459 boscati) e Bione (576 ettari di bosco). La provincia di Como è quella con il maggior numero di incendi boschivi (40) e Brescia è quella con la più estesa superficie percorsa dal fuoco (85,3% del totale). La lotta agli incendi ha coinvolto 3.224 operatori e Regione Lombardia ha stanziato oltre un milione e mezzo di euro per le attività di prevenzione e ripristino e quasi quattro milioni di euro per il servizio areo, la gestione della rete radio, la formazione di Carabinieri Forestali e Vigili del Fuoco.
Il volume di legname tagliato nel 2020 è pari a 531.238 metri cubi distribuiti su 7.062 ettari, in calo del 14% rispetto all’anno precedente quando si era verificato un ‘piccò legato all’effetto della ‘tempesta Vaià che a fine ottobre 2018 travolse i boschi della Lombardia oltre a quelli del Trentino, dell’Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia.
L’uso prevalente del legname tagliato è quello energetico (l’85%), mentre solo il 13% è destinato al settore dei mobili. Un dato che, considerata la crescita costante dei nostri boschi e delle nostre foreste, sottolinea la necessità di sviluppare la ‘filiera bosco – legnò, determinante per lo sviluppo economico di intere aree della Regione. La provincia in cui è stato richiesto più legname è Brescia con 128.888 metri cubi (il 24% del totale), seguita da Varese (98.800 metri cubi, 18%) e Bergamo (83.806 metri cubi, 15%). Questi tre territori rappresentano il 58% del totale regionale. In Lombardia è l’abete rosso l’albero più richiesto con tagli per 91.325 metri cubi, davanti alla robinia (74.432 metri cubi). Seguono castagno, faggio e frassino.
Sono 322 le aziende iscritte all”Albo Regionale delle Imprese Boschivè (quattro in più rispetto al 2019) che impiegano quasi 1.700 persone. Nel 2020 le imprese boschive hanno tagliato 220.644 metri cubi di legname su 2.245 ettari di boschi che corrispondo al 41,5% (meno 4,6% rispetto al 2019) del totale lombardo. La provincia in cui le imprese boschive lavorano di più è Sondrio con 52.095 metri cubi di legname tagliato (il 24% del volume totale), seguita da Brescia e Varese (entrambe al 22%). Quasi tutto il legname lavorato dalle imprese boschive è destinato alla commercializzazione (il 97%) e utilizzato per fini energetici (il 73%).
Le imprese boschive operano su proprietà private (il 56% del legname lavorato) e su proprietà comunali (il 41%).
I Consorzi forestali (CF) in Lombardia sono 23 e gestiscono, complessivamente, 92.350 ettari di terreni costituiti soprattutto da boschi (81.805 ettari pari al 13% del totale regionale). I Consorzi, associazioni volontarie senza fini di lucro, sono il «braccio operativo» dei Comuni soci e dei privati che affidano loro la gestione diretta delle proprietà agro-silvo-pastorali al fine di sviluppare le risorse forestali, prevenire il dissesto idrogeologico e garantire il presidio del territorio.
Il ‘Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020’ ha messo a disposizione un milione e 160 mila euro a sostegno del sistema agricolo e forestale. Risorse destinate a investimenti nelle infrastrutture necessarie all’adeguamento dell’agricoltura, alla salvaguardia e alla valorizzazione dei sistemi delle malghe, al sostegno dei progetti di forestazione e imboschimento, al ripristino dei danni alle foreste e allo sviluppo delle capacità di mettere sul mercato i prodotti forestali.
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Pecoraro Scanio “Sullo stop alle plastiche monouso riforma azzoppata”
ROMA (ITALPRESS) – “Venerdì 14 gennaio entrerà in vigore il decreto legislativo 196/21 che vieterà la produzione, la vendita e l’utilizzo di prodotti realizzati in plastica monouso (cosiddetti “single use plastic”) ma sarà norma azzoppata perchè mancano decreti attuativi e anche le ordinanze virtuose di molti comuni rischiano di essere annullate dai Tar”. Lo denuncia in una nota Alfonso Pecoraro Scanio, promotore della campagna “Mediterraneo da Remare PlasticFree” e già ministro dell’Ambiente, che lancia un appello a Mario Draghi: “Occorre obbligare i ministeri inadempienti ad agire subito e chiedere a tutte le istituzioni,le imprese e i cittadini di seguite le nuove normative. rinvii e deroghe stanno azzoppando la strategia europea. Occorre una forte spinta dal governo e anche un’azione di Comunicazione ed educazione civica. Proprio da tanti comuni sono arrivate ordinanze e incentivi verso l’eliminazione di bicchieri, cannucce, posate o piatti “usa e getta” come imposto dalla direttiva europea 2029/904″.
“Il mare non è un discarica e sabato 15 gennaio si terrà a Sorrento un secondo incontri dei comuni plasticFree promosso dal Comune e dalla fondazione Univerde con la presenza anche del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, a capo dell’area metropolitana Partenopea – sottolinea Pecoraro Scanio -. Dobbiamo ridurre sensibilmente l’inquinamento da plastica presente nei mari e negli oceani, e per questo serve una rete civica e Ecodigital di attivisti, istituzioni e imprese”.
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Nuovo record per il riscaldamento degli oceani, allarme Mediterraneo
ROMA (ITALPRESS) – Il 2022 si apre con un nuovo allarme sul fronte del cambiamento climatico. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences, nel 2021 le temperature dell’Oceano hanno segnato un nuovo record, raggiungendo i valori più caldi mai misurati per il sesto anno consecutivo; e, ancor più allarmante è la situazione del Mediterraneo che si conferma il bacino che si scalda più velocemente. L’articolo Another record: Ocean warming continues through 2021 Despite La Niña Conditions è firmato da un team internazionale di 23 ricercatori di 14 istituzioni (tra i quali Simona Simoncelli dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e Franco Reseghetti di ENEA, l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ed è stato realizzato utilizzando i dati disponibili al 31 dicembre 2021, ma contiene anche una revisione degli anni precedenti, sulla base delle nuove conoscenze acquisite nel frattempo.
I ricercatori evidenziano che la variazione del contenuto termico degli oceani nel 2021 è equivalente all’energia che si otterrebbe facendo esplodere 7 bombe atomiche ogni secondo per tutta la durata dell’anno. E il nuovo record, avvertono, è stato toccato nonostante nel 2021 si sia manifestato il fenomeno conosciuto come La Niña che ha contribuito a limitare il riscaldamento nell’oceano Pacifico.
Per il Mediterraneo, ai dati risultati allarmanti illustrati nello studio, si affiancano quelli del monitoraggio della temperatura nei mari Ligure e Tirreno, ripreso nel 2021, nell’ambito del progetto MACMAP dell’INGV, cui partecipa ENEA. Dal 1999, sfruttando navi commerciali che percorrono la rotta tra Genova e Palermo, sono stati acquisiti dati di temperatura che hanno consentito di analizzare le variazioni termiche nel tempo. Partner fondamentale di questa attività è la compagnia di navigazione italiana GNV S.p.A. (Grandi Navi Veloci) dalle cui navi vengono lanciate le sonde che misurano la temperatura.
“E’ molto importante sottolineare che l’Oceano assorbe poco meno di un terzo della CO2 emessa dall’uomo, ma il riscaldamento delle acque riduce l’efficienza di questo processo, lasciandone una percentuale maggiore in atmosfera. Il monitoraggio e la comprensione di come evolvono nelle acque oceaniche la componente termica e quella legata alla CO2, sia individualmente che in sinergia, sono molto importanti per giungere ad un piano di mitigazione che rispetti gli obbiettivi approvati per limitare gli effetti del cambiamento climatico – sottolinea Simona Simoncelli dell’INGV -. Ad esempio, in conseguenza del riscaldamento delle acque degli oceani (tralasciando l’apporto dell’acqua di fusione dei ghiacciai), sta aumentando il volume e quindi il livello del mare con ripercussioni drammatiche per gli atolli del Pacifico e stati insulari come le isole Maldive ma anche per le nostre aree costiere. Inoltre, acque degli oceani sempre più calde creano le condizioni per tempeste e uragani sempre più violenti e numerosi, abbinati a periodi di caldo esasperato in zone sempre più estese”.
“E, tutto questo, senza considerare gli effetti biologici: l’acqua più calda è meno ricca in ossigeno influisce sulla catena alimentare, così come acqua con acidità più elevata ha effetti anche pesanti sulle forme viventi”, aggiunge.
“Durante l’ultima campagna di rilevamento dati, a metà dicembre 2021, sono rimasto prima sconcertato e poi sempre più sconfortato dai dati che comparivano sul monitor del sistema di acquisizione – afferma Franco Reseghetti dell’ENEA – Nel mar Tirreno trovavo l’isoterma T = 14°C quasi sempre sotto i 700 m, talvolta anche intorno a 800 m, valori di profondità che mi hanno sorpreso. In pratica ha iniziato a scaldarsi in modo evidente anche una zona più profonda rispetto al passato. Ho ricontrollato a lungo questi dati di dicembre con Simona Simoncelli, cercando conferme anche in dataset ottenuti da altri strumenti di misura nella medesima area e nel medesimo periodo. Ma purtroppo i nostri risultati erano in buon accordo con gli altri e l’unica conclusione è stata: c’è un nuovo record (anche se ne avremmo fatto volentieri a meno)”.
“Questa acqua calda ha iniziato ad ‘invaderè il Tirreno da sud, partendo dalle isole Egadi e la costa nord-ovest della Sicilia, e ha proseguito verso nord, interessando una zona di mare sempre più ampia e a profondità crescenti. Purtroppo – continua Reseghetti – per il 2022 non siamo in grado di fornire previsioni, anche se la strada intrapresa negli ultimi anni dal mar Mediterraneo sembra abbastanza chiara con valori sempre crescenti di energia presente nelle sue acque che rimane a disposizione per l’interazione con l’atmosfera dando sempre più spesso origine ad episodi meteo estremi come ondate di calore e violenti fenomeni precipitativi sconosciuti in precedenza in queste zone. Il 2021 è stato un manifesto di tutto questo: il caldo in Sicilia ad agosto, la pioggia in Liguria, i ‘medicanes’, gli uragani del Mediterraneo a fine novembre ancora in Sicilia, solo per fare un esempio”.
Più nel dettaglio, le serie temporali delle temperature nel Mediterraneo mostrano aumenti più intensi rispetto a quelli osservati alle medesime profondità intermedie in altre zone dell’oceano globale.
“Dalla primavera 2013, constatiamo un riscaldamento progressivo nello strato tra 150 e 450 m di profondità (ma i valori di temperatura sono in aumento anche a profondità maggiori), con una crescita ancora più evidente tra il 2014 e il 2017, seguita da un leggero calo nel 2018-2019 e una risalita ulteriore nel 2021 -sottolinea Simona Simoncelli -. Per i mari Tirreno e Ligure, nel periodo 1999-2021 la variazione di temperatura è stata pari a 0.028°C/anno, coerente con quanto registrato nel Canale di Sicilia dalla strumentazione CNR che acquisisce valori dal 1993. Nei loro dati l’aumento della temperatura è stimato in 0.026°C/anno su tutto il periodo, ma con una crescita di 0.034°C/anno dopo il 2011. Nei nostri dati complessivamente la variazione media della temperatura nello strato 150-450 m è di circa 0.6°C (passando da 13.8°C a 14.4°C)”.
“Questo ulteriore riscaldamento, che può essere visto come indicatore del perdurare del cambiamento climatico, è arrivato, per ironia della sorte, al termine del primo anno del “Decennio del Mare” (https://decenniodelmare.it/), l’iniziativa indetta dalle Nazioni Unite per mobilitare tutti i settori della società civile e promuovere un cambiamento radicale nel modo in cui studiamo e gestiamo l’oceano, per uno sviluppo realmente sostenibile che preservi un buono stato ambientale dell’ecosistema e di tutte le risorse che l’oceano ci fornisce”, concludono Simoncelli e Reseghetti.
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L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezione da Covid
MILANO (ITALPRESS) – L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV-2: lo suggerisce una ricerca condotta da Epimed, il Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria i cui risultati sono pubblicati oggi online sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, del gruppo editoriale Bmj. Lo studio, relativo alla popolazione adulta della città di Varese (62.848 persone), seguita nel tempo da inizio pandemia a marzo 2021, segnala un aumento del 5 per cento nel tasso di infezione per incremento di 1 microgrammo/metrocubo di PM2.5, 294 casi in più ogni centomila persone/anno.
Fin dall’inizio del periodo di pandemia è stato osservato – anche in Italia – che le aree più esposte all’inquinamento atmosferico erano anche quelle con tassi di infettività da SARS-CoV-2 più elevati. Queste osservazioni erano basate principalmente su dati aggregati, come livelli medi di inquinanti atmosferici e numero di casi di Covid-19 per provincia, ed erano limitate alle primissime fasi della pandemia. Sebbene importanti per identificare primi segnali di associazione, avevano bisogno di conferma da studi più robusti, con dati su singoli individui e su orizzonti temporali più lunghi.
Spiega Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro: “Nel nostro studio abbiamo seguito prospetticamente nel tempo ogni adulto residente nella città di Varese, l’ottava città più grande della Lombardia, vicino al confine con la Svizzera, dall’inizio del periodo di pandemia (febbraio 2020) fino a marzo 2021. Per poter realizzare questo, è stato necessario uno sforzo collettivo che ha coinvolto non solo l’Università di Varese e Como e quella di Cagliari; ma anche l’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia e l’Agenzia regionale Aria, che hanno fornito i dati sanitari; e Arianet, una società privata leader nel campo delle modellizzazioni degli inquinanti ambientali, che ha messo a disposizione i dati sull’esposizione ambientale di lungo periodo”.
Dopo aver preso in considerazione molte delle caratteristiche cliniche e demografiche che possono aumentare la suscettibilità a SARS-CoV-2 oltre all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico, i risultati indicano che l’aumento di 1 microgrammo/metro cubo nel livello medio annuo di PM2.5 era associato ad un aumento del 5% dei tassi di infezione, corrispondente a 294 ulteriori casi di positività da Covid-19 per 100mila abitanti/anno. Relazioni simili valgono per altri inquinanti, come PM10, NO e NO2. Questi valori sono ancora più sorprendenti se si considera che l’esposizione media annua a PM2.5, PM10, e NO2 a Varese per l’anno 2018 (usato per le analisi) era sostanzialmente inferiore ai limiti di legge per la media annua di tali inquinanti.
I risultati si sono mantenuti consistenti in una serie di analisi di sensibilità, come l’utilizzo delle medie stagionali di inquinanti in luogo di quella annuale; l’esclusione di individui che vivono in una casa di cura residenziale; e l’ulteriore aggiustamento per l’indice di deprivazione e propensione alla mobilità pubblica. Permangono alcune limitazioni dello studio, dal momento che i ricercatori non sono stati in grado di tenere conto della mobilità, dell’interazione sociale, dell’umidità, della temperatura e di alcune condizioni cliniche, come la malattia mentale e le malattie renali.
Sottolinea il professor Marco Ferrario, autore senjor del lavoro: “E’ noto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari, attraverso l’infiammazione persistente e compromissione dell’immunità. Presumibilmente, gli stessi percorsi sono coinvolti nel legame tra inquinamento atmosferico ed incremento nei tassi di infezione da Covid-19”. E aggiunge: “I nostri risultati da soli non sono in grado di stabilire il nesso di causa-effetto, ma forniscono la prima solida prova empirica in merito al legame finora solo ipotizzato che collega l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico con l’incidenza di Covid-19. Per questo meritano una futura generalizzazione in diversi contesti”.
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Barabino & Partners, al via processo trasformazione in società benefit
MILANO (ITALPRESS) – “Il futuro dipende da ciò che facciamo nel presente”, diceva Gandhi.
Oggi, complici le rinnovate consapevolezze che la pandemia ha portato con sè, Barabino & Partners decide di intraprendere un nuovo percorso di trasformazione, avviandosi a diventare società benefit. In un contesto in cui la sostenibilità, nelle sue tre declinazioni ambientale, sociale e di governance, diviene pilastro dello sviluppo futuro di brand e aziende, la società compie un importante passo, naturale evoluzione dell’impegno sociale e ambientale profuso fin dagli anni ’90 e in particolare nel 2020, e nel 2021, l’anno della condivisione.
Cosa significa diventare società benefit? Abbracciare una nuova idea di azienda e del fare impresa. Formalizzare la consapevolezza del fatto che “l’impresa non deve pensare solo a sè stessa ma a tutto l’ecosistema che la circonda”, come rilevava Luca Barabino in conversazione con Forbes già a maggio del 2020. Prendere l’impegno di affiancare agli obiettivi di profitto – perchè le imprese per essere utili al sistema sociale, economico e di sviluppo devono essere profittevoli – quello di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera.
Per la società si tratta di cristallizzare una profonda convinzione: occorre reinterpretare il perseguimento del profitto così come lo abbiamo tradizionalmente conosciuto. Occorre ridefinirne i contorni in un’ottica di “giusto profitto”, come affermò Barabino fin in tempi di prepandemia, affinchè l’azienda stessa possa svolgere sul mercato, nel territorio e nelle comunità di riferimento – verso clienti, dipendenti, collaboratori e stageur, ma anche supporter e fornitori in primis – un ruolo utile in relazione alle problematiche ambientali e sociali. E’ per questo che viene formalizzato l’avvio del processo di trasformazione di Barabino & Partners in società benefit, con il supporto consulenziale di PwC e Legal PwC TLS. Un iter che, come naturale, evolverà la “carta d’identità” stessa di Barabino & Partners: il suo statuto societario che diverrà espressione di un’attività d’impresa che va anche nella direzione di una gestione non solo profittevole, ma anche di impegno responsabile vero definiti obbiettivi.
L’impostazione storica e tanto più attuale si basa sull’idea che l’impresa debba contribuire alla creazione di obiettivi che troppo a lungo sono stati tradotti principalmente in potere di spesa, tralasciando invece gli aspetti legati alla relazione ed all’empatia, all’attenzione al benessere delle persone e alla preservazione dell’ambiente, nonchè alle condizioni di svolgimento delle attività – in senso di condivisione, clima e appartenenza – dell’impresa. Esiste una proporzionalità inversa fra reddito e felicità tale per cui, oltre una certa soglia, all’aumentare del reddito diminuisce la felicità intesa quale condizione di benessere fisico e mentale.
Cosa è in grado di generare un impatto positivo sul benessere? Un bene atipico per molti aspetti, troppo spesso percepito come “costo” in termini di tempo e denaro: la relazione. Eppure, è la linfa vitale della società civile in tutte le sue dimensioni. Ed in particolare, instaurare, coltivare, accrescere e valorizzare relazioni è da sempre la missione di Barabino & Partners. Diventare società benefit significherà quindi avere come obiettivo un impatto positivo anche e soprattutto riscoprendo un purpose non estraneo, bensì connaturato al DNA che guiderà le future scelte strategiche di B&P nel rispetto dei principi di responsabilità, sostenibilità e comportamenti rigorosi ed etici.
(ITALPRESS).
Sardegna, Lampis “800mila euro contro l’invasione delle cavallette”
CAGLIARI (ITALPRESS) – “Da qualche anno, in alcune zone della Sardegna centrale, a causa dell’invasione delle cavallette, si registrano ingenti danni alle coltivazioni, in particolare alle colture cerealicole, ma anche a quelle foraggere, funzionali al sostentamento degli animali del settore zootecnico. Nonostante il problema ricopra carattere più strettamente agricolo, sono presenti aspetti anche di carattere ambientale legati alla massiva diffusione dell’infestazione, agli habitat di insediamento e ai campi di intervento”. Lo ha detto l’assessore regionale della Difesa dell’ambiente, Gianni Lampis, dopo l’approvazione della delibera che stanzia 800mila euro (500mila per il 2021, 200mila per il 2022 e 100mila per il 2023) per la pianificazione e l’attuazione delle misure di contenimento e di contrasto alla diffusione del fenomeno delle infestazioni acridiche in Sardegna. Della spesa complessiva, una quota di 300mila euro è destinata alla predisposizione di un Piano per le attività di studio, monitoraggio, prevenzione e contrasto alla diffusione del fenomeno e al supporto delle attività. L’agenzia Laore ha rilevato la presenza di questo parassita principalmente nella Provincia di Nuoro, nei territori di Ottana, Noragugume, Sedilo, Silanus, Orotelli e Bolotana.
“Già nel 2020, la Regione è intervenuta con 400mila euro per gli indennizzi dovuti ai danni causati dall’invasione – ha aggiunto l’assessore Lampis – Per un’azione di contrasto comune e coordinata è opportuno il coinvolgimento del Tavolo tecnico regionale (composto da Corpo forestale, Agris e Laore, Assessorato dell’Agricoltura, Università di Sassari e Province) e la Regione deve dotarsi di un Piano di durata pluriennale, che contempli azioni inerenti a pratiche agricole mirate, attuate da soggetti pubblici e privati, nonchè un’attività di studio e monitoraggio funzionale alla conoscenza del fenomeno e alla predisposizione di una banca dati, azioni di istruzione degli operatori e di diffusione delle conoscenze e delle informazioni”.
Finora, è stato definito un documento di Linee guida, propedeutico alla redazione del Piano, sotto la supervisione scientifica dell’Università di Sassari e con il coinvolgimento di Laore e delle imprese agricole del territorio: “Il documento, individuando nella mancanza di studi recenti la prima lacuna da colmare, registra la necessità di un monitoraggio per l’individuazione delle aree infestate e per la valutazione dell’ortotterofauna nel suo complesso e degli antagonisti naturali delle specie infestanti, oltre a interventi di riequilibrio dell’entomofauna utile, a un campionamento su aree pilota, ad attività di lotta con mezzi agronomici, fisici, chimici e biologici, in campo e in laboratorio, al trasferimento delle conoscenze acquisite al personale tecnico degli enti regionali e alla divulgazione ad amministrazioni locali, scuole, cittadini e operatori del settore agricolo. Inoltre, è da valutare l’attivazione di un eventuale regime di aiuti a compensazione dei costi per le misure di contenimento a carico dei privati e per l’eventuale ristoro dei danni subiti dalle aziende agricole”, ha concluso l’esponente della Giunta Solinas.
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