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Pirelli e Bmw con Birdlife International per ecosistema in Indonesia

MILANO (ITALPRESS) – Pirelli e Bmw Group sono a fianco di BirdLife International in un progetto di durata triennale che punta a favorire una produzione a lungo termine di gomma naturale sostenibile e deforestation-free in Indonesia. BirdLife International, Ong internazionale che conserva la biodiversità globale, gli habitat e gli uccelli, sarà supportata dai due nuovi partner nelle sue azioni a favore delle comunità locali, della conservazione dell’ecosistema naturale e della protezione delle specie di animali a rischio della foresta indonesiana. In Indonesia, la coltivazione di gomma naturale rappresenta una delle storiche fonti di reddito per la popolazione locale. Il progetto interessa una parte dell’area della foresta pluviale di Hutan Harapan (Isola di Sumatra), in cui vivono circa 1.350 specie animali, e si svilupperà attraverso una serie di iniziative volte a migliorare la qualità della vita della comunità indigena – proteggendo i diritti fondiari dei farmer e promuovendo i diritti delle donne – conservare un’area deforestation-free di 2.700 ettari e proteggere diversi animali a rischio. Il progetto presentato da Pirelli, Bmw Group e BirdLife International prevede il coinvolgimento di più stakeholder: comunità locali, agenzie governative e tutta la catena del valore della gomma naturale. Giovanni Tronchetti Provera, senior vice president Sustainability and Future Mobility di Pirelli, ha dichiarato: “Lo sviluppo di questo progetto poggia su principi di trasparenza e tangibilità che da sempre guidano le azioni di Pirelli. Insieme a Bmw Group nel sostegno di obiettivi condivisi con BirdLife, intendiamo essere parte attiva di un progetto che punta a un impatto sostenibile a tutto tondo nel mondo della gomma naturale, nella convinzione che comunità, biodiversità e business debbano crescere le une a supporto delle altre creando valore socio-ambientale condiviso”.
Andreas Wendt, Bmw AG Board Member for Purchasing and Supplier Network, ha commentato: “Come produttore premium, puntiamo a essere leader nell’ambito della sostenibilità e ad avere un ruolo attivo nella responsabilità della nostra catena di approvvigionamento. Nella lotta ai cambiamenti climatici, stiamo mettendo in atto azioni mirate alla conservazione della biodiversità e della foresta pluviale tropicale. Il nostro progetto in Indonesia permetterà una migliore interazione tra la natura, le persone e l’economia locale nel paese di provenienza della gomma naturale. Allo stesso tempo rafforzeremo le comunità locali, rendendo più professionali i metodi di coltivazione tradizionali della gomma naturale”.
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Un kg di plastica marina può illuminare un appartamento per un giorno

ROMA (ITALPRESS) – Con 1 kg di plastica recuperata dal mare si può produrre quasi 1 kWh di energia pulita che consente di illuminare un appartamento per la durata di un giorno. Questi sono alcuni dei risultati emersi dallo studio effettuato dall’Università Politecnica delle Marche, Marevivo e Iris srl, ideatore del pirolizzatore GreenPlasma, presentati a Ecomondo e relativi al progetto “Insieme per il Mar Mediterraneo”, realizzato grazie al supporto di Tezenis. Questo progetto ha avuto un duplice obiettivo: recuperare 12.000 kg di rifiuti di plastica dal mare con il supporto dei battelli Pelikan di Garbage Group e, attraverso un’attività sperimentale, convertirne una parte in energia elettrica pulita con l’utilizzo del pirolizzatore GreenPlasma di Iris.
Il fine è stata la massima valorizzazione dello scarto plastico secondo tecnologie e standard innovativi che possono essere da esempio per la corretta gestione dei rifiuti indifferenziabili, fornendo una possibile soluzione nell’ottica di un’economia circolare. Con questa tecnologia i rifiuti non bruciano e non producono ceneri nè emissioni nocive, consentendo di trasformare il rifiuto in una preziosa risorsa senza alcun ulteriore impatto negativo per l’ambiente e innescando un virtuoso meccanismo di economia circolare.
Lo studio, condotto dall’Università Politecnica delle Marche, ha analizzato la caratterizzazione chimica dei rifiuti raccolti in mare, la loro capacità di concentrare e trasportare contaminanti, gli impatti sugli organismi e sulla rete trofica. Lo studio ha anche analizzato la resa energetica specifica per le diverse plastiche raccolte in mare introducendo un nuovo indicatore per i modelli di sostenibilità delle azioni di recupero ambientale.
Dallo studio è emerso che le categorie di rifiuti più presenti sono gli attrezzi da pesca con oltre il 72% del totale analizzato, all’interno di questa categoria poi il 51% è rappresentato da frammenti di polistirolo che proviene dalle cassette da pesca. Inoltre è emerso che tutte le plastiche assorbono e veicolano contaminanti sia organici che metallici e il polistirolo è risultato il polimero in grado di assorbire la maggiore concentrazione di metalli. Lo studio ha dimostrato che la tecnologia del GreenPlasma è molto promettente: basti pensare che con 150 kg di rifiuti di plastica si possono ricavare 130 kWh che equivalgono a circa 600 ricariche di un monopattino (15.000 km) oppure a 3 ricariche di una Nissan Leaf (819 km).
Con il dispositivo GreenPlasma è possibile trasformare in gas qualsiasi composto organico, separandolo da qualsiasi matrice inorganica. Il processo di trattamento è molto efficiente in quanto si ottiene un syngas molto ricco di idrogeno (>40%) che può essere facilmente convertito in energia elettrica.
L’intero trattamento avviene in assenza di ossigeno, senza combustione, quindi i rifiuti non bruciano e non producono ceneri nè emissioni nocive. L’impianto può trattare 1000 kg al giorno di plastica raccolta in mare ed è molto compatto, questo consente di essere facilmente collocabile e all’occorrenza montato a bordo di piccole imbarcazioni e di essere impiegato per la pulizia delle aree portuali.
“Questo progetto è un esempio concreto dei risultati che si possono ottenere dalla sinergia tra ricerca, innovazione, mondo produttivo e cittadini – dice Francesco Regoli, direttore del Dipartimento delle Scienze della Vita e dell’Ambiente Università Politecnica delle Marche – La rimozione di oltre 10 tonnellate di plastiche dal mare è un’azione concreta per la difesa degli ecosistemi e degli organismi che oltre al danno fisico subiscono anche l’esposizione a pericolosi contaminanti chimici. La plastica continua a rappresentare una minaccia concreta per la biodiversità dei nostri mari”.
“Con questo progetto Marevivo ha sperimentato un modo sostenibile e molto innovativo di trasformare i rifiuti plastici recuperati dal mare che non avrebbero avuto altro utilizzo – spiega Raffaella Giugni, Responsabile Relazioni Istituzionali di Marevivo -. Lo studio effettuato sui rifiuti raccolti in mare ha, inoltre, evidenziato ancora una volta che le plastiche veicolano contaminanti che le rendono ancora più pericolose per la vita del mare. Il polistirolo delle cassette da pesca è risultato essere il materiale più presente ed il polimero in grado di assorbire la maggiore quantità di contaminanti”.
“La priorità rimane la prevenzione e ridurre alla fonte la quantità di rifiuti prodotti, per questo abbiamo puntato su una soluzione di piccola scala, molto efficiente, per gestire con flessibilità la transizione verso l’economia circolare ed offrire una soluzione adatta anche alle aree più distanti dall’attuale infrastruttura di raccolta e trattamento, quali, ad esempio, piccoli porti turistici o le aree marine protette”, commenta Manuel Lai, amministratore delegato di IRIS.
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Acea continua a crescere nell’economia circolare, accordo con Instm

ROMA (ITALPRESS) – ACEA, multiutility attiva nei business dell’acqua, dell’energia e dell’ambiente, e il Consorzio Interuniversitario per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM) hanno sottoscritto un accordo quadro per lo sviluppo di nuovi materiali e l’applicazione di tecnologie innovative finalizzate alla gestione sostenibile delle materie prime e al riciclo dei prodotti, secondo le logiche di economia circolare nazionali ed europee.
L’accordo è stato presentato oggi ad Ecomondo in una delle tavole rotonde organizzate da Acea Ambiente, società del Gruppo Acea che si occupa del trattamento e della valorizzazione dei rifiuti.
Il progetto ha come scopo quello di rendere sostenibili i processi di produzione e le catene di valore, da un lato aumentando l’efficienza dei materiali, dall’altro investendo sul riuso e sull’utilizzo di prodotti riciclati per la produzione di beni durevoli ad alto valore aggiunto. In questo modo sarà possibile ridurre l’utilizzo delle risorse naturali generando ricadute positive sull’ambiente e la collettività.
Ad Ecomondo, Acea Ambiente ha presentato anche il nuovo brevetto Gasiforming, sviluppato in collaborazione con Politecnico di Milano e INSTM. Questa tecnologia permetterà di trasformare il mix di plastiche non riciclabili, il cosiddetto plasmix, in ecocarburanti. Infatti grazie alla gassificazione le plastiche vengono convertite in syngas, largamente utilizzato nell’industria chimica di base, in un processo che non ha alcun impatto sull’ambiente. Attualmente è in corso il completamento del percorso di industrializzazione del brevetto con il trasferimento della licenza esclusiva italiana di utilizzo ad Acea Ambiente la quale prevede di realizzare impianti in cui verrà utilizzata questa tecnologia.
“L’Accordo quadro con INSTM – ha dichiarato Giovanni Vivarelli, presidente di Acea Ambiente – rappresenta per ACEA un passo importante nello studio e nell’implementazione di modelli di economia circolare che devono necessariamente prevedere processi di produzione sostenibili e innovativi con procedimenti in grado di dare nuova vita, senza impatti sull’ambiente, a materie e sostanze considerate rifiuti. Con GASIFORMING, inoltre, utilizziamo la plastica destinata alla discarica o alla termovalorizzazione per produrre, con zero emissioni, nuovi beni anche attraverso la creazione di nuove filiere produttive, con ricadute positive sia per l’ambiente che per la collettività”.
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Rifiuti, Utilitalia: obiettivi Ue al 2035 ancora lontani

RIMINI (ITALPRESS) – Per conseguire gli obiettivi fissati dal pacchetto europeo sull’economia circolare al 2035, servono nel nostro Paese almeno 30 impianti per il trattamento dei rifiuti organici e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili. E’ quanto emerge dallo studio “Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035”, realizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), giunto alla seconda edizione e presentato alla stampa in occasione della Fiera Ecomondo di Rimini. Gli attuali impianti di trattamento dei rifiuti urbani sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio, costringendo il nostro Paese a continui viaggi dei rifiuti tra le regioni e a ricorrere in maniera ancora eccessiva allo smaltimento in discarica. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere i target Ue che prevedono sul totale dei rifiuti raccolti, entro 15 anni, il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo e un utilizzo della discarica per una quota inferiore al 10%.
Considerando la capacità attualmente installata, se si vogliono centrare gli obiettivi europei e annullare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,8 milioni di tonnellate. Su base annua e nello specifico, il Nord risulterà autosufficiente per l’organico e in debito di 240mila tonnellate per la termovalorizzazione; il Centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,2 milioni di tonnellate e di trattarne altrettante di organico; al Sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 600mila tonnellate e di 1,4 milioni di tonnellate per l’organico; per la Sicilia il deficit sarebbe di 500mila tonnellate per l’incenerimento e 600mila tonnellate per l’organico; la Sardegna sarebbe invece autosufficiente per l’organico ma presenterebbe un deficit di 90mila tonnellate per la termovalorizzazione.
“Senza impianti di digestione anaerobica e termovalorizzatori – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia (nella foto) – non è possibile chiudere il ciclo dei rifiuti in un’ottica di economia circolare. Si continuano a ipotizzare scenari con future tecnologie che al momento non sono disponibili o immediatamente applicabili su scala estesa, e nel frattempo si rimanda un problema non più procrastinabile”.
Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti con il maggiore impatto ambientale, soprattutto per le emissioni di gas serra. Tuttavia gli ultimi dati – relativi al 2019 – mostrano che sono state ancora smaltite in discarica 6,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani; 420mila di questi sono stati trattati in Regioni diverse da quelle di produzione. La vita residua delle discariche attive è in esaurimento: per il Nord si prospettano ancora 4-5 anni; per il Centro 2-3 anni; per il Sud 1-2 anni.
Al momento l’Italia avvia a discarica una media del 21% dei rifiuti urbani, mentre l’Unione Europea ha stabilito di scendere al di sotto del 10% nei prossimi 14 anni.
“A questo ritmo di conferimento – continua Brandolini – saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione”. Entro pochi anni in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche soprattutto al Sud farà ulteriormente aumentare il numero dei viaggi della spazzatura verso gli impianti del Nord.
Nel 2019 in Italia sono state prodotte 30,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Circa 2,8 milioni sono state trattate in regioni diverse da quelle di produzione; il flusso viaggia principalmente dal Centro-Sud verso il Nord. Il Nord ha importato circa 2,0 milioni di tonnellate dalle aree del Centro-Sud, che rappresenta il 14% della produzione dei rifiuti di tutto il Settentrione, il quale già oggi, grazie ai propri impianti, riesce a conseguire (8,6%) ai target di conferimento in discarica previsti dall’Ue per il 2035. Il Centro è costretto a esportare il 17% (1,5 milioni di tonnellate) della propria produzione di rifiuti, nonostante avvii già in discarica una percentuale estremamente elevata, pari al 37,5% ma non in grado di garantire tutta la richiesta.
Il Sud ha invece esportato il 16% della propria produzione di rifiuti (soprattutto organico) ma solo per la disponibilità elevata di discarica, ora utilizzata per un’alta percentuale, pari al 37%. “Gli sforzi degli italiani nella raccolta differenziata – continua Brandolini – devono essere premiati da un sistema che sia in grado di valorizzare al meglio i rifiuti. In quest’ottica, i dati dimostrano che anche la raccolta differenziata e gli impianti non sono due elementi contrapposti, anzi: i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata, non a caso, sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti”.
La carenza e la cattiva dislocazione degli impianti è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola, con importanti costi in termini economici e ambientali. Per trasportare i 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2019 sono stati necessari 108mila viaggi di camion, pari a 62 milioni di chilometri percorsi: ciò ha comportato l’emissione aggiuntiva di 40.000 tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico delle regioni del Centro-Sud).
Per Brandolini “il paradosso è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte ed hanno una qualità ambientale più bassa”. Solo nel 2018, oltretutto, l’Italia ha pagato ben 70 milioni di euro per multe dall’Ue per le inadempienze che sono state contestate sulla gestione dei rifiuti. La realizzazione di nuovi impianti, oltretutto, comporterebbe ulteriori vantaggi in termini ambientali. Con il biometano prodotto attraverso il trattamento della frazione organica e l’energia elettrica rinnovabile degli inceneritori, si potrebbero soddisfare rispettivamente le necessità energetiche di circa 230.000 e 460.000 famiglie, pari a circa, rispettivamente, 700.000 e 1,4 milioni di abitanti ogni anno.
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Rifiuti, riciclo porta 1,2 miliardi di benefici

ROMA (ITALPRESS) – I benefici economici della gestione dei rifiuti di imballaggio da parte di CONAI nel 2020 hanno raggiunto il valore di un miliardo e 274 milioni di euro. Lo rende noto il Consorzio Nazionale Imballaggi nel presentare il suo Rapporto di sostenibilità, che come ogni anno quantifica le performance ambientali e sostenibili del sistema. Un valore complessivo che è la somma di diverse voci. Nel dettaglio, la materia recuperata grazie al riciclo vale 381 milioni di euro; l’indotto economico generato dalla filiera è pari a 616 milioni; il valore dell’energia prodotta grazie al recupero energetico, invece, è di 22 milioni. Vi si somma il beneficio indiretto rappresentato dal valore economico della CO2 evitata. Calcolato secondo quanto definito dalla Direttiva 2009/33 del Parlamento Europeo, nel 2020 è risultato ammontare a 225 milioni di euro. Il secondo dato importante che emerge dal Rapporto è quello della quantità di CO2 non immessa nell’atmosfera grazie all’attività del sistema CONAI: nel 2020 ha sfiorato 4 milioni e 400mila tonnellate. Per fare un confronto, sono pari alle emissioni generate da quasi 10mila tratte aeree Roma-New York andata e ritorno.
Il 39% delle emissioni evitate è imputabile all’avvio a riciclo di rifiuti di imballaggio in vetro, seguito da quello della carta (28%) e della plastica (19%). Un risultato che permette di guardare alla filiera del riciclo anche come attore del percorso verso la decarbonizzazione.
Un risultato significativo è quello dell’energia primaria risparmiata grazie al riciclo: quasi 24 terawattora (l’anno precedente il risparmio era stato vicino ai 23 terawattora).
Un nuovo termine di paragone che dia un’idea del quantitativo: equivale al consumo di energia primaria necessario a soddisfare i consumi medi domestici di elettricità di circa 7 milioni di famiglie italiane.
L’apporto principale a questo risparmio è da riconoscere al riciclo della plastica con una quota di oltre il 40%. Il riciclo del vetro è al secondo posto con il 28,8%. Quello della carta al terzo con il 20,6%. Il risparmio di materia vergine, non estratta perchè sostituita dalla materia ottenuta dal riciclo, è altissimo: 4 milioni e 631mila tonnellate. Pari al peso di 460 torri Eiffel. Lo spaccato sui materiali di imballaggio risparmiati parla di 278mila tonnellate di acciaio, equivalente a quello di 722 treni Frecciarossa; 16mila tonnellate di alluminio, che corrispondono a 1,5 miliardi di lattine; un milione e 233mila tonnellate di carta, il corrispettivo di 494 milioni di risme di fogli A4; 830mila tonnellate di legno, come 38 milioni di pallet; 470mila tonnellate di plastica, ossia circa 10 miliardi di flaconi in PET per detersivi da un litro; e un milione e 804mila tonnellate di vetro, che sono quelle di 5 miliardi di bottiglie di vino da 0,75 litri. Il Rapporto di sostenibilità 2020 aggiorna anche il numero di discariche evitate: in 23 anni il sistema CONAI ha scongiurato il riempimento di 175 nuove discariche di medie dimensioni.
“I numeri del Rapporto parlano da soli: ci rendono orgogliosi, e credo facciano riflettere” commenta Luca Ruini, presidente CONAI. “Il nostro Paese è secondo solo alla Germania per riciclo pro-capite dei rifiuti di imballaggio, e ha praticamente già raggiunto gli obiettivi europei di riciclo richiesti entro il 2025, anche grazie a un sistema molto efficiente e meno costoso rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Nei prossimi anni gli obiettivi comunitari diventeranno ancora più sfidanti: anche per questo i risultati del report CONAI devono essere stimolo a fare sempre meglio. E’ importante continuare a incentivare l’eco-design degli imballaggi e a impegnarci per colmare il deficit impiantistico del Mezzogiorno, ma anche investire sulle tecnologie per il riciclo”. “I dati sui benefici del riciclo dei rifiuti di imballaggio, realizzato grazie al sistema CONAI, sono una dimostrazione che la transizione ecologica in Italia, oltre agli obiettivi ambientali, può raggiungere rilevanti risultati economici” dichiara Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Pur avendo raggiunto in Italia, nel riciclo degli imballaggi, un livello di eccellenza europea, abbiamo ancora margini di miglioramento in alcune zone del Paese, per quantità e qualità della raccolta differenziata e, in generale, nel miglioramento delle tecnologie di riciclo – in particolare delle plastiche – e nella chiusura del ciclo con impianti di recupero delle frazioni che residuano dai trattamenti di riciclo”. A proposito di zone del Paese, la fotografia dell’Italia che emerge dal Rapporto vede aumentare del 5,4% le quantità di rifiuti di imballaggio conferite a CONAI: nel 2020 sono state oltre 5 milioni e 300mila tonnellate.
Più di 2 milioni e 800mila arrivano dal Nord (+6% rispetto all’anno precedente), 976mila arrivano dal Centro (+4% rispetto all’anno precedente) e oltre 1 milione e mezzo arriva dal Sud (+5% rispetto all’anno precedente). Lo scorso anno sono stati 7.436 Comuni italiani a stipulare convenzioni con il sistema consortile grazie all’Accordo con ANCI: la popolazione coperta è pari al 97%. Per coprire i maggiori oneri della raccolta differenziata, nel corso del 2020, CONAI ha trasferito ai Comuni del nostro paese 658 milioni di euro. Una cifra che rappresenta il più alto fra i costi diretti della gestione consortile dei rifiuti di imballaggio.
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Cingolani “Serve una decarbonizzazione veloce”

ROMA (ITALPRESS) – “Il nucleare di quarta generazione? In futuro dovremo cercare di sviluppare la decarbonizzazione più velocemente possibile. L’approccio è assolutamente laico, neutrale e non ideologico”. Lo ha dichiarato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a Agorà Extra su Rai3. E ha aggiunto: “questo nucleare non ha nulla a che vedere con quello a cui Italia ha detto di no con il referendum. I reattori di quarta generazione sono come il motore di una nave o di un sommergibile, non producono tanta potenza, tra i vantaggi c’è che utilizzano materiali diversi dall’uranio, sono intrinsecamente più sicuri e dovrebbero produrre anche meno scorie. Le tecnologie sono emergenti. Tutta questa enfasi sui costi è fuori dall’agenda. Non c’è da scandalizzarsi”. Sulla corsa dei prezzi sull’energia, Cingolani aggiunge: “C’è un corposo gruppo di paesi membri dell’UE che è intenzionata a fare operazione comune di stoccaggio, per quanto ci riguarda, sperando che non ci sia proprio un inverno siberiano, le nostre riserve ci mettono abbastanza al sicuro. Detto questo, abbiamo altre due riunioni entro fine anno e dobbiamo trovare la quadratura. I tedeschi possono chiudere centrali nucleari, ma con cosa producono poi energia? Se è fatta con il carbone parliamone, se è fatta con il gas ci può stare per qualche anno”. Quindi sulle bollette: “Il Governo ha operato in emergenza per compensare gli aumenti e le risorse non bastavano per tutti, favorivano classi sociali medio basse o piccole medie imprese. A marzo lo scenario dovrebbe cambiare, ci dovrebbe essere assestamento prezzi, ma il gas non sarà comunque economico come prima. La nostra politica energetica deve essere ancora più cauta”.
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Studi sui precursori sismici, anomalie geochimiche precedono eventi

ROMA (ITALPRESS) – Alcuni scienziati italiani hanno portato a compimento due studi sui precursori sismici. Gli studi e la ricerca sono stati finanziati dal settore assicurativo italiano attraverso la Fondazione Ania. Il primo studio è stato svolto in Islanda, grazie alla collaborazione con ricercatori locali, e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment. Il secondo studio è stato svolto lungo la Faglia del Monte Morrone, nei pressi di Roccacasale (Aquila) in Abruzzo ed è stato pubblicato sulla rivista Earth and Planetary Science Letters.
Lo studio delle anomalie geochimiche per avanzare le nostre conoscenze sui fenomeni pre-sismici e pre-vulcanici è una frontiera di grande interesse scientifico. “I risultati mostrano che il monitoraggio sistematico idrogeochimico delle acque sotterranee costituisce un percorso di studio. Per arrivare un giorno a stabilire se sia possibile validare anomalie-precursori, e quali, bisogna prima di tutto comprendere se tali fenomeni siano avvenuti anche nel passato remoto geologico e se abbiano lasciato un segno ormai fossile ma identificabile nelle rocce”, spiega Andrea Billi, ricercatore dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche, Cnr-Igag.
“Gli studi geochimici del Monte Morrone, sede di forti terremoti storici, hanno messo in luce la presenza, nelle rocce della faglia, di strutture delle dimensioni dei micron riconducibili a fluidi che sono risultati particolarmente ricchi in Vanadio, probabile testimonianza di antiche anomalie. I risultati – continua – sembrano validare i precursori idrogeochimici ricchi in Vanadio (ed anche Arsenico e Ferro) registrati nell’area di Sulmona prima della sequenza sismica del 2016 in Appennino centrale”.
I ricercatori spiegano che i fluidi profondi “sono intrappolati ad alcuni chilometri di profondità nella crosta terrestre. Tali fluidi risalirebbero verso la superficie terrestre settimane o addirittura mesi prima di terremoti intermedi e forti, con una composizione chimica anomala, e si possono mescolare con le acque superficiali – conclude Billi -. Con analisi chimiche ad hoc possono essere riconosciuti dai geologi e costituire un mezzo efficace nel filone degli studi predittivi di fenomeni sismici e vulcanici. Detto ciò, prevedere precisamente dove e quando si verificherà un terremoto, con dati utili in termini di prevenzione e protezione, è ancora un obiettivo remoto per geologi e geofisici. La predizione di tali eventi non è ancora dietro l’angolo, necessita di molto tempo e studi approfonditi e continuativi su larga scala, ma questa strada sembra avere grande interesse scientifico”.
Il primo studio è stato svolto in Islanda, grazie alla collaborazione con ricercatori locali, e pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment. Già dai primi anni 2000, gli scienziati islandesi cominciarono a raccogliere settimanalmente le acque di due pozzi denominati HU01 e HA01 e situati nel nord dell’isola, presso Hùsavik, dove avvengono frequenti terremoti di magnitudo superiore a 5.0. A partire dal 2018, la collaborazione tra scienziati italiani ed islandesi ha portato a effettuare, nei laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza Università di Roma, nuove e diverse analisi su specifici elementi chimici nei campioni d’acqua che erano stati raccolti tra il 2010 ed il 2018. I risultati hanno messo in luce forti anomalie geochimiche in alcuni momenti della sequenza temporale, che precedono di giorni, settimane o mesi alcuni eventi geologici islandesi: la grande eruzione vulcanica del Bardabunga del 2014 (anticipata anche da una locale sequenza sismica) e tre terremoti di magnitudo superiore a 5.0 avvenuti nel 2012, 2013 e 2018.
Il secondo studio è stato svolto lungo la Faglia del Monte Morrone, nei pressi di Roccacasale in Abruzzo ed è stato pubblicato sulla rivista Earth and Planetary Science Letters.
I geologi avevano cominciato a monitorare la chimica delle acque dell’area di Sulmona ai piedi del Monte Morrone già da circa un anno prima dell’inizio della sequenza sismica di Amatrice-Norcia in Appennino centrale, nell’agosto 2016. Circa 3-4 mesi prima della sequenza sismica, le acque monitorate mostrano contenuti anomali in Vanadio, Arsenico e Ferro, che sono stati studiati come potenziali precursori sismici al pari di quelli individuati in Islanda del Nord e che riguardano elementi chimici quali Vanadio, Boro, Alluminio o Litio, normalmente presenti solo in tracce nelle acque analizzate. Lo studio svolto lungo la Faglia del Monte Morrone ha messo in luce la presenza di microlivelli di roccia ricchi in Vanadio, probabile testimonianza di antichi eventi sismici nell’area preceduti da anomalie di Vanadio nei fluidi. In altre parole tale studio, tramite l’analisi chimica di fluidi fossili, irrobustisce la validità di anomalie chimiche come potenziali precursori pre-sismici in Appennino centrale.
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Patto lavoro e clima in Emilia Romagna, anche il Cnr lo sottoscrive

BOLOGNA (ITALPRESS) – Anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche entra a far parte del Patto per il Lavoro e per il Clima dell’Emilia-Romagna, per il rilancio e un nuovo sviluppo basati sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale. La presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza e il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, hanno sottoscritto oggi a Bologna l’adesione formale dell’Istituto, alla presenza dell’assessore regionale allo Sviluppo economico, Vincenzo Colla.
Il Cnr ha dunque aderito al progetto condiviso che punta a obiettivi fra i quali la completa decarbonizzazione entro il 2050, il 100% di energie rinnovabili al 2035 e il 3% del Pil regionale destinato alla ricerca.
Il Patto è già stato sottoscritto, a fine 2020, dalla Regione Emilia-Romagna e da oltre 55 sigle in rappresentanza dell’intera comunità regionale: sindacati, imprese, enti locali, associazioni ambientaliste, Terzo settore e volontariato, professioni, camere di commercio e banche, comprese le quattro le università emiliano-romagnole (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, Parma), cui recentemente si sono aggiunte quelle lombarde con distaccamenti in regione, la Cattolica e il Politecnico.
“Sono davvero tante le possibilità che una stretta relazione con il mondo della ricerca possono offrire per realizzare gli obiettivi che ci siamo dati con il Patto- dichiarano il presidente della Regione Bonaccini e l’assessore Colla-. La Regione ha costruito una rete dei tecnopoli e dell’alta formazione che ha già stretto un importante legame con i settori produttivi e il tessuto economico e oggi rafforzare questo patto sociale con il Cnr ci darà maggiore capacità di realizzare i cambiamenti di cui abbiamo bisogno”.”Sono lieta di firmare il Patto a Bologna e convinta che dalla stretta collaborazione tra Cnr, Regione Emilia-Romagna e gli altri firmatari giungerà un contributo di idee, progetti e una spinta all’innovazione scientifica e tecnologica particolarmente utile per il territorio e all’intero Paese- ha detto la presidente Carrozza-. Il Patto, fondato sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale, è uno strumento utile a rafforzare il rilancio dopo la pandemia. Sono infatti convinta che la centralità della ricerca scientifica sia fondamentale per costruire un nuovo futuro e questo è specialmente vero in regioni come l’Emilia-Romagna, dove grazie alla ricerca ramificata sul territorio regionale, al trasferimento tecnologico, alle reti dei tecnopoli e dell’alta formazione, si è creata una virtuosa sinergia con i settori produttivi e il tessuto economico.”
L’occasione è stata utile anche per identificare possibili linee di collaborazione tra Cnr e Regione Emilia-Romagna, in particolare su alcune tematiche chiave attorno a cui sviluppare potenziali linee di lavoro, come clima e ambiente, materiali e trasferimento tecnologico.
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