TRIESTE (ITALPRESS) – Mare Nordest è una manifestazione ormai
consolidata che ha una grande rilevanza per Trieste perchè
consente, in una città che fonda la propria economia in larga
parte sul mare, di diffonderne la cultura.
E’ questo, in sintesi, il concetto espresso dall’assessore
regionale alle Autonomie locali alla presentazione di Mare
Nordest 2021, il festival dedicato al mare che si svolgerà nel
capoluogo regionale, in piazza dell’Unità d’Italia, dal 10 al 12
settembre. Nel corso dell’illustrazione del programma e dei dettagli dell’evento, che quest’anno giunge alla decima edizione,
l’assessore ha rilevato che Mare Nordest, oltre ad arricchirsi
ogni anno di contenuti e momenti di confronti di grande spessore
e rilevanza, si conferma un appuntamento di valore anche per la
capacità dei suoi organizzatori di anticipare, prima che
divengano noti alle grandi masse, temi di grande impatto, come
quello delle microplastiche. Infine, è stato rilevato, la
manifestazione unisce agli incontri e ai dibattiti educativi e
culturali un’attività concreta di pulizia dei fondali marini di
Trieste, a tutto vantaggio dell’ambiente.
Ideato e organizzato dall’omonima associazione sportiva
dilettantistica, con il patrocinio del Comune di Trieste e della
Regione, il festival unisce istituzioni, professionisti,
ricercatori e soggetti che abbiano un profondo legame con il mare
ed è adatta a ogni genere di pubblico. Sono previsti diversi
appuntamenti che andranno a coprire varie tematiche:
dall’innovazione green alla cultura storica, dalla ricerca
scientifica all’intrattenimento.
Il Festival prenderà avvio con un convegno sullo Scuttling, ossia
l’operazione di autoaffondamento volontario e pilotato di
naviglio dismesso dai ruoli civili o militari per la
rivalorizzazione, moderato dal giornalista sportivo Romano
Barluzzi, recentemente insignito del Tridente d’Oro, al quale
parteciperanno tra gli altri Paola Del Negro, direttore generale
dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica
Sperimentale OGS e Paolo Ferraro, direttore dell’Accademia
Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee.
In collaborazione con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare
Adriatico Orientale, Asi Sub e i volontari di diverse
associazioni e circoli subacquei, sarà inoltre eseguita una
prospezione subacquea dell’area prospiciente il Molo Audace di
Trieste al fine di consentire la rilevazione e l’aggiornamento
della situazione esistente con un intento di carattere didattico
e sportivo.
Durante Mare Nordest 2021 verrà dato ampio spazio ad aMare.fvg
che da progetto pilota regionale è diventato realtà per nove
Comuni del litorale del Friuli Venezia Giulia, contribuendo a
dare un ulteriore importante messaggio di attenzione verso il
mondo marino.
(ITALPRESS).
“Mare Nordest” promuove cultura dell’ambiente e tutela della costa
Cap, gli scarti alimentari di Milano Ristorazione diventano bioenergia
MILANO (ITALPRESS) – Gli scarti alimentari diventano bioenergia per alimentare il depuratore di Robecco sul Naviglio. Milano Ristorazione, società partecipata del Comune di Milano che dal 2001 fornisce il servizio di ristorazione a nidi, scuole d’infanzia, primarie, secondarie di primo grado e a strutture a servizio degli anziani, e Gruppo CAP, gestore del servizio idrico integrato dei Comuni della Città metropolitana di Milano, hanno dato vita a un accordo in ottica di economia circolare per valorizzare i grassi di scarto del centro produzione pasti di via Sammartini a Milano, da convertire, grazie all’impiego dei biodigestori anaerobici, in energia elettrica e termica, utile per alimentare i processi e le attività dell’impianto che serve i cittadini dell’alto milanese.
Il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, il più grande hub espositivo tecnico scientifico in Italia, dal 4 al 12 settembre sarà lo scenario ideale in cui presentare la sinergia tra le due realtà pubbliche, proprio nei giorni della Milano Design Week, all’interno dello spazio dedicato a Gruppo CAP nel corso dell’iniziativa re- Food Market, organizzata nella sala del Cenacolo.
“L’accordo con Milano Ristorazione è uno dei progetti del nostro Green New Deal, col quale intendiamo contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio lombardo all’insegna della decarbonizzazione e della transizione ecologica – spiega Alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CAP-. In quest’ottica gli scarti agroalimentari ci permetteranno di trasformare i nostri depuratori in bioraffinerie, dove produrre biogas e biometano. Gestiamo 40 depuratori che grazie a sinergie industriali come queste stanno diventando fabbriche verdi, dove il recupero di acqua trattata da impiegare in agricoltura fa rima con energia pulita prodotta dai rifiuti, ma anche con cellulosa, sabbie, fosforo e azoto, sottoprodotti del processo di depurazione convertiti in materie prime da reimpiegare nella produzione”.
Il progetto pilota, della durata di due anni, nasce dal comune interesse delle due aziende ad approfondire lo sviluppo e l’applicazione di processi e tecnologie nel campo energetico e ambientale, con un’attenzione particolare alla valorizzazione di rifiuti di origine agroalimentare, al fine di aumentare l’integrazione e la simbiosi industriale tra le infrastrutture urbane locali e accelerare le politiche di riconversione circolare previste nella città di Milano e nel milanese.
“La nostra missione è dare alle bambine e ai bambini delle scuole milanesi un pasto ‘sano, buono, educativo e giustò – afferma Bernardo Notarangelo, presidente di Milano Ristorazione -. Questo oggi, e sempre più, vuol dire promuovere i valori di sostenibilità del sistema alimentare e di lotta contro gli sprechi, due principi cardine della Food Policy di Milano dei quali l’accordo con CAP, che ci auguriamo di estendere, è un ulteriore esempio di concreta realizzazione”.
Ogni mese, dal centro di cottura di Milano in via Sammartini, vengono prelevate circa 10 tonnellate di grassi di scarto, in forma liquida, provenienti dalla preparazione dei pasti. Una volta arrivati al depuratore di Robecco sul Naviglio, gli scarti diventano biogas attraverso il processo di fermentazione tipico dei biodigestori anaerobici, che negli impianti di depuratori servono per trasformare i fanghi di depurazione in energia.
Il progetto è stato validato dal Politecnico di Milano che, su incarico di CAP, ha testato in fase preliminare la tipologia di grassi utilizzati certificandone il loro grado di biodegradabilità e quindi l’idoneità a essere trattati nei biodigestori. Per chiudere il cerchio, semestralmente la water utility provvederà a fornire una Carbon Footprint delle attività e dei processi, stimando l’energia prodotta e la CO 2 risparmiata, al fine di identificare i benefici dell’operazione in termini di circular economy.
Dopo la fase di sperimentazione che porterà a Robecco fino a 100 tonnellate all’anno di materiale di scarto, l’idea per il futuro è quella di incrementare le quantità, o ancora di integrare ulteriori tipologie di rifiuti provenienti dai diversi centri produzione pasti di Milano Ristorazione. Una sfida in linea con le strategie di Food Policy definite dal Comune di Milano con l’Expo 2015 per rendere più equo e sostenibile il sistema alimentare di Milano, e che sposa alla perfezione gli obiettivi di sostenibilità che Gruppo CAP, azienda che da oltre 90 anni opera sul territorio del milanese, sta mettendo in atto già da anni.
Al fine di trasformare i depuratori in piattaforme integrate per l’economia circolare, anche a San Giuliano Milanese, Sesto San Giovanni, Bareggio, Canegrate, Rozzano e Pero sono state avviate attività di produzione a regime di biogas e biometano a basso impatto ambientale che impiegano rifiuti organici, provenienti dall’industria agro-alimentare dell’hinterland milanese. La genesi risiede nel Protocollo di Intesa sottoscritto a fine 2019 dalla Città metropolitana di Milano, ente autorizzativo degli impianti, e Gruppo CAP che, secondo uno studio effettuato da Kyoto Club, utilizzando i biodigestori anaerobici già presenti nei depuratori, può convertire in energia pulita 107 tonnellate di scarti organici, arrivando ad alimentare fino a 39.000 tra veicoli, mezzi aziendali e trasporti pubblici: 2,5 volte il numero di auto circolanti alimentate a metano nella Città metropolitana di Milano.
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Negoziati Onu sulla biodiversità, Wwf “Serve subito un accordo”
ROMA (ITALPRESS) – A conclusione di due settimane di discussioni in seno alle Nazioni Unite, il Wwf esprime la propria preoccupazione per la mancanza di ambizione mostrata dai governi mondiali impegnati a negoziare un accordo globale sulla biodiversità, un’occasione che si presenta solo una volta ogni dieci anni. La terza sessione dell’Open-Ended Working Group, che si è tenuta in modalità virtuale dal 23 agosto al 3 settembre, rappresentava un’opportunità per i Paesi per risolvere le criticità presenti nella prima bozza del quadro globale per la biodiversità post-2020. Sebbene qualche progresso sia stato compiuto, alcune importanti questioni rimangono ancora irrisolte.
Resta soltanto un’altra piccola finestra negoziale nel gennaio 2022, prima che la bozza di accordo sia presentata per l’adozione a Kunming, Cina, durante la seconda parte della COP 15: il Wwf rimarca che il tempo sta per scadere perchè venga adottato un accordo ambizioso che fermi la perdita di biodiversità e ci porti verso un mondo nature positive entro il 2030.
“Quest’ultima sessione di negoziati, conclusa oggi, ha permesso ai Paesi di trovare punti in comune in nuovi ambiti, ma i progressi ottenuti potrebbero essere resi vani alla prossima sessione di negoziati. Il WWF è estremamente preoccupato di quanto occorra ancora lavorare per raggiungere un accordo globale sulla biodiversità che sia tanto ambizioso e completo quanto l’Accordo di Parigi lo è sul clima. Francamente, non abbiamo più tempo da perdere – afferma Li Lin, direttrice Policy e Advocacy al WWF Internazionale -. La crisi delle risorse naturali ha già oggi un grande impatto su vite e futuro delle persone, ma l’andamento dei negoziati è lento. Occorre che i leader mondiali traducano gli ambiziosi impegni presi per invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 in azioni urgenti nei negoziati. Non è troppo tardi per garantire un mondo “nature-positive”, ma i leader mondiali devono inviare un segnale chiaro ad ottobre di quest’anno attraverso la Kunming Declaration, che chiuderà prima sessione della COP 15″.
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Isola del Giglio, rimossa dal fondale una rete di 500 metri
ROMA (ITALPRESS) – Le attrezzature da pesca abbandonate sono i rifiuti maggiormente rinvenuti nei mari di tutto il mondo e rappresentano una delle più serie minacce alla biodiversità marina: per questo la Divisione Subacquea di Marevivo si è immersa nelle acque dell’Isola del Giglio liberandole da una rete fantasma. L’operazione è stata realizzata dai sub di Marevivo con il supporto della Guardia Costiera-Corpo delle Capitanerie di Porto di Porto Santo Stefano e Isola del Giglio, coadiuvati dai biologi marini di Marevivo che hanno assistito alle operazioni e fatto un’attività di analisi dello stato della rete che era adagiata su un fondale caratterizzato dalle tipiche biocenosi del coralligeno Mediterraneo. Se a terra le nostre spiagge soffrono a causa della presenza di rifiuti, la situazione è ancora peggiore nelle profondità marine: secondo un rapporto realizzato da FAO e Unep (2009), ogni anno in tutto il mondo vengono abbandonate o perse dalle 640.000 alle 800.000 tonnellate di attrezzi da pesca (reti, cordame, trappole, galleggianti, piombi, calze per mitilicoltura).
Il Great Pacific Garbage Patch, più comunemente noto come “isola di plastica”, è costituito per il 46% da attrezzature e reti da pesca. Nel nostro Mediterraneo recenti ricerche condotte in diverse località indicano che gli attrezzi da pesca possono rappresentare la maggior parte dei rifiuti marini registrati, con cifre che raggiungono anche l’89%.
I danni arrecati all’ambiente marino non si limitano all’inquinamento: una volta abbandonate, le attrezzature da pesca diventano vere e proprie trappole che occupano i fondali o che, trascinate dalle correnti, continuano a imprigionare e a pescare mettendo in pericolo la fauna e la flora marina, con il risultato che ogni anno circa 100.000 mammiferi marini e un milione di uccelli marini muoiono a causa dell’intrappolamento in reti da pesca fantasma o per l’ingestione dei relativi frammenti.
Per questo dal 2003 la Divisione Subacquea di Marevivo conduce ogni anno operazioni di recupero di reti abbandonate e di bonifica dei fondali in numerose località italiane, prelevando dal mare in questi anni oltre 9.000 metri di reti abbandonate.
“Questo recupero – ha detto Rosalba Giugni, presidente di Marevivo – rappresenta il grande lavoro di stretta collaborazione che Marevivo porta avanti da anni con le Amministrazioni e le realtà delle isole minori. Grazie alle indicazioni di un centro immersioni è stata segnalata la rete di 500 mt in una zona limitrofa a una già tristemente coinvolta dal naufragio della nave Costa Concordia e abbiamo deciso di intervenire grazie al supporto di Banor”.
“L’intervento della squadra operativa di Marevivo – ha spiegato Massimiliano Falleri, responsabile della divisione Subacquea di Marevivo – si è reso necessario per la caratteristica della secca, ad iniziare dalla sua profondità piuttosto impegnativa – dai 35 agli 80 metri – e dalla lunghezza della rete stessa. I biologi hanno eseguito un’accurata analisi preliminare di alcuni video per valutare gli organismi concrezionati presenti sulla rete. Nelle immediate vicinanze della rete sono state trovate diverse gorgonie che avrebbero potuto essere danneggiate dalla rete stessa: gorgonie gialle, (Eunicella cavolinii), gorgonie bianche (E.singularis), gorgonie rosse (Paramuricea clavata) e il corallo d’oro o falso corallo nero (Savalia savaglia). In particolare, le gorgonie bianche (Eunicella singularis) che avevano iniziato a colonizzare la rete sono state liberate. In prossimità della rete abbiamo riscontrato la presenza di specie protette come il riccio diadema (Centrostephanus longispinus). Nella fase successiva ci siamo occupati soprattutto delle specie rimaste intrappolate nella rete come echinodermi, crostacei, molluschi, platelminti che sono stati prontamente liberati e riportati in acqua”.
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Discariche verso il collasso in 3 anni, A2A “Serve svolta culturale”
CERNOBBIO (COMO) (ITALPRESS) – “Un anno fa eravamo bloccati, in covid economy. Quest’anno l’economia è ripartita, e siamo tornati ai livelli del 2019. Sono cambiate tante cose, ma la foto che abbiamo scattato è lo stessa. Con un anno di meno di “vita” media delle discariche”. Il presidente di A2A, Marco Patuano, non nasconde la sua frustrazione per lo stallo sostanziale in Italia legato ai problemi della gestione dei rifiuti. La foto a cui si riferisce è quella contenuta nel position paper “Da Nimby a Pimby: economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori” presentato oggi da The European House – Ambrosetti. Stando ai dati infatti, in tre anni sarà esaurita la capacità residua delle discariche in Italia. Per rimediare servono 4,5 miliardi di investimenti in impianti, a fronte di un ritorno di 11,8 miliardi di indotto economico che generebbero inoltre 550 milioni di beneficio economico complessivo delle famiglie italiane sull’imposta dei rifiuti (Tari). Per l’ambiente, se possibile il vantaggio sarebbe ancora migliore: si stima infatti che sarebbero 3,7 i milioni di tonnellate di emissione di CO2 evitate grazie al recupero energetico dei rifiuti.
Eppure nulla si muove, come riassume Patuano, che chiarisce anche i motivi. “E’ difficile fare cultura della raccolta differenziata, se poi tutto viene buttato tutto nello stesso cassonetto. Il fattore infrastrutturale ha una ricaduta drammatica su quello culturale” spiega il manager, secondo cui “la soluzione non è mettere la testa sotto la sabbia, con nuove discariche non si risolve il problema”. E non è nemmeno questione di fondi, poichè finanziatori per i termovalorizzatori così come operatori qualificati, ce ne sono molti in Italia e nel mondo. Ciononostante, 17 regioni italiane avranno a tendere un gap impiantistico per questo tipo di attività, che per essere colmato necessiterà di 6-7 nuovi termoutilizzatori per i rifiuti urbani.
Il problema è che nessuno vuole discariche o impianti di trasformazione dei rifiuti vicino a casa. E’ la cosiddetta sindrome Nimby. Per superarla, spiega il rapporto, servirebbero: una programmazione nazionale, la creazione di un Fondo Di Garanzia e la qualificazione del ruolo degli investimenti. “In una città come Brescia, la Forsu (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano, ndr) prodotta dai cittadini potrebbe alimentare tutto il trasporto pubblico locale in un anno” ha spiegato l’a.d. di A2A, Renato Mazzoncini, secondo cui “il superamento della sindrome Nimby può avvenire tramite il dialogo con le comunità locali e con la programmazione politica dei decisori pubblici. Gli investimenti sono pronti, serve capacità di programmazione”.
“Crediamo che sia necessario un approccio pragmatico per colmare il divario impiantistico e rendere possibile l’uso circolare delle risorse, unica modalità di crescita sostenibile. Il nostro piano industriale decennale prevede sei miliardi di investimenti per l’economia circolare, siamo pronti a fare la nostra parte” aggiunge ancora Mazzoncini. Non una scelta, quindi, ma una necessità ribadita da dati inequivocabili: la capacità residua delle discariche in Italia si esaurirà con differenze significative tra Nord (4,5 anni) e Sud (1,5 anni). Annualmente vengono conferiti 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti (urbani e speciali) che corrispondo a 26 volte il volume del Duomo di Milano. Il Paese è quindi ancora lontano dall’obiettivo europeo del 10% di conferimento di rifiuti urbani in discarica al 2035, fissato dal Circular Economy Action Plan, viaggiamo nel 2019 al 20,9%. Nel complesso, si tratta di un valore 30 volte superiore a quello dei best performer europei (Svizzera, Svezia, Germania, Belgio e Danimarca) che vi ricorrono in media per lo 0,7% del totale dei rifiuti. Lo studio analizza anche l’andamento del recupero energetico dai rifiuti urbani e dai fanghi di depurazione.
Per chiudere il ciclo ambientale poi, la quota dei rifiuti urbani non recuperabile come materia necessita di essere recuperata come energia: l’Italia oggi riesce a farlo per il 19,6% del totale, a fronte del 45,4% dei Paesi europei che hanno già ridotto il conferimento in discarica sotto il 5%. Non c’è tempo da perdere, specie ora che l’economia riparte, il costo della gestione dei rifiuti può diventare una zavorra fatale.
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Sostenibilità, fondamentale il contributo delle aziende agricole
ROMA (ITALPRESS) – Il 48% delle imprese agricole ha un elevato standard di sostenibilità che emerge chiaramente dalle iniziative messe in atto con investimenti mirati. Ma non solo: la reazione al Covid ha generato maggiore consapevolezza verso questo tema, che ha posto al centro dell’attenzione il valore della salute.
Sul palcoscenico di Cibus, il salone internazionale dell’alimentazione in corso a Parma, Confagricoltura e Reale Mutua hanno presentato la seconda edizione di “AGRIcoltura100”, il progetto che analizza il livello di sostenibilità ambientale e sociale delle aziende agricole italiane e i loro effetti sulla qualità e sicurezza alimentare.
“L’agricoltura italiana parte già dal più alto valore aggiunto d’Europa – ha affermato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – ma gli imprenditori agricoli sono chiamati a fare ancora di più. Il percorso verso una maggiore sostenibilità è particolarmente apprezzato dalle generazioni più giovani, che si dimostrano più sensibili su questo tema. La sfida è riuscire a farlo in modo condiviso e convinto, con adeguate misure per le imprese”.
Sono state 1850 le realtà analizzate dalla prima edizione dello studio, realizzato da Innovation Team, dal quale emerge uno spaccato che valorizza l’impegno degli imprenditori del settore primario: risparmio energetico, uso sempre più ridotto di fitofarmaci, analisi costanti del terreno, certificazioni di qualità, formazione, integrazione sociale. I numerosi parametri della ricerca scavano a fondo e danno uno spaccato scientificamente valido di cosa rappresenti la sostenibilità nell’agricoltura italiana.
L’obiettivo è monitorare costantemente l’evoluzione di questo impegno; la seconda edizione dell’indagine è in corso e già ora il numero delle aziende partecipanti è superiore a quello della prima edizione.
“Siamo sempre più impegnati sul fronte della protezione e valorizzazione del comparto agro-alimentare, e lo facciamo a tutto tondo – ha concluso il direttore commerciale e Brand di Gruppo di Reale Mutua, Michele Quaglia – Il percorso di sviluppo insieme a Confagricoltura è un tassello importante del nostro impegno per lo sviluppo sostenibile che intendiamo proseguire per valorizzare il contributo dell’agricoltura in questo ambito e per la rinascita del Paese dopo l’emergenza Coronavirus”.
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Da Cdm ok a decreto incendi, inasprite pene
ROMA (ITALPRESS) – Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Mario Draghi di concerto con i Ministri della giustizia Marta Cartabia, dell’interno Luciana Lamorgese, della difesa Lorenzo Guerini, dell’economia e delle finanze Daniele Franco, per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, della transizione ecologica Roberto Cingolani, per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna, per gli affari regionali e le autonomie Mariastella Gelmini, delle politiche agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli e dell’università e della ricerca Maria Cristina Messa, ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile. Il decreto affida al Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri il compito di stilare, con cadenza triennale, il Piano Nazionale per il rafforzamento delle risorse umane, tecnologiche, aeree e terrestri necessarie per una più adeguata prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, documento che andrà ad integrare la consueta pianificazione regionale. A tal fine al Dipartimento della protezione civile è affidata la ricognizione e valutazione di strumenti innovativi, quali: tecnologie, anche satellitari, idonee all’integrazione dei sistemi previsionali, di sorveglianza, monitoraggio e rilevamento dell’ambiente; mezzi aerei ad ala fissa, rotante o a pilotaggio remoto; mezzi terrestri; formazione. Il Dipartimento della protezione civile provvederà a questa ricognizione e valutazione avvalendosi di un Comitato tecnico, costituito con Decreto del Capo del Dipartimento, del quale fanno parte qualificati rappresentanti dei Ministeri interessati, del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, del Comando Carabinieri per la Tutela Forestale, delle Regioni e Province Autonome di Trento e di Bolzano e dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia.
Il decreto inasprisce le sanzioni – sia amministrative che penali, in particolare per l’ipotesi in cui ad appiccare il fuoco sia chi avrebbe invece il compito di tutelare il territorio (viene, al riguardo, introdotta una specifica aggravante) – e mira a colpire gli interessi degli autori degli illeciti, ad incentivare la collaborazione con le indagini e a favorire condotte volte alla riparazione del danno causato.
Una condanna per incendio doloso non inferiore a due anni comporta, inoltre, per il dipendente pubblico l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione e l’interdizione dalla possibilità di prestare servizi nell’ambito della lotta contro gli incendi. Come già avviene per il ravvedimento operoso previsto per i reati ambientali, si introduce un’attenuante per chi, prima dell’inizio del processo, provveda alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dei luoghi, salvo che a provocare l’incendio doloso sia chi prestava servizio nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi.
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Wwf “La transizione ecologica ha bisogno di idee e politiche chiare”
ROMA (ITALPRESS) – “Le discussioni sulla natura degli ambientalisti rischiano di essere un esercizio ideologico inutile che rischia di farci solo perdere tempo rispetto all’urgenza delle sfide che ci aspettano, in primis, quella al cambiamento climatico che già condiziona la nostra vita, come dimostrano l’estate di fuoco delle regioni meridionali e le alluvioni nel nord Europa e nord Italia”. Lo sottolinea in una nota il Wwf, aggiungendo che “la portata delle emergenze in atto e l’urgenza delle azioni non può ridursi ad un confronto ideologico ma deve nel concreto affrontare il problema di come favorire positivamente la transizione ecologica che è già in atto nel nostro Paese in settori quali le energie rinnovabili e l’agricoltura biologica. La storia delle grandi battaglie ambientaliste del passato merita rispetto perchè ha garantito al nostro Paese di salvare parti consistenti del proprio capitale naturale, evitato il nucleare di vecchia generazione e i problemi ambientali e di sicurezza ad esso connessi, favorito l’istituzione dei parchi nazionali e contrastato lo sfruttamento indiscriminato del Mediterraneo, solo per citare alcuni dei grandi risultati ottenuti dal mondo ambientalista”.
Per l’associazione ambientalista “la transizione ecologica va perseguita con convinzione e con iniziative positive nel campo della conversione verde del nostro sistema economico-produttivo e individuando strumenti per la giusta transizione verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Di transizione ecologica si parla finalmente oggi dopo anni che gli ambientalisti l’hanno individuata come la soluzione e richiesta sia a livello internazionale che nazionale. Oggi la lotta al cambiamento climatico ha innescato un timer (che giorno dopo giorno accelera il proprio count down) che scandisce il tempo in cui bisogna agire con concretezza superando modelli di una vecchia economia che ha visto nei combustibili fossili (ma non solo) la sua spinta primaria. La risposta a questa sfida non può essere solo di carattere tecnologico, nè ideologica”.
Secondo il Wwf “sono le Nazione Unite e non gli ambientalisti a documentare come in parallelo allo sviluppo delle nuove tecnologie occorra garantire politiche concrete e urgenti che limitino la perdita di biodiversità, la riduzione degli habitat, l’arresto della frammentazione dei territori e del consumo di suolo. Servono politiche di adattamento e resilienza soprattutto sul fronte dei cambiamenti climatici in atto che ancora vediamo solo enunciate. Andiamo incontro a scadenze internazionali importanti, prima fra tutte la strategia europea per arrivare al taglio del 55% delle emissioni al 2030: ci aspettiamo dall’Italia un ruolo di leadership all’altezza delle evidenze e delle proposte condivise dagli esperti”, conclude la nota.
(ITALPRESS).









