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Le perdite idriche nel Mezzogiorno sfiorano il 50%

ROMA (ITALPRESS) – Lo spreco dell’acqua, in particolare nelle regioni meridionali, è sempre troppo elevato: al Nord mediamente le perdite idriche si attestano intorno al 28%, al Sud superano il 47%, con picchi del 60% in alcuni capoluoghi siciliani e campani. Lo rivela un Report curato da SVIMEZ con il supporto di Utilitalia, che fa notare come, a fronte degli evidenti divari di qualità riscontrati, le tariffe mediamente non sono così difformi sul territorio nazionale: anzi, in alcune aree del Mezzogiorno sono perfino sensibilmente superiori rispetto a quelle del Nord, dove una parte dell’efficientamento del servizio si è riflessa in minori costi del servizio stesso oltre che nell’incremento della qualità. Secondo il Report, appena il 7% delle famiglie del Nord è poco o per niente soddisfatto del servizio, contro il 21% delle famiglie del Mezzogiorno, con una punta del 36% in Calabria.
Rispetto a un investimento medio degli altri Paesi europei di 90 euro per abitante, l’Italia ha investito molto meno, circa 39 euro (dati 2017). Gli investimenti nel Mezzogiorno si attestano a meno, circa 26 euro, rispetto ai 39 del Centro-Nord.
Per di più, nelle gestioni comunali in economia, significative in molte Regioni meridionali, l’investimento medio (2015-2016) scende tra i 4 ed i 7 euro per abitante. Per riequilibrare il divario di investimenti tra Nord e Sud, in base alla clausola del 34%, per la quale si è battuta a lungo la SVIMEZ e che è ormai legge, occorrerebbe un finanziamento aggiuntivo di quasi 3 miliardi da destinare alle imprese meridionali. Se, poi, si volesse riequilibrare in termini pro-capite il valore cumulato degli investimenti realizzati a partire dall’anno 2000, la misura di tale compensazione sfiorerebbe i 4 miliardi, con impatti maggiori in Sicilia, Campania e Calabria.
In base al Report, il livello di fatturato per addetto è significativamente più elevato al Centro-Nord (circa 260mila euro) rispetto al Mezzogiorno (circa 184mila euro), così come la produttività lorda, misurata dal valore aggiunto per addetto, che al Centro-Nord si colloca intorno ai 134mila euro per addetto, contro i quasi 95mila del Sud.
In base alle stime elaborate con il modello Nmods della SVIMEZ, un piano di investimenti aggiuntivi per 3 miliardi nel settore idrico genererebbe un incremento del Pil dello 0,3% in Italia, con un significativo recupero del Mezzogiorno: nel triennio 2021-2023 la maggiore crescita cumulata del Pil del Sud sarebbe +1,1%, contro +0,1% previsto per il Centro-Nord.
Sotto il profilo occupazionale, nel periodo di realizzazione degli investimenti, i posti di lavoro aumenterebbero di quasi 45mila unità, in gran parte, circa 40mila, concentrate nel Mezzogiorno, ma con una consistenza non trascurabile anche nel Centro-Nord (circa 5mila).
Secondo il Report, serve nel Mezzogiorno una maggiore aderenza alle strutture d’impresa adottate al Nord, promuovendo aziende medio-grandi. Al Sud la dimensione media delle imprese supera di poco i 30 addetti, mentre al Centro-Nord raggiunge i 50. Inoltre, più di un terzo del valore delle gestioni idriche è privo di un soggetto industriale al Mezzogiorno, contro il 7,2% del Centro-Nord, con picchi in Molise, Calabria, Sicilia e Basilicata, dove oltre la metà del servizio idrico è in forma diretta. L’aver mantenuto in capo ai Comuni la gestione diretta del servizio idrico integrato nel Mezzogiorno, disapplicando sistematicamente la legge Galli, ha generato i ritardi rispetto al Nord.
Nelle regioni dove la resistenza dei Comuni è stata maggiore nel cedere gli impianti a un gestore industriale, vi sono livelli più bassi d’investimenti e peggior qualità del servizio coniugata a tariffe più alte, proprio là dove le condizioni finanziarie e reddituali delle famiglie, in particolare al Sud, sono più precarie. La lievitazione dei costi, sommata alla mancata crescita delle tariffe, o alle blande riscossioni delle tariffe stesse pur se adeguate, rende insostenibile la resistenza dei Comuni.
Il Report contiene alcune proposte di policy per affrontare il problema: 1) Promuovere una gestione imprenditoriale;
2) Allineare la governance agli standard nazionali; 3 Individuare i gestori unici per ogni ambito ottimale; 4)Imporre ai Comuni che erogano direttamente il servizio di cedere gli impianti al gestore individuato o di adottare il sistema regolatorio vigente e applicare tariffe coerenti con esso nel caso in cui non vi sia un gestore individuato; 5) Garantire la capitalizzazione del gestore, realizzando una parte degli investimenti con un contributo pubblico, in modo da non scaricare sulle tariffe tutti gli oneri.
“Alla radice del divario di cittadinanza ‘idricò ci sono scelte miopi della politica locale che hanno consegnato in molte parti del Mezzogiorno un servizio di pessima qualità, con perdite sulla rete anche del 70% e inesistenza di impianti di depurazione delle acque reflue” – commenta Luca Bianchi, Direttore SVIMEZ – “Con il mantra illusorio dell’acqua pubblica è stata disapplicata la normativa nazionale, non sono stati fatti crescere i gestori industriali e si sono bloccati gli investimenti. Adesso bisogna accelerare per raccogliere la sfida della transizione ecologica e allineare le gestioni idriche del Mezzogiorno a quelle del Nord”.
“Ridurre il gap infrastrutturale del sistema idrico al Sud – afferma la presidente di Utilitalia, Michaela Castelli – tutela i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale. Occorre recuperare rapidamente il ritardo accumulato nelle regioni meridionali rispetto all’implementazione del quadro normativo e regolatorio nazionale. Nei territori in cui la riforma risalente a più di 25 anni fa non è stata ancora portata a compimento, servono interventi che permettano di superare le gestioni in economia, rilanciare gli investimenti e promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale”.
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Aeroporti, “Caselle” sempre più green anche con coltivazione camomilla

TORINO (ITALPRESS) – Nuovo brand verde, sostenibilità e sempre più servizi con massima attenzione all’ambiente. L’aeroporto di Torino-Caselle ha deciso di aumentare il suo impegno per la sostenibilità, dopo 15 anni di continua riduzione della sua impronta ambientale. ‘Torino Green Airport’ è infatti possibile grazie ad alcune scelte compiute in passato, ultima in ordine di tempo quella intrapresa a inizio anno, che ha portato lo scalo torinese ad acquistare solo energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili. Sempre per quanto concerne l’energia elettrica, si è passati da un consumo complessivo di oltre 25mila Megawatt/ora nel 2009 a poco più di 17mila Megawatt/ora nel 2019, con una riduzione nel decennio del -32%, una percentuale che si contrae ulteriormente attestandosi al -45% se si contestualizza il consumo per passeggero: in questo caso si è infatti passati da 7,83 Kilowatt/ora del 2009 ai 4,32 del 2019. Rispetto ai combustibili da riscaldamento, la contrazione sul decennio è stata nel complesso pari al -20%, passando dai 9.167 Megawatt/ora del 2009 ai 7.350 Megawatt/ora del 2019. Anche in questo caso, se si prende in esame il consumo per singolo passeggero, la percentuale di riduzione sui 10 anni è più elevata: dal 2009 al 2019 il calo è stato del -35%, passando da 2,84 a 1,86 Megawatt/ora. Infine, per quel che concerne la quantità di CO2 emessa, il calo è stato pari al -45%: se nel 2009 l’Aeroporto di Torino emetteva nell’ambiente 13.626 tonnellate di CO2, nel 2019 ne ha contenuto le emissioni avvicinandosi al loro dimezzamento con poco più di 7.500 tonnellate. Si punta inoltre alla riduzione dei rifiuti e al recupero di quelli prodotti. A queste policy, si sono affiancate anche scelte tecnologiche precise, come l’installazione di una nuova centrale di climatizzazione estiva con gruppi frigoriferi ad altissima efficienza o la sostituzione di generatori di calore con nuove apparecchiature ad alta efficienza e basse emissioni. Grazie a tutti questi interventi, nel 2020 Torino Airport ha conseguito la certificazione al Livello 2 ‘Reduction’ del programma di sostenibilità ambientale Airport Carbon Accreditation, il traguardo fissato per il prossimo triennio 2021-2023 è il dimezzamento delle emissioni di CO2 rispetto all’anno base 2017. Non solo, entro il 2023 verrà ampliato il parco mezzi aeroportuali alimentati con motore ibrido o elettrico, arrivando a disporre entro due anni di un parco mezzi per il 40% di tale tipologia. E’ in avviamento il progetto di Smart Grid aeroportuale, finalizzato all’autoproduzione efficiente e sostenibile dell’energia necessaria al funzionamento dell’infrastruttura. Infine, a partire dall’autunno 2021, 15 ettari dei terreni dello scalo, verranno dedicati alla coltivazione della camomilla che favorisce la biodiversità (bee friendly) e non attira avifauna, mentre per il recupero delle acque, si prevede di accumulare l’acqua piovana attraverso un sistema di vasche e filtri che verrà ultimato entro il 2024.
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Corte Conti Ue “A pagare sono spesso i contribuenti, non chi inquina”

LUSSEMBURGO (ITALPRESS) – Il principio “chi inquina paga” prevede che l’inquinatore debba sostenere i costi dell’inquinamento causato. Secondo una relazione pubblicata dalla Corte dei conti europea, tuttavia, nell’UE non è sempre così. Anche se questo principio è generalmente recepito nelle politiche ambientali dell’UE, infatti, è applicato in misura diversa nei vari settori e negli Stati membri e la sua copertura resta incompleta. Di conseguenza, sottolinea la Corte, gli interventi di bonifica sono talvolta pagati con fondi pubblici anzichè da chi ha provocato l’inquinamento.
Nell’UE esistono quasi 3 milioni di siti potenzialmente contaminati, principalmente da attività industriali e dallo smaltimento e trattamento dei rifiuti. Su dieci corpi idrici superficiali, come laghi e fiumi, sei non sono in un “buono stato chimico ed ecologico”. L’inquinamento atmosferico, un grave rischio sanitario nell’UE, è inoltre nocivo per la vegetazione e gli ecosistemi. Tutto ciò comporta costi significativi per i cittadini dell’UE. In virtù del principio “chi inquina paga”, chi inquina è considerato responsabile dell’inquinamento e del danno ambientale causato. Ed è chi inquina, e non i contribuenti, che dovrebbe farsi carico dei costi associati.
“Per raggiungere gli obiettivi ambiziosi del Green Deal europeo con efficienza ed equità, gli inquinatori devono pagare per i danni ambientali che provocano”, ha dichiarato Viorel Stefan, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “Fino ad oggi, però, troppo spesso i contribuenti europei sono stati costretti a sostenere costi che avrebbero dovuto essere a carico di chi inquina”.
Il principio “chi inquina paga” è un principio fondamentale alla base della normativa e delle politiche ambientali dell’UE, ma la Corte ha riscontrato che viene applicato in misura diversa e non uniformemente. Anche se la direttiva sulle emissioni industriali si applica agli impianti più inquinanti, in caso di danno ambientale causato da emissioni autorizzate la maggior parte degli Stati membri non obbliga le industrie responsabili al risarcimento. La direttiva non impone neppure alle industrie di sostenere i costi dell’impatto dell’inquinamento residuo, che ammonta a centinaia di miliardi di euro. Analogamente, la normativa dell’UE in materia di rifiuti integra il principio “chi inquina paga”, ad esempio attraverso la “responsabilità estesa del produttore”. La Corte rileva però che occorrono spesso ingenti investimenti pubblici per sopperire alla mancanza di fondi.
Chi inquina, inoltre, non sostiene il costo pieno dell’inquinamento idrico. Sono generalmente le famiglie dell’UE a pagare di più, anche se consumano solo il 10 % dell’acqua. Il principio “chi inquina paga” resta di difficile applicazione in caso di inquinamento da fonti diffuse, in particolare quello provocato dall’agricoltura.
Molto spesso, la contaminazione dei siti risale a così tanto tempo prima che l’inquinatore non esiste più, non può essere individuato e non può essere obbligato a risarcire il danno. Questo “inquinamento orfano” è una delle ragioni per cui l’UE ha dovuto finanziare progetti di bonifica che avrebbero dovuto essere pagati dagli inquinatori. E quel che è peggio, l’utilizzo dei fondi pubblici dell’UE è avvenuto in violazione del principio “chi inquina paga”, ad esempio quando le autorità degli Stati membri non hanno applicato la normativa ambientale e non hanno obbligato gli inquinatori a pagare.
Infine, la Corte sottolinea che, quando le imprese non dispongono di garanzie finanziarie sufficienti (ad esempio, polizze assicurative che coprono la responsabilità ambientale), vi è il rischio che i costi della bonifica dei siti finiscano per essere sostenuti dai contribuenti.
Ad oggi, solo sette Stati membri (Cechia, Irlanda, Spagna, Italia, Polonia, Portogallo e Slovacchia) richiedono garanzie finanziarie per alcune o per tutte le passività ambientali. A livello dell’UE, tuttavia, tali garanzie non sono obbligatorie, per cui in pratica i contribuenti sono costretti a subentrare e sostenere i costi della bonifica quando chi ha causato il danno ambientale è insolvente.
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Emilia Romagna, “foreste” urbane per 37 Comuni di pianura

BOLOGNA (ITALPRESS) – Sono 37 i Comuni di pianura che hanno risposto al bando della Regione Emilia-Romagna, a loro riservato, per promuovere entro la fine dell’anno altrettanti interventi di forestazione urbana con risorse richieste pari a circa 1,8 milioni di euro. E’ il risultato del provvedimento promosso da viale Aldo Moro e che si è chiuso il 1^ luglio scorso proprio con l’obiettivo di aumentare le aree verdi e la superficie boschiva in pianura con lo scopo di migliorare l’ambiente urbano e la qualità della vita dei cittadini che vi risiedono. E il 3 luglio si è anche chiuso il bando dedicato ai vivai dell’Emilia-Romagna che vogliono diventare punti per la distribuzione delle piante della campagna “Mettiamo radici per il futuro”, il grande piano green della Regione che prevede 4,5 milioni di nuovi alberi piantati da Piacenza a Rimini, uno per ogni residente, entro i prossimi quattro anni. Sono 22 i vivai accreditati, quattro in più rispetto allo scorso anno, un’ulteriore conferma della sensibilità delle aziende del territorio per questo progetto.
“Siamo soddisfatti della risposta dei comuni- commenta l’assessore regionale all’Ambiente, Irene Priolo- è un primo inizio e un risultato non scontato considerando la novità dell’iniziativa, la necessità di individuare le aree di piantagione e poi predisporre tutta la documentazione. Contiamo di pubblicare entro la fine dell’anno il bando 2022, in cui ci saranno nuove risorse, giocando in armonia con i tempi di programmazione dei bilanci che potranno organizzare al meglio le proprie strategie”. I progetti candidati a ricevere il finanziamento di forestazione urbana riguardano sia fasce boscate che veri e propri boschi urbani permanenti. Saranno utilizzate preferibilmente specie autoctone, più performanti nell’assorbimento dei principali agenti inquinamenti atmosferici (Pm10, 03, Co2, NO2) e ad elevata resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici e degli stress ambientali che caratterizzano gli ambienti urbani.
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Gucci e Intesa Sanpaolo, accordo per transizione sostenibile filiera

MILANO (ITALPRESS) – Gucci e Intesa Sanpaolo rinnovano la loro collaborazione a favore delle eccellenze italiane mettendo per la prima volta al centro la transizione della filiera produttiva verso pratiche sostenibili e inclusive. L’accordo annunciato oggi, unico in Italia, si pone l’obiettivo di supportare le aziende della filiera Gucci a intraprendere un percorso di miglioramento della propria sostenibilità sociale e ambientale attraverso l’attuazione di azioni e interventi concreti, coerenti con le direttrici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) .
Si tratta del primo progetto di filiera sostenibile: le eccellenze della filiera Gucci potranno accedere a linee di finanziamento ad hoc introdotte da Intesa Sanpaolo, nella formula S-Loan e ispirate a indicatori ESG, con l’obiettivo di perseguire obiettivi cruciali. Tra questi efficientamento e risparmio energetico (riduzione dei rifiuti o incremento del riciclo, riduzione del consumo d’acqua/scarichi, riduzione utilizzo sostanze chimiche pericolose, riduzione del packaging di plastica mono uso, recupero materie prime); introduzione di progetti di mobilità/logistica “green”; sviluppo di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile; adeguamento dei modelli di business per favorire lo sviluppo dell’economia circolare; attivazione di iniziative volte a promuovere il tasso di occupazione femminile in azienda e supportare la crescita professionale attraverso la creazione di percorsi di formazione e acquisizione di nuove competenze; definizione e implementazione di policy e strumenti di welfare volti a garantire la parità e ridurre il gap di genere (opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, politiche di conciliazione vita-lavoro, tutela della maternità); adozione di un sistema trasparente di certificazione delle parità di genere e attivazione di iniziative volte a sviluppare e aumentare la consapevolezza in merito all’uguaglianza di genere.
Unendo le loro forze e rispettive competenze, Gucci e Intesa Sanpaolo intendono così avviare un modello innovativo di supporto alle eccellenze produttive del Made in Italy che, facendo parte della filiera di Gucci, potranno autonomamente beneficiare di un accesso al credito facilitato, a condizioni migliori, e avviare un proprio percorso di evoluzione industriale in accordo con i principi di rivoluzione verde e transizione ecologica sostenuti dal piano nazionale.
Gucci, carbon neutral dal 2018, ha introdotto e implementato da anni una strategia di sostenibilità ambientale e sociale volta a ridurre il proprio impatto ambientale, tutelare la natura e generare un cambiamento positivo per le persone e per il pianeta. L’azienda è inoltre impegnata in prima linea sul tema del women empowerment, attraverso la sua campagna CHIME FOR CHANGE e l’adesione a Forum internazionali di promozione della parità di genere (tra cui Women’s Forum G20 Italy e Generation Equality Forum).
Nel 2019, ha inoltre supportato lo studio “Sostenere il ruolo delle donne nella catena di approvvigionamento del lusso in Italia”, promosso da Kering per comprendere lo status delle donne che lavorano nella filiera italiana del lusso e identificare le opportunità e definire le azioni per sostenere la parità di genere.
Marco Bizzarri, Presidente e CEO di Gucci ha commentato: “Siamo orgogliosi di inaugurare oggi con Intesa Sanpaolo il primo accordo di filiera per il settore della moda che consentirà all’ecosistema Gucci di fare un passo ulteriore verso la rivoluzione sostenibile del business. Si tratta di un passo importante, perchè solo insieme – pubblico e privato, grandi aziende e PMI – possiamo raggiungere obiettivi critici per la società e per l’Italia, in linea con gli obiettivi auspicati dal Piano nazionale resistenza e resilienza. Si tratta di un progetto pionieristico: tutto quello che abbiamo sempre sperato di realizzare, come imprese, per favorire l’obiettivo di una società più giusta è adesso a portata di mano.
La sostenibilità sociale e ambientale è un dovere: carbon neutrality, pari opportunità sono parte di un’unica infrastruttura, ragionando – come è necessario – in una logica di sistema-Paese”.
Carlo Messina Consigliere Delegato e CEO di Intesa Sanpaolo ha dichiarato: “L’accordo firmato oggi con una grande impresa di eccellenza come Gucci, rappresenta un nuovo rapporto tra banca impresa e filiera di riferimento, basato sulla sostenibilità, che lanciamo per primi in una fase di svolta per il nostro Paese rappresentato dall’arrivo dei Fondi del programma NGEU. Intesa Sanpaolo conferma la sua attenzione agli investimenti green, allo sviluppo di modelli basati sulla circolarità: la nostra attenzione trova oggi un nuovo modello applicativo basato sul punto di forza del nostro sistema produttivo, quello delle filiere, da tempo al centro dei nostri programmi di sostegno per le imprese. Lo facciamo con Gucci già partner in una collaborazione di successo, certi di poter superare insieme nuove sfide. Il nostro Gruppo è convinto di come lo sviluppo economico possa avere prospettive sane quando ha come riferimenti la cura all’impatto ambientale, l’inclusione sociale, la valorizzazione del capitale umano”.
Alla base dell’accordo annunciato oggi, vi è il modello di partnership già avviato nel 2020 per far fronte all’emergenza Covid-19 attraverso il programma “Sviluppo Filiere” di Intesa Sanpaolo, volto a sostenere lo sviluppo e la valorizzazione dei fornitori della filiera Gucci e del contesto industriale nel quale operano, riconoscendo loro importanti vantaggi sul costo e sull’accessibilità del credito per effetto della condivisione del merito di credito con l’azienda capofiliera.
Grazie al “Programma Sviluppo Filiere”, in 12 mesi sono stati oltre 150 i fornitori della filiera Gucci che in tutta Italia hanno beneficiato di finanziamenti erogati da Intesa Sanpaolo per oltre 230 milioni di euro. Questi interventi hanno consentito di accompagnare le PMI della filiera nella realizzazione dei propri progetti di crescita sul territorio, di internazionalizzazione e di rinnovamento delle proprie strutture produttive. Si tratta di imprese italiane e laboratori artigianali operanti nei comparti della pelletteria, scarpe, accessori, abbigliamento, gioielleria, che impiegano oltre 20mila persone. Complessivamente, il “Programma Sviluppo Filiere” di Intesa Sanpaolo, decollato a fine 2015, ha attivato oltre 6 miliardi di impieghi per gli oltre 20.000 fornitori aderenti alle oltre 800 filiere costituite.
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Accordo Eni-Ecopneus per nuovi prodotti da pneumatici a fine vita

SAN DONATO MILANESE (ITALPRESS) – Eni ha siglato un accordo con Ecopneus, società consortile senza scopo di lucro per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU) in Italia, al fine di valutare le tecnologie idonee a valorizzare i PFU per l’ottenimento di prodotti chimici ed energetici sostenibili, con l’obiettivo di attuare un’economia circolare rigenerativa.
L’accordo rafforza la collaborazione tra Eni ed Ecopneus, che hanno già realizzato un progetto a Massafra (Taranto) per la posa di un asfalto modificato con polimeri e polverino di gomma da PFU. Il progetto è stato realizzato grazie a un accordo con il Comune di Massafra nel giugno 2020: Eni ha messo a disposizione il bitume prodotto nella Raffineria di Taranto, Ecopneus il proprio know how tecnico acquisito in oltre dieci anni di promozione e supporto alla diffusione degli asfalti modificati in Italia e Irigom, azienda partner di Ecopneus, che ha fornito a “Km 0” il polverino di gomma da pneumatici esausti.
«Con questo accordo – dichiara Michele Viglianisi, responsabile Economia circolare e bioraffinerie di Eni – ampliamo le sinergie per l’offerta di prodotti decarbonizzati e circolari, sia per la realizzazione di infrastrutture stradali sostenibili, sia per la produzione di carburanti a base di scarti, come l’olio da pirolisi generato dal trattamento degli pneumatici a fine vita».
«Da anni siamo impegnati in attività per il recupero e riciclo dei PFU – afferma Federico Dossena, Direttore Generale di Ecopneus – come precursori di un approccio circolare finalizzato a individuare le migliori modalità di valorizzazione insieme a partner qualificati nei diversi settori dove la gomma riciclata può essere impiegata: asfalti, ma anche superfici per lo sport, isolanti acustici, arredo urbano e molto altro ancora. Non potevamo trovare in Eni partner migliore».
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Udine, basse ricadute al suolo da incendio Fagagna

TRIESTE (ITALPRESS) – “Le misure eseguite con il contaparticelle hanno confermato le basse ricadute al suolo (anche nel punto di massima esposizione) ipotizzate dal centro di modellistica dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) a seguito delle informazioni ricevute dalla squadra del dipartimento di Udine presente sul posto”. A renderlo noto è l’assessore alla Difesa dell’ambiente, energia e sviluppo sostenibile del Friuli Venezia Giulia, Fabio Scoccimarro. Come ha spiegato lo stesso Scoccimarro, l’Arpa è intervenuta questa mattina a Fagagna dove è divampato un vasto incendio in una ferramenta, causando il propagarsi di un’alta colonna di fumo denso e nero.
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Laguna di Orbetello, ok a schema accordo programma gestione 21-22

FIRENZE (ITALPRESS) – Via libera all’accordo di programma per la gestione integrata della laguna di Orbetello per il periodo giugno 2021-settembre 2022. Lo schema di accordo fra la Regione Toscana e il Comune di Orbetello è stato approvato nell’ultima seduta di giunta e le risorse messe a disposizione per il finanziamento delle attività ammontano a 3,2 mln di euro. L’obiettivo è mantenere una gestione unitaria della laguna e garantire integrazione e coordinamento rispetto alle scelte riguardanti gli interventi e le misure da adottare. “Questo accordo – dichiara l’assessora all’ambiente Monia Monni- conferma l’impegno della Regione nella salvaguardia della Laguna di Orbetello, infatti dei 3,2 mln previsti per finanziarlo, 2,2 provengono dalle casse regionali mentre il restante milione deriva dalla contabilità speciale del commissario delegato per la Laguna. La Laguna – prosegue Monni- è un ecosistema delicatissimo, che si estende per 2500 ettari e comprende una riserva regionale, due riserve statali e un’area umida di importanza internazionale”.
“Per gestire la fragilità e garantire la conservazione è necessario comprenderne a fondo le dinamiche ambientali, quindi, partendo dai vari studi e ricerche svolte nel tempo da diversi soggetti pubblici, approfondiremo il quadro conoscitivo in modo da individuare le migliori e più efficienti modalità di gestione”, agiunge Monni. L’assessora Monni sottolinea inoltre: “Considerato questo un accordo di transizione, valido fino al 30 settembre 2022, data entro la quale, anche attraverso un percorso condiviso con istituzioni locali e tutti coloro che operano nella laguna, dovremo individuare un soggetto che si occupi, strutturalmente, di eseguire ed esercitare tutte le azioni necessarie a garantire il delicato equilibrio della laguna, e quindi la sua conservazione”. Le azioni previste dall’accordo sono le seguenti: mantenere in efficienza gli impianti di ossigenazione e del sistema di pompaggio per lo scambio tra laguna e mare e per la circolazione delle acque interne alla laguna; ridurre la produzione di biomasse algali attraverso la tecnica della risospensione dei sedimenti.
Poi ancora: limitare gli apporti di sostanze inquinanti o comunque nutrienti, anche attraverso le metodologie e le tecniche innovative derivanti dalla Collaborazione Scientifica tra Regione Toscana e Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Firenze (DICEA); monitoraggio funzionale della gestione integrata della laguna e adeguata campagna di osservanza del Piano di Sicurezza e del Protocollo Operativo per il pompaggio delle acque in Laguna. Regione e Comune di Orbetello si assumono inoltre l’impegno di predisporre un programma pluriennale di gestione integrata che preveda il riparto dei compiti e di sottoscriverlo entro la conclusione dell’Accordo. Il soggetto attuatore dell’Accordo è la Regione che dovrà predisporre gli atti per individuare il soggetto affidatario della gestione e di quello competente per il monitoraggio. E’ costituito un comitato di sorveglianza, presieduto dall’assessore regionale ad ambiente e difesa del suolo e composto dai rappresentanti legali degli altri soggetti sottoscrittori o loro delegati, che ha come competenze il controllo e il coordinamento sull’attuazione dell’Accordo.
Infine viene confermato il Comitato Tecnico Scientifico, previsto dall’accordo scaduto a fine 2020, organismo di natura consultiva a supporto del soggetto attuatore e che si esprime su richiesta dello stesso con valutazioni di natura esclusivamente tecnica e scientifica. E’ composto dal dirigente regionale responsabile del settore Tutela della Natura e del Mare e da esperti in materie scientifiche rispettivamente nominati dal Comune di Orbetello, dal Wwf Italia (in qualità di Ente gestore delle aree statali ricadenti nella laguna), da Arpat, dalle Università della Toscana. Alle sedute di questo possono essere invitati esperti nominati da Ispra, Asl e altre associazioni espressione di conoscenza e di interesse per la tutela dell’ambiente lagunare o comunque coinvolti nelle attività di gestione laguna al fine di fornire informazioni utili alle valutazioni di competenza del Comitato stesso.
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