ROMA (ITALPRESS) – Il 2021 è un anno cruciale perchè i governi assumano impegni concreti e immediati necessari per rafforzare la protezione del Mar Mediterraneo entro il 2030: per sostenere questo obiettivo parte la Campagna #GenerAzione Mare del WWF che rilancia un grande sforzo collettivo per difendere il nostro Capitale Blu, racchiuso in un mare che, in appena l’1% di superficie degli oceani, ospita il 10% di tutte le specie marine conosciute. Il futuro dell’umanità, infatti, dipende dalla salute degli oceani che ricoprono due terzi del nostro Pianeta. Nel loro insieme, se fossero un paese, questo avrebbe la settima economia più grande del mondo, per un valore complessivo di 24.000 miliardi di dollari messo a rischio da un insieme di pressioni. Nel Manifesto di Campagna il WWF indica 5 minacce principali: pesca insostenibile (oltre il 75% degli stock ittici sovrasfruttato), rischio per le specie (solo per squali e razze oltre la metà delle specie è nella Lista Rossa IUCN delle specie a rischio estinzione), cambiamento climatico – con l’accelerazione degli effetti denunciata nell’ultimo report WWF – plastica (il 90% dei danni provocati dai rifiuti alle specie marine è dovuto alla plastica).
E poi c’è la ‘corsa all’oro blù, ovvero, quell’insieme di economie che proliferano ad un ritmo irrefrenabile come turismo, sviluppo costiero, trasporto marittimo, acquacoltura, produzione di gas e petrolio ed estrazione mineraria. Purtroppo nei prossimi anni, senza regole e gestione responsabili, lo spazio marino sarà insufficiente perchè queste attività si possano espandere ulteriormente senza gravi impatti sugli ecosistemi del Mediterraneo.
L’obiettivo del WWF è quello di rendere gli ecosistemi marini e costieri sani entro il 2030, facendo in modo che le comunità li riconoscano come altamente preziosi per il benessere umano, in grado di mantenere economie vivaci e sostenibili. Per questo è essenziale, ad esempio, una rete di aree marine protette efficaci ed ecologicamente connesse, capace di rigenerare la salute degli ecosistemi marini e garantire benefici a tutta la collettività.
Ma l’impegno più ambizioso che il WWF si è posto per il 2021 è sulle Aree Marine Protette: con la sfida 30by30, come previsto anche dalla Strategia UE della Biodiversità post 2020, si vuole proteggere entro il 2030 il 30% dei mari europei in modo efficace. Ciò deve tradursi in un incremento dell’efficacia di gestione delle AMP e dei siti Natura 2000 esistenti e nell’incremento della superficie protetta nel Mediterraneo, anche con misure di conservazione diverse dalle AMP.
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Mare, Wwf “2021 anno chiave per il Mediterraneo”
Dalla ricerca italiana nuove metodologie per mappare i fondali marini
ROMA (ITALPRESS) – Innovative tecnologie di osservazione da remoto permetteranno di studiare spiagge e fondali marini per mitigare gli effetti dell’erosione costiera e migliorare la ricettività turistica. E’ quanto emerge dalle ricerche condotte da un team multidisciplinare di ricercatori Enea, Ispra, Cnr e Iuss su un tratto del litorale del Parco Nazionale del Circeo tra Latina e Sabaudia, nel Lazio. Si tratta di studi pubblicati sulla rivista internazionale Remote Sensing e basati su una nuova metodologia che combina tecniche di telerilevamento con sensori aerei ad alta risoluzione (LiDAR – Light Detection and Ranging) e misure in situ per la calibrazione e la verifica dei dati acquisiti.
“Il LiDAR ci ha consentito di guardare il fondale fino a 18 metri di profondità e di individuare i tratti in cui sono presenti le barre di sabbia che possono alimentare la spiaggia emersa e mitigare gli effetti dell’erosione costiera, con una significativa ricaduta applicativa per l’economia del mare. Inoltre, grazie a queste tecnologie, può essere valutata e monitorata l’efficacia e la sostenibilità di queste strategie di intervento”, spiega Sergio Cappucci, ricercatore Enea del laboratorio Tecnologie per la dinamica delle strutture e la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico.
Le barre di sabbia sono accumuli di origine naturale che si formano principalmente nei bassi fondali sabbiosi per effetto delle correnti e del moto ondoso e finora, sulla base di accreditati studi di letteratura*, nell’area di studio ne sono state individuate otto tipologie diverse per forma e dimensioni.
Per studiare le spiagge e queste formazioni naturali, i ricercatori hanno elaborato una grande quantità di dati rilevati da sensori montati su aereo e a terra, utilizzando un metodo implementato dallo stesso team. Si chiama FHyL e ottimizza l’integrazione delle conoscenze geofisiche ed ecologiche con quelle legate alle tecnologie di automatizzazione e di intelligenza artificiale. Il risultato ottenuto dall’applicazione del metodo FHyL è stato una ‘fotografia ad alta risoluzionè della costa, dove sono stati individuati i tratti più a rischio su cui intervenire per pianificare la salvaguardia delle spiagge e la protezione delle infrastrutture.
“In Italia, solo negli ultimi 50 anni, sono andati persi circa 23 metri di profondità di arenile su 1.750 km di litorale, per un totale di circa 40 milioni di km2 di spiagge (dati Legambiente). Ed è per questo che il progetto si candida ad avere una ampia applicazione anche sulle tante aree costiere italiane, e non solo, a rischio erosione”, aggiunge Cappucci.
“Le analisi di dati geospaziali – eseguite grazie all’utilizzo di software G.I.S. (Geographic Information System) – permettono di caratterizzare e studiare tratti di litorale più estesi, consentendo di confrontare la variazione delle forme di fondo rilevate, indotta da diverse condizioni meteo marine e idrodinamiche. In questo modo, riusciamo a ridurre tempi e costi rispetto ai rilievi condotti con metodi tradizionali”, sottolineano Lorenzo Rossi e Iolanda Lisi di Ispra.
Per Emiliana Valentini dell’Istituto di scienze polari (Isp) del Cnr: “la visione d’insieme del sistema spiaggia sommersa ed emersa è la vera opportunità che ci offrono questi rilievi da remoto. Lo studio ha messo in luce la complementarità strutturale e funzionale delle barre sabbiose sommerse, della spiaggia e delle dune, consentendo una valutazione della capacità di questo tratto di costa di rispondere al rischio di erosione”.
“L’Italia è l’unico paese europeo ad aver fatto un enorme investimento nazionale sull’utilizzo dei dati e dei servizi operativi basati su rilievi aerei e satellitari per l’analisi del territorio attraverso il Mirror Copernicus. Infatti, la ricaduta economica dei rilievi e delle analisi dei dati esaminati in questo studio appare promettente anche per la riduzione dei costi del monitoraggio e controllo ambientale”, conclude Andrea Taramelli dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia (Iuss) e delegato nazionale Copernicus della Presidenza del Consiglio dei Ministri presso l’Unione europea.
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Rifiuti marini, il futuro è nella prevenzione
ROMA (ITALPRESS) – Una review di un team internazionale guidato dall’Helmholtz-Zentrum Hereon (Germania), a cui ha partecipato l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del (Ias) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova, ha valutato e analizzato tutte le soluzioni innovative esistenti per combattere l’inquinamento dovuto al “marine litter” negli oceani. I rifiuti marini, o “marine litter”, rappresentano infatti un’emergenza a livello globale: vengono costantemente riversati nell’ambiente marino, e si stima che circa 100 milioni di tonnellate di rifiuti sia entrata negli oceani tra il 1990 e il 2015, di cui la maggior parte sembra essere plastica. Bottiglie alla deriva, sacchetti, mascherine chirurgiche abbandonate sulle spiagge o tra le onde: sono solo alcune delle immagini che ci mostrano l’attuale contaminazione dei nostri mari e oceani.
Lo studio pubblicato su Nature Sustainability – al quale hanno partecipato anche la National Technical University di Atene (Grecia), il Marine and Environmental Sciences Centre (Portogallo), lo Smithsonian Environmental Research Center (USA) e la Maritime Robotics AS (Norvegia) – mette in luce la maggior parte delle soluzioni esistenti, tecnologie e metodi per prevenire, monitorare e rimuovere i rifiuti marini utilizzando un approccio innovativo.
“Durante il lockdown dovuto alla pandemia Covid-19, ci siamo trovati ad analizzare migliaia di risultati ottenuti da articoli scientifici, progetti crowdfunding, progetti finanziati dalla Commissione Europea, Americana e Asiatica, e abbiamo selezionato circa 200 soluzioni innovative messe in campo a livello globale per affrontare il problema”, spiega Chiara Gambardella, ricercatrice di Cnr-Ias.
“Tali soluzioni prevedono l’utilizzo di droni, robot, nastri trasportatori, reti, pompe o filtri a seconda dell’area di applicazione: aree costiere, superficie del mare, fondo degli oceani. Ad oggi – continua – molti ricercatori hanno utilizzato approcci tecnologici simili, ma questo studio rivela come in futuro sarà importante ricorrere a soluzioni integrate, basate su intelligenza artificiale, robotica, automazione, “machine learning”, analisi di big data e modellistica. La comunità scientifica sembra concentrare la propria ricerca principalmente sul monitoraggio dei rifiuti marini, mentre le Ong agiscono maggiormente sul fronte della prevenzione: la sinergia tra diversi promotori, invece, si focalizza principalmente sulle tecniche di rimozione”.
Lo studio affronta anche i limiti delle soluzioni esistenti, a partire dal fatto che la maggior parte dei progetti non va mai oltre la fase di sviluppo: “Pochissime soluzioni sono diventate una realtà tecnologica o sono presenti sul mercato”, aggiunge la ricercatrice. “Con questo studio abbiamo voluto fornire alcune raccomandazioni per i futuri programmi e strumenti di finanziamento, sottolineando la necessità di superare la fase di pianificazione ed enfatizzando uno sviluppo sostenibile in linea con il “Decade of Ocean Science for Sustainable Development” (Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile) dichiarato dalle Nazioni Unite dal 2021 al 2030″.
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Nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, al via la sperimentazione
ROMA (ITALPRESS) – Al via la sperimentazione del nuovo sistema per la tracciabilità della circolazione dei rifiuti. L’iniziativa sorge dalla necessità di attuare le Direttive comunitarie che indicano in un registro nazionale un tassello fondamentale per l’economia circolare. Al fine di procedere alla realizzazione del sistema ed alla definizione dei provvedimenti normativi di attuazione il ministero della Transizione ecologica ha deciso, segnando così una netta discontinuità rispetto ad esperienze passate, di avviare una sperimentazione preliminare, realizzando, con il supporto dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali e di Unioncamere e del sistema camerale italiano, un prototipo semplificato, per verificare la funzionalità e la fruibilità di alcune delle funzioni del Registro elettronico nazionale ed in particolare l’interoperabilità con i sistemi gestionali attualmente in uso alle aziende.
L’opportunità di procedere ad una sperimentazione è stata infatti più volte rappresentata al Ministero e all’Albo da parte del mondo imprenditoriale, durante le fasi di consultazione con le associazioni di settore sulla proposta di regolamento di disciplina del Registro Elettronico Nazionale. La necessità di garantire la interoperabilità dei sistemi gestionali con il Registro è stata invece la scelta di base del Ministero, per superare le difficoltà operative prima riscontrate e per consentire la realizzazione degli adempimenti al fine di ottimizzare e ridurre al minimo le attività manuali da parte delle imprese, perchè saranno i sistemi informativi a comunicare le informazioni previste dalla legge.
Il prototipo consentirà alle imprese tenute all’iscrizione al Registro Elettronico Nazionale di poter sperimentare in maniera pratica le procedure operative che con l’applicazione della nuova disciplina diventeranno prassi quotidiana per la gestione degli adempimenti.
Il 1 giugno, nel pieno rispetto dei tempi previsti, è stata pubblicata la home page del R.E.N.T.Ri (www.rentri.it
A partire da fine giugno e per almeno quattro mesi le imprese potranno testare le prime funzionalità, grazie al supporto fornito dalle associazioni e dalle imprese del settore ICT, con le quali è già stata avviata una prima condivisione delle soluzioni tecnologiche previste. Si avvia così la realizzazione di uno dei progetti che rientrano negli obiettivi del PNRR, strategico per la necessaria conoscenza delle quantità e della qualità dei rifiuti prodotti e avviate a trattamento.
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Gruppo Cap con Forestami verso l’obiettivo di Carbon Neutrality
MILANO (ITALPRESS) – L’impegno di Carbon Neutrality di Gruppo CAP, azienda pubblica che fornisce il servizio idrico integrato nella Città Metropolitana di Milano, prosegue con l’adesione a Forestami, il grande progetto di forestazione urbana che ha l’obiettivo di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030 nel territorio di Città Metropolitana di Milano.
Sono 2780 i nuovi alberi che Gruppo CAP donerà a Forestami allo scopo di ridurre l’impatto ambientale dei propri cantieri, compensando la CO2 prodotta dalle attività lavorative sul territorio. “Il nostro punto di riferimento è il nostro piano di sostenibilità, una strategia a lungo termine che ci guida nella nostra crescita industriale. Sensibili, Resilienti e Innovatori sono le parole chiave della nostra azione sul territorio. – spiega il presidente di Gruppo CAP Alessandro Russo – I nostri cantieri sono indispensabili per garantire un servizio idrico efficiente e potenziare le reti di acquedotto e fognatura. Questo genera inevitabilmente costi ambientali che però possiamo compensare realizzando appalti sostenibili e carbon neutral”.
Inoltre, Gruppo CAP supporterà nuovi progetti di forestazione urbana che verranno realizzati nei prossimi mesi sul territorio di Città Metropolitana di Milano grazie al lavoro di progettazione e messa a dimora da parte di Parco Nord Milano, tra i soggetti promotori di Forestami. “Forestami è un bellissimo progetto di forestazione urbana che interessa non solo la città ma tutta l’area metropolitana – prosegue il Presidente di Gruppo CAP – Questo, per noi che siamo presenti capillarmente a livello locale, è un grande valore che vogliamo supportare. L’adesione a Forestami rappresenta la cornice perfetta per le iniziative che Gruppo CAP promuove sul territorio, come ad esempio il concorso Let’s Green!”.
La sostenibilità ambientale è infatti un asset portante della strategia aziendale di Gruppo CAP, la quale porta avanti da tempo iniziative legate alle attività di riduzione delle emissioni di CO2, di riduzione dei fanghi smaltiti in discarica a favore di sistemi alternativi che prevedono il recupero di materia ed energia, di protezione della risorsa idrica. Particolare attenzione è posta alla trasparenza, alla comunicazione e al coinvolgimento dei cittadini e delle Amministrazioni locali attraverso strumenti come il Bilancio di Sostenibilità e iniziative come il concorso Let’s Green! grazie al quale sono stati donati ai Comuni vincitori alcuni progetti di forestazione, a cura dei professionisti di Parco Nord Milano, che verranno realizzati nel prossimo autunno.
“Gruppo CAP rappresenta un partner strategico per la buona riuscita di Forestami e siamo felici di collaborare anche in questa occasione, dando un importante seguito alle passate attività di progettazione e riqualificazione ambientale svolte per la holding idrica milanese – spiega Riccardo Gini, Direttore di Parco Nord Milano e Direttore tecnico di Forestami – tutte le attività di riforestazione che progetteremo e realizzeremo per Gruppo CAP nella prossima stagione agronomica andranno ad aumentare il capitale naturale di Città Metropolitana e contribuiranno a raggiungere l’obiettivo di 3 milioni di piante entro il 2030”.
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Milano-Bicocca, didattica e ricerca all’aperto in un bosco urbano
MILANO (ITALPRESS) – Un bosco urbano di due ettari per una didattica innovativa e ricerca all’aperto: è questo il progetto del nuovo edificio U10-Logos dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, di cui è stata posata oggi la prima pietra. La costruzione sorgerà tra viale dell’Innovazione, via Stella Bianca, via Sesto San Giovanni e via Fubini, e sarà pronta entro il 2023. Accanto all’edificio nascerà un biolago e anfiteatri didattici immersi in un bosco planiziale dove la biodiversità farà da cornice a lezioni, esami ed eventi, oltre ai sei piani di laboratori, aule innovative e alloggi per studenti.
“Da sempre il nostro ateneo guarda al futuro” ha detto la rettrice di Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni.
“Oggi disegniamo una nuova idea di formazione e ricerca sostenibile. Un passo in questa direzione lo avevamo già fatto con l’inaugurazione del vivaio Bicocca, un laboratorio di ricerca all’aperto dove studenti e cittadini possono vivere la foresta urbana, ma con l’U10 sottolineiamo ulteriormente l’impegno di Milano-Bicocca alla progettazione dell’Università del futuro: aperta, sostenibile e soprattutto integrata nell’ambiente. In questo nuovo edificio i nostri studenti potranno seguire le lezioni all’aperto e fare ricerca direttamente negli spazi laboratoriali allestiti all’esterno. Una scelta che io definisco coraggiosa e che cambierà il volto del nostro Campus”. L’Università Bicocca “è un ateneo che sa guardare al futuro in modo giovane e nuovo” ha commentato il Sindaco di Milano Giuseppe Sala. “Il progetto dell’edificio U10, i cui lavori prendono il via oggi, ne è una chiara testimonianza. L’idea di realizzare uno spazio di formazione e ricerca che sia al tempo stesso sostenibile, tecnologico, in dialogo con la natura è lungimirante, oltre che culturalmente stimolante per i ragazzi che lo frequenteranno per studiare, fare attività di laboratorio e che qui alloggeranno. La Bicocca ha da tempo fatto suoi i valori e le sfide aperte della transizione ambientale e dello sviluppo sostenibile: con questo innovativo edificio si conferma capace di leggere le necessità del nostro tempo e si presenta come punto di riferimento e modello per lo sviluppo urbano di Milano”. Il progetto prevede un bosco urbano di oltre 19mila metri quadri, quasi due ettari di verde, che sarà funzionalmente connesso al Parco Nord grazie a isole fiorite e ai numerosi spazi verdi che stanno sorgendo in Ateneo e nel quartiere. Uno spazio smart, ecosostenibile e hi-tec dove vivere la foresta urbana. Al suo interno verranno infatti realizzati due anfiteatri didattici e laboratori di ricerca. All’interno del bosco urbano, anche un biolago completamente sostenibile: un vero e proprio richiamo per la biodiversità, dagli anfibi alle libellule sino agli uccelli migratori. Lo spazio verde sarà aperto anche alla cittadinanza. All’interno dell’U10- Logos verranno progettate delle aule didattiche con arredi mobili per permettere maggiore flessibilità, sia agli studenti sia ai docenti, favorendo una didattica innovativa, più aperta e partecipata.
“Sostenibilità, ricerca e alta formazione: i pilastri dell’Università sono racchiusi nel nuovo bosco urbano all’interno della Bicocca, una delle Università più prestigiose e formative a livello nazionale e internazionale” ha dichiarato l’assessore all’Università, Istruzione, Ricerca, Innovazione e Semplificazione di Regione Lombardia Fabrizio Sala.
Sempre oggi sono stati presentati i nomi degli edifici del Campus “L’Ateneo sorge in un quartiere che è molto cambiato negli anni ed ha subito molte trasformazioni. L’idea di dare nuovi nomi agli edifici” sottolinea Giampaolo Nuvolati, prorettore per i rapporti con il territorio. “Accanto ai numeri che li contraddistinguono e ne ricordano l’origine, vuol essere un’azione per dare identità ai luoghi e riconoscibilità simbolica agli spazi urbani. Questi nomi oggi vogliono sottolineare la specificità di Bicocca nella multidisciplinarietà della sua offerta formativa, ma anche ricordare i principi universali che devono ispirare un Ateneo. A tal fine, abbiamo guardato a parole greche e latine, fonti del sapere umanistico e scientifico, per rivolgerci al futuro”. I nomi di due edifici, U9 e U17, verranno invece scelti dagli studenti tra una rosa di proposte: Genius, Scientia e Koinè per l’U9, Forum, Ipazia e Animus per l’U17.
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“Forests Forward”, una nuova piattaforma per il cambiamento
ROMA (ITALPRESS) – Mentre la deforestazione e il degrado forestale continuano a un ritmo allarmante e le misure per arrestare la conversione degli ecosistemi forestali in campi e piantagioni procedono a rilento, il WWF lancia Forests Forward, una nuova piattaforma per il cambiamento che coinvolge aziende, comunità e organizzazioni – trasversalmente ai settori interessati – , per accelerare un cambio di rotta nelle aree tropicali dove la biodiversità è massima. “Le aziende e gli investitori di tutto il mondo sono soggetti cruciali per mettere in pratica nuovi approcci capaci di accrescere i benefici legati alla produttività ecologica e alla biodiversità, affrontando contestualmente alcune delle più grandi sfide ecologiche del nostro tempo: cambiamento climatico, sicurezza idrica e alimentare”, afferma Julia Young, direttrice di WWF Global Forest Sector Transformation. “Guardando alle sfide da qui al 2030, diventa urgente un’azione globale sulla crisi climatica, la povertà, la perdita di biodiversità, la produzione insostenibile e il consumo eccessivo. e Arrestare la deforestazione e il degrado forestale è un obiettivo risolutivo”, aggiunge.
Forests Forward permetterà alle imprese di intraprendere percorsi innovativi e lungimiranti per realizzare e dimostrare impatti positivi sulle aree forestali e agli investitori di dare un contributo positivo all’Agenda Globale per la Sostenibilità.
La piattaforma per il cambiamento mette in risalto il ruolo delle comunità locali nella gestione delle forestee nella loro conservazione, che chiedono di essere adeguatamente riconosciuti. Si tratta di applicare approcci innovativi e sperimentati, e strumenti efficaci di verifica della gestione forestale nei paesi tropicali, per favorire la diffusione di buone pratiche sostenibili di utilizzo, collettivo o individuale, della foresta a più piccola scala.
“Le foreste intatte riducono la possibilità di salto di specie da parte di virus e batteri ospitati dalle popolazioni animali che le abitano, e assorbono il 26% delle emissioni umane di CO2. Solo per questo, dovremmo metterle al centro delle nostre politiche – ha detto Isabella Pratesi, direttrice Programma di Conservazione WWF Italia -. Per affrontare il cambiamento climatico in atto, prevenire la diffusione di pandemie e realizzare gli obiettivi climatici globali, abbiamo bisogno di una maggiore azione sulla deforestazione, il degrado e il ripristino delle foreste. Forests Forward offre una piattaforma unica per aumentare la collaborazione tra le diverse parti interessate, promuovere l’innovazione e garantire che le foreste continuino a fornire vantaggi alle persone e al clima”.
Un recente rapporto pubblicato dal WWF ha rilevato che oltre 43 milioni di ettari di foresta sono andati perduti solo nelle aree tropicali e subtropicali negli ultimi 13 anni, mentre il Living Planet report 2020 mostra un allarmante calo (del 68%, in media), delle popolazioni di mammiferi, uccelli, pesci, anfibi e rettili dal 1970 . Forests Forward mira a coinvolgere tutti gli stakeholder per proteggere e migliorare la gestione di 150 milioni di ettari di foresta entro il 2030.
“Le risorse e i servizi forniti dalle foreste sono inestimabili, ma costantemente sottovalutati nelle decisioni aziendali e di investimento. E’ necessario comprendere a pieno il grande valore delle foreste, non solo per il legname che forniscono, ma anche per i servizi ecosistemici che offrono a miliardi di persone, tra cui acqua dolce, cibo, un clima stabile, biodiversità e migliori condizioni di vita”, conclude Pratesi.
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Lo smart working ha un impatto positivo sull’ambiente
MILANO (ITALPRESS) – L’Italia potrebbe in futuro risparmiare fino a 8,7 megatonnellate di Co2 equivalente (Co2e) all’anno, pari a 60 milioni di voli da Londra a Berlino, attraverso il ricorso allo smart working. E’ quanto emerge da un nuovo studio di Carbon Trust, associazione non a scopo di lucro istituita nel 2001 per aiutare le Organizzazioni a ridurre il loro impatto ambientale, e commissionato dal Vodafone Institute for Society and Communication, il think-tank europeo del Gruppo Vodafone.
Per ogni persona che lavora in modalità agile in Italia il risparmio sarebbe equivalente a oltre una tonnellata (1.055 kg) di Co2e, pari a più di sette voli passeggeri da Berlino a Londra. Lo studio calcola che in futuro circa 8,23 milioni di posti di lavoro in Italia (36%) potranno essere svolti da remoto e che le persone in media lavoreranno da casa circa due giorni alla settimana (1,9). Anche la sede di Milano di Vodafone Italia ha registrato una riduzione delle emissioni di Co2e nel corso della pandemia: in un anno sono state risparmiate più di mille tonnellate di Co2e.
Il report Homeworking – condotto in cinque Paesi europei (Repubblica Ceca, Germania, Italia, Spagna, Svezia) e Regno Unito – analizza la quantità di emissioni di carbonio risparmiate grazie al lavoro da remoto prima, durante e dopo la pandemia. Lo studio fornisce inoltre proiezioni sulla quantità di emissioni che sarà possibile risparmiare nel futuro post-emergenza con un impiego maggiore dello smart working rispetto al passato. Lo studio prende in analisi le emissioni del pendolarismo, della presenza in ufficio ed emissioni domestiche aggiuntive.
Durante il lockdown il numero di lavoratori da remoto in Italia è salito – nella fase acuta dell’emergenza – fino a 6,58 milioni (fonte: Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano), ciascuno dei quali ha lavorato da remoto in media 2,7 giorni a settimana. Ciò si è tradotto in un risparmio di emissioni di carbonio di 1,861 kg CO2e per ciascuno, in aumento del 112% rispetto al periodo pre-COVID.
Andie Stephens, Associate Director Carbon Trust, sottolinea: “Il rapporto mostra che mentre il lavoro da casa offre un grande potenziale per il risparmio di carbonio, è importante comprendere le sfumature regionali e i modelli di lavoro e identificare le inefficienze che aumentano i consumi al fine di creare scenari di risparmio effettivi. Per realizzare pienamente i benefici ambientali a lungo termine di un aumento dei modelli di lavoro ibridi in futuro, dobbiamo assicurarci di adottare approcci diversi anche fuori casa. In caso contrario, gli uffici che operano a piena domanda di energia pur essendo occupati solo a metà o i sistemi di trasporto che non sono in grado di rispondere all’evoluzione della domanda potrebbero portare a un aumento complessivo delle emissioni di Co2e”.
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