ROMA (ITALPRESS) – Nel corso del 2020 la Rete Sismica Nazionale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha localizzato 16.597 terremoti sul territorio italiano e nelle zone limitrofe. Una media di circa 45 terremoti al giorno con un intervallo di un evento ogni mezz’ora circa.
“Nella mappa che abbiamo realizzato quest’anno si evidenzia che anche nel 2020 i più forti terremoti sono stati localizzati al di fuori del territorio italiano. Gli eventi sismici di magnitudo pari o superiore a 5.0 sono avvenuti in Albania, in Algeria e in Croazia, durante la sequenza sismica di fine dicembre con il forte terremoto di magnitudo Mw 6.3 del 29 dicembre, nei pressi della città di Petrinja”, afferma Alessandro Amato, sismologo dell’INGV, che sottolinea come “il numero di terremoti localizzati in Italia nel 2020 è molto simile a quello del 2019, un numero inferiore se lo si confronta con i terremoti del 2016 e 2017 caratterizzati dalla sequenza sismica in Italia Centrale, iniziata il 24 agosto 2016”. Il primo terremoto del 2020 si è verificato il 1° gennaio 2020 a Sefro (MC) solo un minuto e mezzo dopo lo scoccare della mezzanotte e l’ultimo, invece, il 31 dicembre 2020 alle ore 23:41 a Ragalna (CT), entrambi con una magnitudo inferiore a 2.0. Come sempre, invece, la Sardegna si conferma la regione con il minor numero di terremoti. Contando anche le aree marine intorno all’isola, nei 366 giorni del 2020 se ne sono registrati solo 4. “Quasi il 90% dei terremoti localizzati in Italia nel 2020 ha avuto magnitudo minore di 2.0 e, probabilmente, non è stato avvertito dalla popolazione, salvo qualche eccezione nel caso di ipocentri molto superficiali ed in prossimità di aree abitate, come quelli accaduti nelle aree vulcaniche della Campania”, spiega Maurizio Pignone, geologo dell’INGV. “La maggior parte dei terremoti è legata a sequenze sismiche, avvenute in Italia nel 2020. Altri, invece, sono considerati eventi “isolati” come, ad esempio, il terremoto a Milano del 17 dicembre di magnitudo 3.8″.
I terremoti che hanno costellato il 2020 sono “navigabili” con la mappa interattiva e con una una story map realizzata dal Team di INGV Terremoti. “La rappresentazione grafica degli eventi sismici verificatisi in Italia è uno strumento fondamentale che l’INGV mette a disposizione dei cittadini e della comunità scientifica per incrementare la consapevolezza della fragilità dei nostri territori lungo tutta la penisola, oltre che a dare uno strumento di ricerca agli studiosi di tutto il mondo. L’informazione è un’attività che l’Istituto persegue costantemente con le azioni di divulgazione della ricerca e del monitoraggio: la Terra è un pianeta vivo, l’Italia continuerà sempre ad avere terremoti e dobbiamo investire nella loro maggiore conoscenza per difenderci meglio in futuro”, conclude Carlo Doglioni, presidente dell’INGV.
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Terremoti, nel 2020 Ingv ne ha localizzati in media 45 al giorno
Produrre idrogeno e ossigeno dall’acqua con il sole
ROMA (ITALPRESS) – Produrre idrogeno ed ossigeno attraverso la decomposizione termica dell’acqua realizzata con l’energia solare. Questo l’oggetto del nuovo brevetto nato nei laboratori dei Centri Ricerche ENEA di Frascati e Casaccia con il coinvolgimento di ricercatori dei dipartimenti di “Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare” e di “Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili”.
“Nella decomposizione termica la molecola dell’acqua è scissa ad alta temperatura direttamente in idrogeno ed ossigeno che devono poi essere opportunamente separati. Con l’utilizzo di processi tradizionali ciò avviene a temperature tanto alte da rendere non praticabile questo processo”, spiega il ricercatore ENEA Silvano Tosti.
Per ovviare al problema delle alte temperature il brevetto propone un innovativo reattore a membrana costituito da una camera di reazione dove sono presenti contemporaneamente due tipi di membrane: una in tantalio per separare l’idrogeno ed una in materiale ceramico per separare l’ossigeno.
“In questo modo riusciamo a produrre con 500 °C in meno la stessa quantità di idrogeno e ossigeno di un reattore tradizionale”, aggiunge Tosti.
L’altra innovativa proposta consiste nell’unire questo reattore a membrana ad impianti solari a concentrazione, in grado di fornire calore ad alta temperatura, rendendo così possibile la produzione di idrogeno direttamente dall’energia solare.
“La produzione diretta di idrogeno dal Sole rispetto ad altri sistemi, come ad esempio l’accoppiamento di solare fotovoltaico con elettrolizzatori alcalini, è di grande interesse per la realizzazione di una catena energetica green ed è caratterizzata dal raggiungimento di elevate efficienze energetiche e da costi di investimento contenuti sia in applicazioni stazionarie, come utenze elettriche civili ed industriali, sia in quelle mobili come i veicoli elettrici”, conclude Tosti.
Un altro settore interessato da notevoli ricadute è quello della produzione di gas puri, in questo caso idrogeno ed ossigeno, che possono trovare impiego nella chimica fine, nella farmaceutica, e nell’industria elettronica. L’ulteriore sviluppo di questo tipo di reattore potrà beneficiare dei progressi tecnologici dei sistemi solari ad alta temperatura e dei materiali per alti flussi termici.
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Nucleare, scelte 67 aree idonee per il deposito dei rifiuti radioattivi
ROMA (ITALPRESS) – Con il nulla osta del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, la Sogin ha pubblicato sul sito www.depositonazionale.it la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), il progetto preliminare e tutti i documenti correlati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico, che permetterà di sistemare in via definitiva i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività.
Un lavoro coordinato congiuntamente dai due ministeri, atteso da molti anni, che testimonia la forte assunzione di responsabilità da parte del governo su un tema, quello della gestione dei rifiuti radioattivi, che comporta anche per il Paese una procedura di infrazione europea: attualmente i rifiuti radioattivi sono stoccati in una ventina di siti provvisori, che non sono idonei ai fini dello smaltimento definitivo.
La pubblicazione della Cnapi, con l’elenco dei 67 luoghi potenzialmente idonei (che non sono tutti equivalenti tra di essi ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche), di fatto dà l’avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all’esito della quale si terrà, nell’arco dei 4 mesi successivi, il seminario nazionale.
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Particolato atmosferico non favorisce diffusione in aria del Covid
ROMA (ITALPRESS) – Un recente studio, condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sedi di Lecce e Bologna, e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia, dimostra che il particolato atmosferico e il virus non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone a elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research, è stata condotta analizzando i dati, per l’inverno 2020, degli ambienti outdoor per le città di Milano e Bergamo, tra i focolai di Covid-19 più rilevanti nel Nord Italia.
“Tra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio”, spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce).
“E’ stato infatti supposto che tali elementi possano agire come veicolo per il Sars-CoV-2 formando degli agglomerati con le emissioni respiratorie delle persone infette. In tal caso il conseguente trasporto a grande distanza e l’incremento del tempo di permanenza in atmosfera del particolato emesso avrebbero potuto favorire la diffusione airborne del contagio”.
Nella ricerca sono state stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera a Milano e Bergamo in funzione del numero delle persone positive nel periodo di studio, sia in termini medi sia nello scenario peggiore per la dispersione degli inquinanti tipico delle aree in studio. “I risultati in aree pubbliche all’aperto mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria”, prosegue Contini. “Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione (circa 140.000 persone per Milano e 12.000 per Bergamo), quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale. Si deve però tenere conto che una singola particella virale può non essere sufficiente a trasmettere il contagio e che il tempo medio necessario a inspirare il materiale virale è tipicamente tra 10 e 100 volte più lungo di quello relativo alla singola particella, quindi variabile tra decine di giorni e alcuni mesi di esposizione outdoor continuativa. La maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare dunque essenzialmente trascurabile”.
“Per avere una probabilità media del 50% di individuare il Sars-CoV-2 nei campioni giornalieri di PM10 a Milano sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 nella città di Bergamo (5,2% della popolazione)”, sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia. “Pertanto, allo stato attuale delle ricerche, l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche”.
“La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno”, conclude Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac di Bologna.
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Giugni (Marevivo) “Lavoriamo a una legge contro la plastica in mare”
ROMA (ITALPRESS) – “Stiamo lavorando a una legge, che abbiamo chiamato ‘Salva marè, con la quale si chiede ai pescatori che con le reti tirano su la plastica, di portarla a terra e non ributtarla a mare. Sembra una cosa semplicissima, quasi ovvia, ma al momento non c’è alcun regolamento che lo prevede. Inoltre, visto che l’80% della plastica che troviamo nel mare viene dai fiumi, si chiedono degli sbarramenti obbligatori. L’abbiamo presentata al ministro dell’Ambiente il quale è molto collaborativo. Mi auguro che vada in porto”. Lo ha detto Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, intervenendo alla rubrica dell’agenzia di stampa Italpress “Primo Piano”, di Claudio Brachino.
“Il mare – aggiuge – è come il grembo materno, da lì è nata la vita. Pensare che nel liquido amniotico del pianeta sia presente ogni tipo di plastica è una cosa drammatica”.
“C’è addirittura una recente ricerca che ha dimostrato che tracce di plastica siano entrate anche nel grembo materno – ha commentato la Giugni -. Sappiamo cosa succede ai pesci, i quali a causa della plastica possono cambiare sesso, diventare impotenti o ciechi, ma ancora non sappiamo cosa possa succedere all’uomo”. “Siamo arrivati a questo punto perchè abbiamo prodotto la plastica in modo abnorme e soprattutto senza mai veramente riciclarla. Dobbiamo cambiare le regole e creare delle leggi a riguardo, ma soprattutto ognuno deve fare delle scelte, serve sensibilizzazione e poi ci sono i controlli” ha detto ancora la presidente di Marevivo, la quale ha però ricordato che la plastica sta solo al terzo posto nella classifica dei problemi del mare, perchè ai primi due posti ci sono i cambiamenti climatici e l’over fishing: “si sta pescando troppo”, afferma.
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Conai, pubbliche linee guida su etichettatura ambientale imballaggi
MILANO (ITALPRESS) – Sono pubbliche le nuove linee guida sull’etichettatura ambientale degli imballaggi, redatte da Conai per provare a dare risposte all’obbligo di etichettatura in vigore dallo scorso 26 settembre, a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 116. Obiettivo è favorire una lettura condivisa dei nuovi obblighi, sia la volontà di fornire uno strumento di orientamento e supporto alle imprese.
Saranno ora sottoposte alle Istituzioni, anche per portare alla loro attenzione punti sui quali si auspicano opportuni chiarimenti. Per potersi adeguare correttamente, inoltre, è già stata richiesta l’introduzione di un adeguato periodo transitorio. “Abbiamo capito da subito che l’attenzione delle imprese del nostro Paese stava rendendo il tema dell’etichettatura sempre più rilevante”, ha affermato il presidente Conai, Luca Ruini, durante il webinar che ha presentato il documento. “Stiamo parlando di un obbligo che ha in parte spaventato e che ha imposto la ricerca urgente di soluzioni concrete. Siamo orgogliosi di aver messo attorno a un tavolo tutti gli attori della filiera: fornire supporto e risposte concrete alle aziende, del resto, è uno dei grandi compiti istituzionali del Consorzio”, ha aggiunto. Per provare ad accelerare i tempi, quindi, è stato messo a punto da Conai anche un nuovo tool online: e-tichetta, interamente dedicato all’etichettatura ambientale degli imballaggi, che da metà gennaio sarà a disposizione delle aziende per guidarle nell’adozione di un sistema di etichettatura omogeneo, conforme alle richieste di legge e chiaro per i consumatori finali. “Gli esempi di etichette ambientali virtuose devono essere valorizzati e avere visibilità. Possono ispirare e guidare tutte le aziende del nostro sistema Paese, soprattutto quelle di dimensioni piccole e medie: cercheremo di identificarli e di promuoverli. E’ una vera e propria call to action: ci stiamo lavorando con entusiasmo sempre crescente. Non ho dubbi che porterà i frutti che tutti aspettiamo”, ha concluso Ruini.
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Nuove piante per mitigare il cambiamento climatico
ROMA (ITALPRESS) – Lo sviluppo delle società umane moderne è sempre stato accompagnato dall’introduzione di nuove piante coltivate. Praticamente tutti gli alimenti di origine vegetale che arrivano sulle nostre tavole provengono da varietà di piante che non esistevano nel passato. La “lunga marcia” per la creazione di nuove piante è passata attraverso la selezione e domesticazione delle piante selvatiche, il miglioramento genetico attraverso incrocio e ibridazione, la mutagenesi (mutazioni genetiche indotte artificialmente in embrioni vegetali) e la transgenesi (trasferimento di geni da una specie all’altra). Oggi la tecnologia utilizzata è il cosiddetto “genome editing”, ovvero la manipolazione diretta del codice genetico tesa a modificarne le proprietà. Ma se in passato si è puntato esclusivamente a migliorare le caratteristiche produttive e tecnologiche delle piante, oggi la frontiera si è allargata, includendo in primis la sostenibilità. E’ infatti urgente selezionare e creare nuove piante che possano contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico cercando di aumentare allo stesso tempo le potenzialità produttive delle varietà attualmente coltivate. E’ quello che sostengono i ricercatori Lorenzo Genesio, Franco Miglietta (Istituto per la bioeconomia del Cnr) e Roberto Bassi (Università di Verona) nell’Opinion paper pubblicato sulla rivista Global Change Biology in cui spiegano come l’avvento di una nuova generazione di piante a basso contenuto di clorofilla potrebbe essere un’arma in più nella lotta al cambiamento climatico. “Una strategia utile a controbilanciare una parte del crescente ‘effetto serrà, è quella di aumentare la frazione della luce solare che viene riflessa dalla superficie terrestre che, tornando indietro verso lo spazio, non contribuisce al suo riscaldamento”, spiega Lorenzo Genesio. “Questo potrà essere fatto anche coltivando nuove piante con bassi contenuti di clorofilla; piante più ‘pallidè che riflettono molta più radiazione solare”. Alcune ricerche, e non solo quelle fatte dagli autori del lavoro appena pubblicato, dimostrano che riducendo il contenuto di clorofilla non solo si riflette più luce solare, ma si può arrivare ad avere tassi di fotosintesi più alti e maggiore produttività. “In sintesi – afferma Franco Miglietta – coltivare varietà di piante più pallide (di grano, orzo, mais, soia) equivale a ridurre le emissioni di gas climalteranti, con un effetto di riduzione delle temperature a scala locale nelle zone più densamente popolate”.
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Innovazione e sostenibilità nuove priorità per aziende e Ceo italiani
MILANO (ITALPRESS) – C’è chi punta sulle nuove forme di energia come l’idrogeno, chi sulle piattaforme per sviluppare portafogli sostenibili, c’è chi punta ad azzerare l’utilizzo di carbonio e chi scommette sulla mobilità elettrica. Sempre più grandi gruppi e sempre più amministratori delegati vedono un solo futuro possibile, quello sostenibile e innovativo. E così la parola sostenibilità, declinata in vari aspetti, da quelli ambientali a quelli di governance sta pian piano prendendo sempre più spazio all’interno delle strategie aziendali.
Il primo settore chiamato direttamente in causa è quello dell’energia, considerato da molti uno dei principali nemici dell’ambiente. In questo senso tutte le grandi società italiane, Eni, Enel e Snam, hanno attivato programmi e protocolli per trasformare in tempi rapidi i rispettivi business.
Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale di Enel è da poco diventato anche presidente dell’Administrative Board di Sustainable Energy for All (SEforAll) ed era tra i firmatari della lettera congiunta mandata da alcuni ceo dei più grandi gruppi industriali alle istituzioni Ue (Consiglio, Parlamento e Commissione Europee) per sostenere la ripresa dell’economia e il piano Next Generation Eu, in un’ottica di crescita sostenibile nel lungo periodo.
In concreto, Enel prevede di completare il percorso di decarbonizzazione in tempi più rapidi di quanto previsto da molti e ha già lanciato sul mercato bond legati agli obiettivi delle Nazioni Unite. In parallelo c’è l’impegno di Snam. Nell’ambito del proprio piano di investimenti da 6,5 miliardi al 2023, il gruppo guidato da Marco Alverà ha destinato 1,4 miliardi al programma “SnamTec” (dove Tec sta per “Tomorrow’s energy company”) con iniziative per incrementare la sostenibilità delle proprie attività e per dare impulso ai nuovi business green come mobilità sostenibile, efficienza energetica e biometano.
Proprio Snam insieme a Diasorin, Iren e Sesa è stata al centro dell’evento “Italian Champions for sustainability” organizzato all’inizio di dicembre da Equita, nel corso del quale Snam ha illustrato il suo ruolo ormai centrale nella strategia nazionale italiana per la transizione energetica verso fonti di energia alternativo come l’idrogeno.
Spesso però parlare di sostenibilità implica andare di pari passo con l’innovazione. Banca Generali, in teoria appartenente a un settore conservatore come quello finanziario, ha comunicato a fine anno uno spaccato delle sue attività in campo Esg, mostrando come il segmento delle soluzioni di investimento sostenibile sia in costante crescita: 200 strumenti certificati Esg all’interno della gamma offerta e masse totali investite in soluzioni legate alla sostenibilità salite a 4,5 miliardi, ossia oltre il 13% delle masse in risparmio gestito. In parallelo, l’istituto guidato da Gian Maria Mossa, sta accelerando sulle soluzioni fintech.
In particolare, con una piattaforma digitale che sviluppa portafogli in linea con gli obiettivi di sostenibilità del risparmiatore, scegliendo tra i prodotti che investono nei 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030 come sicurezza alimentare, azzeramento povertà, migliore istruzione. Il risultato è stato che MSCI Esg Rating ha alzato il giudizio sulla società da BB a BBB. Sempre sul fronte dell’innovazione la società guidata da Mossa da anni opera attivamente per affermare un modello di open banking sempre più solido. Da una parte il lancio di Bg Saxo con due piattaforme all’avanguardia per operare nel mondo del trading, dall’altra l’ingresso nel capitale nella fintech Conio che la banca private ha annunciato pochi giorni fa e che le consentirà di allargare la propria proposta digitale per offrire servizi di custodia, negoziazione e reporting, focalizzati sulle criptovalute.
Difficilmente però si trovano campi che abbinano i due concetti di innovazione e responsabilità come il mondo delle auto elettriche, che sono una delle frontiere sulle quali è pronta a investire Stellantis, ossia la holding nata dall’unione di FCA e PSA. Il presidente del gruppo sarà John Elkann mentre il ceo sarà Carlo Tavares ed entrambi hanno già reso noto che il nuovo colosso dell’automobile non rallenterà, ma anzi accelererà sullo sviluppo di piattaforme per la realizzazione di auto elettriche (ne sono previste 3, due provenienti da Psa e una da Fca). Una scelta che non solo porta Stellantis verso un futuro sostenibile, ma che secondo un’indagine realizzata dalla Camera di Commercio di Torino in collaborazione con Anfia e Università Cà Foscari di Venezia potrebbe dare una spinta anche al settore automobilistico italiano.
L’elenco dei manager che puntano su sostenibilità e responsabilità sociale per fortuna non è così corto come sarebbe stato 10 anni fa.
Anzi, c’è qualcuno che per certi versi è stato pioniere di questi concetti, calati nel pieno della sua realtà aziendale ed è Brunello Cucinelli, che peraltro nonostante una spiccata propensione al mondo esg ha realizzato negli anni risultati in crescita. Il modello di business lo definisce lui stesso “sostenibilità della crescita e profittabilità sana”, modello che per l’imprenditore è un tratto distintivo dell’azienda. Il gruppo è diventato così un “caso” nel mondo della moda, per come è stato tra i primi a limitare l’impatto di un settore tra quelli potenzialmente più dannosi per l’ambiente, dal massiccio impiego di prodotti chimici, al rilascio di quantità significative di CO2, al consumo di energia diretta dei macchinari utilizzati nella lavorazione delle materie prime, fino all’impiego intensivo di fibre come lana e cotone.
(ITALPRESS).









