ROMA (ITALPRESS) – “I rifiuti che portiamo fuori dall’Italia rappresentano una sottrazione di ricchezza. Invece aumentano i costi per i cittadini. Cerchiamo di raggiungere l’autosufficienza. Non basta ripetere ‘economica circolarè come se fosse un mantra”. Lo ha detto Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’Agenzia di stampa Italpress.
“Il 40% della nostra raccolta differenziata – ha spiegato – è la cosiddetta frazione umida. Mancano almeno trenta, quaranta, cinquanta impianti per trattarla, soprattutto nel centro-sud”. Per Testa sono necessari “quattro, cinque, sei, sette inceneritori tra la Toscana e la Sicilia, che risolverebbero una buona parte di problemi”. “Mancano – ha sottolineato – impianti di riciclaggio e discariche. Sono circa dieci miliardi di investimenti ma non chiediamo un euro allo Stato perchè i soldi ci sono, con imprenditori privati pronti a investire. Mancano le autorizzazioni e la certezza del diritto”.
“L’Europa – ha evidenziato Testa – ha stabilito un obiettivo comune: riciclare il 60% dei rifiuti prodotti, metterne in discarica meno del 10% e il restante va avviato al recupero energetico. In Italia ci sono regioni già allineate con gli obiettivi europei, come Lombardia ed Emilia-Romagna. La Lombardia manda in discarica meno del 5% dei suoi rifiuti, ricicla quasi il 60% e ha una decina di termocombustori. Al lato opposto c’è la Sicilia che fa una raccolta differenziata molto bassa e manda il 70% dei rifiuti in discarica. Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna sono autosufficienti. Le altre, a cominciare da Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia, esportano rifiuti verso il nord e verso l’estero”.
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Rifiuti, Testa (Fise Assoambiente): “Trattarli come una ricchezza”
Acque sotterranee Appennino segnalano terremoti in altri continenti
ROMA (ITALPRESS) – Un nuovo studio, frutto della collaborazione tra Sapienza, Ingv e Cnr, ha rilevato alcune variazioni del livello delle acque di falda in Italia centrale, riconducibili a terremoti lontani, avvenuti persino in altri continenti.
La “caccia” al precursore sismico continua, stavolta con un elemento in più. Come già documentato negli ultimi anni in numerosi studi, esiste una associazione tra lo scatenarsi dei terremoti e le variazioni nella circolazione delle acque sotterranee. Quello che ancora non è adeguatamente noto è come tale fenomeno riguardi anche i telesismi, terremoti lontani, avvenuti in altri continenti, i cui effetti sono avvertiti a migliaia di chilometri dall’epicentro. A far luce sulla inaspettata relazione tra sismicità e falde acquifere è un nuovo studio, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e il Consiglio Nazionale delle Ricerche. I risultati, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, rappresentano un ulteriore passo verso una possibile futura identificazione di precursori sismici nelle acque.
I ricercatori hanno monitorato per cinque anni il livello di una falda acquifera a Popoli, in Abruzzo, dove hanno osservato, oltre ai segni lasciati da eventi sismici avvenuti nelle immediate vicinanze, un comportamento anomalo delle acque, il cui motore scatenante era dall’altra parte della Terra: sono state identificate 18 forti oscillazioni come risposta “impulsiva” delle acque sotterranee ai terremoti di magnitudo superiore a 6.5 avvenuti in tutto il mondo, anche a oltre 18.000 chilometri di distanza dal sito di osservazione. Lo studio inoltre attesta una correlazione tra la distanza del terremoto e la sua magnitudo con l’entità dell’oscillazione della falda freatica: una evidenza che conferma l’importanza di questi fattori nel controllo del comportamento delle acque sotterranee in un determinato sito, e non solo. Il fenomeno, recentemente evidenziato anche da uno studio simile condotto in Cina, rimane ancora materia di approfondimento del team di ricerca. Intanto i risultati dello studio aprono nuove vie sui criteri di cui tener conto nella scelta del sito che si intende monitorare e rappresentano una guida nel campo dei monitoraggi idrogeologici applicati ai fini sismici.
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Procter&Gamble, il futuro è green
TORINO (ITALPRESS) – Procter&Gamble fu fondata prima della metà dell’Ottocento da un candelaio e un saponiere. Due lavori basati su materie prime che oggi chiameremmo Bio. Il footprint ambientale era pari a zero. E’ lo stesso target che il gruppo P&G vuole centrare entro il 2030.
L’operazione appare ciclopica, specie per un gruppo che dopo due secoli realizza 71 miliardi di dollari di ricavi e serve 5 miliardi di clienti. Non la pensa così Virginie Helias, 54 anni, di cui 32 passati in P&G che oggi è a capo della sostenibilità del gruppo di Cincinnati. Parlando con Italpress, la manager pone una sola condizione per ridurre a zero le emissioni di P&G: “Abbiamo bisogno di partner istituzionali e scientifici. Di collaborazioni aperte con tutti, compresi i nostri competitor, perchè da soli non potremo mai arrivarci”.
Fondamentale è poi il ruolo che avranno i clienti dei prodotti che sono presenti nelle case di tutti con brand famigliari da decenni quali Dash, Lenor, Mastro Lindo, Swiffer, Viakal, AZ, Gillette, Kukident, Pampers e Vicks tra gli altri. Sono infatti i comportamenti degli utilizzatori dei prodotti a fare la differenza, visto che generano l’85% delle emissioni riconducibili a P&G.
“Il mio approccio con la sostenibilità è legato alla mia esperienza professionale. Mi occupavo del marketing di Ariel e lanciammo una campagna per implementarne l’uso nei lavaggi a bassa temperatura. Fu un successo, anche perchè in quel periodo il prezzo dell’energia salì. Ottenemmo due risultati: più vendite e un minore impatto sull’ambiente. Capii che quello era il mio futuro, e la direzione in cui tutto il gruppo doveva andare” racconta Helias.
Di qui la scelta di utilizzare plastiche rinnovabili per i contenitori dei prodotti, impianti a basse emissioni, alleanze con vari enti ambientalisti.
Un lavoro svolto giorno per giorno con tutte le divisioni del gruppo che dà lavoro direttamente a oltre 120 mila persone nel mondo ma che coinvolge anche fornitori e rivenditori. L’ultima iniziativa in ordine di tempo è stata lanciata da poco, e prevede la messa in vendita dal prossimo anno di nuove bottiglie di shampoo in alluminio, che potranno essere ricaricate di volta in volta, come già avviene per il sapone liquido, riducendo del 60% l’utilizzo di plastica. Coinvolti i marchi Pantene, Head & Shoulders, Herbal Essences e Aussie che sono scelti ogni anno da 200 milioni di famiglie europee. L’operazione rientra nel programma Responsible Beauty, che vuole abbinare qualità e performance con sicurezza, sostenibilità, equità e inclusione dei prodotti di bellezza.
Questa è solo una delle articolazioni del piano globale Ambition 2030, che prevede dodici obiettivi, che si integrano ai 17 Sustainable Development Goals fissati dall’Onu.
“Obiettivi comuni e condivisi dai nostri consumatori in tutto il mondo, dalle nostre indagini, per esempio sappiamo che tutti vogliono avere meno packaging. Bisogna però coinvolgere il clienti, e dimostrare il nostro impegno. E’ successo con alcuni shampoo, le cui bottiglie sono state prodotte con plastiche recuperate sulle spiagge. Lo stesso accade anche con i prodotti per l’igiene della casa” spiega la Helias. “L’innovazione deve essere irresistibile, solo così possiamo aumentare partecipazione. In Europa c’è una maggiore sensibilità su questi aspetti, ma le cose stanno cambiando anche negli Stati Uniti, specialmente nelle grandi città. A New York abbiamo avviato un servizio che prevede la distribuzione dei nostri prodotti direttamente a casa dei clienti in cui, come accadeva con le bottiglie di vetro del latte una volta, ritiriamo i vuoti. Un successo” racconta ancora la manager francese, secondo cui la trasparenza deve essere tangibile. “Lavoriamo in questo senso in tutti i Paesi dove siamo presenti, Italia compresa. Dobbiamo arrivare all’obiettivo delle emissioni zero, è urgente riuscirsi e dobbiamo accelerare” sottolinea.
Proprio in Italia non mancano le buone pratiche già avviate. In collaborazione con Corepla e Carrefour, P&G ha organizzato una raccolta fondi, grazie a cui riutilizzando i contenitori dei suoi prodotti, sono stati donati a Federparchi gli arredi per undici aree pic-nic. Con Legambiente, la filiale italiana di P&G ha collaborato alla pulizia di 20 spiagge. A inizio anno poi, a Fiumicino è stato installato un dispositivo in grado di raccogliere i rifiuti in mare.
Anche i due impianti del gruppo, a Gattatico e Pomezia, non inviano più prodotti in discarica da alcuni anni e hanno dimezzato i consumi di energia, e quella che utilizzano è ottenuta da fonti rinnovabili.
“Con la pandemia questi temi sono ancora più centrali, e il futuro della nostra casa, è il futuro del pianeta” conclude Helias.
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Università Palermo, Fulco Pratesi riceve laurea honoris causa
PALERMO (ITALPRESS) – Il padre dell’ambientalismo, Fulco Pratesi, ha ricevuto la laurea honoris causa in Biodiversità e Biologia Ambientale dall’Università degli Studi di Palermo. Fondatore nel 1966 del WWF Italia, di cui è ora presidente onorario, Pratesi nel 1960 si è laureato in Architettura nel capoluogo siciliano ma poi la sua vita è stata interamente dedicata alla natura e alla protezione dell’ambiente.
“E’ una laurea molto particolare – ha sottolineato il rettore dell’Università degli Studi di Palermo, Fabrizio Micari -. Oggi guardiamo al mondo della scienza, ma anche ad una persona che ha saputo essere davvero pioniere in un settore. Pratesi parlava di sostenibilità, di protezione di ambiente della natura quando questi argomenti era misconosciuti. Si tratta di una figura che è stata visionaria nel suo approccio e nella sua capacità di intervenire sulle dinamiche di un sistema complesso”.
“Sono molto emozionato – ha affermato Fulco Pratesi, collegato in videoconferenza -. Fin da piccolo la natura mi ha affascinato a tal punto di abbandonare l’architettura per dedicarmi anima e corpo all’intento di riuscire a raggiungere il mio obiettivo”. Presenti a palazzo Steri i figli Isabella e Carlo Alberto, emozionati per l’obiettivo raggiunto da padre: “Mio padre ha aspettato e desiderato questo evento per molti anni. Oggi si conclude questo percorso. Lui nella sua vita ha fatto il naturalista, l’ecologo; ha protetto e sviluppato le oasi del WWF, oltre ad aver creato il WWF stesso. Oggi Palermo e la sua Università gli riconoscono il coronamento di un lungo percorso e una vita dedicata alla natura”.
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Rifiuti, Utilitalia “Mancano gli impianti nel Mezzogiorno”
NAPOLI (ITALPRESS) – Nel 2018 sono partiti dalle regioni del Sud 25mila camion carichi di rifiuti verso quelle del Centro-Nord, a causa dell’insufficienza numerica e della cattiva dislocazione degli impianti di trattamento. Ciò comporta gravi costi economici e ambientali, nonchè un eccessivo ricorso alla discarica: nel Mezzogiorno il 41% dei rifiuti viene ancora smaltito in questo modo (mentre l’UE impone di scendere al di sotto del 10% entro il 2035), e al contempo la vita residua delle discariche in esercizio si stima che arrivi solo fino al 2022. E’ quanto emerge dalla ricerca “I fabbisogni di trattamento dei rifiuti urbani nel Sud” realizzata da Utilitalia. Nel 2018 nelle 8 regioni del Sud erano operativi 69 impianti di trattamento del rifiuto organico, 51 impianti di trattamento meccanico biologico (TMB), 6 inceneritori, 2 co-inceneritori e 46 discariche. Il Mezzogiorno ha esportato verso le regioni del Centro-Nord 420mila tonnellate di organico (il 30% della produzione), mentre altre 80mila sono state movimentate all’interno del Sud stesso; per quanto riguarda il rifiuto indifferenziato e trattato nei TMB ai fini del recupero energetico, sono state esportate 190mila tonnellate (il 18% di quanto è stato trattato nei termovalorizzatori del Mezzogiorno), mentre altre 70mila tonnellate si sono mosse all’interno della macroregione. Tutto ciò si traduce nei cosiddetti “viaggi dei rifiuti”: nel 2018 sono stati 25mila i tir a partire verso gli impianti del Nord, e altri 10mila si sono mossi tra regioni del Sud. Ciò si è tradotto in 22 milioni di chilometri percorsi, con importanti costi: dal punto di vista ambientale, con l’emissione di 14mila tonnellate di CO2 equivalente, ed economico, con 75 milioni aggiuntivi sulla Tari pagata dai cittadini. “La carenza e la non equilibrata dislocazione degli impianti – spiega il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola. Il paradosso è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte e hanno una qualità ambientale più bassa”. Secondo l’analisi di Utilitalia, considerando la capacità attualmente installata, se si vuole annullare entro il 2035 l’export dei rifiuti, servono investimenti pari a 2,2 miliardi, oltre a quelli per lo sviluppo delle raccolte differenziate e dell’applicazione della tariffa puntuale.
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Risore idriche, il 10% dei bacini è interrito
ROMA (ITALPRESS) – “Considerato il periodo, la situazione delle risorse idriche del Paese non è preoccupante, ma induce a riflessione il fatto che, nel 2020, si sia ancora a sperare nella clemenza di Giove Pluvio, perchè incapaci di infrastrutturare adeguatamente il territorio di un Paese, che rimane uno dei più ricchi d’acqua al mondo!”. Così Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue, presenta il report settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche. Sembra finalmente essersi fermata l’emorragia idrica dai bacini di Puglia e Basilicata nell’attesa che le attese piogge autunno-vernine li rimpinguino: rispetto all’anno scorso, dagli invasi pugliesi mancano ora quasi 52 milioni di metri cubi, mentre in Lucania il deficit è di circa 38 milioni. Dopo un’estate idricamente sufficiente, la Calabria sta subendo gli effetti della concentrazione localizzata degli eventi meteo. Se la diga Sant’Anna sul fiume Tacina, lungo la costa jonica, segna il record del recente quadriennio (4,69 milioni di metri cubi d’acqua), altrettanto, ma in negativo, fa la diga Monte Marello sul fiume Angitola, lungo il versante tirrenico, al minimo dal 2017 (7,33 milioni di metri cubi d’acqua).
Risalendo la Penisola, inferiori agli anni scorsi sono le portate dei fiumi Sele e Volturno, in Campania, mentre il nuovo servizio Open Ambiente di Regione Lazio segnala l’altezza idrometrica record del fiume Tevere dal 2016, così come vale per il fiume Liri; se confortante è anche la condizione idrica del laziale lago di Bracciano, non altrettanto può dirsi dell’invaso di Penne, in Abruzzo, al minimo dal 2017 (0,7 milioni di metri cubi). Deficitaria rimane la situazione dei bacini nelle Marche (complessivamente trattengono 32,84 milioni di metri cubi, quantità leggermente superiore in anni recenti solo al siccitoso 2017), così come in calo sono i livelli dell’invaso del Bilancino in Toscana, condizionato da un Settembre meno piovoso della media anche sulla provincia di Firenze (-22% sui capoluoghi della regione). Analogo è stato l’andamento delle piogge settembrine sul Veneto (-31%), assorbito però senza conseguenze dai fiumi della regione, tutti (Adige, Bacchiglione, Livenza, Brenta, Piave) con altezze idrometriche al top del recente quadriennio.
Piogge di settembre in calo del 46,4% anche in Piemonte, i cui fiumi (Dora Baltea, Sesia, Stura di Lanzo, Maira, Pesio) hanno portate in discesa; analogo è l’andamento piemontese del fiume Po che, in Emilia Romagna (come in Lombardia) segna altresì livelli superiori alla media storica ed all’anno scorso. Non altrettanto può dirsi dei fiumi della stessa regione, tutti sotto media (ad eccezione del Savio); il record negativo è del Reno con una portata di 0,4 metri cubi al secondo contro una media di mc/sec 8,4. Infine, sono in calo anche i grandi laghi del Nord (Maggiore, Lario, Iseo, Garda), pur rimanendo superiori alla media del periodo.
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Elettricità e acqua alleate contro il cambiamento climatico
ROMA (ITALPRESS) – Fenomeni meteorologici estremi, come i lunghi periodi di siccità estivi e le ricorrenti alluvioni, rendono sempre più evidente l’impatto del cambiamento climatico sulle risorse idriche ed energetiche nel nostro Paese. Da una migliore gestione congiunta di energia e acqua in Italia si potrebbero ottenere 5,9 TWh annui di elettricità aggiuntiva e una disponibilità d’acqua di circa 2,8 miliardi di metri cubi in più, pari al 20% del volume delle grandi dighe italiane. Il raggiungimento di questi obiettivi significherebbe ulteriori investimenti per circa 6,4 miliardi di euro, che potrebbero far parte a pieno titolo del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza in corso di definizione per accedere al Recovery Fund, del quale il 37% andrà usato per attuare il Green New Deal. Sono alcune delle principali evidenze dello studio condotto da Althesys con Enel Foundation. “Lo studio condotto con Althesys conferma come la transizione in atto verso un modello energetico più sostenibile possa generare valore e opportunità con ricadute positive che vanno ben oltre il settore”, commenta Giuseppe Montesano, vicedirettore Enel Foundation. “In particolare, lo sviluppo delle rinnovabili e di soluzioni innovative in grado di aumentare l’efficienza dell’utilizzo della risorsa idrica possono contribuire significativamente al water saving e alla tutela del territorio, all’interno del più ampio impegno per contrastare il cambiamento climatico”, aggiunge.
“Le risposte al crescente impatto di situazioni di stress idrico connesse al cambiamento climatico – spiega Alessandro Marangoni, ceo di Althesys e a capo del team di ricerca – possono essere molteplici e articolate, ma richiedono interventi su orizzonti temporali sufficientemente ampi e investimenti consistenti. Avrebbero però importanti ricadute economiche e occupazionali, contribuendo al contempo a migliorare l’ambiente, la sicurezza del territorio e la qualità della vita dei cittadini. Sono necessarie politiche proattive che, attraverso soluzioni win-win, coinvolgano in modo coordinato i vari settori, energia, industria, agricoltura, utility, nell’ottica dell’uso plurimo della risorsa”. I benefici derivanti da un uso plurimo dell’acqua, rileva la ricerca, non sarebbero solo di natura ambientale, ma avrebbero anche effetti positivi sul sistema economico ed energetico. L’industria elettrica, ad esempio, potrebbe offrire un forte contributo investendo nel rinnovamento dell’idroelettrico; altre rinnovabili, come eolico e solare – che contribuiscono alla water footprint in misura nettamente inferiore rispetto ad altre fonti – potrebbero portare in Europa a una riduzione dei consumi d’acqua fino a 1,6 miliardi di metri cubi, equivalenti ai consumi annui di una nazione come la Germania. Per raggiungere la supply security, lo studio suggerisce un articolato insieme di proposte di policy, tra le quali si ricordano l’ultimazione delle opere incompiute, il rinnovamento dei grandi bacini idroelettrici, l’avvio del Piano Invasi, il ricorso agli accumuli a pompaggio, gli impianti di desalinizzazione e le vasche di laminazione.
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Best practice per la tutela del mare, Pecoraro Scanio “Polmone pianeta”
ROMA (ITALPRESS) – “E’ evidente che dobbiamo riuscire a ricordarci dell’importanza del mare sempre, è il grande polmone del pianeta, sappiamo che l’assorbimento di Co2 per produrre ossigeno avviene grazie al mare e alle foreste. Oggi l’idea è quella di discutere e fare conoscere alcune best practice che le imprese fanno per cercare di rendere compatibili alcune attività economiche con la tutela delle biodiversità e coniugare la tutela del mare”. Lo ha detto Alfonso Pecoraro Scanio, presidente Fondazione UniVerde, intervenendo all’evento “Natura 2000 +20: le best practice del mare. A 12 anni dal D.M. 184/2007” promosso da Fondazione UniVerde, Marevivo, LIPU – Birdlife Italia, SOS Terra Onlus con la main partnership di Renexia e in collaborazione con TeleAmbiente, Agenzia di Stampa Italpress, Comin & Partners, Castalia, Marnavi. L’evento è l’occasione per celebrare i dodici anni del D.M. 184/2007 che istituì la ‘Rete Natura 2000’.
Il decreto, firmato dall’allora Ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, ha dato forza in Italia alla tutela della biodiversità di flora e fauna nelle Zone Speciali di Conservazione (ZPC) e nelle Zone di Protezione Speciale (ZPS) e oggi è fondamentale per la tutela delle aree di pregio del Mare Nostrum, anche attraverso il riconoscimento delle più rilevanti Important Marine Areas. Per Silvio Greco, direttore Stazione Zoologica Anton Dohrn Napoli, è necessario capire che “il mare non è un contenitore dove ognuno mette ciò che vuole, bisogna avere attenzione per questo super organismo, quando si parla di Mediterraneo e d’Italia ricordo che il 15% delle acque di questo mare è sulle acque territoriali nazionali. L’Italia ha quindi una grande responsabilità rispetto alla gestione di questo ecosistema straordinario”. Mentre Rosalba Giugni, Presidente Marevivo, avverte: “il mare sta male perchè nonostante tante azioni che stiamo facendo tutti non è in buona salute, continuiamo a pescare troppo, continuiamo a buttare veleni di tutti i tipi, la plastica è solo al terzo posto dei problemi del mare. E’ giusto fare delle azioni, ma devono essere uniti da provvedimenti legislativi, noi su queste cose abbiamo fatto degli emendamenti da inserire nella Salva-mare, obiettivamente si può fare tanto lavoro come volontariato ma se non ci sono le leggi non andiamo avanti”. Per Chiara Bruni, Vicepresidente SOS Terra Onlus il passaggio culturale è in atto “ognuno di noi sa che non deve utilizzare plastiche monouso, che non deve gettare mozziconi nell’ambiente perchè queste cose ci mettono anni a dissolversi e causano una grossa problematica all’ambiente marino. Il cambiamento culturale deve avvenire proprio dalla scuola primaria, bisogna fare quella vera educazione ambientale di cui si parla sempre ma in realtà non si fa, si deve partire con una materia seria, delle ore dedicate con varie sfaccettature, e dare avvio a quella mentalità che ci permette un passaggio all’economia circolare”. Leonardo Tunesi, Responsabile Area per la tutela della biodiversità, degli habitat e specie marine protette – ISPRA, ha evidenziato la necessità di misure concrete per conservare la biodiversità marina, “una necessità chiaramente capita a livello mondiale, infatti ci sono una serie di accordi e convenzioni per fare questo. A livello mondiale abbiamo la coscienza che è necessario fare qualcosa di concreto e la creazione di aree marine protette è considerato un aspetto fondamentale da raggiungere. L’Italia dal 1982 si è dotata di una legge per la difesa del mare – ha concluso – ad oggi sono 52 le aree che l’Italia ha previsto di proteggere, ma molte altre sono ancora previste, almeno 21, e come Ispra stiamo facendo gli studi per la loro futura istituzione”. Nell’ambito dell’appuntamento sono stati inoltre presentati alcuni progetti innovativi con l’intento di promuovere la conoscenza e favorire la diffusione di buone pratiche che possano stimolare una vera transizione verso l’economia circolare sostenibile: un parco eolico offshore in Usa di Renexia, una barriera blocca plastica per fiumi del Consorzio Castalia e il primo dissalatore mobile marino di Marnavi.
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