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IN ITALIA NEGLI ULTIMI 40 ANNI ARIA PIÙ PULITA

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L’Università degli Studi di Milano e il Consiglio nazionale delle ricerche hanno analizzato per la prima volta la visibilità orizzontale dell’atmosfera, scoprendo che, nelle zone più inquinate del Paese, la frequenza dei giorni con visibilità sopra i 10 o i 20 km è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni, grazie soprattutto alle norme emanate per ridurre l’inquinamento. La pubblicazione su Atmospheric Environment.

Negli ultimi quarant’anni l’atmosfera in Italia è diventata più limpida, e l’aria può considerarsi “più pulita”: queste le conclusioni a cui sono giunti un gruppo di ricercatori del Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), pubblicate di recente su Atmospheric Environment.

I ricercatori della Statale e del Cnr-Isac hanno utilizzato i dati di una variabile meteorologica che non era mai stata studiata in modo esaustivo in Italia, cioè la visibilità orizzontale in atmosfera, molto condizionata dal livello di inquinamento atmosferico.

 

La visibilità orizzontale è importante in diversi ambiti tra cui quello del traffico aereo, tanto da venire monitorata continuamente da molti decenni in tutte le stazioni del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, dove un operatore addestrato valuta, mediante una serie di riferimenti, quale è la massima distanza alla quale un oggetto risulta visibile.

Nella ricerca viene discussa l’evoluzione della frequenza delle giornate con “atmosfera limpida” (ovvero con visibilità superiore a 10 e a 20 km) in varie aree del territorio italiano nel periodo 1951-2017. Questa frequenza è cambiata fortemente in tutte le aree considerate e i cambiamenti più grandi si sono avuti nelle aree più inquinate del Paese tanto che, in zone come il bacino padano, la frequenza dei giorni con visibilità sopra i 10 o i 20 km è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni.

In Italia, così come negli altri Paesi più sviluppati, le emissioni di sostanze inquinanti sono fortemente cambiate negli ultimi decenni e, a una rapida crescita delle emissioni negli anni ’60 e ’70, dovuta al tumultuoso sviluppo economico di questo periodo, ha infatti fatto seguito un’altrettanta rapida decrescita dovuta ad una serie di norme emanate per ridurre l’inquinamento atmosferico nelle nostre città.

 

“Le analisi effettuate hanno quindi messo in evidenza in modo molto efficace il grande successo che si è avuto in Italia sul fronte della lotta all’inquinamento atmosferico -, commenta Maurizio Maugeri, docente di Fisica dell’atmosfera all’Università di Milano -. Tuttavia, non dobbiamo scordare che si può e si deve fare ancora di più per completare il percorso di risanamento che i dati di visibilità in atmosfera documentano in modo così efficace”.

Un altro aspetto di grande rilevanza delle analisi è che esse mettono in evidenza in modo molto efficace il legame tra i livelli del particolato atmosferico e la trasparenza dell’atmosfera. “Le emissioni degli inquinanti che concorrono al particolato atmosferico, oltre a danneggiare la nostra salute, vanno infatti ad interagire con la radiazione solare riflettendola verso lo spazio causando un raffreddamento della superficie terrestre provocando, quindi, un effetto opposto a quello dei gas climalteranti, come l’anidride carbonica”, aggiunge Veronica Manara del Cnr-Isac.

L’aumento del contenuto di aerosol in atmosfera registrato fino agli inizi degli anni ’80 ha quindi parzialmente nascosto l’aumento di temperatura causato delle sempre più alte concentrazioni di anidride carbonica. Negli ultimi decenni, invece, grazie alle politiche di contenimento delle emissioni, la progressiva riduzione degli aerosol ha determinato un aumento della radiazione solare che giunge a terra “smascherando” il vero effetto dei gas serra. Infatti, mentre tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’70 la temperatura nel nostro Paese è rimasta pressoché costante, dagli anni ’80 ad oggi è cresciuta di quasi mezzo grado ogni decennio.

 

SIBERIA, GREENPEACE LANCIA L’ALLARME CLIMA

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Una squadra di Greenpeace Russia ha documentato i massicci incendi che stanno interessando la Grande foresta del Nord nella regione di Krasnoyarsk in Siberia.

“Nonostante le dichiarazioni delle autorità, l’intensità degli incendi non sta diminuendo e anzi, la distruzione di 4,3 milioni di ettari di foresta (una superficie equivalente a quella di Lombardia e Piemonte messi insieme) e l’emissione di oltre 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica (più o meno quanto viene emesso in un anno da 36 milioni di auto), continua a minacciare il clima del Pianeta”, spiega l’associazione ambientalista.

Uno degli effetti collaterali di questa catastrofe è la produzione di “black carbon”, ovvero particelle nere che rischiano di finire nell’Artico e depositarsi sul ghiaccio riducendone l’albedo (il potere riflettente di una superficie) e facilitando così l’assorbimento di calore, contribuendo ulteriormente al riscaldamento globale.

“Questi incendi avrebbero dovuto essere spenti immediatamente e invece sono stati ignorati. Ora la situazione è catastrofica e le conseguenze che avranno sul clima non sono una minaccia solo per la Russia, ma per l’intero Pianeta – afferma Martina Borghi, della campagna foreste di Greenpeace Italia -. La Russia dovrebbe fare di più per proteggere le proprie foreste, ad esempio fornendo finanziamenti sufficienti per la prevenzione e il monitoraggio degli incendi. La questione degli incendi che ogni anno consumano le foreste del mondo, come sta accadendo non solo in Russia ma anche in Indonesia, dovrebbe essere affrontata a livello internazionale durante i negoziati sul clima delle Nazioni Unite”.

Ogni anno nella taiga si verificano alcuni incendi, ma le fiamme di questa estate hanno raggiunto dimensioni senza precedenti e molto probabilmente, a causa della situazione meteorologica, la situazione rimarrà catastrofica anche per le prossime due settimane.

In Russia, oltre il 90 per cento degli incendi avviene nelle cosiddette “zone di controllo”, ovvero aree in cui la legge non prevede che debbano essere spenti. Molti degli incendi che quest’anno stanno divampando nelle “zone di controllo” avrebbero potuto essere estinti in fase precoce, il che avrebbe ridotto significativamente l’area interessata dagli incendi e le emissioni di CO2 nell’atmosfera.

 

NEL 2018 RECORD PER TEMPERATURA ED EVENTI ESTREMI

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Caldo, con nuovi record della temperatura media annuale e della media annuale della temperatura minima giornaliera, eventi meteorologici estremi – numerosi e in alcuni casi eccezionali – che hanno interessato diverse aree del nostro Paese. Queste le caratteristiche del clima in Italia nel 2018, estratte dal Rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente “Gli Indicatori del Clima in Italia nel 2018”, redatto dall’Ispra. Se a scala globale il 2018 è stato il 4° anno più caldo della serie storica dopo il 2016, il 2015 e il 2017, in Italia il 2018 ha segnato il nuovo record di temperatura media annuale, con un’anomalia (lo scarto rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990) di +1.71°C.  Tutti i mesi dell’anno – ad eccezione di febbraio e marzo – sono stati più caldi della norma, con punte di anomalia positiva nel mese di aprile al Centro (+3.74 °C) e al Nord (+3.69 °C). Il 2018 è stato il 28° anno consecutivo con anomalia positiva e quattro dei cinque valori più elevati di temperatura media sono stati registrati negli ultimi cinque anni: oltre al 2018, nell’ordine il 2015, 2014 e 2016, con anomalie comprese tra +1.34 e +1.60°C.

Elemento saliente della temperatura nel 2018 è stato il nuovo record di anomalia della temperatura minima giornaliera (+1.68 °C), che ha superato il precedente record del 2014 (+1.58 °C), mentre l’anomalia della temperatura massima del 2018 è risultata la terza di tutta la serie, dopo quelle del 2015 e del 2017. A rappresentare il 2018 come l’anno più caldo della serie storica hanno contribuito in modo particolare le notti più calde. Su base stagionale, l’autunno del 2018 è stato il più caldo della serie storica (anomalia di +2.0 °C), superando di poco quello del 2014; la primavera (+1.88 °C) e l’estate (+2.0 °C) sono state rispettivamente la terza e la quinta più calde della serie.

Analogamente a quella dell’aria, nel 2018 la temperatura superficiale dei mari italiani è stata nettamente superiore alla norma. Con un’anomalia media di +1.08°C rispetto al valore climatologico di riferimento, il 2018 si colloca al secondo posto dell’intera serie storica, dopo il 2015. In Italia nel 2018 le precipitazioni in media sono state moderatamente superiori ai valori climatologici normali. L’andamento nel corso dell’anno è stato tuttavia piuttosto altalenante e mesi molto piovosi si sono alternati ad altri più secchi. 

Marzo, maggio e ottobre sono stati caratterizzati da piogge abbondanti, estese a tutto il territorio nazionale, mentre ad aprile, settembre e soprattutto dicembre le piogge sono stati scarse in tutte le regioni. Al Nord i mesi relativamente più piovosi sono stati ottobre (anomalia media + 87%), marzo (+62%) e maggio (+40%); al Centro, sono stati marzo (+131%), maggio (+105%) e febbraio (+60%); al Sud i mesi estivi: agosto (nettamente più piovoso della media: +275%), giugno (+226%) e maggio (+132%). I mesi più secchi rispetto alla norma sono stati dicembre (soprattutto al Nord, anomalia di -66%), settembre, aprile e, limitatamente al Centro e al Sud, gennaio.

Con un’anomalia di precipitazione cumulata media in Italia di +18% circa, il 2018 si colloca all’8° posto tra gli anni più piovosi della serie dal 1961. Le precipitazioni sono state superiori alla norma soprattutto al Meridione e sulle Isole, dove l’anomalia annuale del 2018 (+29%) risulta essere la terza più elevata di tutta la serie. Su base stagionale, sia l’estate (anomalia media +62%) che la primavera (+38%) del 2018, si collocano al terzo posto tra le più piovose dell’intera serie dal 1961; anomalie più contenute, ma sempre positive, per l’autunno e l’inverno.

Anche nel 2018 non sono mancati eventi di precipitazione intensa, di durata più o meno breve. I valori più elevati di precipitazione giornaliera sono stati registrati il 27 ottobre in Liguria e il 28 ottobre in Friuli Venezia Giulia, dove sono state registrate precipitazioni cumulate comprese tra 300 e 400 mm, con un massimo di 406 mm. Un’altra area che ha registrato precipitazioni giornaliere abbondanti è la Calabria ionica, dove il 4 ottobre diverse località hanno ricevuto più di 200 mm di precipitazione, con una punta di 340 mm.

Riguardo agli indici climatici rappresentativi delle condizioni di siccità, valori elevati dell’indice “numero di giorni asciutti”, superiori a 300 giorni, si registrano sulle coste centrale e meridionale adriatica, ionica e della Sicilia meridionale ed in Pianura Padana. Quanto al numero massimo di giorni consecutivi nell’anno con precipitazione giornaliera inferiore o uguale a 1 mm, i valori più alti si registrano nella Sardegna settentrionale (fino a 90 giorni secchi consecutivi), seguita dalla Sicilia sud-occidentale e dalla Sardegna occidentale (fino a 60 giorni secchi consecutivi). Nel resto del Paese i giorni secchi consecutivi sono stati relativamente bassi (quasi ovunque inferiori a 40), a conferma di un anno in media, sia pur moderatamente, più piovoso della norma.

NUOVO METODO NATURALE CONTRO LA ZANZARA TIGRE

Passi avanti nella lotta alla zanzara tigre, particolarmente temibile per la sua capacita’ di trasmettere virus tropicali. L’ENEA ha concesso alla startup Biovecblok lo sfruttamento del metodo biotecnologico sviluppato dall’Agenzia per limitare la riproduzione di questo insetto attraverso la produzione di maschi ‘sterilizzanti’ senza ricorrere a radiazioni mutagene o manipolazioni del DNA. Cio’ consentira’ di condurre campagne di disinfestazione in campo basate sul rilascio di esemplari non in grado di riprodursi.

“In buona sostanza, attraverso il rilascio della nostra linea di maschi sterilizzanti – in questo momento gia’ in sperimentazione a Roma nell’ambito di una collaborazione scientifica con l’Universita’ Sapienza – verranno abbattute le capacita’ riproduttive e la densita’ di popolazione delle zanzare cosi’ come il rischio di trasmissione all’uomo di importanti patologie quali dengue, chikungunya, Zika e febbre gialla che sempre piu’ di frequente si affacciano alle nostre latitudini, favorite dai viaggi intercontinentali e dai cambiamenti climatici”, commenta Maurizio Calvitti, della Divisione Biotecnologie e Agroindustria dell’ENEA.

In pratica, i ricercatori dell’ENEA hanno introdotto nella zanzara tigre ceppi specifici del batterio Wolbachia, innocuo per l’uomo e presente in gran parte degli insetti, con un duplice effetto: le femmine manifestano un azzeramento della trasmissione del virus Zika e una riduzione a meno del 5% di quella dei virus di dengue e chikungunya, mentre i maschi rendono sterili le femmine selvatiche con cui si accoppiano.

L’accordo di collaborazione con Biovecblok si inquadra nell’ambito della mission ENEA di trasferire alle imprese i risultati della ricerca, favorendo la competitivita’ e la creazione di posti di lavoro. Fondata nel 2016 da quattro giovani ricercatori dell’Universita’ di Camerino, l’azienda Biovecblok si e’ finanziata con i fondi raccolti nell’ambito di una campagna di crowdfunding sulla piattaforma ‘Backtowork24′ e ha gia’ ottenuto numerosi riconoscimenti.

A RISCHIO METÀ SPECIE DI SQUALI, RAZZE E CHIMERE DEL MEDITERRANEO

Oltre la metà delle 86 specie di squali, razze e chimere del Mediterraneo è minacciata e un terzo di queste è prossima al rischio di estinzione. Il preoccupante stato di questi predatori marini è un chiaro segnale della salute complessivamente precaria del Mar Mediterraneo, la cui biodiversità marina è decimata dalla pesca eccessiva, come dimostra il nuovo report di WWF. Il report mette al primo posto la sovrapesca come minaccia per squali e razze, animali che abitano gli oceani da almeno 400 milioni di anni e che la nostra generazione sta decimando in pochi decenni: sebbene queste specie non siano quasi mai ‘obiettivo’ dei pescatori, verdesche, mobule, torpedini, gattucci, mako e altre specie spesso protette vengono catturate accidentalmente in tutte le attività di pesca nel Mediterraneo e la maggior parte delle volte rigettate in mare: oltre 60 specie sono vittime di reti a strascico, mentre in alcune zone addirittura un terzo del pescato catturato dai palangari è costituito da squali e razze. 

La pesca con reti derivanti, tra l’altro illegale, raggiunge cifre enormi di cattura di questi animali. Si stima ad esempio che, nell’arco di un solo anno, la flotta marocchina abbia catturato con questo attrezzo 20.000-25.000 squali pelagici nel mare di Alborán, e tra 62.000-92.000 in prossimità dello stretto di Gibilterra), ma anche la piccola pesca con reti da posta  ha  un impatto negativo. Altre minacce incombono su questi animali, come la plastica che viene ingerita o che li intrappola, e le frodi alimentari che ingannano il consumatore ignaro di mangiare carne di squalo spacciata come pesce spada. Secondo la Guardia Costiera Italiana questa è una delle tre frodi di pesca più comuni in Italia.  Questo fenomeno peraltro comporta notevoli rischi per la salute umana: essendo molti  squali al vertice della piramide alimentare dei mari, la loro carne contiene un elevato tasso di mercurio, per molte specie al di sopra dei limiti massimi consentiti dalla legge. Nel nuovo report il WWF evidenzia le soluzioni possibili che i pescatori e gestori delle attività di pesca dovrebbero considerare: evitare attività di pesca in habitat chiave di squali e razze, utilizzare strumenti di pesca più selettivi che riducano o eliminino il bycatch. 

 

Infine, migliorare la conoscenza delle popolazioni di queste specie e la raccolta dei dati è fondamentale per aumentare gli sforzi di conservazione e assicurare completa trasparenza e legalità nel settore della pesca. In questi giorni il WWF ha avviato la fase operativa del progetto SafeSharks consegnando alla comunità dei pescatori di Monopoli speciali Tag satellitari per monitorare la possibile sopravvivenza di quegli esemplari catturati accidentalmente dai palangari e rilasciati in mare.

L’obiettivo del progetto SafeSharks del WWF, portato avanti grazie all’attivazione diretta di ricercatori e pescatori, è di individuare le migliori pratiche possibili per il rilascio degli squali catturati, valutare il rischio di frodi alimentari nei mercati italiani e promuovere infine misure di gestione adeguate per combattere questi fenomeni in Italia e Albania. Il progetto SafeSharks è condotto dal WWF insieme a COISPA e INCA.

“Gli squali rischiano di scomparire dal Mediterraneo. Il loro rapido declino è il più chiaro allarme sullo stato in cui versa il nostro mare e sull’impatto che hanno le pratiche di pesca irresponsabili. Tutti i Paesi del Mediterraneo sono  responsabili di questa mattanza silenziosa”, afferma Giulia Prato, Marine Officer di WWF Italia. “Non c’è più tempo da perdere. Il WWF intende lavorare con pescatori e governi per migliorare la gestione delle nostre già fragili risorse marine e adottare soluzioni efficaci per ridurre la cattura accidentale di squali”.

DALLO SPAZIO PARMITANO LANCIA L’ALLARME CLIMA

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“Dalle foto mie e dei miei colleghi negli ultimi sei anni ho visto i cambiamenti nel pianeta, con i deserti che avanzano e i ghiacci che si sciolgono. Spero che il nostro sguardo possa essere condiviso per allarmare seriamente sul nemico numero uno, il riscaldamento globale, affinché i nostri leader possano almeno rallentare e fermare questo trend”. Lo ha detto Luca Parmitano, nel corso di un collegamento con la stampa dalla Stazione Spaziale Internazionale, dove è in corso la missione Beyond. Per l’astronauta siciliano si tratta del secondo incarico nello spazio, dopo quello del 2013.

“Mi sono sentito subito a casa, il mio corpo si è abituato meglio rispetto alla prima volta, l’unica cosa a cui è difficile abituarsi è il caffè a bordo…”, ha spiegato rispondendo alle domande dei giornalisti Parmitano, che nella seconda parte della missione, da settembre, avrà anche il ruolo di comandante della Stazione Spaziale.

A chi gli chiedeva se ambisca ad andare sulla luna, l’astronauta ha risposto: “Perchè no. Se riusciremo a tornarci nei prossimi 5-10 anni ho l’età giusta per provarci, ma anche se non avessi l’età giusta, sognare è sempre utile per darsi obiettivi nuovi. Tutta la tecnologia che sviluppiamo è rivolta al futuro, e pensiamo che la luna sia nel nostro futuro, anche nel mio”. “La promessa della missione Beyond (“oltre” in inglese, ndr) è la mia promessa: fare il massimo perché l’uomo vada sempre oltre, nella ricerca, nella conoscenza e nell’esplorazione dello spazio”, ha aggiunto. Parmitano anche dallo spazio rivolge poi un pensiero alla sua terra d’origine: “Sono passato un paio due volte sopra la Sicilia, presto vedrete le foto, qui c’è la fila per mandarle…”.

 

È NATA LA “RICICLETTA”

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Si chiama “Ricicletta” ed è una bici molto particolare, che rispetta l’ambiente, perche’ realizzata con 800 lattine riciclate, grazie a una collaborazione tra Estathe e il CIAL, Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio. La Ricicletta e’ esposta all’interno del Jova Beach Party, il villaggio che accompagna Jovanotti nel suo tour nei lidi d’Italia, che oggi fa tappa a Viareggio. 

L’alluminio è un materiale capace di mantenere inalterate le sue proprietà caratteristiche a prescindere dal numero di volte in cui viene riciclato. Le lattine di Estathé per esempio possono essere continuamente riciclate e trasformate: 640 lattine possono dare vita a un cerchione d’automobile, 130 lattine a un monopattino, 37 a una caffettiera, tre a un paio di occhiali.

Con le lattine di Estaté sono state realizzate tante Riciclette quanto sono le tappe del tour di Jovanotti. Ogni Ricicletta e’ personalizzata con la data del singolo concerto e verrà donata al WWF, con l’obiettivo di raccogliere fondi per progetti di conservazione sul territorio italiano.

“Lattine per bevande, scatolette e vaschette per alimenti, il foglio sottile in alluminio, le bombolette spray, tubetti, tappi e chiusure – riciclabili al 100% e all’infinito -, rinascono per dare vita a nuovi prodotti. La lattina in alluminio, in particolare, come quella distribuita al Jova Party da Estathè, è il contenitore per bevande più riciclato al mondo confermando così la vocazione green di un materiale tra i più ecocompatibili e in linea con i principi e i nuovi modelli di sviluppo dell’economia circolare”, afferma Stefano Stellini, responsabile relazioni esterne del CIAL.

 

ARRIVANO I LIDI AMICI DELLE TARTARUGHE

I primi nidi di tartaruga marina della stagione estiva 2019 sono stati identificati alla fine del mese di giugno a Gallipoli nella Puglia salentina e grazie ai volontari di Legambiente sono stati messi subito in sicurezza, recitanti e monitorati, per evitare che venissero danneggiati durante l’estate. Altri siti di nidificazione sono stati avvistati nel litorale Toscano e proprio lo scorso week end un’altra tartaruga Caretta caretta ha scelto ancora la Puglia per depositare le sue uova. Con l’arrivo dell’estate siamo dunque nel pieno della stagione di nidificazione per la Caretta caretta, l’unica specie di tartaruga marina che ancora depone le proprie uova lungo le nostre coste. Si tratta di un animale in pericolo di estinzione che discende dai dinosauri ma che ora rischia di scomparire dai nostri mari a causa della pesca, del traffico nautico e dell’inquinamento soprattutto della plastica che può essere ingerita con conseguenze spesso mortali.

Tra giugno e agosto, le femmine escono dal mare e risalgono faticosamente la riva per deporre le uova. In una buca scavata nella sabbia e profonda circa un metro depositano circa 100 uova grandi come palline da ping pong. 

L’incubazione delle uova è garantita dalla sabbia e dal calore del sole. A determinare il sesso dei nascituri è la temperatura di incubazione: fiocchi rosa per temperature più elevate e azzurri per quelle un po’ più basse. La schiusa avviene dopo un periodo compreso tra 45 e 60 giorni, quando i piccoli tartarughini escono dalla sabbia del nido per riguadagnare il mare. La spiaggia rappresenta quindi un habitat fondamentale per la conservazione di questa specie, che è costantemente minacciata dalla cementificazione delle coste che riducono le aree di nidificazione, dalla pulizia delle spiagge con mezzi meccanici che schiacciano le uova, da rumori molesti e luci abbaglianti e che disturbano gli animali mentre depongono le uova e che possono disorientare i tartarughini appena nati, dagli ombrelloni che possono distruggere il nido. Ma da quest’anno Legambiente e FIBA, attraverso gli stabilimenti balneari che rappresenta, hanno firmato un protocollo d’intesa per proteggere adeguatamente le spiagge adatte alla nidificazione di questi animali.

“Nel Mediterraneo sono circa 7.000 mila i nidi di tartarughe marine ma in Italia sono solo alcune decine. Il protocollo firmato con la FIBA”, spiega Stefano Di Marco, coordinatore della Campagna Tartalove di Legambiente, “ci consentirà di ampliare significativamente il numero degli arenili ‘amici delle tartarughe’ che verranno insigniti, dopo l’adozione delle linee guida per la gestione sostenibile delle spiagge per la nidificazione, della bandiera azzurra di Tartalove”.

L’adesione al protocollo impegna gli imprenditori balneari a promuovere iniziative di formazione per gli addetti alla pulizia degli arenili per il riconoscimento delle tracce di tartaruga marina e le regole da adottare in caso di presenza di nidi o di piccoli; a diffondere le informazioni corrette ai turisti sui comportamenti più idonei da adottare per non danneggiare nidi e non spaventare o confondere con luci o rumori eccessivi gli esemplari in cerca di un luogo appartato; a distribuire materiale informativo sulle tartarughe marine oltre che a predisporre progetti locali, nazionali e comunitari per la tutela delle tartarughe marine.