Home Ambiente Pagina 262

Ambiente

ISTAT, NEL 2016 RACCOLTA DIFFERENZIATA +5%

0

Nel 2016, la quantità raccolta di rifiuti urbani è di 496,7 kg per abitante (+2,2% rispetto al 2015); la percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti è del 52,5% (+5 punti percentuali sull’anno precedente). I livelli più alti di produzione di rifiuti urbani si rilevano in Emilia-Romagna (653 kg per abitante) e Toscana (616,2). Il Molise (387) e la Basilicata (353), invece, sono le regioni in cui se ne producono di meno. Lo rende noto l’Istat.

La frequenza della raccolta differenziata dei rifiuti urbani varia sul territorio: livelli molto elevati si registrano nella provincia autonoma di Trento (74,3%), in Veneto (72,9%), Lombardia (68,1%), Friuli-Venezia Giulia (67,1%) e nella provincia autonoma di Bolzano (66,4%). In queste stesse zone la quantità pro capite di rifiuti urbani è al di sotto della media.

Nel 2017 si stima che l’85% delle famiglie effettui con regolarità la raccolta differenziata della plastica (39,7% nel 1998), il 74,6% dell’alluminio (27,8%), l’84,8% della carta (46,9%) e l’84,1% del vetro (52,6%).

Le famiglie residenti nel Nord differenziano maggiormente i rifiuti rispetto alle altre zone del Paese. Il primato spetta alle famiglie del Nord-ovest: vetro 91,8%; contenitori in alluminio 81%, quelli in plastica 91,1% e la carta 91,4%.

Sempre nel 2017, il 69,9% delle famiglie ritiene di sostenere un costo elevato per la raccolta dei rifiuti, il 25,6% lo giudica adeguato. Si stima che le famiglie residenti nelle Isole siano le più insoddisfatte: giudicano elevato il costo nell’83,4% dei casi, quota che scende al 61,1% nelle regioni del Nord-est.

Sul servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti si definisce molto soddisfatto il 26,3% delle famiglie italiane (il 35,2% nel Nord-ovest e il 31,9% nel Nord-est). Al di sotto della media nazionale le altre ripartizioni geografiche: 17,6% al Sud, 19,9% al Centro e 20,6% nelle Isole.

I motivi di insoddisfazione del porta a porta sono prevalentemente legati agli orari di raccolta dei rifiuti (94,3%) e alla convinzione che non sia utile raccogliere i rifiuti in modo differenziato (89,6%).

Per migliorare, in termini quantitativi e qualitativi, la partecipazione alla raccolta differenziata il 93,4% delle famiglie vorrebbe maggiori informazioni su come separare i rifiuti; il 93,3% centri di riciclo e compostaggio più numerosi ed efficienti; l’83,3% detrazioni e/o agevolazioni fiscali o tariffarie, già esistenti in alcune aree del Paese

Tra le politiche di prevenzione e riduzione dei rifiuti urbani nei capoluoghi di provincia o di città metropolitana, le più diffuse riguardano l’attuazione di buone pratiche in uffici, scuole e nidi comunali, adottate dal 60% delle amministrazioni nel 2016. Oltre il 50% dei comuni promuove l’approvvigionamento di acqua potabile di qualità in spazi pubblici ed effettua campagne di sensibilizzazione sul tema.

Nel 2016 una politica largamente attuata in tema di riciclo riguarda l’applicazione di agevolazioni per il compostaggio domestico, adottate da più di 7 città su 10.

Nel 2016 sono molto diffuse le politiche di corretto conferimento dei rifiuti: 32 comuni capoluogo superano l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti urbani (21 nel 2015). 

Sono 28 i comuni capoluogo che applicano almeno la metà delle politiche di prevenzione e riduzione considerate. Le migliori performance sono quelle di Parma, Ferrara e Rimini, oltre quella della città metropolitana di Torino. Rispetto alle politiche di corretto conferimento sono 107 quelli che ne attuano almeno la metà. Tra le città metropolitane si distinguono: Torino, Genova, Venezia e Bari.

Considerando la gestione della raccolta differenziata, interna alle strutture delle amministrazioni dei comuni capoluogo, risulta che nel 2015 il 98% dei comuni ha raccolto in modo differenziato carta e toner (rispettivamente nell’87% e nel 68% delle unità locali); il 96% delle città differenzia la plastica (in quasi l’80% delle strutture), il 93% il vetro in più della metà delle proprie unità locali. Nella gestione sostenibile si distinguono in modo particolare Reggio di Calabria, Monza, Perugia, Trento e Forlì. 

 

NEL MEDITERRANEO 7% MICROPLASTICA GLOBALE

0

Un mare piccolo rispetto agli oceani, appena l’1% dei mari del mondo, con un’enorme biodiversità ma con una ‘impronta umana’ insostenibile se si considera l’inquinamento da plastica: nel bacino del Mediterraneo si concentra infatti il 7% della microplastica globale. Il Mare Nostrum si sta trasformando in una pericolosa trappola per la plastica e l’impatto grava sulle specie marine e sulla salute umana, secondo quanto riportato dal nuovo report “Mediterraneo in trappola: salvare il mare dalla plastica” redatto dal WWF Italia e lanciato a livello globale in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani e nell’ambito della campagna WWF #GenerAzioneMare. 

L’allarme punta sugli effetti drammatici che l’eccessivo consumo di plastica, la cattiva gestione dei rifiuti e il turismo di massa stanno avendo su una delle macroregioni più visitate del mondo per la sua bellezza e peculiarità.

Il WWF sollecita governi, imprese e individui ad intraprendere azioni che possano ridurre significativamente l’inquinamento da plastica nelle città, negli ambienti marini e costieri sia nel Mediterraneo sia globalmente. A questo proposito il WWF ha lanciato una petizione con 4 richieste rivolte alle istituzioni italiane affinché premano perché venga alla luce al più presto la Direttiva europea che vieta 10 prodotti di plastica monouso; introducano una cauzione sugli imballaggi di plastica monouso; vietino l’uso di microplastiche in tutti i beni di consumo e i prodotti plastici non biodegradabili; finanzino la ricerca e il recupero delle reti da pesca di plastica fantasma, abbandonate in mare. 

L’auspicio del WWF è anche quello di un accordo internazionale giuridicamente vincolante per eliminare la dispersione di plastica negli oceani. Per Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia, “in Europa produciamo un enorme quantitativo di rifiuti plastici, di cui una parte consistente non viene correttamente smaltita. Il risultato è che centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti invadono ogni anno il Mediterraneo alterando pericolosamente gli equilibri ecosistemici e la biodiversità marina. La plastica è un nemico invasivo e spietato, difficile da quantificare e, quindi, da sconfiggere, e che ormai è entrato nella catena alimentare. Ad esempio, ogni singolo frammento di plastica può venire colonizzato da alghe, microrganismi e batteri, anche pericolosi come i vibrioni, tanto da creare un vero e proprio nuovo ecosistema chiamato ‘plastisfera’. Le plastiche del Mediterraneo trasportano tra le più alte concentrazioni di organismi diversi mai registrate capaci di avere forti impatti sugli habitat marini con cui entrano in contatto. L’ingente presenza di plastica oltre che per la biodiversità e la salute è una grave minaccia anche per importanti settori economici del Mediterraneo, soprattutto pesca e turismo. Il fenomeno costa al settore della pesca dell’Unione Europea circa 61,7 milioni l’anno in quanto determina minori catture, e quindi le minori entrate, danni alle imbarcazioni e agli attrezzi da pesca, riduzione della domanda da parte dei consumatori preoccupati dalla presenza di plastica nelle carni del pesce. Non possiamo permettere che il Mediterraneo soffochi nella plastica. Abbiamo bisogno di azioni urgenti che coinvolgano tutta la catena di approvvigionamento per salvare i nostri mari da questa vera e propria invasione”.

La plastica rappresenta il 95% dei rifiuti in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia e Spagna, seguite da Italia, Egitto e Francia. Secondo quanto riportato nel report, tra le radici profonde dell’inquinamento da plastica ci sono ritardi e lacune nella gestione dei rifiuti nella gran parte dei paesi del Mediterraneo. Dei 27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno in Europa, solo un terzo è riciclato, mentre la metà in paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna finisce ancora in discarica. È infatti ferma al 6% la domanda di plastica riciclata del mercato europeo.

 

CONAF: “BOSCHI RISORSA RINNOVABILE PER ECONOMIA PAESE”

0

I boschi sono una risorsa rinnovabile non solo da tutelare sul piano naturalistico, ma anche da gestire per sfruttarne le potenzialità economiche e sociali. È questa la filosofia di fondo del nuovo Codice Forestale, che è al centro di una due giorni organizzata a Palermo dal Conaf (Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali). Le nuove norme approvate a marzo dal Governo aggiornano quelle del 2001, hanno bisogno adesso dei decreti attuativi per la loro piena applicazione e daranno alle Regioni una cornice comune nella quale operare, sulla base di due pilastri: la gestione sostenibile e quella attiva del patrimonio boschivo. 

“Il Codice introduce l’Albo unico degli operatori forestali qualificati – spiega nel corso di un forum all’ITALPRESS il presidente del Conaf Andrea Sisti -, una ditta con una sola iscrizione all’Albo potrà lavorare in tutte le regioni. Poi viene introdotto il servizio ecosistemico: anche le imprese e i Comuni potranno vendere i crediti di carbonio. Questo significa gestire il bosco mantenendo la naturalità ma creando al tempo stesso economia, soprattutto nelle zone interne”.

“La risorsa bosco è rinnovabile, possiamo usare l’interesse che il capitale naturale produce. L’Italia sfrutta solo il 2-3% di  questo interesse, e si tratta di una risorsa che se gestita bene aiuta anche a prevenire il dissesto idrogeologico”, sottolinea il consigliere del Conaf Mattia Busti. “Per assurdo l’opinione pubblica chiede di mantenere immacolati i nostri boschi e contemporaneamente favorisce l’importazione di legno spesso illegale da altri paesi – prosegue -. Serve una presa di coscienza che porti a dire che dobbiamo produrre in casa quello che già abbiamo, rispettando le regole di tutela, senza rapinare gli altri paesi. Il bosco non è un museo, è un organismo vivente, che se viene gestito nei modi corretti vive meglio. La mission che abbiamo è informare sul fatto che il nuovo Codice non è antitetico alla conservazione. Il legno è un materiale vivo, non dobbiamo prenderlo in Russia o Indonesia, dobbiamo fare in modo che produca economia in Italia in modo sostenibile”.

Il servizio ecosistemico consente di monetizzare il beneficio ambientale complessivo che il bosco dà, anche per la purificazione dell’aria e delle acque, con importanti ricadute occupazionali in comuni a rischio spopolamento, come nelle aree montane. Per questo serve personale formato, in un settore in cui l’innovazione è continua. In questa chiave è fondamentale il ruolo dell’Università e nei suoi dieci anni di mandato alla guida del Conaf, Sisti ha lavorato molto su questo aspetto. “Il dialogo con gli atenei funziona – spiega il presidente -. Negli ultimi  anni c’è stato un cambiamento epocale, ci sono tanti docenti e presidi che hanno dato vita a una nuova stagione. Il lavoro con l’Anvur e con le singole università testimonia il cambiamento che c’è stato dal 2007 nella classe dirigente universitaria. L’innovazione nei processi di insegnamento c’è, deve diventare più strutturale, servirebbe una legge organica”.

Un altro fronte che vede il Conaf molto attivo è quello delle collaborazioni internazionali. Dall’8 al 10 maggio scorsi una delegazione ha preso parte ad Agritech, a Tel Aviv, proseguendo un dialogo avviato con Israele in occasione di Expo 2015 a Milano. “Stiamo lavorando a un protocollo per l’interscambio dei professionisti agronomi – spiega la vicepresidente Conaf Rosanna Zari -. Loro hanno necessità di acquisire nostre tecniche agronomiche soprattutto nel settore enologico, il nostro scopo è apprendere le loro tecniche di aridocoltura, che sono all’avanguardia. Se pensiamo alla siccità del 2017, in Italia dobbiamo migliorare le tecniche per l’agricoltura nelle zone aride e semiaride. Il cambiamento climatico deve fare rivedere tutto il sistema agricoltura, non solo per la gestione e il riutilizzo dell’acqua ma anche per la questione dei parassiti”.

Salvatore Trapani

 

SOGIN, NEL 2017 VALORE PRODUZIONE 186,9 MLN

0

Il Consiglio di Amministrazione di Sogin, che si è riunito sotto la presidenza di Marco Ricotti, ha approvato il progetto del Bilancio dell’esercizio 2017 illustrato dall’Amministratore Delegato, Luca Desiata.

L’esercizio 2017 si è chiuso con un Valore della Produzione, al netto della gestione del combustibile, pari a 186,9 milioni di euro (183 nel 2016). Un valore a cui vanno aggiunti quest’anno 221,9 milioni di euro per le attività di gestione e riprocessamento del combustibile, che costituiscono una voce passante e non strutturale del bilancio (11,5 nel 2016).

Nel 2017 Sogin ha realizzato un volume di attività di decommissioning di 63,2 milioni di euro (53,8 nel 2016). Il secondo migliore risultato in termini economici da quando la Società è stata costituita.

Per la prima volta nella storia del Gruppo Sogin il personale è diminuito significativamente passando dalle 1.268 unità del 2016 a 1.210 risorse al 31 dicembre 2017, con una riduzione complessiva di 58 unità (-5% rispetto al 2016). Il costo del personale del Gruppo è quindi sceso dai 92,8 milioni di euro del 2016 agli 86,4 milioni del 2017 (-7%), valore quest’ultimo al netto dell’incentivo all’esodo.

Il risultato operativo di Sogin, EBIT, è di 6 milioni di euro (3,2 nel 2016) mentre il Risultato netto è di 5,1 milioni di euro (1,4 nel 2016). Tali variazioni sono dovute ad azioni significative di riduzione dei costi non collegati direttamente alle attività di decommissioning.

Il Bilancio consolidato di Gruppo si è chiuso, invece, con un utile netto di 7,8 milioni di euro (4,2 nel 2016). Il risultato operativo di Gruppo, EBIT, è di 10,3 milioni di euro (7,7 nel 2016).

Nel 2017 il Gruppo Sogin ha, inoltre, triplicato le commesse verso terzi, sia in Italia che all’estero, passando da 6,3 milioni del 2016 ai 20,8 milioni del 2017 (+ 230%). 

“Il Gruppo Sogin nel 2017 ha registrato, per la prima volta nella sua storia, accanto al segno positivo di tutti gli indicatori economici, una riduzione significativa del personale e dei relativi costi – ha detto l’amministratore delegato di Sogin, Luca Desiata -. In termini economici la Società ha, nel contempo, realizzato la seconda performance di sempre nelle attività di smantellamento, mentre le commesse verso terzi sono triplicate rispetto all’anno prima. Inoltre, l’accordo rinegoziato lo scorso anno con gli inglesi della Nuclear Decommissioning Authority – ha aggiunto Luca Desiata – produrrà una notevole riduzione, da una lato del volume dei residui derivanti dal riprocessamento del combustibile che dovranno rientrare in Italia e, dall’altro, una riduzione, anche in questo caso per la prima volta, di 26 milioni di euro di costi a vita intera per la gestione del ciclo del combustibile”.

 

CROWDFUNDING PER CONTENITORE ECOLOGICO PIZZA

0

Un nuovo contenitore ecologico da asporto che mantiene la pizza come appena sfornata. È questa l’idea alla base di Vinni Box, il contenitore per la pizza a domicilio che è stato selezionato per la campagna di crowdfunding Nastro Azzurro Crowd sulla piattaforma Eppela. 

L’obiettivo della campagna è quello di favorire il suo lancio ufficiale a livello nazionale: un evento in cui il brevetto verrà presentato al pubblico, alle pizzerie e ai media.

“Le richieste per adottare il Vinni Box sono veramente già tantissime, più di 300 – dichiara Mario Menzio, uno dei fondatori e attualmente amministratore unico della start-up – siamo infatti molto entusiasti di questa richiesta che aumenta mese dopo mese”.

Il contenitore brevettato è attualmente in fase di beta-test su due pizzerie a Milano e Genova.

“La maggior parte delle richieste – conclude Menzio – proviene dalla Lombardia e dalla provincia di Milano ma abbiamo crescenti richieste da tutte le parti d’Italia”.

Tutto è nato anni addietro dall’idea di un pizzaiolo di Saronno, Armando Rizzo. Dopo quattro anni, migliaia di prove e centinaia di prototipi, alla fine ha trovato la soluzione: un contenitore in polistirene alimentare impilabile che consente a ogni pizza di avere la giusta areazione, impedendo così la formazione della condensa, la causa principale per cui le pizze si bagnano, raffreddano e rammolliscono durante il trasporto nel cartone.

Il materiale utilizzato è riciclabile al 100 per cento. Nonostante la validità, questa idea avrebbe rischiato di rimanere il classico “sogno nel cassetto”, se Armando Rizzo non avesse incontrato nel luglio 2015 due imprenditori genovesi, Mario Menzio e Jonny Lo Piscopo, esperti di innovazione e startup.

Da questo incontro è nata nel maggio 2016 la società Food Delivery Packeging srl, con sedi a Milano e a Genova, al Talent Garden – Parco Tecnologico degli Erzelli, guidata attualmente da Mario Menzio. Grazie a una successiva raccolta di fondi privati, che ha visto coinvolti una ventina di imprenditori e professionisti entusiasti di questa iniziativa, il sistema Vinni è ora realtà.

Il progetto è stato scelto da Nastro Azzurro per partecipare al crowdfunding sulla piattaforma Eppela. La campagna durerà fino al 24 giugno con il traguardo di raccogliere dai 10 mila euro in su. Come di consueto per l’iniziativa Nastro Azzurro Crowd al raggiungimento del 50 per cento della cifra sarà Nastro Azzurro a finanziare la restante metà, fino a un massimo di 5 mila euro.

 

RIFIUTI, DIFFERENZIATA A 2 VELOCITÀ

0

Un paese diviso in due, nella raccolta differenziata: il Nord con una media del 64% e quasi tutte le province sopra il 50%, mentre il Sud con situazioni fortemente arretrate non raggiunge la media del 38%. Questa la fotografia del settore rifiuti urbani scattata dal Green Book 2018, realizzato per Utilitalia dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti e presentato a Roma. Dalla mappatura degli operatori, sia per il servizio di raccolta che per la gestione degli impianti, emerge una situazione molto frammentata, con una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al centro-nord e una presenza residuale al sud (dove il 33% degli abitanti è servito da aziende pubbliche o miste). Quanto agli impianti e alla loro localizzazione, quelli di trattamento integrato aerobico e anaerobico sono concentrati al nord dove viene gestito il 98% della frazione organica da raccolta differenziata; gli impianti di compostaggio della stessa tipologia di rifiuti sono invece in prevalenza al sud (il 49% trattata in impianti a partecipazione pubblica e il 51% privati). Gli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) sono più diffusi al sud (con il 49% del trattamento). Per lo smaltimento in discarica il Sud supera il resto del Paese: con il 62% del rifiuto urbano residuo a livello nazionale smaltito in questo modo. La situazione si capovolge sugli impianti di recupero energetico: concentrati soprattutto al nord dove viene trattato il 69%, il 12% al centro e il 19% al sud.

Ed è proprio dove il servizio è peggiore che la spesa media annuale per famiglia è più elevata. Dall’analisi sulle tariffe per il 2017 su una popolazione complessiva di oltre 18 milioni di abitanti nei comuni capoluogo, una famiglia tipo nel 2017 ha speso mediamente 227 euro in un comune sotto i 50.000 abitanti e 334 euro in un comune con popolazione superiore a 200.000 abitanti. In media sempre nel 2017 al nord la spesa è stata di 271 euro, di 353 al centro e 363 al sud. Nel 2016, dall’analisi dei 575 gestori individuati, il settore dell’igiene urbana ha registrato oltre 12 miliardi di fatturato, occupando 90.433 addetti. Il 75% delle aziende è rappresentato da monoutility legate al settore ambiente, il restante 25% da aziende multiutility. Gli operatori di piccole dimensioni (con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro) rappresentano il 55% del totale anche se contribuiscono a solo il 10% del fatturato nazionale. Il 37% del fatturato di settore è generato dal 3% di operatori con un volume d’affari superiore ai 100 milioni di euro. Gli operatori della categoria “Raccolta e Ciclo Integrato” (cioè che gestiscono tutto il processo dalla produzione alla fine del rifiuto) rappresentano il 73% del totale, e registrano il 73 % del fatturato e occupano l’89% degli addetti; la categoria “Gestione Impianti” comprende il restante 27% degli operatori, genera il 27% del fatturato complessivo ed impiega l’11% della forza lavoro. Dal punto di vista dell’assetto proprietario il 34% delle aziende ha natura completamente privata e il 66% risulta partecipato dal pubblico.

La stima del fabbisogno nazionale di investimenti in raccolta differenziata e nuovi impianti viene valutata in circa 4 miliardi di euro. Gli investimenti complessivamente realizzati dai gestori del campione nell’arco temporale 2012-2017 ammontano a 1,4 miliardi di euro, pari a 82,5 euro per abitante in sei anni (14 euro a testa all’anno). Il 46% degli investimenti è destinato alla raccolta e allo spazzamento, mentre il 54% agli impianti di selezione, avvio a recupero e smaltimento. Nel 2017 il trend degli investimenti in raccolta sono aumentati del 73% rispetto al 2012. Sul versante degli impianti, c’è stato un netto calo degli investimenti in impianti di incenerimento (meno 55% rispetto al 2012); in controtendenza rispetto al recupero energetico risultano gli investimenti in discarica che nel 2017 crescono rispetto al 2012 di oltre il 200%. Gli investimenti in impianti di selezione e valorizzazione delle frazioni differenziate passano da 9 milioni di euro nel 2012 a circa 18 milioni di euro nel 2017. Infine, mentre gli investimenti in compostaggio e Tmb hanno un andamento crescente, quelli in digestione anaerobica sono fermi fino al 2016, per l’incertezza sul meccanismo di incentivazione. Rispetto agli investimenti realizzati sulla fase impiantistica, solo il 39% ha riguardato la realizzazione di nuovi impianti; mentre la voce più importante è sugli interventi di manutenzione straordinaria e revamping (46%), seguita dall’ampliamento di impianti esistenti (15%). Dai Piani di investimento dei gestori emerge un incremento complessivo di circa il 60% del volume di investimenti pianificati tra il 2018 e il 2021, rispetto a quelli realizzati nei quattro anni precedenti.

Valotti: “Italia non è più fanalino di coda in Europa”
“Se guardiamo al quadro nazionale le imprese e i territori evoluti del paese hanno intrapreso un cammino virtuoso e una volta tanto in Europa non siamo più il fanalino di coda. I migliori operatori, infatti, sono arrivati ad applicare concretamente l’idea ‘zero rifiuti in discarica’. Tra i dati più importanti che emergono dal Green book è la clamorosa disomogeneità del territorio a danno cittadini, cittadini che subiscono l’emergenza rifiuti e altri cittadini che devono risolvere l’emergenza altrui, questa è una cosa antidemocratica”, afferma Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia.

“In Italia l’economia circolare si può fare – sottolinea – è quindi necessario estendere l’economie virtuose in tutte le regioni italiane e per fare cio’ servono tre condizioni: la prima è che serve una politica seria e lungimirante al di là della durata dei governi. La seconda condizione è che serve un approccio industriale nel settore, gli operatori qualificati con la migliore qualità ed efficienza riescono a garantire i costi più bassi ai cittadini. Terza condizione è che serve una regolazione illuminata”.

“Lo sviluppo degli investimenti che questo settore richiede è cresciuto negli ultimi anni, ma sono ancora lontani dal fabbisogno che il settore richiede. Di fronte al nuovo ciclo politico, che auspichiamo si apra al più presto – prosegue – Utilitalia si porrà con grande serietà per sottolineare l’urgenza e le ragioni del cambiamento per questo settore che diventato indifferibili”. Il presidente Valotti sottolinea l’importanza del settore dei rifiuti in quanto “segna la differenza tra i paesi avanzati e quelli arretrati, è un settore che ha un impatto decisivo sulla qualità della vita e determina la percezione delle città e dei territori. Il fabbisogno di rinnovamento si contrappone e stride sulla qualità del dibattito pubblico nel settore, dove il populismo e la mancanza di ancoraggio alle evidenze scientifiche, caratterizza non solo il dibattito mediatico – conclude Valotti – ma soprattutto quello politico. Questo settore, infatti, richiede di entrare nel merito e di non fermarsi a dichiarazioni superficiali”.

 

 

NEL MEDITERRANEO ELEVATI LIVELLI DI MICROPLASTICHE

0

Nelle acque marine superficiali italiane si riscontra un’enorme e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia). Sono questi alcuni dei risultati principali diffusi dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova (ISMAR), dall’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e da Greenpeace Italia, frutto dei campionamenti nelle nostre acque realizzati durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo” della nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior, che la scorsa estate ha visitato le coste del Mediterraneo. Ai risultati prodotti dal CNR-ISMAR si aggiungeranno nei prossimi mesi anche quelli raccolti da UNIVPM, per stabilire la presenza e la composizione di microplastiche nei pesci e negli organismi marini. Obiettivo dei campionamenti effettuati da ISMAR è stato stabilire la quantità e la composizione di microplastiche sulla superficie delle acque marine italiane e nello zooplancton e produrre maggiori dati per supportare la standardizzazione e armonizzazione dei protocolli per la ricerca scientifica.

Le plastiche sono polimeri sintetici la cui produzione è esponenzialmente aumentata negli ultimi 50 anni: solo nel 2015 sono stati prodotti 300 milioni di tonnellate e ogni anno in mare ne finiscono circa 8 milioni di tonnellate. I risultati di questo studio confermano l’enorme presenza anche nel Mediterraneo di microplastiche con valori paragonabili a quelli che si trovano nelle “zuppe di plastica” presenti nei vortici oceanici.  

Preoccupante è il fatto che concentrazioni cosi elevate di microplastiche siano evidenti anche nel Mediterraneo, un bacino semi-chiuso fortemente antropizzato, con un limitato riciclo d’acqua che ne consente l’accumulo. Le microplastiche provengono da diverse fonti: quelle primarie derivano principalmente da prodotti per l’igiene personale (cosmetici, creme, dentifrici ecc.) o sono le materie prime come pellet o polveri di plastica utilizzate per la produzione di materiali plastici. Le microplastiche secondarie derivano invece dalla frammentazione e decomposizione di materiali plastici di dimensioni più grandi. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che le microplastiche secondarie contengono additivi chimici come gli ftalati.

La campagna ha permesso di analizzare campioni di acqua di mare prelevata in 19 stazioni lungo la costa italiana, da Genova ad Ancona. I prelievi sono stati effettuati sia in zone sottoposte a un forte impatto antropico (foci di fiumi e porti) che in aree marine protette. “I risultati indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento”, dichiara Francesca Garaventa, responsabile CNR-Ismar dei campionamenti. “Infatti, nella stazione di Portici (Napoli) zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo ma valori non molto inferiori – 2,2 – si trovano anche alle Isole Tremiti”.

L’analisi ha permesso di identificare 14 tipi di polimeri. La maggior parte delle plastiche ritrovate è fatta di polietilene, ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e gli imballaggi usa e getta.

“I dati raccolti confermano che i nostri mari stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso” commenta Serena Maso, campagna mare di Greenpeace. “Per invertire questo drammatico trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione. Il riciclo non è la soluzione e sono le aziende responsabili che devono farsi carico del problema, partendo dall’eliminazione della plastica usa e getta”.

 

INDUSTRIA EUROPEA PLASTICA CONTRO MARINE LITTER

0

“La plastica è una risorsa troppo preziosa per diventare un rifiuto e i nostri mari sono un valore da proteggere. L’industria europea sostiene l’obiettivo: mai più plastica negli ambienti marini”. Così Daniele Ferrari, presidente di PlasticsEurope, nel suo intervento all’edizione 2018 di Polytalk, il summit dei produttori di materie plastiche che quest’anno si è svolto a Malta.

Il tema della plastica negli oceani, una delle sfide ambientali più sentite a livello mondiale, è stato al centro di una due giorni di dibattito che ha coinvolto oltre 180 rappresentanti del mondo politico, dell’industria, delle principali associazioni non governative e scienziati di tutto il mondo. 

“PolyTalk 2018 è un tavolo aperto a tutti coloro che non credono a un futuro senza plastica ma vogliono dire basta ai rifiuti di plastica in mare: cogliamo questa occasione per condividere strategie concrete, anche basate su nuove partnership con stakeholder interessati a prevenire la dispersione dei rifiuti a livello mondiale”, ha proseguito Ferrari.

L’Europa ha già fatto molto per contenere il marine litter e per un trattamento dei rifiuti in linea con quanto richiesto dai principi che ispirano l’economia circolare: negli ultimi 10 anni il riciclo è aumentato di quasi l’80% e il ricorso alla discarica si è ridotto di oltre il 50%.

Molto però resta ancora da fare: i produttori lanciano un appello forte per la condivisione di progetti comuni che coinvolgano istituzioni e attori sociali di altri Paesi, affinché si impegnino per una corretta gestione dei rifiuti, anche attraverso una maggiore attenzione al fine vita della plastica, a livello mondiale. L’appello è stato favorevolmente colto e sostenuto dai rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni non governative presenti all’evento.

“Il nostro impegno non si ferma – ha concluso Ferrari – vogliamo incrementare la nostra attività in settori chiave, identificare le lacune esistenti nella conoscenza del problema e discutere su come migliorare le infrastrutture per la gestione dei rifiuti”.

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, intervenuto al convegno, ha affermato: “Il fenomeno del marine litter sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, anche nel Mediterraneo. La plastica è il materiale più ritrovato nell’ambiente marino e costiero a causa della cattiva gestione dei rifiuti e dell’abbandono consapevole. I dati dei nostri monitoraggi, realizzati con Goletta Verde e i nostri circoli locali, evidenziano però come gran parte di questi rifiuti possano essere riciclati e quanto sia importante anche una buona politica di prevenzione”.

“L’Italia – ha continuato Ciafani – gioca un ruolo da apripista, grazie alle esperienze avanzate di economia circolare e alle norme approvate negli ultimi anni per prevenire il problema del marine litter. Quello che chiediamo qui a Malta è che il modello italiano sia replicato in tutti i Paesi del Mediterraneo, compresi Nord Africa e Medioriente, per una politica integrata ed efficace di riduzione del fenomeno. Infine – ha concluso – è importante affrontare con coraggio il problema dell’usa e getta. Su tutto questo il ruolo delle imprese e dell’innovazione è fondamentale per intervenire, da una parte, nei cicli produttivi affinché siano meno inquinanti, dall’altra nella realizzazione di prodotti più sostenibili. Il problema del marine litter è molto complesso e le soluzioni efficaci richiedono una forte sinergia tra imprese, istituti di ricerca e associazioni di cittadini. La conferenza Politalk 2018 organizzata da PlasticsEurope va proprio in questa direzione”.