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Messina Denaro, Luzi “L’abbiamo sempre cercato in Sicilia”

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ROMA (ITALPRESS) – “Da oltre un anno indagavamo su tutte le persone con le stesse particolari patologie di cui soffre Matteo Messina Denaro. Abbiamo effettuato verifiche e alla fine abbiamo centrato l’obiettivo”. Così al Corriere della Sera Teo Luzi, comandante generale dei carabinieri.
“Nell’ultimo mese avevamo capito che il cerchio si stava stringendo e sapevamo che ogni momento poteva essere quello buono – spiega -. Negli ultimi giorni eravamo più consapevoli, ma la storia ci ha insegnato che nulla è scontato soprattutto quando si tratta di un capomafia. Sinceramente mi aspettavo di saperne qualcosa di più nel pomeriggio. Da tempo stavamo effettuando uno screening nelle cliniche private e nelle strutture pubbliche sulle persone curate per questa particolare patologia. E poi tenevamo sotto controllo la cerchia di fiancheggiatori che evidentemente gli hanno dato copertura”.
“Le nostre ricerche si sono sempre concentrate in Sicilia, eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo – sottolinea Luzi -. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile, dopo la cattura tutto sembra semplice. Io posso dire che noi l’abbiamo preso ma c’è stato un gioco di squadra con la polizia e con i magistrati che alla fine si è rivelato vincente. È il metodo di dalla Chiesa”.
“Non ci sono misteri, né segreti inconfessabili. Abbiamo indagato per anni e anni e abbiamo lavorato per fargli terra bruciata intorno. Fino a questo risultato straordinario che deve essere dedicato a tutte le vittime di mafia”, dice ancora il generale.

– foto Agenziafotogramma.it –

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Messina Denaro, una vita da criminale per il superlatitante di Cosa Nostra

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PALERMO (ITALPRESS) – L’arresto di Matteo Messina Denaro all’indomani del trentennale del giorno in cui a finire in manette fu Totò Riina, suona come una ideale chiusura del cerchio nella lotta alla Mafia. Dal 1993, anno in cui catturato il Capo dei Capi, ‘U siccu’, questo il soprannome di Messina Denaro, era divenuto il boss più potente di Cosa Nostra, nonché uno dei latitanti più pericolosi e ricercati al mondo. Capo del mandamento di Castelvetrano, era riuscito a esercitare la propria influenza anche al di fuori della provincia di Trapani, spingendosi non solo in quella di Agrigento, ma anche in quella di Palermo. Ed è qui che i Carabinieri sono riusciti a consegnarlo alla giustizia, in un’operazione condotta all’interno di una clinica privata nella quale si stava sottoponendo a delle cure.
Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Francesco, alleato del clan dei corleonesi, già nel 1989 Messina Denaro venne denunciato per associazione mafiosa in quanto ritenuto coinvolto nella faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Nel 1991 si rese inoltre responsabile dell’omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina, per il solo fatto di avere insultato i mafiosi dinnanzi alla sua dipendente austriaca, al contempo l’amante di Messina Denaro. Con il padre latitante dal 1990, diventerà a tutti gli effetti il reggente del proprio mandamento, e nel 1992 viene spedito a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone. Nello stesso anno, Messina Denaro è tra gli esecutori materiali dell’omicidio del capo cosca avverso a Riina, Vincenzo Milazzo, e pochi giorni ne strangolò anche la compagna incinta. Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu tra i più favorevoli alla continuazione della strategia della dinamite e fornì un proprio uomo al commando che si rese protagonista degli attentati dinamitardi di Firenze, Milano e Roma. Fu sempre Messina Denaro a organizzare l’attentato fallito ai danni di Totuccio Contorno, quindi nel 1993 inizia a tutti gli effetti la sua latitanza.
Lo annunciò alla sua fidanzata, Angela, chiedendole di non credere alle stragi e ai fatti di sangue che gli sarebbero stati addebitati dai media. Condannato all’ergastolo per diversi omicidi, tra questi quello di Giuseppe Di Matteo, il bambino sciolto nell’acido per punire un pentito, è stato riconosciuto colpevole per le stragi in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Nel corso degli anni, Matteo Messina Denaro era diventato sempre più sfuggente, unico e ultimo boss di questo rilievo ancora ricercato in Italia. Più volte avvistato secondo dei testimoni ma mai finito in manette, tra depistaggi, piste false e voci di una plastica facciale che avrebbero complicato la sua individuazione, negli anni di latitanza le ricerche sono state portate avanti anche in Germania, a Pisa e a Lamezia Terme, in seguito ai racconti di alcuni pentiti.
Nel 2013, il maresciallo capo dei carabinieri Saverio Masi denunciò i superiori per un fatto del 2004, quando secondo la propria versione individuò in strada il latitante Messina Denaro e lo seguì fino all’ingresso di una villa. I suoi superiori però, lo avrebbero intimato di non proseguire nelle indagini. In seguito, fu denunciato per calunnia. A ogni modo, il giorno tanto atteso per la lotta alla legalità è arrivato in un freddo lunedì di metà gennaio e la cattura di Messina Denaro dopo una lunga latitanza durata tre decenni assicura alla giustizia uno dei più sanguinari mafiosi.
-foto agenziafotogramma.it-
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Chi sono i criminali più pericolosi ancora da catturare

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ROMA (ITALPRESS) – Con la cattura di Matteo Messina Denaro finisce la latitanza durata 30 anni dell’uomo più ricercato d’Italia.
Dal sito del ministero degli Interni, tra i criminali più pericolosi c’è Giovanni Motisi, ricercato dal 1998 per omicidio, dal 2001 per associazione mafiosa e dal 2002 per strage. Considerato il latitante più pericoloso dopo Matteo Messina Denaro, si ritiene fosse stato coinvolto nella pianificazione dell’attentato che uccise il generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
Segue Attilio Cubeddu, ricercato dal 1997 per non essere rientrato nel carcere di Badu e Carros (provincia di Nuoro) dove stava scontando 30 anni di reclusione dal 1984 per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime. Cubeddu era infatti coinvolto nei sequestri Rangoni Machiavelli e Bauer in Emilia-Romagna nel 1983, e in quello Peruzzi in Toscana nel 1981.
Nella lista compare anche Renato Cinquegranella, ricercato dal 2002 per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi e estorsione. Cinquegranella sarebbe stato tra gli esecutori materiali dell’omicidio nel 1982 di Giacomo Frattini, affiliato della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Frattini fu torturato e dopo l’uccisione il corpo venne fatto a pezzi.
Chiude la lista Pasquale Bonavota, esponente di spicco dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, è stato inserito nella lista dei ricercati più pericolosi nel 2021. Ricercato dal 2018 per associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato in concorso.
– screenshot sito Ministero interno –
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30 anni fa l’arresto di Riina, la risposta dello Stato alle stragi

PALERMO (ITALPRESS) – Trent’anni. Tanti ne sono passati da quel mite venerdì 15 gennaio del 1993, quando lo Stato mise a segno uno dei colpi più duri nei confronti della mafia, con l’arresto del boss Totò Riina, il capo indiscusso di Cosa Nostra e mandante dei più efferati crimini legati alla criminalità organizzata in Sicilia.
Da allora, la lotta alla mafia non è più stata la stessa e si è tracciata un’altra strada, quella della legalità, a partire da Corleone e dalle altre roccaforti mafiose. Di Riina, all’epoca, resisteva soltanto una vecchia foto in bianco e nero, perchè a parlare per lui erano gli omicidi, per ultimi quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è proprio all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio che viene deciso di accelerare. I Carabinieri si riuniscono a Palermo, siamo nell’autunno del 1992, e viene messa a punto una strategia per arrivare alla cattura del potente boss, latitante da quasi venticinque anni. Si confrontano le informazioni a disposizione ed emerge con vigore la figura del capitano Sergio De Caprio, comandante del nucleo Crimor del ROS, che passerà poi alla storia come “Ultimo”, colui che materialmente mise le manette a Riina.
Per arrivare all’atto finale dell’Operazione Belva, però, bisogna spostarsi da Palermo al Piemonte, per la precisione a Borgomanero, dove entra in gioco Balduccio Di Maggio, allora incensurato, ritenuto in possesso di una serie di importanti informazioni su Cosa Nostra e sulla possibile località nella quale trascorreva la propria latitanza Riina.
A inizio gennaio, Di Maggio viene arrestato e interrogato, iniziando fin da subito a collaborare con gli inquirenti. Fornisce due diverse possibili zone di Palermo in cui si nasconde il boss mafioso e gli inquirenti cominciano a seguire queste piste.
E’ la svolta. Dalla mattina del 14 gennaio, il “fondo gelsomino” di via Uditore e l’abitazione in via Bernini sono tenute sotto osservazione e proprio da quest’ultima villa alle spalle della Circonvallazione vengono visti uscire la moglie e i figli di Riina. E’ l’ultimo tassello per preparare l’arresto del boss.
La mattina del 15 gennaio 1993, poco prima delle ore 9 del mattino, Balduccio Di Maggio riconosce Salvatore Riina e l’autista Salvatore Biondino intenti ad allontanarsi in auto dall’edificio di via Bernini 54. La macchina viene pedinata dai Carabinieri e pochi minuti dopo, in viale Regione Siciliana, viene concretizzato in pieno giorno l’arresto del più pericoloso e potente capo mafioso.
Riina, ammanettato da De Caprio, aveva all’epoca da poco compiuto 62 anni e tremava di paura con la pistola puntata addosso.
Finalmente il volto di uno degli uomini più sanguinari della storia d’Italia entrava nelle case degli italiani, a colori, nelle mani dello Stato che lo avrebbe presto consegnato al 41-bis.
Nei giorni successivi, la mancata perquisizione dell’abitazione di Riina, svuotata in fretta e furia dai propri sodali, resta una macchia nell’operazione, che la Procura di Palermo considerò come frutto di un equivoco. Permangono delle ombre sulla figura ambigua di Di Maggio, c’è chi parla di tradimento a Riina da parte di un altro boss, chi si distacca dalla narrazione ufficiale degli eventi che hanno portato alla cattura del Capo dei Capi. Ciò che è certo, però, è che quel giorno di trent’anni fa segnò anche un punto di partenza a partire dal quale tanti passi avanti sono stati fatti sul fronte della legalità.
credit photo agenziafotogramma.it
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Bocconi avvelenati al parco a Firenze, sopralluogo dell’unità cinofila dei carabinieri

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FIRENZE (ITALPRESS) – Visti i recenti fatti di cronaca legati alla morte di alcuni cani per presunto avvelenamento, avvenuto principalmente all’interno del parco cittadino di San Bartolo a Cintoia, i carabinieri forestali di Firenze hanno ritenuto opportuno avvalersi della collaborazione dell’Unità cinofila Antiveleno di stanza a Follonica, presso il Reparto CC Biodiversità, per effettuare un’attività di bonifica.
Il sopralluogo, all’interno del parco pubblico di San Bartolo a Cintoia, accanto al Palawanny del Quartiere 4, è stato effettuato questa mattina, con il supporto anche del personale del Reparto Polizia Ambientale della Polizia municipale di Firenze, mediante l’ausilio di due cani specializzati (un labrador e un pastore belga malinois) nell’individuazione di esche avvelenate/pericolose. L’area è ampia e i cani si sono alternati nella ricerca ma durante l’intervento non sono stati tuttavia rinvenuti bocconi o esche.
L’indagine è comunque ancora in corso e nei prossimi giorni è previsto un ulteriore sopralluogo con un’analoga unità cinofila a Chiusi della Verna (Arezzo), dipendente dal Reparto Parco Foreste Casentinesi dei carabinieri.

-foto ufficio stampa carabinieri forestali-
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1.489 morti in incidenti stradali nel 2022, in aumento dell’11%

ROMA (ITALPRESS) – Sono state 420.816 le pattuglie impiegate nella vigilanza stradale nel 2022 che hanno controllato 1.782.491 persone e contestato 1.438.419 infrazioni al Codice della strada. Le violazioni accertate per eccesso di velocità sono state 421.973, sono state ritirate 30.560 patenti di guida e 40.019 carte di circolazione. I punti patente decurtati sono stati 2.120.631. E’ quanto emerge dall’attività svolta nel 2022 dalla Polizia Stradale. I conducenti controllati con etilometri e precursori sono stati 415.995, di cui 13.448 sanzionati per guida in stato di ebbrezza alcolica mentre quelli denunciati per guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono stati 1.181. I veicoli sequestrati per la confisca sono stati 957. Sono 166 le tratte controllate dalla Polizia Stradale con i nuovi “Tutor”, entrati in funzione dal mese di dicembre 2021, per una totale di circa 1.550 chilometri di carreggiate autostradali controllate.
Il fenomeno infortunistico ha registrato un aumento rispetto al 2021. In particolare, a fronte di un aumento della incidentalità complessiva del 7,1% (70.554 incidenti contro i 65.852 del 2021), incidenti mortali (1.362) e vittime (1.489) sono aumentati rispettivamente del 7,8% e del 11,1% mentre incidenti con lesioni (28.914) e persone ferite (42.300) del 8,4% e del 10,6%.
Il trend dell’incidentalità stradale risulta in aumento rispetto al 2021, nella cui prima parte erano tuttavia vigenti limitazioni alla mobilità in funzione di contenimento della pandemia, mentre rispetto al 2019 – anno di riferimento anche per l’ISTAT per la valutazione del trend infortunistico -, i dati risultano in diminuzione (-8,3% per gli incidenti mortali e vittime, -9,2% per gli incidenti con feriti e -13,2% persone ferite).
Sono proseguiti i controlli nel settore del trasporto professionale che ha visto impegnati 11.022 operatori, tra poliziotti e dipendenti del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, che hanno controllato 18.787 veicoli pesanti, accertando 14.925 infrazioni e ritirando 149 patenti e 436 carte di circolazione.
Particolarmente efficace è stata anche l’attività di polizia giudiziaria che ha consentito di assicurare alla giustizia complessivamente 17.424 persone di cui 660 arrestate e 16.764 denunciate in stato di libertà. Circa 1,8 tonnellate di sostanze stupefacenti sequestrate, 91 i veicoli oggetto di riciclaggio sequestrati ed altri 553 individuati. Gli esercizi pubblici controllati sono stati 3.688 e 2.891 le infrazioni rilevate.
Anche sul fronte della prevenzione, la Polizia Stradale non ha risparmiato energie “per raggiungere l’obiettivo ambizioso di azzerare il numero delle vittime della strada – si legge in una nota -. Tutti gli utenti della strada, dal pedone, al conducente di monopattino, fino ad arrivare all’autotrasportatore, devono essere consapevoli che solo con condotte corrette si può salvaguardare la vita propria e degli altri”.
Icaro, Biciscuola, Chirone ed Ania Cares, Guida e basta, Inverno in sicurezza e Vacanze Sicure sono solo alcune delle tantissime campagne di educazione stradale con cui la Polizia Stradale diffonde la cultura della guida consapevole. Altrettanto numerose sono inoltre le iniziative di sensibilizzazione realizzate da nord a sud del Paese con l’impiego del Pullman Azzurro della Polizia di Stato, una vera e propria aula didattica itinerante che con il simulatore di guida, il percorso ebbrezza ed altri strumenti interattivi, raduna ogni anno migliaia di giovani, offrendo loro la prova concreta di quanto sia rischioso adottare comportamenti errati o pericolosi sulla strada. Complessivamente sono state oltre 140.000 i ragazzi che la Polizia Stradale ha incontrato in occasione dei numerosi interventi di educazione stradale, e che ha coinvolto in attività formative sempre nuove ed efficaci. Proprio i giovani sono i destinatari “prediletti” delle campagne educative perchè saranno i nostri migliori “testimonial” della cultura della guida sicura in famiglia e tra gli amici, contribuendo ad una diffusione capillare di modelli comportamentali corretti e consapevoli.
foto ufficio stampa Polizia di Stato
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Oltre 50mila fedeli per l’ultimo saluto a Benedetto XVI “Santo subito”

ROMA (ITALPRESS) – “Benedetto Santo subito”, è il desiderio dei fedeli che hanno assistito ai funerali del Papa emerito Benedetto XVI, cerimonia solenne e sobria, durata un’ora e mezza. Una Roma blindata e avvolta da una fitta nebbia ha accolto religiosi e autorità provenienti da tutto il mondo per l’ultimo saluto a Ratzinger, morto il 31 dicembre a 95 anni. In oltre 50 mila hanno assistito alla messa presieduta da Papa Francesco e officiata dal decano del Collegio cardinalizio, Giovan Battista Re, dati diffusi dalla sala stampa vaticana. La macchina organizzativa e della sicurezza predisposta da questura e Comune di Roma ha funzionato, con una zona rossa intorno all’area della Basilica di San Pietro, una no fly zone, strade chiuse, mezzi pubblici potenziati, forze di polizia a presidiare i varchi d’accesso.
I fedeli hanno assistito alla cerimonia, raccolti in preghiera, tra piazza San Pietro e via della Conciliazione, nelle prime file, tra i cinquemila posti a sedere predisposti, presenti le autorità provenienti da tutto il mondo con la delegazione italiana guidata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la delegazione tedesca, guidata dal suo omologo Frank-Walter Steinmeier. Presente anche il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e l’ex premier, Mario Draghi. Tra le autorità religiose presente una delegazione della comunità ebraica di Roma, l’Imam Yahya Pallavicini, vicepresidente Coresi, Comunità Religiosa islamica italiana, e Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione dei musulmani italiani. Un lungo applauso ha accolto l’arrivo e l’uscita del feretro di Papa Benedetto: all’entrata centrale della basilica di San Pietro è stato posto un arazzo della Resurrezione, dalla serie della Vita di Cristo, tra l’arazzo e il cancello dell’ingresso è presente un tendaggio di velluto rosso.
“Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce”, le parole pronunciate da Papa Francesco durante la messa esequiale. Durante il “commiato”, con le quali il Papa emerito è affidato a Dio, le parole di Papa Francesco sono state: “A te Signore affidiamo il Papa emerito Benedetto, che tu hai costituito successore di Pietro il Pastore della Chiesa, pronunciatore intrepido della Tua Parola e dispensatore dei Divini misteri. Ti preghiamo nel Santuario del Cielo a godere dell’eterna gloria con tutti i tuoi eletti. Rendiamo grazie Signore per tutti i benefici che nella tua bontà gli hai concesso per il bene del tuo popolo. Dona a noi il conforto della fede e la forza della speranza”.
Tanti i volontari impegnati nella piazza e nelle vie limitrofe per consentire un sereno svolgimento degli eventi, tra loro anche chi, con pettorina blu, ha distribuito migliaia di cartoline ricordo di Benedetto XVI e calendari del 2023. I fedeli sono arrivati da tutta Italia, dalla Germania, terra natia di Ratzinger, e da molti paesi Ue e extra Ue per tenere vivo il messaggio lasciato dal Papa emerito: “Un uomo di Dio, un pastore con il cuore grande, e impregnato di Gesù Cristo, non era uno che cercava la gloria del mondo, ma la gloria di Dio nella sua vita”, le parole di chi era in piazza San Pietro.
ll corpo di Benedetto XVI riposerà in una bara in cipresso chiusa con i sigilli della camera apostolica, con medaglie, monete coniate durante il Pontificato, i pallii, paramenti liturgici e il ‘Rogitò, un breve testo che descrive il Pontificato del Papa. Dopo la liturgia, le spoglie del Papa emerito saranno portate nelle grotte vaticane per la tumulazione in quella che fu la nicchia di Giovanni Paolo II, Papa Wojtyla.
“Nella luce di Cristo risorto dai morti, il 31 dicembre dell’anno del Signore 2022, alle 9:34 del mattino, mentre terminava l’anno ed eravamo pronti a cantare il Te Deum per i molteplici benefici concessi dal Signore, l’amato Pastore emerito della Chiesa, Benedetto XVI, è passato da questo mondo al Padre. Tutta la Chiesa insieme col Santo Padre Francesco in preghiera ha accompagnato il suo transito”, il testo del rogito. In questi tre giorni hanno reso omaggio a Benedetto XVI quasi 200 mila persone nella Basilica Vaticana.

– foto xb1/Italpress –
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Cyberterrorismo, 1193 casi e 66 indagati nel 2022 in Italia

ROMA (ITALPRESS) – Nel corso degli ultimi anni, il continuo e vertiginoso incremento dell’utilizzo delle piattaforme di comunicazione online, social network e di applicazioni di messaggistica istantanea, ha determinato una allarmante diffusione di contenuti propagandistici riconducibili al terrorismo, ad una platea pressochè illimitata, sia di matrice islamista (jihadista, ISIS, Al Qaeda, Al Shabaab ed altre articolazioni locali), sia di formazioni suprematiste di estrema destra (neonazismo, neofascismo, tifoserie strutturate), nonchè di estrema sinistra (movimenti di lotta armata, anarco/insurrezionalisti, antagonisti). In tale ambito, la Polizia Postale ha garantito sia l’esecuzione di una costante attività di monitoraggio investigativo della rete e dei canali di messaggistica istantanea, per l’identificazione e il deferimento all’Autorità Giudiziaria dei responsabili della diffusione dei contenuti illeciti, sia un costante scambio informativo con la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione competente in materia di contrasto al terrorismo.
Complessivamente in Italia sono stati 1.193 i casi trattati dalla Polizia Postale nel 2022, rispetto ai 1.321 dell’anno precedente; 66 le persone indagate di contro alle 80 del 2021; e 173.306 gli spazi virtuali monitorati, in notevole aumenti rispetto ai 126.998 del 2021.
Trattandosi, in particolare, di un fenomeno di carattere transnazionale, sia per la natura internazionale del fenomeno che per la stessa connaturata struttura della rete, è risultata imprescindibile l’attivazione efficiente degli strumenti della cooperazione sovranazionale, soprattutto per la condivisione di informazioni che, collegate a situazioni peculiari interne, riescono ad apportare un indiscusso valore aggiunto alle attività di prevenzione messe in atto dalle diverse forze di polizia nazionali.
Nell’esercizio della propria missione istituzionale, il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – Organo del Ministero dell’interno per la sicurezza delle telecomunicazioni garantisce, fra l’altro, la protezione delle infrastrutture critiche informatizzate del Paese. Nel 2022 il CNAIPIC – Centro nazionale anticrimine per la Protezione delle Infrastrutture critiche ha rilevato 12.947 attacchi (+138% rispetto ai 5.435 del 2021), sono state 332 le persone indagate (+78% rispetto al 2021). Inoltre, sono stati diramati 113.226 alert (in aumento del 2% rispetto all’anno scorso).
foto ufficio stampa Polizia Postale
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