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L’UE PROROGA LE SANZIONI AL VENEZUELA

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Il Consiglio dell’Unione Europea ha prorogato di un anno, fino al 14 novembre 2020, le sanzioni nei confronti del Venezuela “alla luce della crisi politica, economica, sociale e umanitaria in corso e delle azioni persistenti che compromettono la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani”.
Tra le misure figurano l’embargo sulle armi e sulle attrezzature per la repressione interna e il divieto di viaggio e congelamento dei beni nei confronti di 25 persone inserite in elenco che ricoprono cariche ufficiali e si sono rese responsabili di violazioni dei diritti umani o di aver compromesso la democrazia e lo Stato di diritto in Venezuela.
“Le misure restrittive intendono contribuire a promuovere soluzioni democratiche condivise per apportare stabilità politica al paese e permettergli di rispondere alle necessità impellenti della popolazione – si legge in una nota -. Le misure mirate sono flessibili e reversibili e sono concepite in modo tale da non danneggiare il popolo venezuelano”.
(ITALPRESS).

BOLIVIA, MORALES SI DIMETTE

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“Voglio che le persone in Bolivia sappiano che non ho alcuna ragione di fuggire, devono provare che io abbia rubato qualcosa. Questo è un golpe civico”. Lo ha detto il presidente boliviano Evo Morales, nel rassegnare le sue dimissioni dalla guida del Paese dopo che nelle ultime settimane le proteste nel Paese si sono accese, i militari gli hanno chiesto un passo indietro e i suoi alleati hanno smesso di supportarlo. La stabilità è venuta meno a seguito del risultato delle elezioni dello scorso 20 ottobre, di cui Morales si è dichiarato vincitore nonostante il rapporto redatto dall’Organizzazione degli Stati d’America (OAS), nel quale sono emerse numerose irregolarità durante lo spoglio e la conta dei voti. “Sto rassegnando le dimissioni inviando una lettera all’Assemblea Legislativa”, ha detto Morales in un messaggio televisivo, dicendo che questa scelta è “obbligata come presidente indigeno e come presidente di tutti i boliviani che sono alla ricerca della pace”. A seguito delle voci delle irregolarità, le proteste nelle piazze di tutto il Paese nei confronti di Morales sono iniziate a intensificarsi.

Il generale Williams Kaliman, a capo dell’esercito boliviano, nella mattinata di domenica aveva chiesto a Morales un passo indietro, per permettere al Paese di trovare una stabilità dopo settimane di scontri, e ai boliviani di smetterla di incoraggiare disordine e violenza. Prima di rassegnare le dimissioni, Morales aveva aperto all’opzione di indire nuove elezioni. Poi l’addio, suo e del suo vice, Alvaro García. Nonostante Morales abbia confermato la sua intenzione di non lasciare il Paese, il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard ha detto che il Messico offrirà il proprio asilo politico a Morales se dovesse servire. E numerosi governi di sinistra in sud America stanno supportando la tesi del “golpe”. Al potere da 14 anni, Morales è un simbolo della sinistra sudamericana tra i più significativi del terzo millennio. Il suo addio avrà delle conseguenze in tutta la regione. Il Paese, sotto la sua amministrazione, ha vissuto uno dei periodi di crescita più importanti e il tasso di povertà si è dimezzato. Ma la sua intenzione di cercare un quarto mandato ha fatto storcere il naso a molti, anche tra la comunità indigena. E la vittoria nei confronti dell’avversario moderato, Carlos Mesa, ha riscosso subito molte perplessità, per via delle irregolarità poi confermare dal rapporto OAS.

“Oggi abbiamo vinto una battaglia”, ha commentato Luis Fernando Camacho, leader della città di Santa Cruz, tra i simboli dell’opposizione di protesta. Non solo Morales. Dopo la pubblicazione del rapporto OAS che aveva mostrato i segni delle irregolarità, hanno rassegnato le dimissioni tutti i suoi principali alleati. Dal ministro delle Miniere Cesar Navarro al Presidente della Camera dei Deputati Victor Borda. A richiederne le dimissioni era stato anche il leader del Centro dei lavoratori Boliviani, una sigla sindacale molto potente in Bolivia, Juan Carlo Huarachi. Ora, in assenza di presidente e vicepresidente e a seguito delle dimissioni della presidente del Senato Adriana Salvatierra, si attende di sapere quale sia la personalità che traghetterà il Paese a nuove elezioni. (ITALPRESS).

FERITI 5 MILITARI ITALIANI IN IRAQ

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Cinque militari italiani sono rimasti feriti in Iraq in seguito all’esplosione di un ordigno artigianale. I soldati fanno parte di un team misto di Forze Speciali italiane che stava svolgendo attività di addestramento per le Forze di Sicurezza irachene impegnate nella lotta al Daesh.

I cinque militari coinvolti dall’esplosione sono stati soccorsi ed evacuati con elicotteri USA che fanno parte della coalizione e trasportati in un ospedale Role 3 dove stanno ricevendo le cure del caso. Secondo quanto rende noto lo Stato Maggiore della Difesa, tre dei cinque militari sono in condizioni gravi ma non sarebbero in pericolo di vita. Le famiglie sono state informate.

Uno dei militari ha riportato l’amputazione di una gamba, un altro ha subito gravi lesioni interne ed un terzo ha riportato danni ad un piede.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini sta seguendo “con attenzione e apprensione gli sviluppi della situazione.
Guerini, subito messo al corrente della situazione dal capo di Stato Maggiore della Difesa, ha immediatamente informato il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Il ministro, in queste ore di preoccupazione, esprime “la più profonda vicinanza alle famiglie e ai colleghi dei militari coinvolti”.

“Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, appresa la notizia del gravissimo attentato contro il contingente militare italiano in Iraq, ha fatto pervenire al Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e al capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli, un messaggio di solidarietà per i militari rimasti feriti”. E’ quanto si legge in una nota del Quirinale.

(ITALPRESS).

IN SPAGNA PRIMO IL PSOE, EXPLOIT ULTRADESTRA

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Il voto che avrebbe dovuto dare stabilità alla Spagna ha finito per provocare ancora più confusione e incertezza, con i socialisti in testa (28,1%) ma lontani dalla conquista della maggioranza. Ed anche un accordo con Podemos non servirebbe a garantire governabilità.

E intanto le preoccupazioni espresse alla vigilia del voto dal leader dei socialisti Pedro Sanchez, su un’avanzata dell’ultradestra nella penisola iberica, sono state confermate dall’esito delle urne: Vox vola, conquistando il terzo posto. Con il 15% dei suffragi riesce ad ottenere 53 seggi, raddoppiando le preferenze rispetto alle consultazioni dell’aprile scorso. Al di sotto comunque del Partito Popolare che rispetto a sei mesi fa avanza ottenendo quasi il 21%. Tiene Podemos, al 12,8%, il doppio dei voti raccolti dai liberali di Ciudadanos.

Il quadro emerso non dà alcuna stabilità al Paese. Il blocco di sinistra, anche se unito non riesce a superare la soglia dei 176 seggi necessari per ottenere la maggioranza assoluta. Soglia lontana pure per il centrodestra, ed anche un’improbabile alleanza con Vox non servirebbe a nulla.

Il quadro che emerge è di profonda incertezza, l’ennesima beffa rispetto ai motivi che hanno portato oggi milioni di spagnoli alle urne. Si tratta della quarta elezione in quattro anni.

Il voto di aprile non aveva regalato al Paese una solida maggioranza, e i socialisti del Psoe dopo avere ricercato inutilmente un’intesa con Podemos avevano finito per gettare la spugna ed indire nuove elezioni.

Sul voto pesavano due incognite: le proteste degli indipendentisti catalani, a seguito della condanna emessa da un Tribunale spagnolo nei confronti di alcuni leader della Catalogna, e l’avanzata della destra estrema.

Nelle ultime settimane il leader del Psoe Sanchez aveva lanciato numerosi appelli al popolo progressista a non disertare le urne per arginare l’avanzata dell’estrema destra. Avanzata che in effetti c’è stata, basta leggere il risultato di Vox, il movimento di Santiago Abascal nato da una costola ultraconservatrice del Partito Popolare che in soli sei mesi ha quasi raddoppiato le preferenze.

Lo scenario che si apre appare piuttosto nebuloso. Sanchez, per potere governare, dovrà incassare intese non solo con Podemos, ma anche con la lista Mas Pais, nata dalla scissione di uno dei leader di Podemos Iñigo Errejón. E poi risulterà fondamentale stringere un’alleanza con gli indipendentisti catalani. Una strada non facile e in salita che rischia di minare, ancora una volta, la stabilità politica della Spagna.

LAMORGESE “LIBIA PRONTA A RIVEDERE IL MEMORANDUM”

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“L’Italia ha formalmente proposto alle autorità libiche la convocazione di una riunione della commissione italo-libica al fine di concordare l’aggiornamento dell’intesa attraverso modifiche volte a migliorarne l’efficacia. Tale proposta è stata immediatamente e favorevolmente accolta con la comunicazione della disponibilità della controparte libica a rivedere il testo”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nel corso dell’informativa urgente alla Camera sul Memorandum Italia-Libia.
“L’obiettivo dal punto di vista del nostro paese dovrà essere quello di migliorare le condizioni dei centri e quelle dei migranti ospitati, in vista della graduale chiusura dei centri attualmente esistenti, per giungere progressivamente a giungere a centri gestiti direttamente dalle Nazioni Unite”, ha proseguito il ministro, che ha spiegato: “Le iniziative previste dal Memorandum si sono progressivamente evolute, si sono contratti i dati dei flussi in partenza e c’è stato un decremento del 97,2% nel 2019, le partenze dalla Libia hanno subito il calo più marcato. C’è stata anche una forte riduzione del numero delle vittime in mare, sono convinta che il Memorandum abbia contribuito a questi risultati”.
(ITALPRESS).

TRUMP, PRIMO SÌ ALL’IMPEACHMENT

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La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato il primo sì alla risoluzione per l’impeachment ai danni del presidente Donald Trump, con 232 favorevoli e 196 contrari. A votare a favore l’intero gruppo dei Democratici, con due defezioni: i deputati Jeff Van Drew (New Jersey) e Colin Peterson (Minnesota), che hanno votato per il no. Compatto il gruppo dei Repubblicani (196), che si è espresso in modo contrario alla risoluzione che formalizza l’indagine di impeachment. A favore l’unico deputato indipendente della Camera, Justin Amash del Michigan, ex repubblicano trasferitosi nel gruppo degli indipendenti negli scorsi mesi.
“La più grande caccia alle streghe nella storia americana”, ha subito twittato il presidente Donald Trump, pochi secondi dopo il voto sulla risoluzione, che apre le audizioni nelle commissioni al pubblico e permette la pubblicazione delle prove che le commissioni saranno in grado di raccogliere nei prossimi mesi.
“Non siamo qui per una avviare un procedimento di parte. Ci sono prove evidenti a sostegno del fatto che il Presidente Trump possa aver violato la Costituzione”, ha motivato il suo voto Jim McGovern, democratico del Massachussetts e chairmain della commissione Rules Committee.
(ITALPRESS).

LA CALIFORNIA CONTINUA A BRUCIARE

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La California prosegue la sua battaglia contro le fiamme, mentre gli incendi Kincade (da nord) e Getty (da sud dello Stato) continuano a divampare e nuove raffiche di venti “di Santa Ana”, conosciuti per la loro potenza e il loro basso tasso di umidità, hanno fatto scattare di nuovo l’allerta.
Un milione di persone è ancora oggi senza elettricità nella parte settentrionale della California, dove gli incendi hanno bruciato circa 76 mila acri di terreno e distrutto 189 strutture. Circa 4500 vigili del fuoco stanno operando in quest’area e in meno di 24 ore sono stati registrati i primi miglioramenti: se ieri solo il 15% delle fiamme era stato domato, oggi il 30% dell’incendio è stato contenuto, secondo quanto riferito dal Los Angeles Fire Department.
La crisi però è lontana dall’essere risolta. Un nuovo incendio scoppiato a Simi Valley all’alba di mercoledì, circa 80 chilometri a nord-ovest di Los Angeles, dove i venti di Santa Ana stanno aumentando di intensità, ha costretto le autorità a evacuare i residenti delle città di Moorpark e Simi Valley. Un’area questa dove è situata anche la Ronald Reagan Library and Museum, il complesso socio-culturale dedicato all’ex Presidente statunitense, all’interno del quale si trovano i resti del Presidente e della moglie, Nancy. La biblioteca, al momento, è stata messa in sicurezza, mentre le evacuazioni dei residenti sono iniziate alle 6.30 del mattino di mercoledì.
(ITALPRESS) – (SEGUE).

“Se le fiamme divamperanno, ci attendiamo episodi piuttosto estremi”, ha detto Curt Kaplan, meteorologo del National Weather Service di Oxnard in California. Le previsioni infatti dicono che mercoledì i venti potrebbero raggiungere tra gli 80 e i 110 chilometri orari a sud dello Stato, nelle contee di Los Angeles County e Ventura, dove Simi Valley è situata, con picchi di 130 chilometri orari nelle aree montane.
È in quest’area della California che l’incendio di Getty ha colpito duramente, espandendosi da Los Angeles a San Diego, fino a raggiungere tratti dello Stato del Nevada (non lontano da Las Vegas) e dell’Arizona. Qui i vigili del fuoco sono riusciti a contenere solo il 15% dell’incendio, mentre attività scolastiche ed eventi pubblici continuano a essere cancellati in tutta la zona colpita.
“È una minaccia estrema e molto pericolosa per il potenziale che le fiamme hanno di crescere, come non abbiamo mai visto nella storia recente”, riferisce il National Weather Service. L’allerta è stata diramata fino alle 18 (ora locale) di giovedì 31 ottobre.
(ITALPRESS).

REGNO UNITO VERSO IL VOTO ANTICIPATO

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La Camera dei Comuni del Regno Unito ha approvato la proposta del governo di Boris Johnson per le elezioni anticipate il 12 dicembre. Il testo ha ottenuto 438 voti a favore e 20 contrari. L’iter prevede il passaggio alla Camera dei Lord, poi la firma della Regina e lo scioglimento del Parlamento In precedenza con 315 voti contrari e 295 a favore era stato bocciato un emendamento laburista per il voto il 9 dicembre.
(ITALPRESS)