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Usa 2024, Biden e la rielezione bruciata dall’incendio in Medio Oriente

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Di Stefano Vaccara

NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Il Medio Oriente in fiamme avrà un peso sul risultato finale della corsa alla Casa Bianca. La politica estera non sarà in testa alle preoccupazioni della maggioranza degli americani che andranno a votare, ma per come sono strutturate le regole delle elezioni presidenziali, quando la politica internazionale si mischia a quella locale, può diventare una miscela tanto esplosiva quanto fatale ad un presidente in carica. Un esempio lampante è il Michigan, grande stato del Middle West, che Joe Biden, per essere confermato alla presidenza, non potrà perdere a novembre. Ciò è accaduto ai democratici nel 2016 con Hillary Clinton, regalando così la presidenza al candidato dei repubblicani che nemmeno i suoi elettori credevano potesse vincere: Donald Trump. A novembre Biden per prevalere contro Trump – o qualunque altro candidato – potrebbe anche perdere la Georgia (vinta a sorpresa nel 2020) ma non potrà permettersi passi falsi in Michigan. Lo stato dove i grandi sindacati dell’industria automobilistica, hanno già dato chiari segnali di voler appoggiare Biden, dovrebbe essere piuttosto agevole per i democratici, ma ecco che improvvisamente la politica estera entra a gamba tesa nella politica locale, scombussolando i piani del presidente.
Nello stato dei grandi laghi risiede una numerosa popolazione arabo-americana, che votando in blocco per Biden nel 2020, risulta determinante per strappare a Trump quello Stato che lui aveva tolto a Hillary.
Questo appoggio è diventato di colpo incerto a causa del sostegno, ritenuto spropositato e senza freni, di Biden a Israele, che avrebbe agevolato la distruzione di Gaza e della morte di migliaia di palestinesi. Ovviamente non voterebbero per Trump gli arabi-americani, che ricordano le politiche discriminatorie della sua amministrazione (uno dei primi atti, ai limiti dell’ incostituzionalità, fu di bloccare l’immigrazione legale dai paesi musulmani), e poi il riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele che nessun presidente aveva mai osato, sfidando il diritto internazionale. Basterebbe che molti arabi-americani siano attratti da candidati indipendenti, come Robert Kennedy jr o altri: nel 2016 furono gli oltre 200 mila voti per gli indipendenti in Michigan, che fecero perdere Clinton contro Trump.
Biden giovedì era in Michigan e la sua campagna elettorale ha faticato parecchio per tenere a distanza i gruppi di arabo-americani con i cartelli di protesta contro la sua politica in Medio Oriente. Le mosse di Biden in politica estera, nel 2024 saranno più influenzate dagli effetti che potrebbero avere in certi Stati chiave della sua campagna elettorale. Venerdì gli Stati Uniti hanno effettuato una serie di attacchi militari di ritorsione contro forze iraniane e milizie sostenute dall’Iran, evitando di bombardare il territorio iraniano ma concentrandosi solo su obiettivi in Siria e Iraq.
“Domenica scorsa, tre soldati americani sono stati uccisi in Giordania da un drone lanciato da gruppi militanti sostenuti dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane”, ha scritto Biden in una nota. “La nostra risposta è iniziata oggi”. Oltre alla ritorsione nei confronti delle milizie pro Iran, ecco che Biden accelera su altri due fronti: un accordo che possa portare ad una tregua più lunga a Gaza da parte di Israele in cambio del rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas; e contemporaneamente spingere il governo israeliano ad accettare una soluzione per il futuro di Gaza e il West Bank, con il riconoscimento di uno stato palestinese demilitarizzato con al comando una nuova autorità palestinese. Per questa “nuova” politica estera in Medio Oriente, che l’influente columnist del “New York Times” Thomas Friedman battezza “la dottrina Biden”, la Casa Bianca ha pochissimo tempo per ovvie ragioni elettorali. Ma mentre i colpi all’Iran già in corso potranno continuare se non provocheranno l’allargamento della guerra che neanche Teheran sembrerebbe volere, come l’accordo per la liberazione degli ostaggi con un cessate il fuoco di fatto potrebbe essere annunciato già dalla prossima settimana, per far accettare al governo Netanyahu il terzo pilastro della “dottrina Biden”, il piano per lo Stato palestinese, i tempi si prevedono molto più lunghi. Richiederanno, oltre al pieno riconoscimento USA dello Stato palestinese, un ricambio nel governo israeliano.
Se alla fine Biden riuscirà a imporre la nuova politica americana in Medio Oriente prima delle elezioni, potrà anche vincere in Michigan e sperare di restare alla Casa Bianca. Del resto, come sosteneva un famoso speaker del Congresso, Tip O’Neill, tutta la politica è “local”: soprattutto quella degli americani in Medio Oriente.

– foto: Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Ucraina, cresce lo scontro fra Zelensky e il capo dell’Esercito

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KIEV (UCRAINA) (ITALPRESS) – Le notizie giunte in questi giorni da Bruxelles hanno rinvigorito il morale di Zelensky e del suo staff: i 50 miliardi di euro garantiti nei prossimi quattro anni dall’Unione Europea, con il voto favorevole di tutti i paesi membri, ha rappresentato un toccasana per Kiev e questo sia sotto l’aspetto meramente economico che morale.
Putin, fino all’ultimo, aveva sperato che la stanchezza manifestata dalle opinioni pubbliche occidentali e la palese contrarietà del leader ungherese Orban nel continuare a sostenere Kiev inducessero l’Ue ad un disimpegno progressivo ed invece già nel 2024 potrebbe arrivare in Ucraina la prima tranche di 18 miliardi. Che non modificheranno probabilmente le sorti del conflitto ma aiuteranno l’esercito a resistere. Se poi da Oltreoceano dovesse giungere l’agognato ma ancora incerto rifinanziamento militare per Kiev, allora gli equilibri al fronte potrebbero almeno in parte ribaltarsi.
E’ quanto spera naturalmente Zelensky. In settimana il Senato americano dovrebbe votare il disegno di legge sui nuovi fondi all’Ucraina, inseriti all’interno di un pacchetto che comprende anche un importante sostegno a Israele e Taiwan. Il testo dovrebbe essere reso pubblico in queste ore e includerà nuove misure per rendere più difficoltoso l’ingresso negli Stati Uniti degli immigrati dal confine messicano. Frontiere sigillate, insomma, in cambio dell’ok, da parte repubblicana, ai nuovi aiuti a Kiev e agli alleati in Medio Oriente e nel Sud-est asiatico.
Se il rifinanziamento dovesse essere approvato, in Ucraina il clima potrebbe cambiare. In questo momento, e al netto del supporto quadriennale garantito da Bruxelles, il malumore nel Paese è crescente. In primis, i rapporti fra il presidente e il capo delle forze armate, il generale Zaluzhny, sono ai minimi termini.
Si è parlato con insistenza di un esautoramento alle porte ma Zelensky deve fare attenzione perché il suo consenso è in calo mentre quello per il comandante è in crescita: negli ultimi sondaggi l’apprezzamento per Zaluzhny è dato all’88% mentre il leader politico si attesta appena al 60%. Licenziare il capo dell’esercito, in questo momento, potrebbe ritorcersi contro il presidente sia per la contrarietà dell’opinione pubblica ma anche per la possibile – per quanto poco probabile – reazione delle forze armate e la relativa tenuta democratica del Paese. Il pessimismo è accresciuto poi dalla situazione al fronte: è vero che negli ultimi giorni le truppe di Kiev hanno affondato un’altra nave lanciamissili russa nel Mar Nero e tre aerei da combattimento sono stati danneggiati in Crimea ma il Cremlino ha annunciato nel week-end alcune conquiste territoriali sia nella regione di Kharkiv che in Donbass. D’altronde l’esercito di Kiev, in questo momento, è sulla difensiva e gli unici successi stanno arrivando dai cieli.
L’Ucraina ha bisogno assoluto di munizioni, anche perché quelle promesse nel 2023 dall’Unione Europea sono giunte solo in parte. La Francia ha garantito nel fine settimana la consegna a breve di sei installazioni di obici, in grado di colpire bersagli a una distanza di 40 chilometri. Secondo il settimanale Politico, potrebbero arrivare a destinazione nella prima metà di febbraio anche nuove bombe di precisione americane, capaci di raggiungere una profondità di quasi 150 chilometri. Questo significherebbe poter colpire tutti i territori occupati in Donbass e la penisola di Crimea. Un cambio di prospettiva che diventerebbe ulteriore motivo di ottimismo se da Washington, in settimana, arrivasse anche la notizia più attesa.
Per quanto concerne infine la macabra contabilità delle vittime, il fatto più eclatante e più cruento del week-end sarebbe successo a Lysychansk, nella provincia di Lugansk conquistata nei primi mesi del 2022 dalle truppe russe. E’ qui che, secondo fonti dell’autoproclamata repubblica, si conterebbero ventotto morti a causa di un attacco compiuto da Kiev ai danni di una panetteria e di un ristorante nel centro della città.
Notizie impossibili da verificare per l’assenza di testimoni indipendenti sul posto, nonostante i video trasmessi da Mosca. Se confermata, in ogni caso, sarebbe l’ennesima strage di civili in un Donbass sempre più martoriato.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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Terremoto di magnitudo 4.7 in Austria

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VIENNA (ITALPRESS) – Un sisma di magnitudo 4.7 è stato registrato nell’est dell’Austria. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), l’epicentro è stato localizzato a una profondità di sei chilometri nei pressi nella località di Schottwien, a sud-ovest di Vienna. Non si registrano per il momento danni a cose o persone.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Le forze Usa conducono raid su obiettivi Houthi

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SANA’A (ITALPRESS) – Le forze statunitensi hanno condotto attacchi nello Yemen contro 10 droni e una stazione di controllo a terra appartenenti ai ribelli Houthi sostenuti dall’Iran. Lo hanno riferito le forze armate statunitensi. Gli attacchi hanno preso di mira una “stazione di controllo a terra di UAV (veicolo aereo senza equipaggio) e 10 UAV Houthi unidirezionali” che “rappresentavano una minaccia imminente per le navi mercantili e le navi della marina statunitense nella regione”, afferma in una nota il Comando Centrale (CENTCOM).
-foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Turchia, 25 arresti per omicidio nella chiesa di Santa Maria

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Le autorità turche hanno formalmente arrestato 25 sospettati in relazione all’uccisione di un uomo durante una funzione religiosa, avvenuta nella chiesta cattolica italiana di Santa Maria, nel quartiere Sariyer di Istanbul. Un cittadino turco, preso di mira dai uomini armati, era stato ucciso mentre partecipava alla funzione. Lo ha detto il ministro della Giustizia turco, Yilmaz Tunc. Tra i sospettati in custodia figurano due uomini, precedentemente catturati dalla polizia, che si ritiene siano legati all’Isis. I due principali sospettati sono cittadini stranieri, uno del Tagikistan e l’altro russo, ha precisato il ministro dell’Interno, Ali Yerlikaya. L’Isis ha rivendicato l’attacco in una dichiarazione su Telegram, affermando che era avvenuto in risposta all’appello dei leader del gruppo a prendere di mira ebrei e cristiani. Tunc ha detto che i 25 sospettati sono stati accusati di appartenenza a un’organizzazione illegale e di omicidio intenzionale aggravato, aggiungendo che altri nove sospettati sono stati rilasciati in attesa del processo. Le riprese delle telecamere a circuito chiuso dall’interno della chiesa, hanno mostrato gli uomini armati mascherati entrare nell’edificio e sparare all’uomo che camminava davanti a loro.
(ITALPRESS).
– Foto: Ipa Agency –

Vertice Italia-Africa, Meloni “Pagina nuova, no a un approccio predatorio” VIDEO

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ROMA (ITALPRESS) – “Grazie per il contributo estremamente prezioso che intendo raccogliere. Ritengo che questo vertice abbia raggiunto lo scopo prefissato: un momento di condivisione, dialogo e scambio di opinione e grazie alla vostra presenza, che dimostra l’interesse verso la posizione italiana, possiamo dire che è stato un successo”.
Così il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle sue conclusioni in occasione del vertice Italia-Africa. “Sono contenta di aver riscontrato una concreta volontà da parte di tutti di immaginare e scrivere una insieme una nuova pagina nelle nostre relazioni, una pagina basata su una cooperazione strutturale da pari a pari, lontana da quell’approccio predatorio che per troppo tempo ha caratterizzato le relazioni con l’Africa. “Un nuovo modello di cooperazione nel quale dobbiamo tutti credere – perché può funzionare solamente se ci crediamo tutti quanti insieme – che è fondato sulla responsabilità, sulla fiducia e sul rispetto”, ha aggiunto.
Questa mattina, aprendo i lavori, il premier avevo sottolineato come “il Piano Mattei può contare su una dotazione iniziale di 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzia”. Si tratta di un Piano “di interventi con il quale vogliamo dare il nostro contributo a liberare le energie africane per garantire alle giovani generazioni un diritto negato, garantire il diritto a non dover essere costretti a emigrare, recidere le proprie radici per avere una vita migliore”, ha spiegato Meloni. “L’obiettivo che ci siamo dati è dimostrare che siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri due continenti, Europa e Africa, sia interconnesso e pensiamo sia possibile immaginare e scrivere una pagina nuova, una collaborazione da pari a pari lontana dall’impostazione predatoria ma anche da quella caritatevole”, ha aggiunto. “Il Piano Mattei per l’Africa è un piano concreto di interventi strategici concentrati nel medio e lungo periodo. Non è una scatola chiusa ma una piattaforma aperta e la condivisione è uno dei principi cardine”, ha detto ancora il premier, per il quale “occorre smontare alcune narrazioni distorte come quella che vorrebbe l’Africa un continente povero, perchè non è così. L’Africa non è affatto un continente povero, detiene il 30% delle risorse minerarie del mondo, il 60% delle risorse coltivabili, il 60% della sua popolazione ha un’età inferiore a 25 anni e questo lo rende una terra dalle enormi potenzialità di capitale umano”.

“Vi accolgo nell’Aula legislativa del Senato, luogo della rappresentanza, del confronto, del dialogo, della democrazia e della storia della nostra Nazione. Una storia antica e sempre nuova, che segna oggi con la Vostra partecipazione l’inizio di un nuovo capitolo nelle relazioni non solo dell’Italia, ma dell’intera Europa verso il continente africano”, ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa.

“In quest’Aula oggi si realizza l’incontro di culture e pensieri, di Istituzioni ed esperienze, di visioni e speranze, certi che dal reciproco rispetto e dall’amicizia possano svilupparsi coerenti e solidi rapporti – ha aggiunto -. Siamo accomunati dalla volontà di comprendere: capire in profondità i bisogni e le attese dei nostri popoli e capirci tra noi superando ogni superficiale approssimazione. Capire e capirci, perché non ci sia più indifferenza per le sorti dell’altro”.

“Il governo italiano ha voluto con grande forza questo appuntamento, non è un punto di arrivo ma un fondamentale momento di confronto con tutti i vertici del continente africano per fare sempre di più”, ha sottolineato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
“Le sfide globali sono tante e sempre più complesse – ha aggiunto -. Viviamo in un contesto di tre guerre, il vertice ha una forte valenza strategica. L’Africa rappresenta una priorità della politica estera italiana e della nostra diplomazia economica”.

“Puntiamo sulla qualità delle nostre imprese presenti in Africa da decenni, imprese italiane che oggi hanno cantieri attivi per oltre 12 miliardi”, ha detto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.
“Questa giornata può essere un nuovo inizio, una cooperazione concreta nei fatti e non a parole. Il Governo italiano è infatti convinto che gli investimenti in infrastrutture continuino a rappresentare uno straordinario strumento di crescita economica, di sviluppo e di creazione di lavoro in tutti i territori”, ha sottolineato Salvini.

“Questo vertice rappresenta una eccellente opportunità per promuovere sempre di più i legami molto forti che uniscono l’Italia al nostro continente”, ha detto Azali Assoumani, presidente dell’Unione Africana.
“La nostra è una cooperazione franca e sincera che poggia sul rispetto reciproco e interessi chiari” ha aggiunto ” sotto l’egida dell’ Italia sono state lanciate molto iniziative e attività, ricordo che in occasione della pandemia l’Italia ha svolto un ruolo attivo nel sostengo ad una ventina di paesi africani”. Assoumani ha sottolineato che “l’Italia ha sempre sostenuto gli sforzi dei nostri governi e i nostri partner, i legami che ci uniscono sono storici, grazie agli investimenti italiani in Africa le aziende hanno contribuito all’attività economica del nostro paesi con posti di lavoro, non è un caso se l’Italia compare tra i principali investitori europei in Africa”.

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Kate Middleton lascia l’ospedale dopo l’intervento chirurgico. Dimesso anche re Carlo

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LONDRA (ITALPRESS) – Kate Middleton è stata dimessa dalla London Clinic dove è rimasta ricoverata per 13 giorni a seguito di un intervento chirurgico all’addome.
“La Principessa del Galles è tornata a casa a Windsor per continuare il suo recupero dall’intervento. Sta facendo progressi”, si legge in una nota di Kensington Palace. “Il principe e la principessa – prosegue la nota – desiderano ringraziare enormemente l’intero team della London Clinic, in particolare il personale infermieristico dedicato, per le cure che hanno fornito”. Re Carlo III, 75 anni, è stato dimesso dalla London Clinic dopo l’intervento subito alla prostata venerdì scorso.
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Istanbul, due arresti per l’attacco alla chiesa di Santa Maria

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ROMA (ITALPRESS) – Le autorità turche hanno catturato due uomini armati che ieri hanno ucciso una persona durante una funzione in una chiesa di Istanbul. Lo ha detto il ministro degli Interni Ali Yerlikaya, parlando dell’attacco rivendicato dall’Isis. Yerlikaya ha detto che l’attacco, condannato da Ankara, è avvenuto intorno alle 8.40 di ieri mattina presso la chiesa cattolica italiana di Santa Maria nel quartiere Sariyer di Istanbul, e che un cittadino turco – preso di mira dagli uomini armati – è stato ucciso mentre partecipava alla funzione. “I due sospettati di omicidio che hanno causato la morte del nostro cittadino Tuncer Cihan durante la funzione domenicale nella chiesa di Santa Maria a Sariyer sono stati catturati”, ha poi detto Yerlikaya sulla piattaforma social X, senza specificare quale fosse il motivo dell’attacco, o chi lo aveva eseguito.
Poco prima lo Stato Islamico aveva rivendicato l’attacco in una dichiarazione su Telegram, affermando che era stato in risposta a un appello dei leader del gruppo a prendere di mira ebrei e cristiani. Le riprese delle telecamere a circuito chiuso dall’interno della chiesa, hanno mostrato gli uomini armati mascherati entrare nell’edificio e sparare all’uomo che camminava davanti a loro. Il filmato della CCTV mostra gli uomini che se ne vanno quasi subito dopo. Il presidente Tayyip Erdogan ha chiamato il sacerdote della chiesa per offrire le sue condoglianze e il suo sostegno, ha detto il suo ufficio, pubblicando un video della chiamata.

– Foto Agenzia Fotogramma –

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