DUBAI (EMIRATI ARABI) (ITALPRESS) – La Cop28, che era annunciata per essere una conferenza di transizione, continua a riservare sorprese. Venti Paesi hanno firmato una dichiarazione per rilanciare sul nucleare. Nel documento si chiede di triplicare il ricorso all’energia nucleare a livello globale entro il 2050 e di riconoscere ufficialmente il ruolo dell’atomo nel raggiungere le zero emissioni nette, l’obiettivo principale di tutte le conferenze sul clima. Tra gli elementi chiave, anche l’invito alle istituzioni finanziarie internazionali , a partire dalla Banca Mondiale, a incoraggiare l’inclusione dell’energia atomica nella politiche di prestito. Tra i firmatari, Francia, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Marocco, Polonia, Romania, Svezia, Ucraina, Emirati Arabi. Le basi scientifiche non mancano, secondo i promotori: nella dichiarazione si citano dati dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, secondo cui il ricorso all’atomo è essenziale. Ma le organizzazioni ambientaliste sono insorte: ”Portare avanti lo sviluppo del nuclerare su scala globale è irrilevante”, attacca Gaia Febvre di Climate action network Francia. “Perché in realtà il potenziale di sviluppo a livello globale è estremamente limitato”, aggiunge. Anche Stefano Caserini, professore associato all’università di Parma, è scettico. “Ci sono diversi scenari negli studi scientifici pubblicati negli ultimi mesi che prospettano strade differenti per raggiungere la neutralità carbonica: quello che le accomuna è che a livello globale sole vento ed efficienza energetica hanno un ruolo molto più importante del nucleare”, afferma al telefono con Italpress. “Anche per una questione di costi: per mettere in piedi una centrale occorrono molti anni, e mentre il costo delle rinnovabili è sceso anche oltre le aspettative, quello dell’atomo no, e nessuno garantisce che lo farà”. Caserini precisa che, però, esiste una differenza tra i Paesi che usano già l’energia atomica, che potrebbero trovare conveniente proseguire su questa strada, e gli altri. La presidentedel Consiglio, Giorgia Meloni, tra i leader politici presenti a Dubai, ha confermato che le porte al nucleare sono aperte, anche se il governo guarda lontano, e punta alla fusione. “Su queste questioni bisogna essere pragmatici e non ideologici – ha detto Meloni – Io non ho preclusioni su nessuna tecnologia che possa essere sicura e aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica. Se ci sono evidenze del fatto che si possa avere un risultato positivo sono sempre disposta a parlarne, ma credo piuttosto che la grande sfida italiana sia il tema della fusione nucleare, che potrebbe essere la soluzione domani di tutti i problemi energetici. Su questa tecnologia l’Italia è più avanti di altri, dobbiamo pensare in grande su questo”. Il riferimento è anche alle aziende italiane impegnate nella ricerca sui reattori di quarta generazione, più piccoli. Meloni ha infine ha confermato l’impegno di 300 milioni nel Green climate found, il fondo delle Nazioni Unite per mitigazione e adattamento. Intanto la Banca Mondiale ha annunciato che l’altro fondo, quello per il loss and damage (terza gamba della finanza climatica) potrebbe diventare operativo nel giro di tre mesi. Lo ha detto Axel van Trotsenburg, senior managing director dell’organizzazione intergovernativa, paragonandolo al fondo per la pandemia, che ha avuto queste tempistiche e avrebbe – secondo il dirigente – lo stesso tipo di struttura. Gli Stati Uniti dal canto loro hanno annunciato un giro di vite sulle emissioni di metano, un gas serra meno noto dell’anidride carbonica ma con un effetto ventotto volte superiore sul riscaldamento globale. La riduzione sarà dell’80% in 15 anni, quindi entro il 2038. Tagliare le emissioni di metano è il modo più rapido per agire contro il cambiamento climatico: il gas dura meno della CO2 nell’atmosfera, circa dodici anni contro secoli, ed è responsabile del 30% dell’attuale aumento delle temperature secondo la Iea, l’agenzia internazionale per l’energia. Oggi a Dubai erano presenti la vicepresidente Kamala Harris e l’inviato speciale per il clima John Kerry. Infine, qualche numero. Per la prima volta le Nazioni Unite hanno diffuso la lista completa dei partecipanti. Le ong la stanno analizzando alla ricerca di informazioni sui lobbisti del fossile. Sarebbero 84.101 quelli registrati. L’anno scorso a Sharm el Sheikh erano meno di cinquantamila.
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– Foto: xo8 –
La Cop28 rilancia sul nucleare, dagli Usa giro di vite sul metano
Da Meloni a Sunak, Lula, Macron, i leader globali alla Cop28
DUBAI (EMIRATI ARABI UNITI) (ITALPRESS) – A Cop28 è il momento della sfilata dei leader. Oggi sul palco della Conferenza delle parti delle Nazioni Unite sul clima è stata la volta dei capi di stato e di governo. La mattinata è cominciata con la classica foto di gruppo e i saluti al segretario delle Nazioni Unite Guterres, poi è proseguito con gli interventi dei potenti del mondo.
I leader globali, e in particolare quelli dei paesi in via di sviluppo più colpiti dalla crisi climatica, hanno insistito sul fatto che le grandi economie ed emettitori prendessero provvedimenti urgenti per ridurre le emissioni e finanziare il loss and damage.
Non solo. In giornata è stata firmata da 134 paesi una dichiarazione sull’agricoltura sostenibile, che sottolinea come il settore debba essere incluso nelle politiche per affrontare la crisi climatica. E’ la prima volta.
Le dichiarazioni
Tre minuti il tempo massimo per le dichiarazioni di intenti che, come sempre, aprono le due settimane di lavori. Qualcuno (non pochi) ha sforato ampiamente, ma le Cop sono l’occasione per i Paesi con meno visibilità di salire alla ribalta internazionale. Come accadde negli anni scorsi per la presidente delle Barbados Mia Mottley, diventata un simbolo della lotta delle piccole isole contro il cambiamento climatico.
Quest’anno non è nata alcuna stella, almeno per il momento, e ci sono assenze importanti. Come Joe Biden, al cui posto domani parlerà la vice Kamala Harris, e Xi Jinping. Mancherà anche il Papa, che ha dato forfait all’ultimo momento per motivi di salute. Non mancano, però, i big, che tra oggi e domani si stanno dividendo la scena.
Ha aperto il segretario delle Nazioni Unite Guterres, che ha chiesto ai leader di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili. “Il destino dell’umanità è in bilico – ha detto – Proteggere il clima è la più grande sfida a livello globale”.
Il presidente brasiliano Lula, applauditissimo, ha sottolineato come non sia possibile combattere il cambiamento climatico senza mettere nel mirino anche le disuguaglianze. Lula, che l’anno scorso a pochi giorni dall’elezione era stato la vera stella della conferenza dopo il mandato del negazionista Jair Bolsonaro, viene da quasi dodici mesi di governo e ha ricordato come l’Amazzonia stia attraversando una delle maggiori ondate di siccità della storia.
Discorso allarmato quello di re Carlo, in linea con la propria tradizione ambientalista. Di tutt’altro profilo l’intervento del premier britannico Rishi Sunak: il leader ha difeso dal palco le politiche ambientali del Regno Unito, criticate dagli ambientalisti per l’annuncio recente di nuove licenze per l’esplorazione del mare del Nord alla ricerca di idrocarburi.
Il presidente etiope Abiy Ahmed ha annunciato che il paese ha seminato 32,5 miliardi di piantine, trasformando un deserto in un paradiso di biodiversità e portandolo per la prima volta a diventare un esportatore di grano. Piante, ha sottolineato, resilienti al caldo e al clima arido.
Emmanuel Macron, presidente francese, ha sforato ampiamente i tre minuti. L’inquilino dell’Eliseo, come sempre, ha offerto un intervento complesso e che denota conoscenza dei temi climatici. Il leader ha annunciato che la Francia chiuderà l’ultima centrale a carbone nel 2027, e spinto i paesi del G7 a dare l’esempio abbandonando i combustibili fossili. Ha anche parlato di riscrivere le regole del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, per consentire ai membri di trovare risorse per la transizione energetica.
Santiago Pena, il presidente del Paraguay ha detto che “tutta l’energia del Paese è pulita e rinnovabile” mentre Ursula von der Leyen ha parlato di tassare le emissioni carboniche, nodo controverso.
La dichiarazione sulla sostenibilità
Giornata di incontri per Giorgia Meloni, arrivata ieri negli Emirati. Meloni, che farà domani la propria dichiarazione di apertura, ha visto tra gli altri Erdogan, Rishi Sunak, Emmanuel Macron, il presidente somalo, il segretario di Stato americano Anthony Blinken. Non solo: la presidente ha annunciato che l’Italia contribuirà con cento milioni di euro al nuovo fondo per il loss and damage i cui dettagli sono stati concordati ieri.
Meloni ha parlato anche di agricoltura. “Il sistema alimentare italiano è tra i più avanzati e conosciuti in tutto il mondo – ha affermato – penso ad esempio ai principi della dieta mediterranea che non appartengono solo all’Italia e al Mediterraneo, ma a tutto il mondo. Siamo consapevoli di quanto il nostro know how sia prezioso anche per gli altri: la sicurezza alimentare per tutti è anche una delle priorità strategiche della nostra politica estera”.
“Abbiamo un progetto basato sulla collaborazione ad armi pari con il continente africano, rivolto al settore agricolo: il nostro scopo non è fare beneficenza, perchè la mia idea è che l’Africa non abbia bisogno di beneficenza ma di qualcosa di diverso: la possibilità di competere su un piano di parità”. Domani gli interventi degli altri leader globali. Poi la palla passerà ai negoziatori.
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La Cop28 si apre con un’accelerazione sul Loss and Damage
DUBAI (EMIRATI ARABI UNITI) (ITALPRESS) – Doveva essere una Cop di transizione: si è aperta – invece – con un’accelerazione la ventottesima Conferenza delle parti delle Nazioni unite sul clima. Negli Emirati Arabi gli Stati membri hanno trovato l’accordo sui dettagli tecnici del nuovo fondo per il cosiddetto loss and damage, le perdite e danni. Un sostegno per aiutare le vittime dei disastri del clima quando ormai sono accaduti, e che per questo motivo viene definito “la terza gamba della finanza climatica”: dopo mitigazione (le misure prese per ridurre le emissioni serra) e adattamento (gli interventi per prepararsi a eventi estremi), il nuovo fondo interverrà per aiutare la ricostruzione dei Paesi colpiti. Che di solito, paradossalmente, sono quelli che inquinano meno.
I dettagli
Cento milioni di dollari arriveranno dagli Emirati, che non hanno perso l’occasione di fare bella figura con una sostanziosa elargizione dopo le polemiche dei mesi scorsi sul fatto che per il secondo anno la Conferenza è ospitata da un paese tra i primi produttori di petrolio a livello globale. Non solo. Il presidente chiamato a guidare il vertice, il sultano Al Jaber, è anche amministratore delegato di Adnoc, la compagnia che gestisce l’estrazione del greggio nella vicina di Abu Dhabi. Altri cento milioni di euro arriveranno dalla Germania, quaranta milioni di sterline dal Regno Unito (che ne aggiungerà altri venti nell’ambito di iniziative parallele), dieci milioni di dollari dal Giappone. Si attendono ulteriori promesse, che giungeranno nei prossimi giorni. Due settimane fa l’Unione europea, con il commissario Hoekstra, aveva anticipato tutti annunciando un sostanzioso contributo.
Tra gli annunci spiccano i diciassette milioni degli Stati Uniti: poco più di una fiche sul tavolo, il minimo necessario per non essere accusati di boicottare il negoziato. C’è un motivo: Washington storicamente si oppone al concetto di “risarcimento” per i danni del clima, temendo di dare la stura ad azioni legali.
Il nuovo fondo sarà gestito ad interim per quattro anni dalla Banca Mondiale: una scelta criticata dai paesi più vulnerabili, che saranno, però, ben rappresentati nel board.
Le reazioni
“Oggi si rende attivo il fondo per il loss and damage concordato l’anno scorso, e arrivarci al primo giorno è già di per sè storico”, ha commentato Luca Bergamaschi, direttore del think tank Ecco. La giornata “fissa lo spirito per il prosieguo della conferenza: che i paesi possano e debbano ritrovarsi davanti ad accordi ambiziosi nello spirito del compromesso”, ha aggiunto Ana Mulio Alvarez, ricercatrice del think tank E3G. Meno entusiasta Pàolelei Luteru, presidente dell’Alleanza per i piccoli stati insulari (Aosis): “Il lavoro è lontano dall’essere finito. Quando Cop28 sarà terminata, non potremo riposarci fino a che il fondo non sarà adeguatamente finanziato”. Il segno, però, è sicuramente positivo per chi conosce le negoziazioni.
Restano aperte un paio di questioni, a partire dalla definizione di cosa è risarcibile. Non solo. E’ necessario individuare meccanismi per evitare che i fondi finiscano nei conti bancari delle èlite corrotte. Rischio sempre presente.
La giornata
La giornata di giovedì si era aperta con la cerimonia inaugurale, che aveva regalato un’altra nota di ottimismo a una Conferenza che molti ritenevano di transizione. “Cooperazione e pragmatismo credo debbano essere il Dna della Cop28” aveva detto Al Jaber, riferendosi alla necessità di includere nel dialogo climatico le aziende produttrici di idrocarburi. Il presidente aveva aperto anche alla possibilità di discutere il ritiro dalle fonti fossili, il cosiddetto phase out: altro tema, questo, di cui si discute da anni. Non era scontato, considerato che gli Emirati sono uno Stato fondato sul petrolio.
Venerdì comincia una due giorni con i capi di stato: arriverà il sovrano britannico Carlo, mancheranno Xi e Biden, a cui posto presenzierà la vice Kamala Harris. L’intervento di Giorgia Meloni è in calendario per sabato. A quanto si apprende, la presidente del Consiglio italiana è già arrivata a Dubai.
– Foto A. Piemontese / Italpress –
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Kissinger, lo “stratega” che nel 1973 portò il mondo sull’orlo della guerra nucleare
di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Henry Kissinger, l’uomo che visse con due anime inconciliabili – riuscì a vincere il premio Nobel per la Pace mentre resta accusato di crimini di guerra e contro l’umanità-, in queste ore viene celebrato come tra i più grandi “strateghi delle relazioni internazionali”. Lo fu prima da dietro una cattedra, poi dalle stanze dei bottoni (1968-1977), quindi sfornando una serie di saggi best-seller e, per mezzo secolo, dando consigli ben remunerati ai più potenti del pianeta, tra i quali tutti i presidenti dopo Nixon e Ford (non Carter però, che si ostinava a porre i diritti umani d’intralcio alle strategie di politica estera). Kissinger si merita le tante ovazioni? Giudicate voi dall’episodio che non viene in queste ore ricordato abbastanza.
Hermann Eilts, ambasciatore americano in Egitto ai tempi di Sadat durante la guerra dello Yom Kippur e che poi fu tra i protagonisti della pace di Camp David, era celebre tra i diplomatici di carriera di “Foggy Bottom” per aver dato le dimissioni a Kissinger (rifiutate) durante un furibondo litigio dentro una limousine nel mezzo della tanto celebrata “shuttle diplomacy” mediorientale.
Venti anni dopo, da dietro una cattedra della Boston University, Eilts dedicava una lezione per i suoi studenti su un episodio che resta tra i meno conosciuti, anche se resta tra i più pericolosi, della Guerra Fredda. Proprio cinquant’anni fa, fu proprio Kissinger a spalancare le porte dell’inferno, portando il mondo a un passo dall’Armageddon nucleare. Per alcune ore, tenendo quella porta aperta, Kissinger rimase il protagonista assoluto, unico e responsabile, dell’aver tenuto sul precipizio della guerra nucleare gli Stati Uniti e l’URSS, con un rischio simile a quello della crisi dei missili di Cuba. Con la differenza che mentre nel 1962 l’amministrazione Kennedy informò in diretta tv degli eventi e del pericolo gli americani, nell’ottobre 1973 il mondo rimase all’oscuro di quello che l’amministrazione Nixon+Kissinger ci fece rischiare.
Quando il 6 ottobre 1973 i carri armati egiziani e quelli siriani attaccarono di sorpresa Israele (non proprio così, il governo israeliano di Golda Meir era stato informato da re Hussein di Giordania, ma fu proprio Kissinger a “consigliarla” di non attaccare per prima come nel 1967, perché alla Cia non risultava…), l’obiettivo era quello di riprendersi il Sinai e le colline del Golan perdute durante la disfatta della guerra dei sei giorni. Se le truppe del siriano Assad ebbero subito difficoltà, invece quelle di Sadat all’inizio e inaspettatamente avanzarono e riuscirono ad attraversare il Canale di Suez e conquistare chilometri di deserto egiziano occupato dagli israeliani. Ma quel successo durò solo un paio di giorni, quando i riservisti israeliani furono schierati, l’IDF cominciò a spazzare via i siriani nel Golan e ad accerchiare gli egiziani. A quel punto gli USA e l’URSS si erano mosse per un cessate il fuoco per evitare guai peggiori.
Mentre gli israeliani all’inizio accettarono le pressioni di Kissinger, Sadat resisteva a quelle sovietiche, credendo che i suoi soldati potessero conquistare ancora qualche chilometro di territorio egiziano occupato dagli israeliani dal ’67. Quando però i carri armati israeliani del generale Sharon erano ormai lanciati verso il Cairo (e dall’altra parte puntavano verso Damasco), ecco che i sovietici propongono agli americani di presentare insieme una risoluzione al Consiglio di Sicurezza Onu per imporre la fine delle ostilità.
Qui arriva il rifiuto di Kissinger, che minaccia il veto alla risoluzione. Questo perché lo “stratega” di Nixon pensava di guadagnare tempo, di poter fermare gli israeliani a piacimento regalandogli i giorni necessari a rafforzare le posizioni conquistate. A questo punto il leader sovietico Breznev minaccia la presentazione unilaterale della risoluzione, e l’intelligence americana riferisce a Kissinger che le navi russe nel Mediterraneo sembrano voler presagire un intervento sovietico di supporto agli egiziani per aiutare a fermare gli israeliani.
A questo punto, nella notte del 24 ottobre, Kissinger (ma Nixon? In preda agli incubi del Watergate, ubriaco dormiva e non si riusciva a svegliarlo) ordina lo stato di allerta per le forze statunitensi in tutto il mondo con il codice Defcon 3, il più alto stato di prontezza in tempo di pace, provocando così il rischio di uno scontro nucleare con i sovietici. I bombardieri nucleari americani furono schierati nelle piste pronti al decollo, e dalle testimonianze dei piloti anni dopo, molti credettero che quella notte potesse essere l’ultima per l’intera umanità.
Come ha scritto recentemente Gordon F. Sander sul Washington Post, “Kissinger voleva un gesto drammatico che suggerisse che gli Stati Uniti erano disposti ad andare sull’orlo del baratro. Una guerra mondiale per impedire ai sovietici di fare qualunque cosa avessero intenzione di fare”.
Per fortuna, il giorno dopo i carri armati israeliani si fermarono, Golda Meir e Sadat accettarono un cessate il fuoco, mentre finalmente gli americani con i sovietici fecero passare dal Consiglio di Sicurezza una risoluzione per fermare la guerra.
Aveva forse avuto ragione Kissinger, che con Nixon Ko, aveva preso la decisione, lui che era solo il Segretario di Stato, di portarci tutto all’ingresso della porta dell’inferno? Fu grazie alla sua “minaccia” nucleare che i sovietici si fermarono dall’intervento diretto? Da documenti saltati fuori dopo il 1989 dagli archivi sovietici, risulta chiaro che il Cremlino non avesse alcuna intenzione né di intervenire direttamente nel conflitto né di scatenare una guerra nucleare per l’Egitto, ma soltanto di cercare di convincere gli americani a fermare una guerra che “nessuno avrebbe dovuto vincere”.
Cosa sarebbe accaduto se Golda Meir non avesse fermato i carri armati di Sharon? Se Sadat non avesse, dopo averlo rifiutato, spinto per il cessate il fuoco? Da quello che hanno ricostruito gli storici, con i documenti degli archivi e non con le opinioni dei protagonisti, risulta che se siamo qui ancora a raccontarvelo e voi a leggerlo, non è grazie ma nonostante la spericolata, ingiustificata e illegale azione voluta dal celebrato “stratega delle relazioni internazionali” Henry Kissinger.
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E’ morto Henry Kissinger, protagonista della politica estera Usa
WASHINGTON (ITALPRESS) – È morto, all’età di 100 anni, Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato degli Stati Uniti e tra i più importanti protagonisti della politica nordamericana contemporanea.
Membro del Partito Repubblicano, fu Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977. Nel 1973 fu insignito del premio Nobel per la pace.
All’inizio degli anni settanta Kissinger si rese protagonista di un’innovativa politica estera, raggiungendo alcuni importanti successi per gli Stati Uniti, che gli valsero un grande prestigio internazionale e una crescente influenza all’interno dell’amministrazione Nixon.
Consulente dei presidenti Eisenhower, Kennedy e Johnson, divenne, durante l’amministrazione Nixon, assistente speciale del presidente per la sicurezza nazionale (1969-75) e segretario di Stato (1973-74). Ispiratore della politica estera statunitense, dispiegò la propria attività diplomatica specialmente nel ristabilimento delle relazioni con la Repubblica popolare di Cina (viaggio di Nixon a Pechino, 1972), nella risoluzione del conflitto vietnamita (accordo di pace di Parigi del gennaio 1973, che gli valse, quello stesso anno, il premio Nobel per la pace), nell’opera di mediazione tra Arabi e Israeliani (Conferenza di Ginevra del settembre 1975).
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Expo 2030 si terrà a Riad, sfuma il sogno di Roma
ROMA (ITALPRESS) – Expo 2030 si terrà a Riad, in Arabia Saudita. Ha ottenuto 119 voti, seguita da Busan (Corea del Sud) con 29. Nulla da fare per Roma, terza con 17 voti.
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Nato, Stoltenberg “Continuiamo a sostenere l’Ucraina”
BRUXELLES (BELGIO) (ITALPRESS) – “L’anno scorso, l’Ucraina ha vinto le battaglie per Kiev, Kharkiv e Kherson. Quest’anno continua a infliggere pesanti perdite alla Russia. L’Ucraina ha riconquistato il 50% del territorio conquistato dalla Russia. Ha prevalso come nazione sovrana e indipendente. Questa è una grande vittoria”. Lo ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nel corso della conferenza stampa a Bruxelles alla vigilia della ministeriale Esteri dell’Alleanza Atlantica.
“Nel frattempo, la Russia è più debole politicamente, economicamente e militarmente. L’Ucraina continua a combattere coraggiosamente e continuiamo a sostenerla”, ha sottolineato Stoltenberg, ricordando che “questo mese Germania e Paesi Bassi hanno promesso 10 miliardi di euro per l’Ucraina. La Romania ha aperto un centro di addestramento F-16 per i piloti ucraini. Gli alleati, tra cui Stati Uniti e Finlandia, stanno inviando più difese aeree e munizioni per proteggere le città ucraine dagli attacchi russi. E 20 alleati hanno ora formato una coalizione di difesa aerea per l’Ucraina”.
“Gli alleati concordano sul fatto che Kiev diventerà membro della NATO. Nel nostro incontro concorderemo raccomandazioni per le riforme prioritarie dell’Ucraina – ha detto ancora il segretario generale -. E continuiamo a sostenere Kiev nel suo percorso verso l’adesione alla NATO”.
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Qatar, Urso incontra Al Thani “Partnership strategica”
DOHA (QATAR) (ITALPRESS) – Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, nell’ambito della missione ufficiale nella Penisola Arabica, ha avuto a Doha un incontro bilaterale con il Ministro del commercio e dell’industria del Qatar, sceicco Mohammed bin Hamad bin Qassim Al Abdullah Al Thani.
L’incontro ha avuto come oggetto il rafforzamento delle sinergie commerciali e industriali tra i due Paesi, con un focus su diversi settori di comune interesse, su cui è possibile consolidare la collaborazione e gli investimenti, come quello delle costruzioni, del real estate, del digitale, medico-sanitario ed energetico.
Riguardo quest’ultimo, il ministro Urso ha illustrato le potenzialità dell’Italia come hub del gas europeo, nell’ambito del Piano Mattei, e come potenziale polo dell’idrogeno blu e verde, attraverso le infrastrutture del Porto di Trieste.
Nel corso del colloquio, Urso ha inoltre illustrato le principali caratteristiche del Fondo Sovrano per il Made in Italy, che è in fase di adozione in Parlamento con il ddl Made in Italy. Il Fondo italiano ha l’obiettivo di integrare risorse pubbliche con quelle private, aprendo il capitale dei fondi a sottoscrizioni di investitori globali che possono essere istituzionali o altri fondi sovrani.
“Con Doha una partnership strategica tecnologica e industriale, anche prevedendo investimenti comuni con il fondo sovrano italiano”, ha affermato il ministro Urso.
I due ministri, per dare impulso a queste collaborazioni, hanno deciso di organizzare nel maggio del 2024 un Forum per gli investimenti congiunto a Doha, dove le imprese italiane e qatarine potranno consolidare i propri rapporti e creare nuove sinergie nei settori di interesse per i Paesi.
– Foto ufficio stampa ministero delle Imprese e del Made in Italy –
(ITALPRESS).









