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Su Prime Video il docufilm “New York Solo Andata” di Davide Ippolito

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ROMA (ITALPRESS) – È disponibile su Prime Video il docufilm “New York Solo Andata” di Davide Ippolito prodotto da LuckyHorn Entertainment. “New York Solo Andata” è la storia del sogno americano. Il racconto di un viaggio nella Grande Mela, dai primi flussi migratori italiani di fine ‘800 e inizio ‘900 ai giorni nostri, attraverso le voci di chi, con coraggio e determinazione, ha realizzato il proprio sogno e si è distinto in diversi settori e attività professionali grazie a un unico denominatore: la città di New York.
La città che non dorme mai rappresenta da sempre la porta d’accesso agli Stati Uniti e al sogno americano, considerata nell’immaginario collettivo come portatrice di grandi opportunità e di successo.
Tra le personalità che si raccontano, il Console Generale a New York, Fabrizio Di Michele, il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Fabio Finotti, il direttore dell’Italian Trade Agency di NY, Antonino La Spina, l’ex presidente del Consiglio dei ministri Lamberto Dini, il giornalista Federico Rampini, lo scrittore e docente della New York University Antonio Monda, Raffaele Guida (Lello il Barbiere di New York, volto noto dei social).
E ancora, Riccardo Forlenza Global Managing Director di IBM, la giornalista e guida letteraria Marta Ciccolari Micaldi (che ha ideato il progetto divulgativo che porta il suo nome d’arte, La McMusa, attraverso il quale organizza corsi di letteratura americana in Europa e viaggi letterari negli Stati Uniti ), Marc Urselli (ingegnere del suono con tre Grammy all’attivo), il musicista e compositore Fabrizio Mancinelli (Direttore d’orchestra per la colonna sonora del film premio Oscar Green Book), e tanti altri esponenti del mondo dell’imprenditoria, dell’arte e della cultura.
Le musiche del docufilm sono a cura di Mirko Ettore D’Agostino e il brano di chiusura, su cui scorrono i titoli di coda è “L’Ultima Sera”, singolo di Cristiano Cosa scritto con Francesco Gaudio appositamente per il film. Il brano, uscito a fine ottobre e prodotto sempre da LuckyHorn Entertainment, cerca di convogliare le energie provenienti dai protagonisti del documentario in un’unica traccia: un inno dedicato a chi sogna di farcela, pur non dimenticando le proprie radici e sogna, magari un giorno, di tornare a casa facendo tesoro delle esperienze fatte. La produzione di New York Solo Andata e del singolo, sono state entrambe supervisionate dal produttore esecutivo Simone D’Andria.
“New York Solo Andata è il film che volevo fare fin dalla prima volta che ho messo piede in questa città – ha detto Davide Ippolito, regista e produttore del film -. Aver avuto l’opportunità di confrontarmi con tanti italiani di successo qui negli Stati Uniti ha rafforzato il mio amore per questo Paese e in particolare per la città di New York dove alla fine ho deciso di trasferire la mia famiglia e parte delle mie attività imprenditoriali”.

– foto ufficio stampa Zwan –
(ITALPRESS).

Crosetto in Israele “Giorni di tregua non siano solo quattro”

TEL AVIV (ISRAELE) (ITALPRESS) – Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato a Tel Aviv il suo omologo israeliano, Yoav Gallant.
“Per l’Italia, per il nostro Governo e per me come Ministro, come cittadino e come uomo, è importante dimostrare amicizia e vicinanza ad Israele con la presenza, trasmettendo le nostre idee, le nostre preoccupazioni, le nostra visione – ha detto Crosetto al termine dell’incontro -. E, ancora di più, dico questo perchè mi succede di potere essere qui in un giorno come quello di oggi. Un giorno finalmente bello e non cupo, in cui cominceranno a rientrare i bambini israeliani che sono stati prigionieri fino adesso nelle mani di Hamas. Un giorno che ci ha visti protagonisti, come Italia, a fianco di altri Paesi, grazie all’impegno in primis del Presidente Meloni e di tutti noi. Mi auguro che i giorni di tregua non siano solo quattro, ma diventino sei, dieci, venti e cioè fino a quando tutti i 240 ostaggi israeliani non saranno rientrati nelle loro case e dalle loro famiglie”.
“L’Italia è da sempre una Nazione solidale e amica d’Israele e continua ad esserlo in questo periodo di difficoltà, di crisi, nelle ore più buie. Oggi ho manifestato anche le mie preoccupazioni e l’invito chiaro a rispettare il diritto alla vita della popolazione civile palestinese, comprendendo che la lotta ad Hamas finirà quando sarà resa innocua militarmente – ha aggiunto -. L’Italia si sta prodigando attivamente e ha già inviato aiuti umanitari e una nave ospedale della Marina Militare, nave Vulcano, con personale di tutte le Forze Armate, attrezzature e mezzi a bordo in grado di fornire un aiuto concreto alla popolazione civile. Un altro ospedale da campo è pronto e può arrivare in poco tempo. I nostri velivoli sono impegnati in voli di trasporto sanitario urgente di persone in imminente pericolo di vita e ammalati gravi”.
“Ma proprio come gli accordi tra Stati, che sono già in corso, ci potrebbero permettere di installare un ospedale da campo nella Striscia di Gaza, per aiutare la popolazione civile palestinese, così voglio riaffermare qui, non solo con le parole, la mia vicinanza e amicizia a Israele – ha concluso il ministro Crosetto -. E allo stesso tempo rimarcare il nostro pieno appoggio e sostegno per ogni esigenza o problema di tipo umanitario, diplomatico, politico e materiale anche alla popolazione palestinese. Insieme dobbiamo lavorare per costruire un futuro di convivenza e pace”.
Il ministro della Difesa Israeliano, Yoav Gallant, ha voluto ringraziare il ministro Crosetto per quanto sta facendo l’Italia e per la sua visita in Israele, “una presenza che rappresenta un segno concreto di amicizia e solidarietà in un momento cruciale”.

– Foto ufficio stampa ministero della Difesa –

(ITALPRESS).

Medio Oriente, slitta la tregua fra Israele e Hamas

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TEL AVIV (ITALPRESS) – I negoziati per l’accordo sugli ostaggi “proseguono positivamente” e nelle prossime ore ci sarà l’annuncio della tregua. Lo ha assicurato il portavoce del ministero degli Esteri del QATAR, Majed al-Ansari. Una fonte diplomatica ha detto alla CNN che la tregua inizierà probabilmente venerdì. In precedenza si prevedeva che le prime liberazioni e la pausa nei combattimenti sarebbero avvenute già oggi.
-foto Agenzia Fotogramma-
(ITALPRESS)

JFK 60 anni dopo, con la verità del Gattopardo americano

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di Stefano Vaccara
NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – E tu dov’eri il 22 novembre del 1963? Questa frase che milioni di americani per 60 anni si sono scambiati a vicenda, non ha più lo stesso peso, dato che la maggior parte dei cittadini USA sono nati dopo quel famigerato mezzogiorno di fuoco in Texas, quando a Dallas fu massacrato il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy. Fino a quando la maggior parte degli americani poteva ricordare il proprio shock, come l’ascolto della diretta del più famoso anchor dell’epoca, Walter Cronkite, che con voce tremante, si toglie gli occhiali e sussurra dai microfoni della CBS, “President Kennedy is dead”, è morto, restava granitico il movente di chi crede sia un dovere coprire ancora la verità e che quel giorno resti avvolto nel mistero. Perché che quello di JFK sia rimasto un omicidio senza veri colpevoli, ne sono convinti da almeno mezzo secolo la maggior parte dei cittadini americani i quali – secondo i sondaggi registrati già nel 1966 – non si bevvero la spiegazione della cosiddetta Warren Commission.
Questa commissione speciale d’inchiesta istituita e nominata in tempi record dal vice di JFK diventato quello stesso giorno presidente, il texano Lyndon Johnson, e presieduta dal giudice presidente della corte Suprema Earl Warren, era composta da altri autorevoli uomini di stato – tra cui l’allora congressman del Texas, informatore dell’FBI e futuro presidente “mai eletto alla Casa Bianca” Gerald Ford e – che coincidenza! – anche da Allen Dulles, l’ex capo-fondatore della CIA licenziato malamente proprio da JFK.
Infatti la maggioranza degli americani, soprattutto dopo che nei primi anni settanta gli fu mostrato finalmente in tv il filmato realizzato dal turista Abraham Zapruder – consegnato da lui stesso subito all’ FBI ma (perché?) tenuto nascosto all’opinione pubblica per oltre dieci anni – resterà convinto che quel giorno a Dallas ci fu una “conspiracy”. Come poteva infatti essere stato Lee Harvey Oswald da solo a sparare a JFK, quel “patsy” ex marine in una base di spionaggio USA in Giappone, poi “fuoriuscito” in Unione Sovietica e d’incanto riapparso nel 1962 in patria con la moglie russa, che dopo uno strano passaggio nella sua città natale, New Orleans, era andato in Texas per trovare d’incanto, a poche settimane dal 22 novembre, il lavoro giusto nel palazzo giusto di Dealey Plaza a Dallas?
Come avrebbe avuto il tempo di sparare tutti quei colpi e con quel fucile italiano carcano della prima guerra mondiale? Come “a scoppio ritardato” si vedrà chiaramente dal filmato Zapruder (che tutti potete oggi vedere su YouTube), il colpo che farà esplodere la testa di Kennedy, con la first lady Jacqueline terrorizzata che cerca di afferrare pezzi di cranio dal cofano della Lincoln, arriva da una diversa angolazione. Altro che “proiettile magico…”
Il mantra degli anti-cospirazionisti, i fedeli per sempre alla Warren, è questo: c’è un guazzabuglio di “piste” messe a bollire nella pentola delle inchieste giornalistiche, come delle migliaia di saggi usciti da oltre mezzo secolo, e tra tutte queste troppe “verità” si finisce per non capirci più nulla. Quindi, meglio “case closed”, chiudere il caso: solo un uomo uccise il presidente, bisogna accettare questa “verità” comodissima. Già, ma il movente? Oswald era picchiatello, un po’ marxista-castrista…Ma quanti matti giravano con la pistola, come fu definito anche il gangster Jack Ruby, un manager di spogliarelliste a Dallas a libro paga della mafia (prima quella di Chicago, poi di New Orleans), che uccise Oswald dentro quella stazione di polizia in cui il sospettato più importante della storia d’America veniva “protetto”.
Come del resto era matto da prigione per sempre, anche il palestinese Sihran Sihran, anche lui appena ventenne, che sparerà nel 1968 a Los Angeles Robert F. Kennedy, fratello di JFK e già ministro della giustizia antimafia, quindi senatore di New York, ormai troppo lanciato verso la nomination democratica per quella Casa Bianca strappata con il sangue a suo fratello… Come matti da legare dovevano essere chi uccise, nei turbolenti anni Sessanta, Martin Luther King e Malcom X…
Anche l’attuale inquilino della Casa Bianca, con la decisione di mantenere – nonostante la legge – ancora “top secret” oltre tremila documenti scottanti soprattutto della CIA, ha voluto, come un Gattopardo americano, conservare tutto com’è nonostante ci sia stata negli anni una rivoluzione su tutte le fantasie raccontate dalla Warren. Già una Commissione del Congresso nel 1979 fece scricchiolare il castello di frottole messo in piedi dalla Warren “sorvegliata” da Johnson.
Così anche per Joe Biden, bisogna indicare ai cittadini USA che è ancora presto, la verità può attendere. Nonostante le tesi della Warren Commission, come la già ridicola “Magic bullett”, non stessero più in piedi da tempo, bisogna comunque che se nonostante tutto sia cambiato, tutto dovrà restare com’è: che il racconto “ufficiale”sulla morte del presidente Kennedy resti congelato a quello narrato nel 1964.
Nonostante Biden, come tutti i “commander-in-chief” che lo hanno preceduto, – l’unico con un approccio diverso è stato Trump ma solo per aver tentato l’arma del ricatto – ormai la verità si avvicina portata dalla inesorabile logica: ma perché si deve essere obbligati a dover scegliere tra la pista della CIA, o quella della mafia, o dei cubani anti-castristi, o del “military industrial complex” + i petrolieri texani entrambi molto amici di Johnson, che le rendono tutte queste piste come se si dovessero annullare a vicenda? Come accade invece spesso con certi “cadaveri eccellenti” di mafia – di Cosa Nostra vera, come del resto era la potente famiglia del boss Carlos Marcello di New Orleans, nemico giurato di RFK – al delitto “imperfetto” devono partecipare in tanti, anzi più establishment possibile è coinvolto, e più il “cover-up” dura.
Almeno fino a quando tutti quelli che ascoltarono in lacrime Walter Cronkite dire, “President Kennedy is dead”, non ci saranno più in giro, ogni 22 novembre, a ripetere, e tu che facevi quel giorno in cui uccisero JFK?

– foto: Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).

Ministro Esteri Ungheria “Evitare rischio terza guerra mondiale”

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NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS/LA VOCE DI NEW YORK) – “Sappiamo tutti chi ha attaccato chi. Sappiamo tutti chi è l’aggressore. Ecco perché condanniamo questa guerra. Ma nel frattempo crediamo che ci sia anche una responsabilità per la pace. E sappiamo tutti che gli Stati Uniti dovrebbero avviare un dialogo con la Russia per garantire la pace in Ucraina”. Lo afferma il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjártó, in un’intervista a La Voce di New York e all’Italpress.

Ministro Peter Szijjártó, lei ha affermato che la comunità internazionale ha una responsabilità fondamentale nel prevenire un’escalation del conflitto, poiché le conseguenze di una guerra tra stati in Medio Oriente sarebbero del tutto imprevedibili. Ha detto che ‘il mondo potrebbe essere sull’orlo di una terza guerra mondiale’. Il premier Orban ha detto lo stesso sulla situazione in Ucraina… Chi lei ritiene che abbia la maggiore responsabilità di questa situazione? Se l’Ungheria potesse dare dei voti al comportamento delle maggiori potenze, agli Stati Uniti dareste un voto positivo o verrebbero bocciati? E alla Russia? E alla Cina? E che dire dell’Ue?

“Sono circa 30 i Paesi nel mondo che in questo momento sono testimoni di scontri, guerre, conflitti armati sul proprio territorio. Trenta. Rappresenta circa un sesto dei Paesi del mondo. Un numero e una proporzione enorme. Ecco perché abbiamo la preoccupazione che, nel caso in cui la comunità internazionale non sia in grado di superare questi conflitti, non sia in grado di risolverli, alcuni potranno sovrapporsi l’uno sopra all’altro e in questo caso il rischio di una Terza Guerra Mondiale potrebbe essere molto più vicino di quanto sembri. Questo è qualcosa che dobbiamo evitare. Ora per quanto riguarda la guerra contro l’Ucraina, sappiamo tutti chi ha attaccato chi. Sappiamo tutti chi è l’aggressore. Ecco perché condanniamo questa guerra. Ma nel frattempo crediamo che ci sia anche una responsabilità per la pace. E sappiamo tutti che gli Stati Uniti dovrebbero avviare un dialogo con la Russia per garantire la pace in Ucraina. Poiché gli Stati Uniti sono stati coinvolti nello sforzo di pacificazione o nello sforzo di risoluzione della crisi in Medio Oriente, l’Ungheria ritiene che questo dovrebbe accadere anche nello sforzo di pace riguardo all’Ucraina. E sono d’accordo con coloro che hanno affermato che se americani e russi potessero sedersi allo stesso tavolo per discutere la possibilità di una possibile pace in Ucraina, ciò sarebbe di grande aiuto. Per quanto riguardo all’Unione Europea: crediamo che consegnando le armi non si possa fare la pace, perché consegnando più armi si può solo prolungare la guerra. Più una guerra si prolunga e più persone muoiono, più distruzioni avvengono e meno possibilità di pace ci saranno. Quindi non sono d’accordo con quei politici, e so di essere in minoranza in Europa, che dicono che lo sviluppo sul campo di battaglia aiuterà la pace a venire. Non ci credo. Semmai credo che più lasciamo che gli sviluppi avvengano sul campo di battaglia, più avremo meno speranze di pace. Perché con ogni giorno che lasciamo in più alla guerra, le possibilità di un’opportunità per la pace diminuiscono, perché più persone muoiono, maggiore sarà la distruzione, più odio arriverà e con più odio meno possibilità di pace…”.

Sembra che stia dando la maggiore responsabilità di ‘imporre’ la pace agli Stati Uniti. Il presidente americano Joe Biden, in un editoriale pubblicato domenica sul Washington Post, ha ribadito che gli Stati Uniti sono “la nazione essenziale”. Madeleine Albright l’ha definita la “nazione indispensabile”, Biden ora chiama gli Stati Uniti la “nazione essenziale”. E’ d’accordo? Tocca ancora agli Stati Uniti essere l’unica potenza in grado di mettere ordine nel mondo?

“Credo che stiamo attraversando la formulazione di un nuovo ordine mondiale, ed è decisamente un mondo multipolare. Penso che l’ordine mondiale uni polare sia finito. Ci sono importanti portatori di interessi, grandi partiti nella politica globale e nell’economia globale, gli Stati Uniti sono sicuramente uno dei maggiori – per la loro grande potenza militare, per il potere economico, per l’enorme leva politica – ma ci sono altri portatori di interessi. Bisogna pensare alla Cina, alla Russia, all’India. Vorrei dire anche di pensare all’Europa, ma purtroppo l’Unione Europea sta perdendo molta forza a causa di alcune sue politiche irrazionali. Il mondo sta andando verso il multipolarismo, e pertanto credo che i maggiori stakeholder, i maggiori poteri dell’intero sistema politico mondiale abbiano la responsabilità di non lasciare che il mondo si trasformi in blocchi. Noi ungheresi non vogliamo che il mondo venga nuovamente diviso in blocchi, ne abbiamo sperimentato l’impatto negativo sulla nostra storia, ci ha fatto perdere 40 anni della nostra vita. Vogliamo che il mondo sia interconnesso. Vogliamo che il mondo sia coinvolto nella connettività e nella cooperazione globale, ma una cooperazione globale rispettosa”.

Il primo ministro Viktor Orban ha appena affermato che l’Ucraina resta “anni luce” distante dall’essere invitata a far parte dell’Unione Europea. Perché l’Ungheria, membro della NATO, ha un’opinione così diversa sull’Ucraina rispetto alla maggior parte degli altri suoi paesi alleati? C’è qualcosa che Budapest sa e che gli Stati Uniti e l’Europa non dicono ai propri cittadini?

“Innanzitutto credo che sarebbe assurdo essere spinti a fare una valutazione reale di come l’Ucraina si sta comportando in termini di stato di diritto, magistratura, diritti politici – non ci sono elezioni – riguardo alla libertà di parola, quando c’è la censura durante la guerra. È impossibile dare un giudizio su tali questioni, così come si sviluppano in un paese in guerra. Questo è il primo motivo. In secondo luogo, l’Unione Europea dovrebbe esportare la pace e non importare la guerra. Temiamo che l’inclusione dell’Ucraina significhi anche l’inclusione della guerra e non lo vogliamo. Oltre a ciò c’è anche una questione molto importante per noi ungheresi. C’è una grande comunità ungherese, composta da 150mila persone, che vive in Ucraina, e i diritti di questa importante comunità sono stati attaccati negli ultimi 8 anni. Negli ultimi anni i diritti della comunità etnica ungherese sono stati tremendamente violati dall’Ucraina. Anche dopo che all’Ucraina è stato concesso lo status di paese candidato all’UE, questi diritti sono stati ulteriormente violati. Ma sapete, il rispetto dei diritti delle minoranze nazionali è tra le regole più importanti dell’UE. Quindi i paesi che si comportano così male non dovrebbero aspettarsi una decisione unanime a loro favore nell’Unione Europea”.

Il primo ministro Orban ha anche affermato recentemente che l’Ungheria deve dire no all’attuale modello europeo costruito a Bruxelles, aggiungendo che deve rimanere nell’Unione europea, ma l’UE dovrà essere cambiata. Come lo fareste? Qual è il modello che proponete? E se non riuscirete a cambiare l’UE, Budapest la lascerebbe? È per questo che state già invitando il popolo ungherese a partecipare ad un referendum sull’Europa?

“No, ovviamente non lasceremo mai l’Unione Europea. Facciamo parte dell’Unione Europea e rimarremo come Stato membro dell’Unione Europea. Vogliamo che l’UE sia forte. Vogliamo che l’UE sia molto più forte di quanto lo sia attualmente. Vediamo molti sviluppi che stanno indebolendo l’Unione Europea. Ad esempio, non vogliamo che l’UE sia gli Stati Uniti d’Europa. Non vogliamo che l’UE sia un superstato federale. Vogliamo che l’Unione Europea sia composta da Stati membri forti e dotati di una forte integrazione. Cosa significa Stati membri forti? Gli Stati restano fedeli al loro patrimonio, alla loro cultura, alla loro storia, alle loro specificità nazionali. Ma se le specificità nazionali vengono uccise, gli Stati membri vengono indeboliti e, se gli Stati membri sono più deboli, tutta l’integrazione sarà più debole. Quindi vogliamo un’Unione Europea più forte, ma dobbiamo capire che l’UE potrà essere forte solo nel caso in cui gli stessi Stati membri lo sono”.

Com’è lo stato dei rapporti dell’Ungheria con l’Italia e cosa pensa dell’accordo che il Primo Ministro Giorgia Meloni e il Primo Ministro albanese Edi Rama hanno recentemente siglato sulla questione migranti? Alcuni paesi in Europa pensano che sia una cattiva idea…

“Per prima cosa vorrei dirvi che rispettiamo molto Giorgia Meloni, rispettiamo molto il governo italiano, rispettiamo molto la decisione del popolo italiano. Siamo molto felici di lavorarci insieme e personalmente stimo molto il mio collega ministro Tajani e anche il ministro Salvini. Per quanto riguarda la migrazione abbiamo il nostro approccio e la nostra posizione. La nostra posizione è che solo le persone che hanno il diritto di venire in Europa dovrebbero poter venire. Tutti i paesi dovrebbero essere in grado di prendere la loro decisione sovrana. Chi avrebbero lasciato venire e chi no. Con chi vivrebbero insieme e con chi no. E questa non è una decisione che può essere presa a Bruxelles, a New York, a Washington o altrove. Tutti i paesi devono essere in grado di proteggersi, per garantire che chi si trova alle frontiere dell’Unione europea sia protetto e che le persone che entrano abbiano il diritto legale di entrare. Crediamo che l’immigrazione clandestina sia un crimine. Violare il confine di un paese è un crimine. Non si tratta di questione di diritti umani, ma di un crimine. Ci sono regole su come attraversare il confine di un paese. Ci sono regole su come entrare nel territorio di un paese. Se infrangi quelle regole, se le violi, commetti un crimine. Siamo molto aperti e onesti al riguardo, non ha nulla a che fare con i diritti umani”.

Sulla riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: quanto è urgente? Qual è la posizione dell’Ungheria?

“Crediamo che l’efficacia delle Nazioni Unite dovrebbe essere migliorata, senza dubbio, ma non vedo davvero l’interesse dei grandi paesi a conformarsi a tale scopo. Penso che oggigiorno resti importante il Consiglio di Sicurezza: i paesi che hanno rapporti ostili tra loro devono potersi incontrare. L’ONU e il Consiglio di Sicurezza continuano ad offrire una piattaforma per il dialogo, per la discussione tra questi paesi. Spero che le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza sopravvivano a questo periodo molto turbolento”.

Torniamo alla situazione di Gaza: l’Ungheria ha qualche informazione sui bambini israelo-ungheresi tenuti in ostaggio da Hamas nella Striscia?

“Purtroppo ci sono cinque cittadini ungheresi tenuti in ostaggio da Hamas. Tra loro ci sono due bambini. Siamo in contatto quotidiano con la task force del governo israeliano che si occupa di questo problema e sono in contatto regolare con la mia controparte del Qatar che ci sta aiutando con Hamas, per liberare gli ostaggi, ma questo è tutto ciò che sappiamo Purtroppo”.

È ottimista?

“Devo esserlo”.

Stefano Vaccara

(ITALPRESS).

Medio Oriente, Hamas “Vicino l’accordo sulla tregua”

TEL AVIV (ISRAELE) (ITALPRESS) – Possibile svolta in arrivo in Medio Oriente. Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha annunciato che è vicino un accordo sulla tregua con Israele. I negoziati tra le due parti si svolgono in Qatar, che funge da mediatore. L’annuncio potrebbe arrivare “a ore”. Secondo quanto emerge, l’accordo consisterebbe in una tregua di cinque giorni che includerebbe un cessate il fuoco nei combattimenti di terra e limiti alle operazioni aeree israeliane nel sud di Gaza. I gruppi militanti palestinesi libererebbero 50-100 ostaggi, civili israeliani o di altre nazionalità, ma non soldati. In cambio, 300 palestinesi, tra cui donne e bambini, sarebbero rilasciati dalle carceri israeliane.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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Medio Oriente, 26 morti dopo bombardamento a Sud di Gaza

ROMA (ITALPRESS) – Sono almeno 26 i morti dopo un bombardamento aereo israeliano nel sud della Striscia di Gaza. E’ quanto rende noto la stampa locale. La città colpita è Khan Younis. Tra le vittime ci sarebbero anche diversi bambini. Colpita anche l’area intorno all’ospedale di Beit Lahiya, nel nord di Gaza. ventitre le persone rimaste ferite. Intanto lòesercito israeliano ha reso noto di avere attaccato postazioni e obiettivi di Hezbollah nel sud del Libano, dopo il lancio di razzi dal territorio libanese verso Israele nelle ultime 24 ore.

– foto: Agenzia Fotogramma –

(ITALPRESS).

Dalla Cina con “Filoli”, Xi rilancia Biden

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NEW YORK (STATI UNITI) (ITALPRESS) – Lascia perdere la guerra Joe, per farti rieleggere pensa all’economia! Il presidente cinese Xi Jinping nel vertice Apec di San Francisco, sembra suggerire al presidente degli USA Joe Biden lo slogan con cui uno sconosciuto governatore dell’Arkansas – Bill Clinton, “It’s the economy, stupid!”, 1992 – strappò la Casa Bianca al vincitore della prima guerra del Golfo George Bush. Non sarà un caso che per il primo incontro ravvicinato dove i due leader potevano sentire il fiato dell’altro senza paura del covid, sia stata scelta una villona chiamata Filoli, da un miliardario californiano, ex cercatore d’oro, che usò l’abbreviazione del suo motto: “FIght for a just cause. LOve your Fellow Man. LIve a Good Life”. (Combatti per una causa giusta. Ama il tuo prossimo. Vivi bene la vita).
Per almeno dieci anni ormai, gli esperti “falchi” di think tank e di università Ivy League hanno cercato di convincerci che la resa dei conti finale tra Cina e USA non si analizza sul se ma sul quando sarebbe avvenuta. Come se nelle relazioni internazionali, restare “Number One” costringesse ogni potenza al conflitto con l’attuale “numero due”. E se invece in questo mondo ci fosse posto per entrambi? Proprio così si è presentato Xi da Joe, perché nonostante i loro sistemi politici opposti, in passato le due economie hanno tirato la volata all’altro, allora perché non riprovarci?
Per gli ultimi trent’anni la crescita della Cina è stata trainata dai consumi e investimenti americani, mentre a sua volta Pechino ha “finanziato” gli USA e il suo stato di superpotenza mondiale comprando i suoi titoli di stato. Questo legame aveva funzionato a lungo, fino a quando si è imposta una “narrativa” strategica che invece di suggerire come i due giganti dovessero “correggere” certe storture che sbilanciano il rapporto – troppo a favore della Cina – ha raccontato che fosse giunta l’epoca della resa dei conti “manu militari”. Così Taiwan, l’isola tigre economica virtuosa iper tecnologica che finora aveva servito entrambe le economie delle due superpotenze, di colpo diventava la “casus belli” per una guerra che nessuno potrebbe mai vincere senza distruggere il mondo.
Invece Biden e Xi, nella città dove 78 anni fa furono create le Nazioni Unite, sono tornati a parlarsi di nuovo da benigni “competitor” più che da maligni “nemici”. Questo perché la crisi dell’economia cinese, che negli ultimi due anni continua a tirare il fiato dopo anni di crescita record, deve aver convinto il Partito Comunista cinese, da sempre tutore della stabilità sociale attraverso la crescita, che non sarà mai rafforzando il rapporto con l’arrugginita economia di guerra di Putin o le speranze di sostituire il dollaro con la valuta immaginaria dei BRICS, che si potrà continuare ad avere la fiducia di un miliardo e 200 milioni di cinesi che si affidano al partito creato da Mao e che con Xi è tornato a concentrare tutto il potere nel “timoniere”.
Per questo Xi, nelle prime parole dette a Biden, gli ha ricordato che è la mancanza del loro tradizionale collaborazione economica che ha reso le relazioni sino americane “stupide” e quindi il mondo “pericoloso”, e che alla stabilità globale non c’è alternativa al ritorno della piena intesa finanziaria -commerciale-tecnologica-sanitaria tra Washington e Pechino, come avveniva fino a pochi anni fa.
Dal vertice di San Francisco, anche Biden aveva un estremo bisogno dell’aiuto di Xi Jinping per la “bella figura”, perché l’ex presidente Donald Trump, il suo maggiore ostacolo per poter restare alla Casa Bianca, ripete nei comizi che solo con lui gli USA potrebbero evitare la guerra con la Cina (o con la Russia), perché tutti i leader del mondo temono lui e disprezzano “Sleepy Joe” (Joe l’addormentato). Invece Biden si è svegliato e ha raggiunto a San Francisco risultati importanti, come l’annuncio di aver ristabilito la comunicazione militare con la Cina (per evitare l’incidente già più volte sfiorato), che è stata raggiunta l’intesa per la collaborazione con i cinesi sul problema delle importazioni illegali di fentanyl e, come ai tempi della “linea rossa” tra Casa Bianca e il Cremlino, c’è stata da entrambi i leader la promessa che prima di peggiorare le relazioni tra le due superpotenze, i due avranno una comunicazione diretta e immediata per chiarirsi e abbassare i toni.
Basterà un vertice riuscito a “calmare” il mondo? Un primo segnale di nuova collaborazione sino-americana arriva dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che dopo 40 giorni di “blocco totale”, proprio mentre Biden accoglieva Xi, ha finalmente passato una risoluzione umanitaria su Gaza presentata da Malta. Si apre un nuovo ciclo nelle relazioni? “Trust but verify “ ha detto Biden come faceva Reagan con Gorbaciov, che poi nella “gaffe” di chiamare “dittatore” Xi alla fine della conferenza stampa fino a quel momento “staged”, ha forse tolto all’avversario Trump la possibilità di attaccarlo sull’essere troppo “accomodante” con il leader cinese.
Per il “dittatore” Xi, la tappa di San Francisco era fondamentale per cercare di riposizionare una strategia economica cinese che nella “rivalità a tutto campo” – più subita che voluta – con gli USA aveva finora stentato. Per Biden doveva soprattutto servire a stabilire che, se il vecchio presidente riuscirà a farsi confermare dal suo partito come candidato alla Casa Bianca (ad ogni apparizione pubblica appare più affaticato dei suoi 81 anni), la performance nell’economia della sua amministrazione, più che i processi giudiziari, potranno aiutarlo a tenere lontano Trump dalla Casa Bianca.

Stefano Vaccara

– Foto profilo Instagram Casa Bianca –

(ITALPRESS).