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STUDENTI FUORI SEDE, AFFITTI PIÙ CARI

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Con il nuovo anno accademico alle porte, per molti studenti fuori sede non è solo tempo di preparare la valigia ma è anche e soprattutto tempo di fare i conti con la ricerca e i costi delle stanze in affitto. Se nel 2018 i prezzi delle locazioni non risultavano in aumento in tutte le città, secondo l’Ufficio Studi di Immobiliare.it quest’anno si registrano rincari in tutti i 14 centri presi in considerazione dall’analisi (quelli che ospitano gli atenei con la più alta concentrazione di studenti fuori sede). Soltanto Bari risulta in controtendenza – con un lieve calo (-2%) dei prezzi richiesti per le singole – mentre è a Bologna che si registra un aumento record del 12% rispetto all’anno scorso.

“La crescita dei costi delle stanze in affitto non si arresta ormai da diversi anni – dichiara Carlo Giordano, Amministratore Delegato di Immobiliare.it – Il mercato si è ampliato con nuovi soggetti: alla classica locazione alle famiglie si sono aggiunte la coabitazione fra studenti, allargata poi ai lavoratori fuori sede, e più recentemente la formula degli affitti brevi, in particolar modo nelle città d’arte. Una domanda così ampia e diversificata ha portato l’offerta immobiliare a ridursi e, di conseguenza, continua a trascinare i costi verso l’alto”.

 

Quanto costa affittare una singola Milano si conferma la città più cara in cui vivere da fuori sede. Per una camera nel capoluogo meneghino si chiedono mediamente 573 euro, prezzo aumentato del 6% rispetto al 2018 a fronte di una domanda che continua a crescere (+5% su base annua). Il secondo posto è ormai un pari merito: dopo il boom dei prezzi dell’ultimo anno, Bologna ha praticamente raggiunto i costi di Roma. Nelle due città, per affittare una singola, si spendono rispettivamente 447 e 448 euro al mese. Sopra la soglia dei 400 euro si trova anche Firenze, dove si chiedono in media 433 euro (+10% rispetto al 2018). 

Con aumenti che oscillano fra il 2% e l’8%, si aggirano sui 300 euro le cifre richieste nelle altre città: si passa dai 353 euro di Torino ai 306 euro al mese di Pavia. Il dato relativo all’andamento della domanda rivela che il Sud è sempre meno ambito dai fuori sede, tanto che Bari e Palermo sono le uniche due città delle 14 prese in considerazione a registrare un calo delle ricerche. Qui per affittare una singola si spendono in media, rispettivamente, 255 euro e 233 euro. La più economica resta però Catania, con una media di 211 euro. 

 

Nonostante offrano ottime occasioni di risparmio, sono sempre meno gli studenti e i lavoratori fuori sede disposti a condividere una stanza con un’altra persona. La domanda di posti in doppia è infatti in calo ovunque, a eccezione di Bologna, dove invece è cresciuta del 9% a causa degli importanti aumenti dei costi. 

I prezzi più alti sono quelli di Milano, dove affittare un posto in doppia costa mediamente 372 euro al mese. A seguire si trova Roma con 311 euro. In tutte le altre città i costi si mantengono al di sotto dei 300 euro, con la spesa minima chiesta a Palermo, dove bastano 136 euro al mese. 

“Il target degli studenti fuori sede si conferma un segmento molto appetibile per chi deve affittare un appartamento nelle città che ospitano i principali atenei – conclude Giordano – A dimostrarlo sono le preferenze espresse da chi inserisce il proprio annuncio sul nostro portale: il 27% dei proprietari di casa indica infatti di prediligere gli studenti ai lavoratori. Se questi ultimi hanno contribuito a rendere ancora più vivace il mercato delle stanze, la garanzia rappresentata dalle famiglie a sostegno dei giovani universitari rimane ancora la più ricercata da parte di chi affitta”.

 

PREMIATI PROGETTI INNOVATIVI PER SVILUPPO SOSTENIBILE

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Sono oltre 20 le idee progettuali vincitrici della terza edizione di “Youth in Action for Sustainable Development Goals”, il concorso che premia i giovani under 30 capaci di elaborare soluzioni innovative, ad alto impatto sociale e tecnologico per contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Secondo il Rapporto SDGs 2019 curato dall’Istat, in Italia c’è ancora molto margine di miglioramento rispetto all’impegno sui temi legati alla sostenibilità.
Nel quinquennio 2012-2017 abbiamo assistito alla regressione di alcuni indicatori, ad esempio quelli legati alla povertà, al lavoro, all’agricoltura e alla salute. Un timido miglioramento si è invece riscontrato rispetto a: istruzione, parità di genere, energia sostenibile, industria e innovazione.
In questo quadro, che vede l’Italia in forte ritardo rispetto al resto d’Europa, esiste però anche un’altra faccia del nostro Paese, quella del mondo delle imprese, delle istituzioni culturali e della società civile, che si mobilita per mettere in atto la trasformazione e il cambio di paradigma richiesti dall’accordo siglato con le Nazioni Unite.

Questo è lo spirito del concorso “Youth in Action for SDGs”, giunto ormai alla sua terza edizione e promosso da Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Eni Enrico Mattei e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in collaborazione con ASviS e con il supporto di AIESEC, RUS e SDSN Youth. Sono state oltre 250 le idee progettuali candidate su ideaTRE60, la piattaforma digitale di Fondazione Italiana Accenture che ospita il concorso, in aumento del 30% rispetto alla precedente edizione.
Ai giovani che hanno presentato le migliori progettualità sui temi relativi allo sviluppo sostenibile, viene offerto uno stage retribuito fino a 6 mesi presso uno dei Promotori e Partner dell’iniziativa: Accenture, Assicurazioni Generali, Assidim, Area Salus, Gruppo Cooperativo CGM, Davines, Eni, Fondazione Allianz UMANAMENTE, Fondazione Eni Enrico Mattei, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Sodalitas, Gruppo Feltrinelli, Gruppo Sanpellegrino, Italia Non Profit, Jobiri, Leonardo, Microsoft, Reale Foundation, Snam, Techsoup, Unicredit, Unipol, WWF. Novità di quest’anno è l’introduzione della categoria Lavazza, che ha premiato il miglior progetto di team con una esperienza all’estero, in uno dei Paesi produttori di caffè dove Lavazza è attiva con progetti di sostenibilità.

Il team vincitore, composto da Loris Savino, Stefano Savino e Daniele Tenerelli, ha presentato l’idea “Purificare acque reflue con scarti agro-industriali”, che si basa sul reimpiego degli scarti di lavorazione generati dall’industria del caffè.
“Riteniamo che questo concorso rappresenti un’importante occasione di crescita per i giovani, poiché li spinge a lavorare concretamente su progetti di sostenibilità, temi sempre più presenti e rilevanti anche per le aziende”, sottolinea Simona Torre, segretario generale di Fondazione Italiana Accenture.
“La Fondazione Eni Enrico Mattei ha creduto nel concorso Youth in Action for SDGs fin dalla sua prima edizione, nella convinzione che siano i giovani il motore del futuro cambiamento. E’ soprattutto dai giovani che arrivano e arriveranno nuove energie e idee per lo sviluppo sostenibile e un concreto impegno per una qualità migliore della vita sul nostra Pianeta”, spiega Paolo Carnevale, direttore esecutivo di Fondazione Eni Enrico Mattei.
“Di fronte all’emergenza climatica, in un difficile scenario sociale, ambientale e politico, lo sviluppo sostenibile ha bisogno dei sogni, della creatività e degli interventi radicali che solo i più giovani possono immaginare. Spetta, infatti, a loro il ruolo di promotori del cambiamento anche grazie a proposte progettuali innovative e virtuose destinate alle imprese che, in questo contesto, giocano un ruolo fondamentale”, osserva Massimiliano Tarantino, direttore di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

BASSA ISTRUZIONE E POVERTÀ, E’ EMERGENZA

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Un minore su 8 si trova in povertà assoluta, e le famiglie più povere tendono a essere quelle con il livello di istruzione più basso. Sono alcuni dei dati che emergono dall’aggiornamento delle statistiche sulla povertà in Italia da parte di Istat. Nell’ultimo biennio rilevato, il dato si attesta su 5 milioni di persone, ovvero l’8,4% dei residenti in Italia.

Un dato preoccupante, il punto di partenza – secondo Openpolis – per valutare come gli effetti della crisi economica iniziata circa 10 anni fa non siano ancora esauriti. In particolare per le bambine e i bambini: un povero assoluto su 4 ha infatti meno di 18 anni. Oltre ai valori assoluti però, dai dati Istat emergono anche altre due tendenze altrettanto preoccupanti, a cui è stata dedicata minore attenzione. Primo, non accenna a ridursi la forbice tra giovani e anziani: la quota di minorenni in povertà è quasi tre volte superiore a quella degli over 65. Secondo, e preoccupante soprattutto per il futuro dei bambini: continua a consolidarsi il legame tra bassa istruzione e povertà. 

In un mondo che richiede competenze sempre più elevate, si allargano le distanze tra chi le ha e chi no.

Distanze che solo un’istruzione equa, diffusa e di qualità per tutti può ridurre. Con la crisi i minori sono la fascia demografica che ha visto peggiorare di più la propria condizione. Nel 2005 si trovava in povertà assoluta il 3,9% dei giovani con meno di 18 anni. Nell’ultimo decennio questa percentuale è più che triplicata (12,6%, stando ai dati 2018 appena rilasciati). L’ultimo aggiornamento dei dati indica anche che la forbice giovani-anziani, allargatasi a dismisura durante la crisi, resta ancora molto ampia. All’inizio della serie storica, non c’era grande distanza tra under 18 e over 65 (e anzi, in questi ultimi la povertà era più frequente). La situazione si è progressivamente capovolta: oggi la quota di minori in povertà assoluta è 2,7 volte superiore a quella degli anziani.

Il rapporto Istat offre anche la possibilità di approfondire la condizione dei minori, disaggregata per fasce d’età. 

La situazione più grave riguarda i bambini tra 7 e 13 anni: il 13,4% è povero. Ma, anche tra i ragazzi di 14-17 anni e tra i bimbi con meno di 6 anni, l’incidenza resta più elevata della media nazionale.

L’altro elemento su cui riflettere è quanto una condizione economica svantaggiata possa avere radici anche in un divario educativo. Se la persona di riferimento ha il diploma o la laurea, la famiglia è povera in meno del 4% dei casi. 

Con la licenza media, la quota sale al 9,8%; con quella elementare all’11%. Ed è interessante provare a individuare, nei dati dell’istituto di statistica, il trend nell’ultimo triennio: più stabile per i laureati; in sensibile crescita per gli altri.

La conseguenza è che nelle famiglie senza diploma la povertà assoluta è quasi 3 volte più frequente di quelle dove la persona di riferimento è diplomata o laureata. Questa tendenza è aggravata da una specificità italiana, la scarsa mobilità sociale. Nel nostro paese i figli di chi non è diplomato, tendono a loro volta a non diplomarsi. Si instaura così un circolo vizioso tra condizione economica e educativa: chi nasce in una famiglia povera ha a disposizione meno strumenti per sottrarsi a questa condizione, da grande. Un problema sociale, perché rende la povertà ereditaria e finisce con l’aggravare la situazione dei territori già deprivati. 

I dati Istat mostrano queste tendenze sul livello nazionale. Ma il rapporto tra povertà e istruzione è un tema anche e soprattutto locale. Riguarda la possibilità per i territori deprivati di migliorare la propria condizione, investendo sul capitale umano di chi ci vive. Il Mezzogiorno ad esempio si caratterizza per livelli di povertà assoluta più elevati (11,4% di persone povere, contro il 6,9% del nord e il 6,6% del centro Italia), ed è anche l’area del paese con i livelli d’istruzione più bassi. Infatti agli ultimi posti per percentuale di adulti diplomati figurano tutte le regioni meridionali più popolose: Puglia, Sicilia, Sardegna, Campania e Calabria. Ma questi fenomeni possono essere osservati anche in una scala minore, come quella di una città. Bastano infatti pochi chilometri di distanza per far emergere profondi divari, sia in termini di disagio economico che di livelli di istruzione. Guardando la mappa di Roma per zone urbanistiche, si nota come quelle con minore scolarizzazione siano anche generalmente quelle con più famiglie in difficoltà economica. Alcuni esempi: nelle 20 zone di Roma con più diplomati, quasi tutte hanno una percentuale di famiglie in disagio molto contenuta, inferiore al 2%. Al contrario, nelle zone con meno diplomati, la quota di famiglie in difficoltà raggiunge generalmente i livelli più alti. Questi dati, in linea con il trend nazionale, confermano quanto povertà e bassa istruzione siano legati. E indicano che la povertà va affrontata come un fenomeno multidimensionale, che riguarda prima di tutto le opportunità educative che vengono offerte a bambini e ragazzi.

UN’ALLEANZA PER IL RITORNO DEI CERVELLI IN FUGA

Inaugurata a Milano la prima iniziativa di social responsibility promossa da oltre 40 grandi gruppi italiani ed esteri presenti in Italia, tutti impegnati a promuovere l’attrattivita’ del nostro Paese presso le migliaia di giovani che si sono trasferiti per problemi di lavoro in altri Paesi o stranieri che vogliono considerare l’Italia come paese dove lavorare. Talents in Motion, progetto su cui la presidente Patrizia Fontana ha catalizzato le energie di Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi, Yes Milano, Regione Lombardia, Unione Confcommercio, Assolombarda, Anitec-Assinform, Confindustria Digitale e Forum della Meritocrazia, e’ una piattaforma online che connette le aziende italiane ai talenti all’estero, promuovendo le opportunita’ lavorative che l’Italia offre con una visibilita’ internazionale.

I talenti oltre a questo possono trovare tutte le informazioni necessarie sul contesto fiscale, legale e amministrativo e trovare articoli ad hoc che valorizzano il panorama aziendale italiano.

“Il numero crescente di giovani che vanno all’estero, per restarci, penalizza il nostro Paese”, dice Carlo Sangalli, presidente Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi.

Dobbiamo invece attrarre e valorizzare capitale umano a livello internazionale sia italiano che straniero. Ecco perche’ e’ importante e strategico il progetto Talents in Motion che, in una logica pubblico-privato, contribuisce a rafforzare l’attrattivita’ dell’Italia”.

“E’ noto il gap che separa il nostro Paese dai partner comunitari in termini di competenze digitali e know-how tecnologici. Vogliamo implementare l’offerta formativa grazie al coinvolgimento delle Universita’ italiane, accelerare lo scambio di conoscenze e favorire cosi’ l’attrattivita’ del nostro Paese per i talenti italiani e stranieri. L’obiettivo – ha sottolineato Fontana – e’ tra un anno di misurare l’efficacia degli sforzi sostenuti da tutti i partner in un Forum cui contiamo di arrivare forti di 250 aziende sostenitrici che si saranno unite al progetto, in buona parte anche PMI. Una crescita che si traduce anche in incremento del PIL e in un maggior numero di occupati qualificati”.

Secondo gli ultimi dati disponibili il fenomeno della fuga dei cervelli ha un costo in Italia di circa 14 miliardi l’anno, equivalente a un punto percentuale del Pil. Sono circa 81mila gli studenti che hanno intrapreso percorsi professionali fuori dall’Italia, contribuendo in parte anche alla creazione del profondo divario che esiste con gli altri partner internazionali in fatto di competenze digitali. Proprio il tema del valore dei talenti e’ stato al centro del convegno. Da un lato sono stati presentati i risultati dell’indagine “Talenti italiani all’estero. Perche’ tanti partono e pochi ritornano”, condotta dall’Ufficio Studi di PwC Italia su 130 giovani talenti italiani che vivono e lavorano all’estero. Il campione, composto per il 53% da donne e per il 47% da uomini provenienti da 20 diversi paesi, e’ rappresentato per il 43% da under 30 e il 90% ha almeno una laurea. Obiettivo dell’indagine qualitativa e’ stato individuare le principali ragioni che spingono i talenti italiani a spostarsi all’estero, le motivazioni per cui sarebbero disposti a ritornare in Italia e i principali fattori che disincentivano il loro rientro. Emerge dall’analisi che il 50% si definisce in fuga dalle criticita’ del mercato globalizzato e solo il 29% si definisce a caccia di opportunita’ in un mondo globalizzato.

Gli expat vedono l’Italia come un Paese dalle scarse prospettive: l’85% ritiene che il paese in cui lavora offra migliore contesto professionale e maggiori prospettive di carriera rispetto all’Italia. Il 26% non tornerebbe piu’ in Italia, anche a fronte di un’offerta piu’ remunerativa o prestigiosa, mentre il 68% tornerebbe ma solo a fronte di una posizione con uguale o maggiore prestigio e remunerazione. Significativo notare che il 60% dei talenti da quando e’ all’estero non ha piu’ cercato opportunita’ in Italia, solo il 16% resta attivo nella ricerca. Quali sono quindi i fattori che piu’ li trattengono dal tornare in Italia? Il 31% e’ trattenuto all’estero dalle limitate prospettive di carriera e crescita professionale, il 30% dalle non buone prospettive economiche dell’Italia, il 30% teme di scontrarsi con clientelismo e corruzione. Inoltre, per il 28% gli stipendi sono troppo bassi, il 26% dichiara che c’e’ una migliore qualita’ della vita all’estero. Infine, il 21% indica un contesto lavorativo poco stimolante e il 14% legami familiari o questioni personali.

IN CRESCITA I LIVELLI DI ISTRUZIONE

In Italia la quota di 25-64enni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore, e’ stimata pari a 61,7% nel 2018 (+0,8 punti percentuali sul 2017), un valore molto inferiore a quello medio europeo, pari a 78,1% (+0,6 punti sul 2017). Su questa differenza incide la bassa quota di 25-64enni con un titolo di studio terziario: meno di due su dieci in Italia (19,3%, +0,6 punti rispetto all’anno precedente) contro oltre tre su dieci in Europa (32,3%, +0,8 punti rispetto all’anno precedente). Il trend degli ultimi anni e’ positivo; tuttavia, tra il 2014 e il 2018 la quota di popolazione con laurea ha avuto una crescita piu’ contenuta di quella Ue (2,4 punti contro 3,0 punti). E’ quanto emerge dai dati del Report dell’Istat sui livelli di istruzione e i ritorni occupazionali relativi al 2018.

Nel nostro Paese, le donne almeno diplomate sono il 63,8% contro il 59,7% degli uomini mentre la differenza di genere nella media Ue e’ meno di un punto percentuale. Sul fronte del titolo di studio terziario, il vantaggio femminile – evidente anche nella media europea – e’ comunque piu’ accentuato in Italia: 22,1% e 16,5% le quote femminili e maschili.

Sul territorio nazionale il piu’ basso livello di istruzione si riscontra nel Mezzogiorno, dove poco piu’ di un adulto su due ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore; al Centro si stima invece il valore piu’ alto, oltre due adulti su tre. Situazione analoga si rileva per il livello di istruzione terziario, ancora una volta minimo nel Mezzogiorno (15,3%) e massimo al Centro (23,3%). Le differenze generazionali nei livelli di istruzione sono evidenti da molti punti di vista. Sicuramente i piu’ giovani sono anche i piu’ istruiti: si consideri ad esempio che il 75,9% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore contro il 47,9% dei 60-64enni. Rimane tuttavia forte, anche tra le classi di eta’ piu’ giovani, lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto d’Europa come pure il divario territoriale all’interno del Paese. L’Italia mostra notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici.

Tuttavia, la quota di 18-24enni che posseggono al piu’ un titolo secondario inferiore e sono fuori dal sistema di istruzione e formazione sale al 14,5% nel 2018 (598 mila giovani) dopo la stazionarieta’ del 2017 e il sensibile calo registrato fino al 2016.

Per quanto riguarda la quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario, malgrado il miglioramento dell’ultimo anno (+0,9 punti sul 2017) e una crescita superiore a quella media europea tra 2014 e 2018 (+3,9 punti contro +2,7 punti) il nostro Paese si posiziona al penultimo posto nell’Ue. La bassa quota di giovani in possesso di un titolo di studio terziario risente anche della mancanza di una efficace alternativa ai corsi di laurea. I corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, non sono molti diffusi in Italia, al contrario di quanto accade, ad esempio, in Spagna e Francia. Il differenziale di genere a favore delle donne e’ molto forte in Italia: e’ laureata oltre una giovane su tre a fronte di un giovane su cinque, un vantaggio superiore a quello medio europeo, anche se nell’ultimo anno il miglioramento ha riguardato solo i ragazzi (+1,9 punti percentuali) dopo anni di incrementi piu’ sostenuti per le  ragazze. Anche in questo caso il divario territoriale e’ alquanto accentuato. La quota di 30-34enni laureati, gia’ contenuta nel Nord (32,5%) e nel Centro (29,9%), scende al 21,2% nel Mezzogiorno. Nel 2018 si stima che il differenziale nei tassi di occupazione tra le persone laureate di 25-64 anni e quelle che posseggono al piu’ un titolo secondario inferiore sia di 28,6 punti (29,0 punti nella media Ue).

Il premio dell’istruzione – inteso come maggiore occupabilita’ al crescere dei livelli di istruzione – e’ pari a 18,4 punti nel passaggio dal titolo secondario inferiore al titolo secondario superiore e a 10,2 punti nel confronto tra quest’ultimo e il titolo terziario (19,6 e 9,4 punti, i rispettivi valori Ue).

Nonostante in Italia i vantaggi occupazionali derivanti dai piu’ alti livelli di istruzione siano simili a quelli registrati nella media Ue, i tassi di occupazione restano piu’ bassi, quelli di disoccupazione piu’ alti e permangono divari di genere e sul territorio. Infine, si stima che nel 2018 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione siano 2 milioni e 116 mila in Italia (23,4%); di questi, il 39,2% cerca attivamente un lavoro, il 30,0% fa parte delle forze di lavoro potenziali,mentre il restante 30,8% non cerca un impiego e non sarebbe disponibile a lavorare.

70 MILIONI IN PIU’ PER IL SERVIZIO CIVILE

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Il Consiglio dei Ministri, su proposta del presidente Giuseppe Conte, ha approvato un disegno di legge che introduce disposizioni per garantire sostegno al servizio civile universale. “Al fine di garantire il sostegno statale e di assicurare la continuità del contingente complessivo di operatori volontari da avviare al servizio civile, il testo prevede un incremento di 70 milioni di euro, per l’anno 2019, del Fondo nazionale per il servizio civile”, si legge nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi dopo il Cdm.  

60% GIOVANI DICE NO A GESTIONE AUTONOMA SCUOLA

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Secondo un’indagine dell’Osservatorio “Generazione Proteo” della Link Campus University, che ha coinvolto circa 10.000 studenti italiani, il 60% di essi è  contrario alla gestione autonoma dell’istruzione da parte delle singole Regioni. “Quando si parla di scuola – dichiara Nicola Ferrigni, professore associato di Sociologia generale e direttore dell’Osservatorio ‘Generazione Proteo’ – siamo tutti consapevoli dell’esigenza di un rinnovamento, che tuttavia non può passare attraverso la creazione in partenza di disparità che accentuerebbero le differenze regionali e il divario tra Nord e Sud, quasi a volerlo stigmatizzare”.

In particolare, i giovani intervistati appaiono molto critici nei confronti di un sistema scolastico differenziato, giacché ritengono fondamentale un’istruzione democratica basata su programmi e percorsi educativi uguali per tutti (un’idea condivisa dal 30,4% degli intervistati) e che soprattutto garantisca pari opportunità di accesso, eliminando qualsivoglia discriminazione frutto di un eccessivo squilibrio tra le diverse aree regionali del Paese. 

Secondo il 30% circa degli studenti italiani, infatti, l’autonoma gestione delle risorse economiche in materia di istruzione creerebbe un divario enorme tra le diverse Regioni, a discapito di quelle meno ricche. Non a caso la percentuale dei contrari sale in maniera significativa tra gli studenti del Sud Italia e delle Isole (complessivamente il 67,4%), laddove nelle Regioni centrali si mantiene sulla media rilevata a livello nazionale (58,6%). Al contrario, nelle Regioni del Nord Italia, sale il numero dei favorevoli, che rappresentano oltre la metà (55,1%) degli studenti intervistati; tra questi, è oltremodo condivisa l’opinione che debbano essere le Regioni a gestire in maniera autonoma le risorse economiche anche quando si parla di istruzione (37,1%), mentre non manca chi auspica, mediante un sistema scolastico differenziato, una valorizzazione delle specificità territoriali (18%). 

No, dunque, alla regionalizzazione, ma sì a una scuola che cambia: “il sistema formativo – continua Nicola Ferrigni – necessita di essere ripensato anche alla luce delle trasformazioni sociali ed economiche che hanno caratterizzato il nostro Paese, mettendo al centro il ruolo nevralgico del docente”. L’imprescindibile compito svolto dagli insegnanti in tale processo è infatti riconosciuto dagli stessi studenti che, se da un lato ne esaltano caratteristiche e virtù giudicandolo “uno dei mestieri più importanti” (35,1%), e una “vocazione” (25,5%), dall’altro denunciano come oggi la categoria sia invece sottovalutata e/o sottopagata (30,3%).

“I giovani – conclude Nicola Ferrigni – non solo ribadiscono la centralità del ruolo sociale della scuola quale agenzia educativa, ma investono di grande responsabilità gli stessi insegnanti in tale processo, riconoscendo e certificando l’importanza e l’autorità dell’incarico che essi ricoprono, anche attraverso la richiesta di un loro upgrade economico”. 

UN ‘COACH’ CONTRO LA DIPENDENZA DA WEB E VIDEOGIOCHI

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Sindrome da iperconnessione, no mobile fobia (paura di rimanere senza connessione mobile), FOMO (“fear of missing out”, di essere tagliati fuori dalle reti social), vamping (stare tutta la notte in chat), hikikomori (uso esagerato della rete che porta a condotte di ritiro sociale). E ancora, cyberbullismo, sexting e sextortion, compulsive online gambling (gioco d’azzardo online compulsivo), narcisismo digitale e phubbing (tendenza a ignorare gli altri perché immersi nel proprio cellulare): sono le nuove malattie digitali legate all’uso scorretto di internet e social network.

Vere e proprie dipendenze, come quella dai videogiochi recentemente catalogata dall’OMS fra i disturbi mentali, che colpiscono un numero crescente di italiani, bambini e adulti. “Sono problemi di cui si parla ancora poco – spiega la psicologa Maria Rosaria Montemurro -. Ma emerge sempre di più che l’abuso dei device digitali è correlato problemi come ansia, stress, depressione, appiattimento emotivo, decadimento cognitivo e alterazione del ritmo sonno-veglia, con conseguenze sulla salute psichica, fisica e sui rapporti sociali”. 

“Per imparare a gestire al meglio il rapporto con la tecnologia occorre un vero e proprio percorso di coaching che permetta all’Individuo il recupero di Sé stesso, del suo rapporto con la gruppalità e del suo rapporto con nuove tecnologie. L’obiettivo, dunque, è quello di riappropriarsi globalmente di uno stile di vita sano ed equilibrato”.

A raccogliere questa sfida è Cerba HealthCare Italia: nei suoi poliambulatori mette a disposizione medici e psicologi che attivano un Digital Life Coaching rivolto ad adulti e nei bambini, con focus particolare sui giovani della Generazione Z e sulle loro famiglie. “Non esistevano prima di oggi in Italia centri medici di prossimità attrezzati ad affrontare i problemi legati all’uso non corretto di internet, smartphone e social network – spiega il CEO di Cerba HC Italia Stefano Massaro -. Con questa iniziativa portiamo sul territorio un servizio nuovo e accessibile: chi frequenta i nostri centri medici per analisi e visite di ogni tipo potrà così avvicinarsi al concetto di digital life coaching ed essere sensibilizzato sul tema. Chi sente di avere un problema collegato con l’abuso della rete, o vuole chiedere consiglio per un proprio familiare, potrà parlare con personale qualificato e fare un primo screening di valutazione generale assieme agli psicologi, sulla base del quale costruire percorsi personalizzati”.

La platea interessata è potenzialmente molto vasta. Basti pensare che, secondo l’ultimo rapporto Agi-Censis, la gran parte degli utenti internet è online anche prima di dormire (77,7%) e subito dopo la sveglia (63,0%); il 61,7% utilizza i dispositivi anche a letto (tra i giovani si arriva al 79,7%) e il 34,1% a tavola (la percentuale sale al 49,7% fra i giovani). Il 22,7% degli utenti ha spesso la sensazione di essere dipendente da internet e l’11,7% dichiara di vivere con ansia un’eventuale mancanza di connessione. Per l’11,2% inoltre l’utilizzo della rete è fonte di collisioni con i propri familiari. Ogni età ha i propri disturbi specifici. Per gli adulti uno dei primi campanelli d’allarme è la mancanza di sonno, con aumento della stanchezza, dello stress, dell’impulsività; ciò comporta una drastica mutazione del proprio stile di vita, che vede come conseguenza una trascuratezza dei doveri personali, nel campo lavorativo e nelle performances più in generale. Gli adolescenti idealizzano ed emulano influencer e youtuber, spesso con spiccato desiderio di ritiro sociale con la finalità di trascorrere più tempo possibile sui social network. 

I bambini sono vittime della tecnologia quando gli adulti la usano per “tenerli buoni” in mancanza di altri strumenti a disposizione. 

“In generale – spiega la dottoressa Montemurro – i ragazzi tendono a non ascoltare gli adulti che impongono loro limitazioni all’uso della rete. Ma, allo stesso tempo, i genitori sono chiamati al “dovere educativo” nei confronti dei propri figli, e a usare la rete in maniera responsabile, con regole precise che anch’essi devono rispettare, in maniera coerente”.

Il Digital Life Coaching aiuta proprio a ritrovare un equilibrio, riconoscendo e rompendo i meccanismi che creano dipendenza, ripristinando i corretti ritmi sonno-veglia e restituendo i giusti spazi alle relazioni interpersonali. “L’approccio di Cerba HealthCare chiama in causa il benessere a 360 gradi – conclude la dottoressa Montemurro – ed è orientato alla vita sana e alla prevenzione”.