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ALLEGRI TESTIMONIAL CAMPAGNA STILE VITA CORRETTO

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“Allenatore, alleato di salute”, è il primo progetto al mondo che coinvolge gli allenatori e istruttori sportivi in un vasto programma per educare i giovani a condurre uno stile di vita piu’ corretto e sano, prevenendo in tal modo l’insorgere di patologie in eta’ adulta. Testimonial dell’iniziativa l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri, mentre suo principale promotore è Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento di Oncologia medica dell’Istituto “Regina Elena” di Roma.
A fare da sponda alla campagna anche il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani che nei giorni scorsi ha dato la disponibilità di presentare il progetto a Bruxelles. “Il Parlamento europeo promuove questa buona pratica per coinvolgere tutti gli attori che possono favorire delle scelte consapevoli da parte degli adolescenti, aiutandoli cosi’ a crescere sani, secondo uno stile di vita corretto che li pone al riparo da gravi rischi per la propria salute”, ha commentato  Tajani. “Il 29% degli adolescenti europei sono dei fumatori, uno su quattro non pratica sport o attivita’ fisica, e oltre il 5% ha problemi di obesita’. Dobbiamo fare molto di piu’. Invito altre personalita’ dello sport ad unirsi a Massimiliano Allegri, seguendo il suo esempio a favore della salute dei nostri giovani”, ha concluso Tajani. 

Con il ruolo di testimonial, Allegri e’ impegnato da anni nel progetto curato dalla fondazione “Insieme contro il cancro”. L’allenatore della Juventus e’ protagonista di quattro opuscoli (contro il fumo, contro il consumo di alcol, sull’importanza dell’attivita’ fisica continuativa e della valorizzazione della dieta mediterranea) gia’ distribuiti a decine di migliaia di ragazzi e allenatori, nonche’ di diversi video sui social e di una App che permette di partecipare al “Campionato della salute” per la promozione dei corretti stili di vita. Come allenatori abbiamo una grossa responsabilità. Tutti, a partire da quelli che iniziano con i bambini, devono dare un’educazione di vita, oltre che calcistica”, ha commentato il tecnico juventino. “L’allenatore non serve solo a dire gli schemi, ma a creare campioni di vita – ha spiegato Allegri – perché, su un milione di bambini che giocano, solo uno diventerà campione, gli altri avranno un percorso diverso, che deve essere sano. Non dobbiamo certo sostituirci ai medici, ma insegnare ed educare”.

PRIMO HACKATHON ITALIANO DEDICATO AI NEET

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Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia si conferma il paese europeo con il maggior numero di giovani NEET. Per avvicinare questi giovani “lasciati fuori” e favorire una loro integrazione nel circuito formativo e lavorativo, l’Associazione InnovaFiducia ha avviato il progetto NetForNeet, sostenuto da Fondazione TIM grazie alla aggiudicazione del bando Italiax10 in cui la Fondazione da’ la possibilita’, ai dipendenti TIM, di presentare progetti di enti a cui sono vicini su tematiche specifiche.
 
In particolare, NetForNeet si propone di sviluppare una piattaforma digitale di coaching e formazione peer to peer alle digital skills, rivolta ai giovani dai 18 ai 29 anni, e in specifico a quelli che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. L’intento e’ la costituzione di una community di riferimento per evitare il rischio di esclusione sociale e l’opportunita’ di un collegamento con il mondo del lavoro per favorire conoscenza e occupabilita’ in un mercato sempre piu’ digitale e all’insegna dell’impresa 4.0. La prima tappa in programma e’ l’organizzazione di un Hackathon il prossimo 18 ottobre a Roma, presso il Tempio di Adriano, in collaborazione con Infocamere la societa’ delle Camere di Commercio  per l’innovazione e i servizi digitali.
 
L’obiettivo e’ che caratteristiche e funzionalita’ della piattaforma siano individuate e proposte dagli stessi potenziali utilizzatori. Saranno coinvolti diversi atenei italiani, in particolar modo i dipartimenti legati alle materie tecnologiche e informatiche ma anche design e discipline umanistiche, invitando gli studenti a partecipare portando anche un amico che rientri nel profilo Neet. Ma chi sono i cosiddetti Neet? Hanno tra i 18 e i 24 anni: non studiano e non cercano lavoro. Secondo un’indagine di Eurostat nel 2017 erano il 25,7%. Dieci punti sopra la media europea che e’ invece calata al 14,3%. Se poi si leggono i dati tutti italiani emergono le differenze tra le varie aree del Paese. Secondo i dati forniti dall’Istat, esiste una significativa differenza tra Nord e Sus. I Neet sono il 17% al Nord, il 20,4% al Centro e il 34,2% nel Mezzogiorno, con evidenti differenze tra le province di tutte le aree geografiche.

NEL 2017 IN ITALIA 25,7% DI NEET

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Hanno tra i 18 e i 24 anni: non studiano e non cercano lavoro. Li chiamano Neet. Nel resto dell’Europa sono in calo, ma in Italia restano tanti. Tantissimi. Secondo un’indagine di Eurostat nel 2017 erano il 25,7%. Dieci punti sopra la media europea che e’ invece pari al 14,3%. Addirittura cinque volte in piu’ rispetto ai Paesi Bassi, dove la percentuale e’ bassissima, leggermente sopra il 5%. Leggendo i dati a livello Ue, nel 2017 circa 5,5 milioni di giovani di eta’ compresa tra i 18 e i 24 anni non erano ne’ occupati ne’ in istruzione o formazione. Se poi si restringe il campo di ricerca sullo Stivale si scopre che nel 2017 un giovane su 4, di eta’ compresa tra i 18 e i 24 anni, non era
ne’ occupato ne’ stava studiando. Se i Paesi Bassi fanno parte del club dei virtuosi, a fare compagnia all’Italia vi sono nazioni come Cipro, dove i Neet sono al 22,7%, Grecia (21,4%), Croazia (20,2%), Romania (19,3%) e Bulgaria (18,6%). Ancora sopra il 15% la Spagna (17,1%), Francia (15,6%) e Slovacchia (15,3%). Tra i virtuosi come detto vi sono i Paesi Bassi (5,3%), a seguire Slovenia (8%), Austria (8,1%), Lussemburgo e Svezia (entrambi a 8,2%), Repubblica Ceca (8,3 %), Malta (8,5%), Germania (8,6%) e Danimarca (9,2%). In Europa i “disillusi”, coloro che senza occupazione possiedono una scarsa speranza di trovarlo, si sono comunque ridotti. Il dato nell’Unione Europea e’ calato dal 2012 dal 17,2% all’attuale 14,3%, per intenderci una percentuale simile ai livelli pre-crisi.
 
Ma in questo quadro favorevole non ci rientra l’Italia che rimane “maglia nera”. Se poi si leggono i dati tutti italiani emergono le differenze tra le varie aree del Paese. I dati in questo caso sono forniti dall’Istat. La distanza tra Mezzogiorno e resto del Paese si e’ accentuata negli anni. I Neet sono il 17% al Nord, il 20,4% al Centro e il 34,2% nel Mezzogiorno, con evidenti differenze tra le province di tutte le aree geografiche. Il gruppo dei territori meno svantaggiati si concentra tra il Nord-ovest e il Nord-est ma include anche alcune province del Centro, come Pisa, Siena, Ancona.
I valori variano dal minimo di Bologna (11,8%) ai massimi di Roma (21,8%) e Torino (21,3%). All’opposto, il gruppo delle province e citta’ metropolitane con piu’ Neet comprende parte di
Campania e Puglia, tutta la Calabria, la quasi totalita’ dei territori siciliani e la costa occidentale della Sardegna, raggiungendo valori tra i piu’ elevati nelle citta’ metropolitane di Palermo (41,5%) Catania (40,1%), Messina (38,5%), Napoli (37,7%) e Reggio Calabria (36,8%). Tra il 2004 e il 2016 il fenomeno ha avuto un andamento generalmente crescente, piu’ intenso al Nord (+44%), con punte elevate in alcune province del Piemonte (Vercelli, Asti, Alessandria) dove i Neet sono
raddoppiati, in parte della Lombardia (Varese e Mantova) e a Rovigo. Le province meridionali, invece, hanno generalmente ridotto la distanza dal resto d’Italia come risultato di una crescita piu’ contenuta dei gia’ elevati livelli di esclusione dei propri giovani dal lavoro e dall’istruzione.

MOLTI DISOCCUPATI E SEMPRE DI PIU’ EMIGRANO

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Li chiamano Neet, i giovani senza occupazione, privi di formazione e scarsamente interessati a cercare un lavoro. Dietro all’acronimo inglese “not in education, employment or training” si celano milioni di giovani con un presente precario e un futuro decisamente incerto. Secondo lo studio presentato nei giorni scorsi a Napoli su iniziativa dell’armatore Vincenzo Onorato, i dati sulla disoccupazione giovanile sarebbero drammatici: i giovani senza lavoro nella fascia di eta’ che va dai 15 ai 24 anni sono il 31,7%, il 16% coloro invece che appartengono alla fascia tra i 25 e i 34 anni.
 
I giovani sono quindi il gruppo piu’ colpito dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1,803 milioni di unita’, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unita’. Il tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%). Anche i divari territoriali sono
marcati: al Nord il tasso di occupazione e’ pari al 50,1% (-12,1 punti percentuali dal 2008), contro il 43,7% del Centro (-10,4 punti) e il 27,6% del Mezzogiorno (-8,4 punti).
 
E i dati acquistano contorni ancora piu’ drammatici se si tiene conto della disoccupazione giovanile nelle cinque regioni del Sud: i numeri nel Mezzogiorno superano di quasi il doppio la media dei Paesi dell’Unione Europea. Il dato della Calabria segna il 23,2%, della Campania il 20,4%, della Puglia il 19,4%, della Sicilia il 22,1% e infine della Sardegna, la cui percentuale e’ leggermente
piu’ bassa al 17,3%. Sempre i ricercatori che hanno realizzato lo studio hanno posto sotto la propria lente il fenomeno dell’emigrazione giovanile. Sono 150 mila gli italiani che ogni anno emigrano all’estero. Il loro obiettivo e’ di trovare un futuro migliore, ma dietro a ogni partenza si cela il fallimento di un Paese che ha investito soldi e forze per formare i giovani. Chi decide di trasferirsi all’Estero in moltissimi casi parte con tanto di laurea in tasca. Sono 12,7 i miliardi che l’Italia spende per la formazione sino alla laurea universitaria di coloro che, una volta laureati, cercano migliori fortune lontano dalla propria terra. Pare infatti che per formare un italiano fino alla Laurea lo Stato sborsi 173 mila euro, e considerato che a titolo conquistato il giovane emigra, vuol dire che in molti casi si rivela un investimento a perdere.

IN ITALIA 1 BAMBINO SU 10 VIVE IN POVERTÀ ASSOLUTA

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L’Italia e’ un Paese vietato ai minori, dove quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi – il 12,5% del
totale, piu’ di 1 su 10 – vivono in poverta’ assoluta. In questo contesto difficile per i giovani, la Sicilia si distingue in negativo, meglio solo della Campania, nella classifica stilata sulla base dell’indice di poverta’ educativa, contenuto nel nuovo rapporto “Nuotare contro corrente. Poverta’ educativa e resilienza in Italia”, diffuso da Save the Children in occasione del lancio della campagna Illuminiamo il futuro per il contrasto alla poverta’ educativa.
L’Isola risulta inoltre la regione del Paese con le percentuali piu’ alte di ragazzi che non leggono un libro, oltre 7 su 10 (quasi 73%); che non usano internet, piu’ di 4 su 10 (circa 41%); di alunni senza mensa (81%) e di abbandono scolastico (23,5%). Dal rapporto di Save the Children emerge che il nostro e’ un Paese dove i minori non riescono a emanciparsi dalle condizioni di disagio delle loro famiglie e non hanno opportunita’ educative e spazi per svolgere attivita’ sportive, artistiche e culturali, sebbene siano moltissimi i luoghi abbandonati e inutilizzati che potrebbero invece essere restituiti ai bambini per favorire l’attivazione di percorsi di resilienza, grazie ai quali potrebbero di fatto raddoppiare la possibilita’ di migliorare le proprie competenze.
Un Paese dove i quindicenni che vivono in famiglie disagiate hanno quasi 5 volte in piu’ la probabilita’ di non superare il livello minimo di competenze sia in matematica che in lettura rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie piu’ benestanti (24% contro 5%). Tuttavia, tra questi minori, spicca una quota di “resilienti”, ragazzi e ragazze che raggiungono ottimi livelli di apprendimento anche provenendo da famiglie in gravi condizioni di disagio. L’Italia, tra i Paesi europei, e’ quello dove i processi di resilienza sono meno sviluppati e tra le regioni italiane la Sicilia ha la percentuale piu’ bassa (14%), dopo la Calabria (12%), di minori resilienti provenienti da famiglie svantaggiate,
ovvero che riescono a superare ostacoli e difficolta’ e a raggiungere le competenze minime sia in matematica sia in lettura, molto al di sotto della media nazionale del 26%.  In occasione del rilancio della campagna Illuminiamo il futuro – giunta al suo quinto anno e attiva dal 12 maggio – Save the Children lancia una petizione on line  per chiedere che tutti gli spazi abbandonati, spesso lasciati nel completo degrado, vengano restituiti ai bambini e siano dedicati ad attivita’ sportive,
educative e culturali gratuite. La mobilitazione, accompagnata sui social dall’hashtag #italiavietatAiminori, e’ associata ai 10 luoghi vietati ai minori in Italia, individuati dall’Organizzazione con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui tanti spazi sottratti ai minori nel nostro Paese.

SI AFFIDANO A CULTURA PER DARE CONCRETEZZA AL FUTURO

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Vogliono scrollarsi di dosso vecchi cliche’ che li etichettano come sfiduciati e rassegnati. Anzi, vogliono cambiare passo affidandosi ai valori della cultura di ieri che reinterpretano con un occhio rivolto al domani: la cultura dunque come antidoto all’immobilita’ del presente. Questa l’istantanea
scattata dal Quinto Rapporto di ricerca sui giovani realizzato dall’Osservatorio Generazione Proteo, che ha intervistato circa 20mila studenti italiani, fra i 17 e i 19 anni.
In questo ritorno al futuro – che non e’ immune dagli eccessi che portano i giovani a sfidare i divieti imposti dal buon senso – la cultura ha dunque un aspetto prioritario ed e’ basata sulla riscoperta di quei valori cari ai loro genitori. Una cultura che pero’ non e’ piu’ intesa come ribellione o come divertimento (insieme raccolgono solo il 3,3%): i ragazzi di oggi, lontani dai movimenti di classe dei loro padri o dei loro nonni, sanno bene che essere colti vuol dire innanzitutto conoscere (41,6%), ma anche avere la giusta dose di curiosita’ (19,4%) e, perche’ no, mantenere legami con la tradizione (14,9%). Non occorre insomma solo studiare, comunque indispensabile per il 26,2% degli intervistati, perche’ persone preparate lo si diventa anche viaggiando (21,7%), informandosi su quello che accade nella societa’ (15,3%), venendo a contatto con altre culture (14,9%) e
appassionandosi a ogni forma di arte (11%).
 
La cult generation non rifugge pero’ il proprio mondo, che e’ fatto anche di relazioni virtuali, di cui tuttavia percepiscono i rischi: il 33,9% degli intervistati sa bene infatti che i social possono creare dipendenza e il 29,1% e’ cosciente che, isolandosi in Rete, ci si disabitua alla vita di tutti i giorni.
Cio’ nonostante il 17,2% dichiara, senza mezzi termini, che gli e’ capitato di chiudersi volontariamente in casa e di comunicare solo attraverso la tastiera. Senza pero’ cedere ad atti di autolesionismo: solo il 4,2% sostiene di essersi procurato delle ferite per poi pubblicarne le immagini sui social. Sullo sfondo, resta il fenomeno del cyberbullismo e dei video offensivi che fanno il giro della Rete. Il 50,9% degli intervistati dice che, se nei filmati la vittima e’ un amico, sono pronti a avvertirlo ma solo il 15,7% afferma che presenterebbe una denuncia alle Forze dell’Ordine. Il 18,9% dichiara poi di essere stato vittima di questo fenomeno e il 14,3% di avere reagito comportandosi a sua volta da bullo in un vero e proprio effetto domino. Ma quali sono le armi giuste per arginare il cyberbullismo e il bullismo in generale? Il dialogo a scuola e in famiglia, per il 25,5%, ma anche leggi piu’ severe, per il 25,1%. La ricerca di segni concreti si traduce poi nel proprio stile di vita, seguendo la moda o sfidando i divieti, fino allo sballo.
Il 52,3% dei ragazzi spiega di aver scelto un tatuaggio per ricordarsi di qualcosa o di qualcuno, mentre il 38,4% sostiene di fare uso di droghe leggere e il 46,7% di bere alcool fino a perdere il controllo, per puro divertimento (49,1%) o per semplice curiosita’ (30,6%).
Il 10,4% dichiara addirittura di aver sperimentato l’eye-balling, di aver cioe’ ingerito alcool come se fosse collirio per gli occhi. L’impegno e’ l’altro segno concreto al quale la cult generation da’ valore. Il 33% dei giovani intervistati ritiene che sia questo il giusto metro per quantificare il proprio stipendio, mentre il 17,8% spiega che bisognerebbe premiare chi ha maggiori responsabilita’.
 
Ma il lavoro bisogna innanzitutto averlo e i ragazzi di oggi sanno che questo non e’ sempre scontato. La disoccupazione fa certo paura, lo dice il 22,9%, ma quasi 4 giovani su dieci (il 37,5%) hanno una preoccupazione ancora piu’ alta, quella di non poter realizzare i propri sogni. Disposta a fare sacrifici (29,7%), la cult generation e’ pronta anche ad andare all’estero dove, per il 45,1%, e’ molto piu’ facile fare impresa. Pronta ma non entusiasta: il 38% degli intervistati sostiene infatti che lasciare l’Italia non gli piacerebbe affatto. E, nei tempi che si vivono, la politica resta lontana.
Il 67,1% degli intervistati dice che gli interessa poco o per nulla e, questo, per mancanza di fiducia (18,4%) e di modelli credibili (16,5%). Servirebbe, per costruire rinnovato entusiasmo, maggiore
onesta’ (32%) e vicinanza alle esigenze dei cittadini (22,5%). L’esigenza di punti di riferimento finisce con l’intrecciarsi con la cultura, nodo centrale e vera sorpresa della ricerca, che, per il 18,4% degli intervistati, rappresenta uno dei modi in cui declinare il “vivere all’italiana”. Decisivo il ruolo della scuola, sinonimo di crescita per il 40,8% degli intervistati, ma non sufficiente: il 26,2% ritiene infatti che si diventa persone colte anche viaggiando e conoscendo tradizioni diverse.

UNO SU 10 CONSUMATORE ABITUALE DI TABACCO

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E’ alto in Italia il numero di minori che fumano. Uno su dieci e’ consumatore abituale, quasi la meta’ ha fumato, ha provato a fumare o fuma ogni tanto e tra quelli abituali piu’ della meta’ fuma anche cannabis. Non accenna a diminuire invece il numero totale dei fumatori che appare in
leggero aumento. Questo dicono i dati presentati dall’OSSFAD del Centro Nazionale Dipendenza e Doping dell’ISS in occasione della Giornata Mondiale senza tabacco. I ragazzi tra i 14 e i 17 anni,
infatti, accendono la prima sigaretta alle scuole secondarie di secondo grado e una piccola percentuale addirittura inizia a fumare alle scuole elementari (9-10 anni).
 
“E’ necessario potenziare sistemi di prevenzione primaria per scongiurare questa nuova linea di tendenza che vede il consumo di tabacco anche tra i giovanissimi – dice il presidente dell’ISS Walter Ricciardi – prima che a questa dipendenza se ne associno altre altrettanto o piu’ pericolose”.
L’identikit del giovane fumatore abituale e’ tratteggiato nell’indagine EXPLORA realizzata su un campione rappresentativo di 15.000 ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Sono soprattutto maschi, frequentano istituti professionali e licei artistici, i genitori hanno un livello di istruzione medio-basso e non controllano le spese dei figli, risultano propensi al rischio e hanno una percezione del proprio rendimento scolastico mediocre o appena sufficiente. I giovani fumatori abituali, inoltre, sono quelli che fanno meno sport e che bevono piu’ energy drink.
Il dato preoccupante, inoltre, fotografa un maggiore consumo di alcolici tra i fumatori abituali, fino a quattro consumazioni di birra e super alcolici a settimana. Addirittura un 12% dichiara di aver avuto episodi di binge drinking 3 o piu’ volte nell’ultimo mese. Il dato cresce a dismisura sul consumo di droghe: piu’ della meta’ dei fumatori abituali (il 65,6%) ha fumato almeno una volta
anche cannabis nell’ultimo anno rispetto al 2% dei non fumatori.
 
L’indagine ISS-DOXA, realizzata su un campione nazionale di oltre 3.000 soggetti rappresentativo della popolazione italiana, ha confermato, una situazione di stallo, invece, nel numero totale dei fumatori: sono 12,2 milioni, in leggero aumento rispetto al 2017 (11,7 milioni). Di contro aumenta invece il rispetto del divieto di fumo nei locali pubblici e nei luoghi di lavoro, anzi secondo l’indagine PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), derivati dal sistema di sorveglianza di popolazione condotta dalle ASL e coordinata dall’ISS, il rispetto a 15 anni dalla Legge Sirchia e’ quasi totale. “La situazione generale sulla prevalenza dei fumatori si e’ cristallizzata – dice Roberta Pacifici, dDirettore dell’OSSFAD e del Centro Nazionale Dipendenze e Doping – abbiamo registrato gli stessi dati del 2007, segno evidente che non si vede alcuna inversione di tendenza, anzi si registra un lieve incremento nella popolazione maschile. Per questo abbiamo acceso i riflettori sui
giovani che rappresentano il serbatoio di riserva del tabagismo, sono quelli cioe’ che continuano ad alimentare la popolazione dei fumatori che non accenna a diminuire”.

LAVORO, 32,8% NON RINUNCIA A DIRITTI

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Per mantenere il posto di lavoro, il 27% dei millennials rinuncerebbe ai giorni festivi, il 10,5% rinuncerebbe ai giorni di malattia retribuita, il 16,7% alle ferie e il 12,4% si farebbe pagare meno del dovuto pur di tenersi il posto di lavoro. Solo un 32,8% non rinuncerebbe mai ai propri diritti di
lavoratore per farsi assumere o mantenere il posto di lavoro.
 
E’ quanto emerge dal saggio “Il ri(s)catto del presente. Giovani e lavoro nell’Italia della crisi” con i dati dell’inchiesta quantitativa che l’Istituto di ricerche educative e formative (Iref) delle Acli ha svolto coinvolgendo 2.500 under30 italiani alle prese con il mondo del lavoro attraverso una survey realizzata sul web. L’analisi, eseguita sui “nativi precari” e presentata in un seminario con gli studenti di Scienze della formazione dell’Universita’ Roma Tre, ha voluto indagare le modalita’ di approccio al mondo del lavoro e la capacita’ dei millennials al nuovo mercato professionale, fortemente condizionato da forme di “lavoro in deroga”.
 
 
Per Paola Vacchina, presidente dell’Iref, “la sensazione e’ che quando si affronta il tema del lavoro dei giovani si sbagli prospettiva” con “stereotipi – di giovani seduti e sfiduciati – che non corrispondono alla realta’”. “L’Italia – ha aggiunto – e’ tra i Paesi europei piu’ ingenerosi verso i giovani, che li tratta meno bene”. Anche per questo “sono molte le strategie che i giovani italiani adottano, anche in condizioni molto dure e spesso facendo fatica. E qualcuno non ce la fa”. “Ma sono molte – ha proseguito – le strade che provano per dare il loro contributo sulla scena della vita sociale e del lavoro, nel nostro Paese o scegliendo molte volte l’estero”. Secondo Vacchina, “questi giovani fronteggiano con realismo le difficolta’ e manifestano forme di resilienza che si concretizzano spesso in conformazioni sociali auto-organizzate per sostenersi reciprocamente”.