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Beni confiscati, destinati in Toscana 141 immobili e 16 aziende

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Un patrimonio di oltre diciassettemila immobili sparsi per l’Italia – 17.531 per la precisione, dato al 1 dicembre 2020 (il più recente) – e di questi 141 in Toscana.

Sono i beni confiscati alla criminalità organizzata che l’azienda nazionale che li amministra, la Anbsc, ha già affidato agli enti territoriali, mantenuto in alcuni casi al patrimonio dello Stato o, in qualche occasione, venduto. Altrettanti sono in attesa di destinazione, gestiti ancora dall’agenzia, di cui 11.500 già confiscati definitivamente. E poi ci sono le aziende: circa 1.500 quelle ‘destinate’ nel Paese, attorno alle 2.800 in attesa, tra queste oltre duemila confiscate in via definitiva. Lo scenario è emerso in un recente incontro avvenuto tra l’assessore alla legalità della Toscana, Stefano Ciuoffo, e il nuovo direttore di Anbsc, il prefetto Bruno Corda: riunione che è servita per entrare subito nel merito, con una disamina delle priorità. Tra le prime quella di snellire le procedure per l’affidamento dei beni.

I 141 immobili già destinati che si trovano in Toscana non sono pochi. La regione non è terra di mafia, ma da anni è noto ed acclarato che le mafie vi investono e riciclano il denaro sporco guadagnato altrove. Il dato appare ancora più evidente se si considerano gli ulteriori 403 immobili che nell’attesa di una destinazione definitiva sono gestiti dall’agenzia. Di questi solo 134, va detto, sono confiscati definitivamente. Vanno poi aggiunte le aziende: sedici quelle destinate (di cui quindici messe in liquidazione, una venduta) e cinquantadue le imprese in gestione tutt’ora all’agenzia ((di cui 31 confische definitive).

“Sulla scorta di quanto avvenuto con la Tenuta di Suvignano in provincia di Siena (terreni e immobili per settecento ettari affidati tre anni fa alla Regione ndr) – ricorda l’assessore Ciuoffo – vorremmo replicare il modus operandi anche per altre proprietà di origine illecita, strutturando un rapporto sinergico con le istituzioni locali, a partire dai Comuni”.

La tenuta di Suvignano tra Monteroni d’Arbia e Murlo è divenuta infatti un’azienda agricola attiva e una casa della legalità, aperta a campi con gli studenti e i giovani e a iniziative con i cittadini. Una vera seconda vita. “Riteniamo essenziale – prosegue l’assessore – definire un protocollo di intenti che possa fare da cornice alle azioni che dovremo mettere in campo: in collaborazione con l’agenzia, con il nucleo delle prefetture toscane, con gli attori sociali e gli enti locali, affinando il quadro conoscitivo dei beni presenti e del loro stato attuale, migliorando le procedure per l’assegnazione e sostenendo le iniziative di rilancio e rigenerazione, economica e sociale”.

Un lavoro non semplice perchè “gran parte degli immobili o delle imprese che erano intestate a condannati o loro presta nome – spiega Ciuoffo – molto spesso sono risultate scatole vuote prive di un valore ‘autentico’”. Per questo, sottolinea l’assessore, è prezioso il lavoro dell’agenzia, che dovrà stabilire su quali immobili e aziende porre l’attenzione per un rilancio: assieme naturalmente a Comuni e Prefetture, “tenendo conto delle necessità delle comunità ma senza lasciare soli i sindaci nell’attività di trasformazione e gestione degli immobili”.
Della necessità di un lavoro di squadra è convinto anche il direttore dell’agenzia nazionale, Bruno Corda.
“La cooperazione interistituzionale con le Regioni – sottolinea il prefetto – è di fondamentale importanza per la valorizzazione ed il recupero dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Da tempo è stato avviato un rapporto di collaborazione con il coordinatore della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni per armonizzare la legislazione regionale, al fine di poter operare in un quadro normativo omogeneo che possa consentire agli enti territoriali una più ampia fruibilità dei beni confiscati”. L’obiettivo condiviso è rendere più snello il sistema di destinazione attraverso una accurata selezione dei beni confiscati, immobili e aziende.

“In particolare – aggiunge – per le aziende decisivo potrebbe risultare l’aiuto delle Regioni, con il contributo anche di istituti bancari, Camere di commercio e associazioni di categoria, per consentire alle stesse di “stare” sul mercato”. “Occorre creare un tessuto economico e culturale – prosegue – che dia concreta attenzione alle aziende e che le aiuti in un processo di rilancio economico e sociale, con riflessi positivi sull’occupazione”. “La collaborazione avviata con la Regione Toscana – conclude il direttore – non può che essere valutata positivamente”.
(ITALPRESS).

Assegnate le borse di studio della Fondazione Falcone

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Come le cosche mafiose sfrutteranno la crisi economica provocata dall’emergenza Covid, il ruolo della criminalita’ organizzata transnazionale nei traffici di organi, gli investimenti e i guadagni dei clan nelle scommesse online e la figura dell’informatore nel contrasto alle organizzazioni criminali: sono alcuni degli argomenti approfonditi dai vincitori dell’edizione 2020-2021 delle borse di studio che la Fondazione Giovanni Falcone mette in palio ogni anno. Ricerche sulle mafie e su temi relativi alla legalità a cui lavoreranno i 15 giovani laureati con il massimo dei voti nelle università siciliane che si sono aggiudicati il riconoscimento.

Le borse di studio, di 6500 euro ciascuna, vengono finanziate dall’Assemblea Regionale Siciliana. Nella sede del Parlamento siciliano, ogni anno, vengono discussi i lavori dell’edizione passata e vengono annunciati gli ultimi vincitori delle borse. Quest’anno, l’emergenza sanitaria ha impedito l’organizzazione della cerimonia, che si svolgerà, “virtualmente”, nelle prossime settimane, su piattaforma online.

“Ancora una volta i ragazzi hanno scelto argomenti attualissimi per le loro ricerche. Penso ad esempio al lavoro sugli interessi che la pandemia potrebbe sollecitare nelle organizzazioni mafiose, un argomento dibattuto su cui gli esperti hanno lanciato l’allarme – dice la presidente della Fondazione Falcone, Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso nel 1992 a Capaci da Cosa nostra -. E’ delle scorse settimane la segnalazione dell’organismo di monitoraggio istituito dal capo della polizia sui tentativi dei clan di accedere alle misure di sostegno all’economia e di infiltrarsi nei servizi di sanificazione per le strutture turistiche e commerciali. Gli esperti parlano anche di un rischio che le mafie mettano le mani sulla diffusione dei vaccini che, secondo il rapporto della polizia, potrebbe interessare i gruppi criminali per l’alta domanda e la fisiologica bassa offerta iniziale”.

Durante la pandemia, poi – spiega Maria Falcone – sono aumentate dell’8% le operazioni sospette segnalate all’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia riferibili alle attività di riciclaggio. Insomma nulla di più concreto e attuale del tema scelto dalla borsista”. “Sono rimasta molto colpita dalla rigore delle ricerche, tutt’altro che compilative – conclude -. Ogni anno, valutando i lavori dei ragazzi, mi rendo conto del loro valore e delle loro potenzialità: queste borse di studio rappresentano un piccolo aiuto perchè possano approfondire e migliorare i loro studi e crearsi un futuro qui in Italia, dove tanto bisogno c’è di energie nuove”.

“Sono molto orgoglioso – dice il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè – di aver contribuito a un’iniziativa che dovrebbe essere allargata ad altri settori della conoscenza e ad altre istituzioni, per consentire ai giovani laureati maggiori possibilità di inserimento nella vita lavorativa. Istituzioni come il Parlamento siciliano hanno il dovere di valorizzare i migliori studenti dell’Isola, troppo spesso costretti a emigrare per dimostrare le loro capacità. Fin dal primo anno di legislatura ho sostenuto questo progetto perchè è lontano dall’antimafia di maniera e intriso, invece, di concretezza e vicinanza alla società civile”. “Ritengo inoltre, come sosteneva Giovanni Falcone – aggiunge Miccichè – che Cosa nostra vada combattuta non solo con la repressione ma con l’educazione dei giovani. Il fenomeno mafioso poggia infatti anche su un fattore culturale e per sconfiggerlo è necessario che le nuove generazioni crescano con la cultura della legalità”.

Questo l’elenco completo dei vincitori dell’ultima edizione: Flora Albanese, con “Il ruolo della criminalità organizzata transnazionale nel traffico illecito di organi”; Alessandra Buonasera con “Società a partecipazione pubblica: i meccanismi di prevenzione antiriciclaggio nelle procedure di affidamento dei servizi pubblici. Il possibile dialogo fra antiriciclaggio e anticorruzione volto al contrasto della criminalità organizzata e in accordo alle istanze di semplificazione amministrativa”; Valentina Cannella con “Mafia e pandemia. Sulle modalità di sfruttamento delle catastrofi da parte della criminalità organizzata”; Carla Cucco con “Il vizio del gioco: betting e gambling nella rete delle organizzazioni mafiose”; Alice Di Cola con “Il nuovo delitto di tortura: gli interrogativi in gioco ed il suo uso sistematico da parte della criminalita’ organizzata”; Annalisa Failla con “La rilettura del metodo mafioso nella lotta alle mafie autoctone, straniere e delocalizzate e la destrutturazione della condotta di partecipazione criminosa nelle associazioni con finalità di terrorismo internazionale”; Noemi Gatto con “La funzione special – preventiva della messa alla prova ed il progetto ‘AMUNI”: Il coraggio di cambiare”; Gabriele Giacoletti con “L’utilizzo ‘patologico’ di trust e leasing da parte della criminalità organizzata: strumenti di prevenzione e di contrasto”; Alessandra Marciante con “L’aggravante di agevolazione mafiosa nell’esperienza applicata: un’indagine sul campo”; Claudio Orlando con “Enterprise criminality e contrasto al fenomeno associativo di stampo mafioso: un’indagine comparata dei modelli processuali in Italia e U.S.A.”; Antonio Polizzi con ” Il ‘doppio binario’ sotto la lente della rieducazione e degli altri principi costituzionali e convenzionali che presiedono l’esecuzione della pena”; Costanza Rumbolo con “I raccordi tra intercettazioni preventive e captatore informatico nel quadro delle strategie generali di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali organizzati”; Tommaso Salerno con “La collaborazione attiva fra soggetti pubblici e privati nelle attività di contrasto alle organizzazioni criminali. Il ruolo dei whistleblowers fra prevenzione, controllo ed obblighi di segnalazione. Profili penalistici”; Fabrizio Teresi con “Criminalità organizzata transnazionale: il futuro della Convenzione Onu di Palermo alla luce del Meccanismo di Revisione e della ‘risoluzione Falcone'” e Giuseppe Verrigno con “Misure di contrasto all’inquinamento della democrazia da parte della criminalità organizzata”.
(ITALPRESS).

Ricordato il piccolo Giuseppe Di Matteo a 25 anni dall’omicidio

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PALERMO (ITALPRESS) – «E’ la prima volta che partecipo a iniziative che ricordano la memoria di mio fratello perché ancora oggi provo un dolore enorme per quanto è accaduto. Mio fratello è vivo nella memoria di tutti, ma avrei preferito morire io al suo posto».
Hanno commosso tutti le parole di Nicola Di Matteo, il fratello trentottenne del piccolo Giuseppe, proferite durante la cerimonia di commemorazione del 25° anniversario dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso l’11 gennaio del 1996 in un casolare nelle campagne di San Giuseppe Jato, veniva strangolato e sciolto nell’acido dai suoi carcerieri: Giuseppe Monticciolo, Enzo Brusca e Vincenzo Chiodo.
«Don Bosco diceva “per salvare la vita di un bambino striscerei con la lingua da Torino a Superga” – ha detto Nicolò Mannino, presidente del Parlamento della Legalità internazionale” -. Guardando la statua con i suoi bambini che campeggia nella sala parrocchiale della Chiesa madre “Santa Maria” di Altofonte in cui ci troviamo, dico che “striscerei non con la lingua ma con il cuore per salvare e proteggere la vita degli innocenti».
E, prima di spostarsi tutti al Giardino della Memoria, numerose sono state le testimonianze pregne di significato che si sono susseguite.
«La mafia non è cambiata, c’era e c’è ancora – ha sottolineato con forza Claudio Fava, presidente della Commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana -. Ha solo cambiato strategia, ma è presente come e più di prima. Tutti vanno ad Auschwitz per vedere i forni crematori, provando inevitabile orrore. Eviteremmo di vendere chiacchiere, se andassimo nei luoghi in cui la mafia ha seminato orrore, come il Giardino della Memoria, accorgendoci delle atrocità di quanto è accaduto».
«La vera sconfitta alla mafia passa attraverso la cultura – ha aggiunto Roberto La Galla, assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione Professionale – mettendo in campo iniziative che non consentano di dimenticare il sacrificio di queste persone».
«Bisogna rieducare le coscienze per riscoprire la bellezza dell’onestà. Dietro le sbarre c’è la dignità offesa di un uomo che si è macchiato di delitti allucinanti – ha affermato Salvatore Sardisco, coordinatore nazionale ella Polizia Penitenziaria FSI USAE -, ma noi dobbiamo educare i bambini, i giovani, gli adolescenti e gli onesti a essere protagonisti di una cultura del riscatto a favore dei grandi valori della vita».
«Importante fare memoria – ha concluso Mannino – insieme a chi ha vissuto questi orrori. Non posso dimenticare gli anni di condivisione in giro per l’Italia con Franca Castellese, la mamma di Giuseppe. Come dimenticare quando incontrò l’arcivescovo di Monreale e gli disse “me l’hanno buttato via come un secchio d’acqua”? . Un dolore e una disperazione che non possono scomparire».
(ITALPRESS).

Bene confiscato a Palermo diventa info-point Beni culturali

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Un bene confiscato alla mafia, che si trova a Palermo in piazza Giovanni Amendola, ad angolo con la via Paolo Paternostro, è diventato il Front-office del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana. Alla cerimonia di inaugurazione, che si è svolta in forma contenuta a causa delle procedure anti-Covid, erano presenti, tra gli altri, l’assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identita’ Siciliana, Alberto Samonà, il dirigente generale del Dipartimento, Sergio Alessandro, e la direttrice del Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione della Regione, Selima Giuliano. La realizzazione di questo nuovo servizio, oltre ad avvicinare la cultura al cittadino, rendendola maggiormente fruibile, porta con sè anche il senso del riscatto della città nei confronti della mafia.

“L’apertura di questo punto informazione – ha sottolineato Alberto Samonà – in pieno centro, in un luogo confiscato alla mafia, è la vittoria della cultura, quindi della luce, sull’oscurantismo. È un luogo aperto alla città, in cui si potrà venire a scoprire le pubblicazioni dei beni culturali, ma anche le iniziative poste in essere dai beni culturali. Facendo così noi diamo un messaggio a tutta la società: un luogo che prima rappresentava qualcos’altro, e che era in capo ad esponenti della criminalità organizzata, oggi, ritorna alla vita, in nome della cultura”.

Di particolare importanza il desk point presente all’interno, fornito di due monitor touchscreen che permetteranno l’accesso a tutti gli archivi digitalizzati in possesso della Regione Siciliana come la filmoteca regionale, la nastroteca e la fototeca. Utilissima anche la possibilità di poter consultare il repertorio cartografico detenuto dalla Regione dove ci sono dei voli, delle riprese aeree, dalla guerra fino ad oggi che potranno essere richiesti sotto forma di file e stampati.

Sergio Alessandro ha chiarito come questa sia stata per loro una scommessa: “La cultura è di tutti e con questo infopoint è più vicina alla comunità. Una cultura a portata di mano”.

La direttrice del Cricd, Selima Giuliano, figlia dello scomparso Boris Giuliano, il capo della Squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia, ha spiegato come funzionerà l’infopoint: “Non solo verranno distribuiti i libri gratuiti o in vendita dei beni culturali della Regione, ma verranno fornite anche le informazioni su tutti i più importanti eventi della Regione Siciliana in ambito culturale”.
(ITALPRESS).

Sarà Beato il giudice Rosario Livatino

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Sarà beato il giudice Rosario Livatino. Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che riconosce il martirio del magistrato siciliano ucciso dalla mafia nel 1990.

Si tratta del primo magistrato beato nella storia della chiesa. Laureatosi a soli 22 anni in giurisprudenza, il “giudice ragazzino”, così come era stato soprannominato per la sua giovane età, era entrato subito nel mondo del lavoro vincendo il concorso per vicedirettore in prova presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dall’1 dicembre 1977 al 17 luglio 1978. Aveva superato infatti un concorso in magistratura diventando uditore giudiziario a Caltanissetta.
Livatino fu ucciso, in un agguato mafioso la mattina del 21 settembre sul viadotto Gasena, lungo la strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, mentre – senza scorta, con la sua Ford Fiesta amaranto – si recava in Tribunale.

Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti che sono stati tutti condannati in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio all’ergastolo, con pene ridotte per i “collaboranti”.

Nella sua attività Livatino si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.

Il 19 luglio 2011 era stato firmato dall’arcivescovo di Agrigento il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione, aperto ufficialmente il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico di Canicattì. Concluso il processo diocesano, il materiale raccolto è stato inviato alla Sacra Congregazione per le cause dei Santi a Roma, per la valutazione finale circa l’eroicità delle virtù del Servo di Dio.
(ITALPRESS).

Targa intitolata a Falcone al Ministero della Giustizia

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“Ringrazio il ministro della Giustizia Bonafede per il tributo riconosciuto all’opera di mio fratello. Le parole di Giovanni scelte per la targa apposta oggi, al Ministero, all’ingresso della stanza in cui ha trascorso gli ultimi periodi della sua vita, sono le più indicate per ricordarlo. ‘Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni e non le parole’, è una frase che descrive pienamente il suo modo di vivere”. Lo ha dichiarato Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia e presidente della Fondazione che porta il suo nome, a proposito della intitolazione di una targa in ricordo del fratello, affissa fuori dall’ufficio di via Arenula, a Roma, in cui il giudice ha lavorato come Direttore Generale degli Affari Penali dal 1991 al giorno della sua morte.

“Purtroppo l’emergenza sanitaria che viviamo non mi ha consentito di partecipare alla cerimonia, ma so che c’è stata una grande commozione e che il ricordo di Giovanni è ancora vivo tra il personale del ministero”, ha aggiunto la professoressa.
In rappresentanza della Fondazione Falcone ha partecipato all’iniziativa il capo dipartimento delle Risorse umane e finanziarie del Ministero dell’Istruzione, Giovanna Boda, che da anni condivide con la Fondazione le iniziative per la diffusione della educazione alla legalità nelle scuole e l’organizzazione della Nave della Legalità che ogni anniversario della strage di Capaci porta a Palermo migliaia di ragazzi da tutta Italia.

“Al Ministero – prosegue Maria Falcone – Giovanni ha vissuto un periodo molto importante e proficuo del suo lavoro, un momento di serenità dopo l’isolamento subito a Palermo. A Roma ha potuto dare un contributo rilevantissimo alla nascita della legislazione antimafia che tanti risultati ha prodotto e produce a livello nazionale e transnazionale. Mi piace molto che la stanza in cui lavorava sia rimasta come lui l’ha lasciata e che ora sia occupata da un magistrato che lavora alla cooperazione giudiziaria internazionale, un ambito in cui mio fratello è stato pioniere e in cui ha molto creduto”.
(ITALPRESS).

Crotone e Napoli più permeabili alle mafie, Bolzano virtuosa

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Le province calabresi e campane presentano i valori più elevati dell’Indice di permeabilità alla criminalità organizzata sul territorio. È quanto emerge da uno studio condotto da Eurispes in collaborazione con la Direzione nazionale Antimafia e Antiterrosimo. I risultati della ricerca sono stati presentati presso la sede della Dna di Roma.

Secondo lo studio, le prime due province sono Crotone e Vibo Valencia, rispettivamente con valori di 108,62, e 107,29; la terza provincia è Napoli e la quarta è Reggio Calabria, con valori simili tra loro, 106,89 e 106,88. Queste 4 province hanno valori distanti dalle altre, evidenziando una spiccata permeabilità in questi territori. Le restanti province hanno valori più vicini tra loro, suggerendo piccole differenze nel livello di permeabilità tra posizioni vicine in graduatoria.
L’unica provincia del Nord d’Italia tra le prime 10 è Imperia, ottava nella graduatoria. Le province meno esposte alla criminalità organizzata, sempre secondo la ricerca, si trovano in Lombardia e in Friuli-Venezia Giulia, queste sono Monza e della Brianza, Como, Udine, Pordenone e Lecco.

Anche la mappa dei valori aggregati per Regione conferma sostanzialmente l’andamento provinciale.
L’analisi dinamica (nel tempo) dell’indice ha messo invece in luce una generale crescita della resistenza alla criminalità organizzata: non si registrano province con un livello alto che hanno visto il loro livello diminuire mentre quelle con un livello basso sono anche quelle che sono diminuite di più in proporzione; questa circostanza ha portato alla crescita delle differenze nei livelli di permeabilità tra le province.

Fanno eccezione, secondo lo studio, la provincia di Roma, il cui livello di permeabilità è cresciuto di 3,28 punti, salendo in graduatoria di 44 posizioni; la provincia di Milano, il cui livello è cresciuto del 2,57, salendo di 39 posizioni, crescita più elevata.
Altre province che mostrano valori in crescita sono Chieti (+2,08) e due province siciliane, Siracusa e Messina, che non solo hanno valori in crescita ma anche alti. Questo rileva una situazione delicata per la regione siciliana, poiché anche Palermo e Agrigento hanno visto aumentare la propria permeabilità.

Tra le province più virtuose, che hanno visto diminuire il valore dell’Ipco – Indice di permeabilità alla criminalità organizzata, Bolzano è stata la migliore. Il valore Ipco della provincia è sceso di 8,38 punti, scendendo in graduatoria di 71 posizioni.

Altre province che si sono distinte per una diminuzione dell’Ipco sono Matera (-4,86), Terni (-4,74) e Lodi (-4,70).
Pertanto, secondo lo studio, “l’analisi dinamica dell’Ipco evidenzia: una generale diminuzione del livello di permeabilità sul territorio nazionale; andamenti eterogenei tra le province; un aumento delle differenze tra le province; una riduzione dei casidi permeabilità più gravi; l’assenza della polarizzazione Nord-Sud osservata nell’analisi statica”.

Il Raggruppamento delle province in base alla scomposizione degli indicatori che costituiscono Ipco rivela, secondo lo studio, che: “la permeabilità del Sud è principalmente dovuta alla vulnerabilità sociale; la permeabilità del Nord è legata principalmente alle possibilità speculative e di profitto”.

Secondo lo studio Eurispes l’analisi dei 19 indicatori compositi permette di scomporre l’Ipco per comprendere meglio dove risiede l’origine della permeabilità; si tratta di: agricoltura; attività economiche (agricoltura, banche, servizi, industria, costruzioni); struttura economica; tessuto imprenditoriale; sistema dei pagamenti; mercato immobiliare; situazione finanziaria (imprese, famiglie); finanza non convenzionale; povertà; mercato del lavoro; demografia; qualità delle Istituzioni, criminalità (reati spia, microcriminalità, reati economici).

Si distinguono per la forte polarizzazione Nord-Sud gli indicatori della povertà, del mercato del lavoro e quello dell’inadeguatezza delle Istituzioni. Al contrario, gli indicatori sulle banche, sui servizi e quello sulle condizioni finanziarie delle famiglie delineano una debole polarizzazione e connotazione geografica.

Alcuni indicatori hanno anche una distribuzione asimmetrica che rivela come alcune province siano particolarmente permeabili nella relativa dimensione misurata dall’indicatore. I casi più evidenti, secondo lo studio, sono quello virtuoso di Milano nell’indicatore della povertà e il caso negativo di Napoli nell’indicatore dei reati economici. L’asimmetria si ritrova anche nella distribuzione di altri indicatori economico-finanziari, come in quello sull’industria, sulle costruzioni, sulle condizioni finanziarie delle imprese e sulla finanza convenzionale, e negli indicatori sociali e criminali, come quelli sul mercato del lavoro e della microcriminalità.

Gli indicatori della povertà e del mercato del lavoro hanno una grande variabilità tra i valori delle province, descrivendo situazioni molto eterogenee, mentre gli indicatori dell’industria e dell’imprenditorialità hanno una variabilità più contenuta descrivendo quindi una sostanziale omogeneità tra le province.

“La natura della permeabilità alla criminalità organizzata – spiega il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – prende forme diverse a seconda dei territori. Difatti la criminalità organizzata ha dimostrato di saper adattare le proprie strategie di crescita ai bisogni del territorio, riuscendo spesso a presentarsi come alternativa alle risorse legali, soprattutto per le categorie sociali più vulnerabili. Ciò permette a queste organizzazioni di aumentare sia il loro controllo sul territorio, sia il sostegno ricevuto da parte dello stesso”.

“Inoltre – prosegue Fara -, infiltrandosi nei tessuti produttivi legali, la criminalità organizzata mimetizza le proprie condotte rendendo più difficile distinguere tra legale e illegale. Ciò avviene tanto per i processi produttivi, quanto per le risorse usate e per le forme organizzative e di competizione, con grave danno delle realtà imprenditoriali più virtuose, della credibilità di un intero sistema economico, della fiducia nella sua struttura finanziaria e nei flussi che da essa promanano”.

“In generale – conclude il Presidente dell’Eurispes -, nelle province del Sud la vulnerabilità è principalmente dovuta a forme di fragilità economico-sociali, che spingono i gruppi criminali a forme più tradizionali di controllo del territorio, che generano a loro volta una maggiore fragilità. Nelle province del Nord la vulnerabilità è più legata al mondo produttivo, dove i gruppi criminali possono infiltrarsi in virtù della forza finanziaria ottenuta attraverso proventi illeciti”.
(ITALPRESS).

Raggi “strappare alla criminalità i giovani delle periferie di Roma”

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“Nelle periferie di Roma dobbiamo strappare i giovani alla criminalità. Quando i ragazzi credono di non avere opportunità, arrivano delinquenza e mafia, attirandoli nella loro rete. Non possiamo e non dobbiamo permetterlo: dobbiamo far vedere loro che esistono alternative”. Lo ha scritto in un post sulla sua pagina Facebook il sindaco di Roma, Virginia Raggi, che nei giorni scorsi ha presentato alcuni protocolli pensati per le periferie romane e non solo, come quello firmato con l’associazione nazionale magistrati per fare alcune lezioni di antimafia nelle scuole elementari e medie, 1 ora al mese in ogni scuola, o quello con alcune single sindacali della stampa per un corso dedicato ai ragazzi dei licei, che potranno frequentare un corso di 40 ore per poi scrivere la vita nelle periferie e svolgere uno stage nei giornali.

“Il nostro lavoro sulle periferie non si è mai fermato – ha proseguito -. E continua in maniera sempre più decisa. Insieme a Federica Angeli, che ho nominato delegata alle periferie di Roma Capitale, abbiamo parlato di altri progetti che abbiamo in mente di realizzare in tanti quartieri della città. Serve creare opportunità lavorative, di svago, momenti di incontro, di aggregazione, di creatività”.

“In questi anni – ha sottolineato – ho visto che, piano piano, la gente è tornata a fidarsi delle istituzioni. E questo perchè le istituzioni sono tornate sul territorio, tra i cittadini: per ascoltare, accogliere richieste e per dare risposte. La cosa più bella è quando vedo le persone che si riappropriano dei loro quartieri, dei loro spazi. Le periferie non sono luoghi lontani ma parte integrante e viva della nostra città. Il nostro compito è prendercene cura offrendo a chi ci vive la concreta possibilità di un futuro migliore”.

Alla presentazione dei protocolli anche la neodelegata alle periferie Federica Angeli che ha spiegato, parlando dei ragazzi che con il progetto della stampa “si vuole dare una chance a questi ragazzi di fare un mestiere spesso esclusivo per quelli che frequentano la Luiss. Spesso i ragazzi delle periferie hanno come possibilità quella di fare l’elettricista o l’idraulico, mestieri importanti, ma possiamo provare a far pensare che esiste un’altra faccia del lavoro: quella del cronista”.

Altro progetto sarà quello che vedrà i tanti immobili commerciali di proprietà del comune attualmente chiusi. Si chiamerà “Il Lavoro nobilita il quartiere” e permetterà a un imprenditore interessato di rialzare quelle serrande a canone zero per 24 mesi, “nelle parti più brutte della città – ha specificato Angeli – nelle strade piu’ buie dove la criminalità ha sempre comandato”. La condizione posta sarà quella di assumere persone del quartiere.
(ITALPRESS).