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Prescrizione del reato, come funziona

Prescrizione del reato: quali sono i termini previsti dalla legge prima che un reato possa cadere in prescrizione? Tutte le informazioni sulla prescrizione del reato.

Il concetto di prescrizione del reato verte sul fatto che i diritti soggettivi non hanno durata illimitata nel tempo. La prescrizione prevista dal codice civile è, per definizione, l’estinzione del diritto che si verifica quando il titolare omette di esercitarlo per tutto il tempo previsto dalla legge. 

Sono molti i diritti, soprattutto di natura patrimoniale che, sforando i termini di legge, vedono il debitore svincolato dal pagare ogni sorta di pena. I diritti di natura patrimoniale sono quelli che prevedono il pagamento di somme di denaro, questi non sono gli unici reati prescrivibili per legge, anche per il cosiddetto “reato penale” esistono termini di prescrizione.

 

Il Calcolo della prescrizione di reato

Non esiste un calcolo universale per stabilire entro quanto tempo un certo reato possa “cadere in prescrizione“. I termini di prescrizione variano da reato a reato. In questo paragrafo riporteremo esempi pratici degli anni da attendere per vedere prescritto un determinato reato, dall’appropriazione indebita all’affitto. 

 

In generale, la prescrizione si compie in 10 anni; in questo contesto si parla di prescrizione ordinaria e va applicata sempre a meno che non subentri la cosiddetta “prescrizione breve” dalla durata di uno, due, cinque o sei anni.

  • Il reato di appropriazione indebita non può essere prescritto prima di 6 anni (art. 157 codice penale) dalla data di consumazione del reato e non dalla data di contestazione. 
  • In caso di incidente, se la parte lesa non fa causa entro 2 anni (scadenza del termine di prescrizione) non potrà più chiedere il risarcimento. 
  • Il diritto di incassare un “risarcimento danni” può essere esercitato entro 5 anni dal giorno in cui il fatto si è consumato. In caso in cui il risarcimento danni coinvolge la circolazione di veicoli, il diritto va in prescrizione in soli 2 anni.
  • Il diritto di riscuotere un pigione di una casa data in affitto si prescrive in 5 anni.
  • I diritti derivati dal contratto di assicurazione si prescrivono in un anno.

 

 

Come si interrompe la prescrizione? 


Se un reato ha raggiunto il termine di prescrizione non può avvalersi di proroghe. Al contrario, se un reato non ha ancora raggiunto il termine di prescrizione, lo stesso termine può essere facilmente rimandato facendolo decorrere daccapo. 

E’ vero che il countdowns dei termini di prescrizione del reato parte dal giorno in cui si è consumato il reato, tuttavia, notificando una citazione in causa al debitore sarà possibile “prorogare i termini di prescrizione”. 

Per interrompere il termine di prescrizione e farlo ripartire da zero, è possibile:

  • – notificare una citazione in causa al debitore.
  • – Inviare una diffida in forma scritta (costituzione in mora) per mezza di raccomandata A/R o con posta elettronica certificata.

Infortunio sul lavoro: il risarcimento

Infortunio sul lavoro: quando è previsto un risarcimento e cosa fare in caso di infortunio sul lavoro. Gli obblighi del datore di lavoro e di chi subisce l’incidente.

Si può parlare di risarcimento per infortunio sul lavoro quando l’assicurazione obbligatoria Inail copre ogni incidente avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro. Per essere considerato un vero infortunio sul lavoro, la vittima dovrà portare danni permanenti o momentanei ma per più di tre giorni. Il risarcimento per un infortunio sul lavoro è ben differente dall’indennizzo previsto per la malattia professionale perché è causato da un evento improvviso e violente. 

Un infortunio non deve necessariamente avvenire sul posto di lavoro o durante l’orario lavorativo per aver diritto al risarcimento. Per essere considerato “infortunio sul lavoro” e aver diritto al risarcimento, l’incidente può avvenire in tutte quelle situazioni dove esiste un rapporto (anche indiretto) di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta e l’incidente che ha causato l’infortunio.

Un esempio lampante è dato dal risarcimento previsto per il cosiddetto infortunio in itinere: l’inail tutela i lavoratori nel caso di infortunio che si verifica nel compiere il tragitto da casa al lavoro e viceversa. Nella tutela è compresa qualsiasi modalità di spostamento, dai mezzi pubblici all’all’auto privata (solo se l’uso è necessario). A regolare i termini del risarcimento previsto per l’infortunio sul lavoro è l’art. 13 del DLGS n. 38/2000.

 

Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro

 

1. In teoria, in caso di incidente sul lavoro, l’infortunato dovrebbe avvisare prima il datore di lavoro che provvederà poi a inviarlo al pronto soccorso. Nella maggior parte dei casi, quando si verifica un infortunio sul, viene allertato prima il pronto soccorso.

2. Con la visita medica al pronto soccorso verrà rilasciato il primo certificato medico che dovrà poi essere trasmesso al datore di lavoro.

3. Il datore di lavoro dovrà effettuare la denuncia dell’infortunio sul lavoro sfruttando il modello dell’inail. Il modello Mod. 4 Bis Prest serve a denunciare all’Inail eventuali infortuni sul lavoro, l’inoltro del modello dovrebbe essere fatto entro 2 giorni dall’evento, pena una multa amministrativa da 1.290,00 € fino a 7.745,00 euro. Per un infortunio dei lavoratori autonomi del settore artigianato o del settore agricolo, non sono previste sanzioni pecuniarie ma per l’omessa denuncia si perderà, in parte, il diritto all’indennità.

4. Chi ha subito l’incidente, due o tre giorni prima della scadenza della prognosi indicata sul certificato medico del pronto soccorso, dovrà recarsi alla visita medica presso gli ambulatori dell’Inail. 

Solo dopo questa trafila si potrà parlare di risarcimento. A seguito della prima visita medica dell’Inail, sarà necessario fissare un secondo incontro in caso di infortunio temporaneo. Alla vittima dell’incidente sarà rilasciato un certificato medico INAIL da consegnare al datore di lavoro. Per poter riprendere il lavoro, l’inail, in secondo momento, dovrà rilasciare un ulteriore certificato medico per notificare la chiusura definitiva dell’infortunio temporaneo.

 

Infortunio sul lavoro e risarcimento 

Chi necessita di assistenza e ulteriori informazioni in tema di risarcimenti per infortunio sul lavoro, può rivolgersi ai Patronati. L’assistenza dei Patronati va a tutelare i lavoratori infortunati, per legge, in modo del tutto gratuito.

 

Separazione consensuale senza avvocato

Separazione consensuale senza avvocato: le istruzioni per accedere alla separazione consensuale e poi al divorzio senza necessità di un avvocato. Separazione consensuale davanti al Giudice o al Sindaco.

La separazione consensuale senza avvocato è possibile quando tra i due coniugi è già presente un accordo sulle condizioni di mantenimento e sull’affidamento dei figli. Con la separazione consensuale senza avvocato, i due coniugi possono rivolgersi direttamente al giudice per usufruire di una sorta di divorzio fai da te. In questa pagina vedremo come ottenere la separazione senza avvocato.

Quando si parla di separazione dei coniugi, la figura dell’avvocato non è sempre necessaria, lo è in caso di separazione dei coniugi giudiziale (contenziosa) ma non in caso di separazione consensuale. Grazie al divorzio breve, l’unico vantaggio della separazione consensuale non è il risparmio sulle spese per l’avvocato: con la separazione dei coniugi consensuale, i tempi di attesa per accedere al divorzio sono di soli 6 mesi.

 

Separazione consensuale senza avvocato, le istruzioni

Per formalizzare la separazione in Tribunale senza avvocato e far scattare il periodo di attesa dei sei mesi necessari per l’accesso al divorzio, basterà predisporre un ricorso congiunto e depositarlo in Tribunale. Da qui, i coniugi dovranno comparire davanti al Giudice che provvederà a rendere effettiva la separazione. Trascorsi sei mesi da questa data, i coniugi potranno ottenere il divorzio, ossia il definitivo scioglimento della promessa matrimoniale. Per ottenere la separazione senza avvocato bisognerà:

1. Stendere il ricorso

In questa fase potrebbe essere consigliata la figura di un avvocato o di una persona competente superpartis. Non sempre i due coniugi riescono a essere obiettivi su temi quali assegni di mantenimento, assegnazione della casa… Chi vuole fare da solo può sfruttare uno dei tanti modello e moduli di separazione consensuale disponibili online. 

2. Depositare il ricorso 
Il ricorso va depositato nella cancelleria della Sezione Famiglia oppure, in caso di piccoli tribunali, va consegnato presso la cancelleria del Presidente del Tribunale. I coniugi dovranno rivolgersi al tribunale della città di ultima residenza in comune. 

3. L’udienza 
Dopo circa 15 giorni sarà necessario contattare la cancelleria per apprendere la data della vostra udienza. In occasione dell’udienza dovrete presentarvi davanti al Giudice e chiedere la convalida della separazione così come richiesto con il ricorso. 

4. Documento di separazione 

Pochi giorni dopo l’udienza, ricordate di passare in cancelleria per richiedere la copia autenticata dell’omologa di separazione così da farla registrare allo stato civile.

5. I documenti da allegare al modulo di separazione consensuale 

Alla richiesta di separazione consensuale senza avvocato andranno allegati i seguenti documenti:

  • Certificato di residenza del marito
  • Certificato di residenza della moglie
  • Stato di famiglia
  • Estratto per riassunto dell’atto di matrimonio del Comune in cui si è registrato il matrimonio
  • Scheda ISTAT compilata
  • Contributo unificato da 43 euro 

Mentre il contributo unificato si compra nelle tabaccherie, la scheda ISTAT può essere scaricata dal portale istat.it si tratta del mod. Istat M. 252. La compilazione è semplice, ricordatevi che si tratta di un documento a soli fini statistici.

 

Separazione consensuale in tribunale o al comune?

I coniugi, una volta concordati i termini di separazione consensuale senza avvocato, potranno separarsi, divorziare o modificare le condizioni depositando il ricordo in tribunale o al municipio cittadino.

E’ possibile accedere alla separazione in Comune (davanti al sindaco o a chi ne fa le veci) solo quando:

  • non ci sono figli minorenni
  • non ci sono figli maggiorenni bisognosi di tutela (disabili o economicamente non autosufficienti)
  • in caso di trasferimenti patrimoniali (assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento…).

Per maggiori informazioni sulla separazione consensuale senza avvocato vi rimandiamo all’articolo “come funziona il divorzio breve“.

 

Assegno di mantenimento, tutte le informazioni

Assegno di mantenimento: la normativa, quando spetta, su cosa si basa il calcolo e tutte le informazioni su separazione e divorzio. Dal divorzio consensuale a quello contenzioso. 

L’assegno di mantenimento può essere frutto della volontà del Giudice in caso di divorzio contenzioso, oppure scelto liberamente dai coniugi in caso di divorzio consensuale o  assistito. La presenza e l’entità dell’assegno di mantenimento sono stabiliti in sede di separazione dei coniugi. L’assegno di mantenimento consiste nel versamento di una somma di denaro (che può essere modificata nel tempo) a beneficio del coniuge economicamente debole o avente figli nati dal matrimonio. 

La normativa di riferimento per l’assegno di mantenimento è il d.lgs 154/2013.

 

Assegno di mantenimento, quando spetta

L’assegno di mantenimento diventa un diritto del coniuge economicamente debole quando si verificano alcune circostanze, nello specifico:

 

  • – nella domanda di separazione il coniuge economicamente debole ne fa richiesta.
  • – Al coniuge che richiede il mantenimento non deve essere addebitata la separazione.
  • – Il coniuge che richiede l’assegno di mantenimento deve essere economicamente debole cioè non avere “adeguati redditi propri”.
  • – Il coniuge che deve versare l’assegno di mantenimento deve disporre di mezzi economici idonei.

 

In caso di separazione, il coniuge economicamente favorito dovrà provvedere al mantenimento materiale non solo del coniuge economicamente debole ma anche dei figli. E’ per questo che è importante distinguere l’assegno di mantenimento a favore del coniuge da quello a favore dei figli, quindi, in molte situazioni, il coniuge con adeguati redditi propri, dovrà elargire un doppio assegno di mantenimento:

  1. un assegno di mantenimento a favore dei figli
  2. 
un assegno di mantenimento a favore del coniuge

Oltre a chiarire la differenza tra assegno di mantenimento per coniuge e quello per i figli, è necessario fare luce su quando si versano gli alimenti.

Tra le circostanze necessarie a ottenere l’assegno di mantenimento abbiamo chiarito che la richiesta di separazione non deve partire da chi richiede il mantenimento. Se chi richiede il divorzio è il coniuge economicamente debole, questo potrà ambire al versamento degli alimenti, cioè potrà ricevere periodicamente una somma di denaro nei limiti dei bisogni necessari a garantirgli il suo sostentamento. 

Al contrario, l’assegno di mantenimento tiene conto del reddito del coniuge economicamente più forte e del tenore di vita abituale del coniuge economicamente debole. Come è chiaro, il calcolo dell’assegno di mantenimento non è facile da portare a termine.

Un altro argomento che potrebbe interessarvi: Imu per coniugi separati, chi deve pagare?

 

Assegno di mantenimento ai figli minorenni

Dopo aver parlato dell’assegno di mantenimento al coniuge, passiamo all’obbligo che ha ciascun genitore nel mantenimento dei figli. Anche in questo caso, il calcolo dell’assegno di mantenimento ai figli si fa in proporzione al reddito. Per il calcolo dell’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto per i figli è necessario considerare:

 

  • le esigenze del figlio
  • tenore di vita del minore durante la convivenza dei genitori
  • affidamento del figlio (permanenza presso ciascun genitore)
  • reddito di entrambi i genitori
  • valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore

 

L’assegno di mantenimento ai figli è dovuto anche in caso di affidamento condiviso. 

 

Assegno di mantenimento ai figli maggiorenni

Questa volta la normativa di riferimento è l’art. 155-quinquies del Codice Civile che prevede: qualora la coppia abbia figli maggiorenni non economicamente autosufficiente, il giudice potrebbe ugualmente disporre il pagamento di un assegno periodico atto al mantenimento dei figli maggiorenni. In caso di figli maggiorenni disabili o portatori di handicap si applica la normativa prevista per l’assegno di mantenimento dovuto ai figli minorenni. La normativa appena citata è ribadita dal d.lgs 154/2013 che ribadisce il potere del giudice di valutare le circostanza e obbligare uno dei coniugi a versare l’assegno di mantenimento ai figli anche in caso che abbiano raggiunto la maggiore età.

 

Divorzio e assegno di mantenimento in sede di dichiarazione dei redditi

In caso di divorzio, in sede di dichiarazione dei redditi, si fa confusione tra assegno di mantenimento del coniuge separato e l’assegno di mantenimento dei figli.

Chiariamo subito che, l’assegno di mantenimento del coniuge separato o divorziato è deducibile dal reddito imponibile del coniuge che lo versa mentre costituisce reddito imponibile per chi lo percepisce. Al contrario, l’assegno per il mantenimento dei figli non è deducibile dal reddito di chi lo paga e non costituisce reddito imponibile per il coniuge che lo incassa.

 

Divorzio consensuale e assegno di mantenimento

Dall’Agosto 2014, con l’introduzione del cosiddetto Divorzio breve, è stata definitivamente sancita la possibilità di separarsi senza l’ausilio di un legale. La separazione senza avvocato, per legge, è consentita quando i due coniugi sono d’accordo sia sul divorziare sia sulle condizioni (per patrimonio comune, uso dell’abitazione, assegno di mantenimento, ecc.). Dalla separazione, in caso di divorzio consensuale, i tempi di attesa per lo scioglimento del vincolo matrimoniale è di soli sei mesi. Per maggiori informazioni vi rimandiamo alla pagina: Separazione consensuale senza avvocato.

 

Detrazione spese mediche 2016

Detrazione spese mediche 2016: quali sono le spese detraibili e cosa cambia, a partire dal 2016, nel modello 730 precompilato.

Con la dichiarazione dei redditi dello scorso anno c’è stato il debutto del nuovo modello 730 Precompilato, un sistema rivoluzionario in grado di aiutare i più inesperti ma non ancora completo. L’incompletezza del modello 730 Precompilato 2015 era dettata dal fatto che le spese mediche e sanitarie non erano inserite automaticamente dal sistema. Con la prossima dichiarazione dei redditi e il modello 730 precompilato 2016, invece, anche le spese mediche e sanitarie verranno automaticamente inserite.

 

Detrazione spese mediche 2016, come funziona

Nella dichiarazione dei redditi precompilata 2016 saranno già presenti i dati che riguardano le spese mediche sanitarie, dati prelevati dal sistema «Tessera Sanitaria».

Questo significa che ogni volta che si utilizza la tessera sanitaria, viene registrata la spesa medica o sanitaria sostenuta. Ecco a cosa serve il cosiddetto “scontrino parlante” della farmacia ed ecco perché il farmacista vi chiederà la tessera sanitaria al momento dell’acquisto di farmaci.

Mediante l’impiego della tessera sanitaria, saranno salvati e trasmessi tutti i dati riguardanti le spese mediche, grazie a questi dati, l’Agenzia delle Entrate provvederà a ricavare l’importo complessivo delle spese mediche detraibili ed a inserirle nel modello 730 precompilato 2016.

In altri termini, i professionisti o le strutture che erogano servizi sanitari quali ospedali, ambilatori, medici, farmacie, inviano al Sistema Tessera Sanitaria i dati relativi alle prestazioni che hanno erogato nel corso dell’anno fiscale. Dal 1° marzo del 2016, tale sistema, provvederà a fornire all’Agenzia delle Entrate i dati raccolti sulle spese sanitarie di ogni contribuente.

Dal 15 aprile di ciascun anno, il contribuente potrà  accedere al sistema TS (TS è l’acrnimo di Tessera Sanitaria) per consultare e verificare le singole voci di spesa.

Le spese mediche e sanitarie detraibili dalla dichiarazione dei redditi 2016 prevedono una detrazione del 19% Irpef; tale agevolazione riguarda sia il contribuente che il coniuge o familiare a carico, a patto che tali prestazioni o esami, vengano regolarmente documentati con relativa fattura, ricevuta fiscale, parcella o scontrino parlante. 

 

Detrazione spese mediche 2016, quali spese sono detraibili

Ai fini di detrazione della spesa sostenuta, sul documento va indicato obbligatoriamente il codice fiscale, il tipo di prestazione o natura, qualità e quantità dei prodotti acquistati.

Quali spese mediche è possibile detrarre al momento della dichiarazione dei redditi?
Ecco le seguenti spese mediche che possono essere detratte dal 730:

  • Ticket sanitari;
  • interventi chirurgici e trapianti;
  • Visite mediche prestate da dottori generici, specialisti e omeopati;
  • Assistenza infermieristica o fisioterapica;
  • Esami di diagnostica e di laboratorio qualora prescritti da un medico;
  • Cure dentistiche odontoiatriche;
  • Spese per l’acquisto o il noleggio di attrezzature mediche;
  • Spese per cure termali su prescrizione medica (no viaggio e soggiorno);
  • Spesa per assistenza, cure e farmaci per una persona anziana ricoverata in un Istituto;

 

Detrazione spese mediche 2016, opposizione del nuovo modello Precompilato


È possibile opporsi all’inserimento telematico  delle detrazioni fiscali relative alle spese sanitarie; in tal caso, il contribuente dovrà comunicare al Fisco la volontà di non autorizzare la trasmissione dei propri dati.

Dovrà, pertanto, non comunicare il proprio codice fiscale a chi emette lo scontrino parlante, oppure chiedere al medico o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione sulla ricetta o documento. 

Dall’1 al 28 febbraio di ogni anno si può manifestare l’opzione direttamente dal sito dell’Agenzia delle Entrate.

 

Sospensione delle rate del mutuo

Fino al 31 dicembre 2017 è possibile richiedere la sospensione delle rate del mutuo. Non sono però oggetto di sospensione gli interessi , che dovranno comunque essere pagati. Vediamo nei dettagli chi può beneficiare e come accedere alla moratoria. 

Sospensione rate mutuo, chi può fare richiesta

La crisi economica rende sempre più pressante il peso delle rate del mutuo da pagare per chi ha acquistato un’abitazione principale, ragion per cui, la Legge di Stabilità 2015 ha previsto la nuova moratoria sui mutui fino al 2017.

L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) insieme alle associazioni di consumatori ha stabilito le regole per la sospensione della sola quota di capitale del credito alle famiglie.

Possono beneficiare della sospensione delle rate del mutuo coloro che hanno acquistato l’abitazione principale. È esclusa la seconda casa. In tal caso, sarà  possibile rivolgersi alla banca per chiedere la sospensione per un periodo massimo di 12 mesi  della quota capitale delle rate mensili di pagamento. La richiesta dovrà pervenire entro il 31 dicembre 2017 e potrà essere fatta  solo una volta.

Tale operazione non prevede commissioni, né interessi di mora. Alla scadenza del periodo di sospensione, il piano di ammortamento riprende e ovviamente si allunga la durata del mutuo. 

Sospensione rate mutuo, quando può essere richiesta

La sospensione delle rate del mutuo può essere richiesta nei seguenti casi:

  • 1) In caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato: sono da escludere i casi di risoluzione consensuale ,  licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dimissioni del lavoratore non per giusta causa.
  • 2) In caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di almeno 30 giorni anche in attesa dell’emanazione di provvedimenti di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito: gli ammortizzatori sociali in deroga, cassa integrazione, ecc
  • 3) In caso di morte
  • 4) In caso di handicap o grave o condizione di non autosufficienza sopraggiunta.

N.B: nel caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, possono chiedere la moratoria anche i titolari di mutuo garantito da ipoteca su immobili adibiti ad abitazione principale per 12 mesi e in relazione alla quota capitale.

Sospensione rate mutuo, documenti da presentare

Nei casi suddetti, il titolare del mutuo può chiedere, alla banca che aderisce alla moratoria, la sospensione del mutuo con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Vanno poi allegati i seguenti documenti:

  • – Se si tratta di perdita di lavoro, occorre la lettera di licenziamento, di dimissioni o il contratto di lavoro da cui si evince la scadenza intervenuta.
  • – Se si tratta di morte, occorre il certificato di decesso.
  • – In caso di handicap insorto, occorre la certificazione medica che rilascia l’ASL.

La banca o l’intermediario che ha concesso il mutuo dovrà rispondere entro 20 giorni lavorativi.

Coloro che in passato hanno già beneficiato di un periodo di sospensione per altre misure, possono accedere alla nuova moratoria solo se sono trascorsi almeno 24 mesi dall’avvio dell’istruttoria precedente.

Sospensione rate mutuo, a chi non spetta

Non possono beneficiare della sospensione:

  • i mutuatari morosi che hanno maturato un ritardo nelle rate del mutuo superiore a 90 giorni.
  • Coloro che hanno stipulato una polizza assicurativa a copertura della perdita o riduzione del lavoro.

 

 

Cambio di residenza online

Cambio di residenza online: le istruzioni su come cambiare la residenza via internet sfruttando moduli online e posta elettronica.

State cambiando casa? In questo caso vi toccherà fare anche il cambio di residenza. Avere la residenza significa avere il rilascio di certificati anagrafici e l’accesso a servizi demografici cittadini.

Non tutti sanno che il cambio di residenza può essere richiesto online tramite l’impiego di un indirizzo di posta certificata. Alla richiesta di cambio di residenza online bisognerà allegare la copia del documento di identità. Per il cambio di residenza online non è necessario l’impiego di fax, anzi, sono rarissimi i casi eccezionali in cui il municipio richiede l’inoltro di un documento tramite questo mezzo ormai in disuso.

Grazie a questa semplificazione, il cambio residenza è diventata un’operazione più semplice e più comoda: con il cambio di residenza online non occorre più recarsi negli uffici comunali preposti ne’ dover attendere lunghe code. 

E’ bene sottolineare che, con la posta cerficiata, questi documenti hanno lo stesso valore di quelli che vengono consegnati cartacei presso gli uffici appositi.

Cambio di residenza online, la documentazione

La dichiarazione di cambio di residenza online può essere eseguita mediante una di queste modalità:

Via posta elettronica

Occorrente: posta elettronica, firma digitale o carta dei servizi o carta d’identità elettronica

Bisogna compilare un apposito modello dichiarazione di residenza, questo modello si può scaricare direttamente sul sito del Comune. Bisognerà compilare il modello in ogni sua parte e sottoscriverlo con firma digitale oppure identificarsi con la carta di identità elettronica o la carta dei servizi.

Via posta elettronica certificata (PEC)

Occorrente: un indirizzo attivo di posta elettronica certificata 

In questo caso non occorre firmare la dichiarazione perché la persona che fa la dichiarazione è identificata attraverso la PEC, quindi non sarà necessario disporre di firma digitale. Il modulo va scaricato sempre dal sito del Comune di nuova residenza e va inviato all’amministrazione.

Di persona, attraverso gli sportelli comunali

Bisogna recarsi allo sportello e utilizzare il modulo dichiarazione di residenza (o dichiarazione di trasferimento di residenza all’estero).

Cambio residenza online, come funziona

Una volta fatta la domanda, il Comune potrà proseguire l’iter della pratica andando a inserire il richiedente all’interno del proprio archivio anagrafico. Questa operazione deve avvenire obbligatoriamente entro i due giorni lavorativi utili e successivi alla presentazione della richiesta.

Se il cambio di residenza è di un Comune diverso? 

Se il cambio di residenza  avviene fra Comuni diversi oppure si tratta di un cittadino iscritto all’anagrafe italiani residenti all’Estero (AIRE), l’ufficio ricevente dovrà comunicare la variazione di residenza al Comune di Provenienza, sempre entro i due giorni previsti dal decreto.

Il Comune di provenienza dovrà inviare i dati del cittadino al Comune di destinazione entro e non oltre i cinque lavorativi, sempre per via telematica.

Dopo aver effettuato questo passaggio di dati, i due Comuni avranno a disposizione 45 giorni di tempo per  poter verificare le dichiarazioni in loro possesso, ed eventualmente inviare al cittadino, che ha effettuato il cambio di residenza online,  un avviso che indichi i documenti che occorrono per  terminare la pratica; in caso contrario scatterà il silenzio-assenso.

Cosa succede se viene dichiarato il falso?

Attenzione ai controlli dato che nei 45 giorni successivi alla richiesta di cambio di residenza, il Comune effettuerà le verifiche e controllerà la documentazione presentata dal richiedente. Se vengono effettuate dichiarazioni non veritiere, va a decadere l’iscrizione presso il nuovo comune o la nuova residenza. Non solo la richiesta sarà respinta ma scatterà, in questo caso, un procedimento penale. Con il procedimento penale seguirà una segnalazione da parte del Comune alle autorità competenti.

Canone Rai, pagamento 2016

Canone Rai 2016: quanto si paga, come si paga e come funziona l’addebito in bolletta. Informazioni su esenzione, scadenze e sconti.

Da gennaio 2016 il canone Rai verrà inserito direttamente nella bolletta per la fornitura dell’energia elettrica. L’importo da pagare scenderà da 113,5 a 100 euro ma la nuova modalità di pagamento in bolletta si stima che assicurerà un incremento degli introiti di 600 milioni di euro nelle casse dello stato. Vediamo nel dettaglio tutte le info su canone Rai 2016 addebitato in bolletta.

Canone Rai 2016, come funziona

Da gennaio 2016 i contribuenti dovranno pagare il canone Rai in 6 rate annuali direttamente nella bolletta elettrica. Quanto costa il canone rai 2016? La cadenza  sarà bimestrale e ogni rata avrà l’importo di 16,66 euro, per un totale di circa 100 euro all’anno. Il canone dovrà essere pagato solo per la prima casa e anche dagli affittuari

Canone Rai 2016 addebitato in bolletta

Questa la novità prevista nella Legge di Stabilità 2016 recepita in un decreto ad hoc che dovrà essere approvato entro 45 giorni dal Ministero dello sviluppo economico. Il canone di abbonamento alla televisione pubblica spetta solo sulla prima casa. Anche chi è in affitto dovrà pagare il canone Rai, anche le giovani coppie che hanno trasferito la residenza uscendo dallo stato di famiglia dei genitori.

Canone Rai 2016, esenzioni e a chi non spetta

Il pagamento del canone Rai nella bolletta della luce riguarda solo i contratti domestici; chi non ha il televisore né internet a casa non dovrà pagare il canone. In pratica, rimane escluso chi non ha la televisione e naviga in Internet attraverso pc, notebook, Tablet e smartphone non attraverso il classico modem da contratto bensì attraverso pennette e smartruther che funzionano con una sim atta a garantire il traffico dati. Anche chi usa tablet e smartphone come modem e non ha una linea fissa resterà esentato dal pagare il canone.

In questo senso, si ipotizza un’apposita autocertificazione che il contribuente dovrà inviare all’Agenzia delle Entrate dove dovrà dichiarare di non essere in possesso del televisore.

Per fare chiarezza, chi non possiede un televisiore ma un tablet, un notebook o un qualsiasi device atto alla trasmissione di programmi televisivi (quindi non con il digitale terrestre ma con il cosiddetto “streaming”), dovrà pagare il canone solo se il dispositivo è associato a una line internet di rete fissa e non mobile. 

Cosa succede se il canone Rai non viene pagato?

Per coloro che non pagano è prevista una maxi sanzione  fino a 500 euro, cioè cinque volte l’importo. Chi non pagherà la bolletta della luce potrà invece corrispondere il canone Rai e viceversa. Per ulteriori dettagli si attende la pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Esenzione canone Rai per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni 

Per beneficiare dell’esenzione occorre: 

  • aver compiuto 75 anni entro il termine di pagamento del canone;
  • non convivere con altri soggetti diversi dal coniuge titolari con reddito proprio;
  • avere un reddito che insieme a quello del proprio coniuge convivente, non sia superiore complessivamente ad euro 516,46 per tredici mensilita’ (euro 6.713,98 annui).

Per tutte le altre forme di esenzione, vi invitiamo a leggere l’articolo: esenzione canone RAI, a chi spetta“.

Il cambio intestazione per non pagare il canone rai

Per non pagare il canone Rai sembrerebbe che molti vogliano optare per il cambio dell’intestatario del contratto della luce. Ci riferiamo a coloro che nel nucleo familiare hanno una persona con più di 75 anni e che rientra entro il limite di reddito prefissato come requisito minimo. Non è chiaro cosa si deciderà di fare nei confronti dei ‘furbetti’, probabilmente il cambio nominativo verrà bloccato da un provvedimento ad hoc del governo. Ovviamente non ci si aspettava una falla simile nel sistema creato ad hoc per combattere l’evasione fiscale.

 

Sul canone Rai puoi leggere anche: 

Assoelettrica: “Canone Rai in bolletta inammissibile”