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Congedo parentale facoltativo, novità nel Jobs Act

Congedo parentale facoltativo, novità nel Jobs Act.

Con la definizione di congedo parentale si intende il periodo di assenza dal lavoro di un genitore, che può assicurare così la sua presenza accanto al figlio in determinati momenti della vita del bambino. 

La riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi prevede che per potere godere del congedo retribuito adesso ci sarà tempo fino ai sei anni di età del bambino, dagli attuali tre anni. In questo caso si parla di congedo parentale facoltativo retribuito al 30%.

Ci sarà tempo fino ai 12 anni del figlio (dagli attuali otto) per usufruire invece del congedo parentale non retribuito.

I congedi parentali rientrano tra quelle che vengono definite Prestazioni a sostegno del reddito. Le Prestazioni a sostegno del reddito sono prestazioni erogate dallo Stato ai cittadini sulla base di determinate condizioni.

Del congedo parentale facoltativo possono godere le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, i lavoratori e le lavoratrici assicurati ex IPSEMA, e a determinate condizioni lavoratorici e lavoratrici del settore agricolo, gli iscritti alla Gestione separata, lavoratrici autonome.

 

Congedo parentale facoltativo, come presentare la domanda

La domanda per usufruire del congedo parentale facoltativo deve essere indirizzata all’Inps per via telematica. In particolare l’istanza può essere inoltrata attraverso un patronato; dal sito web dell’Inps, se si dispone di un codice Pin dispositivo che consente l’accesso ai servizi erogati dall’Istituto su Internet; tramite contact center. 

Il contact center dell’Inps risponde al numero gratuito 803164, se si chiama da rete fissa, o al numero 06.164164 da telefono cellulare.

 

 

Congedo parentale facoltativo, le novità introdotte da Palazzo Chigi

Il Consiglio dei Ministri è intervenuto con un decreto sul testo unico a tutela della maternità con misure volte a sostenere le cure parentali e a tutelare in particolare le madri lavoratrici. 

Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli 8 anni di vita del bambino ai 12 anni. Il congedo parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età a 6 anni; per le famiglie meno abbienti è previsto che si possa arrivare fino a 8 anni. Situazione analoga per adozioni o affidamenti.

Tutte le categorie di lavoratori, non solo i lavoratori dipendenti, potranno godere adesso di eventuali congedi di paternità, nel caso in cui la madre non sia in condizione di fruire del congedo.

Palazzo Chigi ha anche introdotto nuove norme a tutela della genitorialità nei casi di adozioni e affidamenti. Alle adozioni e agli affidamenti si applicheranno adesso le tutele previste per i genitori naturali. Inoltre l’erogazione dell’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi è stata estesa  “anche ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335/95, non iscritti ad altre forme obbligatorie”.

Separazione dei coniugi e divorzio breve

La separazione dei coniugi è una procedura disciplinata dal codice civile italiano e si distingue in separazione dei coniugi giudiziale (contenziosa) e separazione dei coniugi consensuale. La separazione, di fatto, non costituisce materia legislativa quindi per essere effettiva dovrà essere riconosciuta dal giudice per poi mutare in divorzio trascorso il periodo di attesa.

Grazie all’introduzione del cosiddetto divorzio breve, la separazione dei coniugi potrà avvenire anche al cospetto del sindaco. Sempre grazie al divorzio breve, il periodo di attesa dalla separazione al divorzio varia da un minimo di sei mesi (in caso di separazione consensuale dei coniugi) a un massimo di 12 mesi (in caso di separazione dei coniugi giudiziale). 

I coniugi in via di divorzio e separazione che condividono la casa potrebbero trovare interessante la lettura dell’articolo Imu per coniugi separati.

La separazione dei beni

Stando alla normativa sul divorzio breve, a decorrere dal 26 maggio 2015 è possibile accorciare i tempi di attesa tra la separazione e il divorzio. Il divorzio breve, in linea con la separazione, può essere contenzioso (giudiziale) o consensuale, in ogni caso è possibile farsi assistere da un avvocato per affrontare i temi in materia di separazione dei beni.

Per raggiungere un accordo, i coniugi in via di separazione possono accedere alla negoziazione assistita con avvocato. La negoziazione assistita è molto utile nel caso in cui i coniugi separati non abbiano raggiunto un comune accordo su argomenti che concernono la separazione dei beni e l’affidamento dei figli. In ambito della negoziazione assistita sarà possibile raggiungere accordi su:

– affidamento dei figli
– assegnazione abitazione
– mantenimento del coniuge
– altri accordi economici

In caso di separazione dei coniugi giudiziale o contenziosa sarà possibile fissare un termine entro il quale il coniuge che eventualmente si oppone al divorzio dovrà costituirsi e partecipare all’udienza di comparizione.

Con la negoziazione assistita sarà possibile effettuare una nuova intesa (sia al momento della separazione che per il divorzio) o modificare le condizioni accordate in precedenza. L’accordo raggiunto diventa titolo esecutivo e dovrà essere trasmesso al Pubblico Ministero che eseguirà i dovuti controlli (soprattutto in presenza di figli). Se l’esito è negativo, l’accordo dovrà essere inoltrato entro 5 giorni al presidente del Tribunale. 

Saranno gli stessi avvocati a trasmettere, entro 10 giorni, l’atto ufficiale di stato civile al Comune di competenza. Grazie alla nuova riforma, l’intesa raggiunta potrà essere sottoscritta a distanza di sei mesi dall’accordo di separazione dei coniugi.

Separazione dei coniugi giudiziale e divorzio breve 

Anche in caso di separazione dei coniugi giudiziale è possibile accedere al divorzio breve: in tal caso i tempi di attesa necessari per fare richiesta del divorzio passano dai tre anni previsti dal divorzio ordinario ai soli 12 mesi del divorzio breve. Anche in questo caso, i tempi si calcolano dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale dei coniugi.

Separazione dei coniugi consensuale e divorzio breve 

In caso di separazione personale consensuale, il tempo di attesa per vedere tramutare la separazione in divorzio va dai passati tre anni a solo sei mesi. Tale periodo è indipendente dalla presenza o assenza di figli. 

Anche i coniugi che passano da una separazione contenziosa a una separazione consensuale potranno avvalersi di questa nuova tempistica. Così come descritto in precedenza, il periodo d’attesa va calcolato dalla comparsa dei coniugi davanti al “presidente del tribunale” nella procedura di separazione personale.

La figura del presidente del tribunale

In caso di separazione dei coniugi consensuale, in realtà, non  ènecessario munirsi della figura di un avvocato. I coniugi, una volta concordati i termini di separazione, potranno separarsi, divorziare o modificare le condizioni davanti al sindaco, con o senza avvocati. Questa strada è percorribile solo in assenza di figli minori o maggiorenni bisognosi di tutela. Non è possibile divorziare o separarsi davanti al sindaco neanche in caso di trasferimenti patrimoniali. Per tutte le informazioni vi rimandiamo all’articolo dedicato al divorzio breve: Come funziona il divorzio breve“.

 

Grecia, le conseguenze dell’uscita dall’euro

Cosa succede se la Grecia esce dall’Euro? In questa pagina analizzeremo tutte le possibili conseguenze dell’uscita dalla Grecia dall’euro.

 

Crisi in Grecia, le conseguenze per l’Italia

Parlando della crisi in Grecia, l’Italia è esposta direttamente e rischia in modo diretto, tra prestiti bilaterali e garanzie, un capitale di 35,9 miliardi di euro. Il rischio dell’Italia sale a 65 miliardi di euro se si tiene conto anche del contributo al fondo salva Stati e della liquidità di emergenza fornita dall’Eurosistema agli istituti di credito della Grecia.

Non è detto che le casse dell’Italia non rivedranno mai più questi fondi. Una parte dei soldi potrebbe essere rimborsata ma ne dovrà passare di tempo prima che ciò accada. Per l’Italia non si parla solo di rischi, infatti è già esclusa l’ipotese di recuperare l’intero malloppo. Il nostro Paese ha versato alla Grecia 10 miliardi di euro in prestiti bilaterali nel 2010-2011, quando si metteva in opera il primo pacchetto di salvataggio per sconfiggere la crisi in Grecia. Secondo gli accordi stipulati all’epoca, la restituzione di questi 10 miliardi di euro era fissata in calendario con rate a partire dal 2020. 

 

“Se l’euro fallisce, l’Europa fallisce”

Per risolvere la crisi greca senza la rottura dell’Eurozona è arrivato un appello finanche dalla Casa Bianca. Il Governo di Atene è responsabile dell’attuale situazione disperata ma sono molti i Paesi a cercare una soluzione, in prima fila c’è la Germania. “Se l’euro fallisce, l’Europa fallisce”, è così che commenta la cancelliera tedesca Angela Merkel che spera in un compromesso tra il governo della Grecia e i partner internazionali. La Grecia ha ricevuto diverse offerte, anche molto generose, ma non ha mostrato la volontà di alcun compromesso e sembrerebbe essere più intenzionata a uscire dall’Euro che a trovare una soluzione alla crisi.

L’uscita della Grecia dall’euro vedrebbe la reintroduzione nel paese ellenico della vecchia moneta dracma. La Grecia può uscire dall’Euro? Anche se il parlamento dell’Europa ha rigettato l’idea, il premier ellenico ha annunciato ai suoi cittadini l’imminenza di un voto: sarà il popolo greco, mediante un referendum, a decidere se rimanere o uscire dall’Eurozona.

Il premier greco, Alexis Tsipras ha spezzato, con il suo referendum interno, le trattative con l’UE in modo del tutto unilaterale. Nonostante la posizione del governo greco, la leader tedesca ha affermato che le porte dell’Europa resteranno aperte anche dopo il referendum. Molto più dura è la posizione di Hollande, leader francese che è stato sollecitato da Barak Obama per riaprire i dialoghi con Alexis Tsipras.

 

Il significato del Grecia Default

Sentiamo parlare spesso del default della Grecia, il significato di questa espressione è piuttosto complesso. Per semplificare possiamo affermare che con il default si intende il fallimento dello Stato che ammette di non pagare il debito verso i creditori internazionali (Italia compresa). Il cosiddetto default non implica l’uscita dall’euro di Atene. L’uscita della Grecia dall’Eurozona è possibile solo con l’uscita dall’Unione Europea.

Il fallimento della Grecia potrebbe portare, tra le altre cose, a una forte volatilità dei prezzi in Borsa e a scossoni sui Titoli di stato.

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Crisi in Grecia e Turismo

Se avete prenotato una vacanza in Grecia non dovete necessariamente rinunciare: certo, il clima non è dei migliori e la situazione è imprevedibile ma potete migliorare le condizioni di vacanza partendo preparati, ecco qualche consiglio utile per chi va in vacanza in Grecia:

  • – portate più contante, il tetto massimo di prelievo allo sportello bancomat è di 60 euro per il popolo greco. Per chi ha carte di credito o bancomat straniero non vi sono tetti massimi prestabiliti ma la situazione potrebbe cambiare. Di certo c’è e continuerà a esserci la corsa agli sportelli e in caso di default la situazione si fa imprevedibile.
  • – portate il passaporto oltre alla carta d’identità. Se la Grecia esce dall’Europa vi potrebbe servire. 
  • – fate più attenzioni alle speculazioni dei prezzi. Chi ha già fatto una vacanza in Grecia sa bene quanto i bar e ristoranti possano essere cari. Con il probabile default e l’uscita dell’euro, il popolo greco potrebbe richiedere tariffe più salate ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a un grosso punto interrogativo e non è possibile generalizzare.

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Donazione in denaro, come funziona?

Donazione in denaro, come funziona? Tutte le informazioni sulle tassazioni e le regole che disciplinano le donazioni in denaro o di un immobile.

Le donazioni in denaro da padre a figlio, o più in generale da parte di genitori e parenti, sono spesso tema di dibattito in relazione a quelle che sono imposte e dichiarazioni all’Agenzia delle Entrate.

Sono molti i giovani costretti a ricevere donazioni di denaro da parte dei genitori e da oggi, chi riceve una somma di denaro in regalo dovrà essere pronto a poter giustificare questo introito all’Agenzia delle Entrate. Chi riceve la somma di denaro da un parente non dovrà fare altro che certificarne la provenienza così da evitare che il Fisco possa etichettare quella somma come denaro in nero.

 

Il Redditometro

In realtà, i controlli sulle donazioni di somme di denaro non sono un nuovo provvedimento ma una lecita conseguenza del tanto discusso redditometro. Il redditometro è quello strumento in grado di monitorare il volume di spesa dei contribuenti per individuare gli evasori.

Il principio di funzionamento del redditometro è molto semplice: se tizio dichiara di guadagnare 1000 euro ma mensilmente spende 3000 euro, qualcosa non torna! Così, se un ragazzo guadagna 800 euro ma può concedersi una vita agiata grazie ai regali in denaro da parte di genitori e generosi parenti, dovrà necessariamente poter dimostrare che si tratta di denaro donato e non di guadagni in nero.

In caso di accertamento, l’utente che ha ricevuto il denaro in regalo dovrà poter dimostrare che non si tratta di guadagni in nero, è difficile dimostrare una cosa del genere se la donazione è avvenuta in contanti. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate potrebbe estendere i controlli per verificare l’effettiva tassazione del denaro alla fonte, cioè da colui che ha donato il denaro. Chi ha eseguito la donazione in denaro dovrà dimostrare la provenienza dei soldi, per esempio: stipendio personale, vecchi risparmi, pensione, prestito personale…

 

Per le piccole donazioni in denaro 


Per le donazioni manuali di modesto valore non è necessario alcuna scrittura privata. In questo caso non si ha un limite fisso perché il massimo ammontare della donazione in denaro è in relazione al reddito medio di chi riceve e fa il regalo, per piccole somme è possibile procedere con donazioni in contanti. Sono considerate “modeste” quelle donazioni che non incidono in maniera significativa sulla ricchezza di chi dona. 

 

Donazioni in denaro al figlio per l’acquisto della casa

Un caso più dibattuto è quando la donazione di denaro non mira a coprire una piccola parte del mutuo (quindi con cifre “modeste”), bensì serve a coprire in parte l’ammontare complessivo per l’acquisto di una casa. Parliamo di donazioni di grandi somme di denaro.

Le donazioni di grandi somme di denaro fatte in vita, sono una realtà quotidiana. Non è raro che il genitore dona direttamente alla figlia una somma di denaro consistente: la donazione diretta di denaro è disciplinata dall’articolo 769 e seguenti cc e richiede un atto pubblico notarile in presenza di due testimoni.

Il formalismo imposto dalla legge prevede che la donazione di denaro avvenga tramite bonifico eseguito con addebito sul conto corrente dei genitori e accreditato su quello del figlio, giroconto, consegna di titoli all’ordine, assegni intestati, vaglia postali… insomma, metodi tracciabili. La donazione diretta deve essere necessariamente affiancata da atto notarile e fiscalmente, fino a un ammontare di un milione di euro è esente da imposta di donazione

In caso di donazione in denaro concessa al figlio per l’acquisto di una casa è possibile applicare la donazione indiretta, cioè, il genitore paga il prezzo di acquisto dell’immobile a favore del figlio sfruttando ciò che stabilisce l’articolo 809. In questo contesto, nell’atto di compravendita dell’immobile sarà necessario inserire una dichiarazione atta a indicare che l’acquirente dell’immobile riconosce all’atto d’acquisto che una certa somma di denaro è stata liberamente fornita dal genitore. Anche in questo caso vige l’esenzione dell’imposta di donazione per ex art. 1 comma 4 bis D.Lgs. 346/90.

 

Le tassazioni

Le tassazioni riguardano principalmente la donazione di forti valori economici. Le imposte sulle donazioni seguono tale andamento:

-se la donazione è tra coniugi o tra parenti in linea retta, l’aliquota è fissata al 4% della parte di valore dei beni oggetto di donazione che supera la franchigia di un milione di euro.

-se la donazione interviene tra fratelli e sorelle, la tassazione vede un’aliquota del 6% sulla parte di valore dei beni oggetto di donazione che supera il valore di 100 mila euro.

-non vi è alcuna franchigia se la donazione interviene tra due amici o soggetti diversi (due conviventi non coniugati) e la tassazione si applica con aliquota dell’8%. 

Stipendi medi in Europa: dove si guadagna meglio?

Stipendi medi in Europa: una panoramica generale che mette in evidenza le nazioni dove si guadagna di più in Europa rapportando i salari medi con il costo della vita.

In questa pagina analizzeremo gli stipendi medi in Europa ma la lettura non può essere superficiale: non è possibile parlare di stipendi medi in Europa e fare confronti tra i salari delle varie nazioni senza poi confrontare anche il costo della vita. Una recente analisi statistica pubblicata sull’Atlante Geopolitico della Treccani offre una panoramica completa e precisa che raffronta i salari medi percepiti dai lavoratori comunitari e i costi da sostenere nelle principali nazioni d’Europa. 

 

Quanto costa vivere nei Paesi dell’UE?

Nell’Eurozona la situazione non è affatto omogenea, infatti vi sono divari che riguardano gli stipendi medi pro-capite, le imposte da versare allo stato, i costi del lavoro, la sanità, i servizi al cittadino e, più in generale, il costo della vita rapportato ai salari percepiti. Parlare solo di stipendi medi nei Paesi europei sarebbe molto riduttivo, rifacendoci ai dati statistici pubblicati sull’Atlante Geopolitico metteremo a rapporto il reddito medio (espresso in euro di stipendio percepite per mese) con il costo della vita (espresso in euro per giorno).

La Nazione in cui il rapporto tra stipendi medi e costo della vita è più favorevole è la Germania! In Germania lo stipendio medio percepito ammonta a 2.580 euro con un costo della vita di soli 37,2 euro al giorno. In un mese, per vivere in Germania, un cittadino spende 1116 euro (37,2 € x 30 giorni), solo il 43,2% dello stipendio medio di un cittadino tedesco è speso per coprire i costi da sostenere nella vita quotidiana.

Il rapporto tra stipendi medi in Italia e costo della vita nel nostro paese è molto più svantaggiato tanto che il costo della vita richiede l’esborso dell’83,8% dello stipendio dell’italiano medio. Lo stipendio medio percepito in Italia ammonta a 1.410 euro mentre il costo della vita è stimato intorno ai 39,4 euro. In un mese, un cittadino italiano solo per soddisfare i suoi bisogni basilari, spende la gran parte del suo stipendio. 

Anche Spagna, Francia, Svezia e Gran Bretagna possono contare su rapporti tra salari medi e costo della vita molto più vantaggiosi. 

La situazione economica della Spagna è spesso paragonata a quella del nostro Paese, tuttavia, in terra iberica si vive meglio: uno stipendio medio in Spagna ammonta a 1.850 euro mentre il costo della vita stimato è di 42,7 euro, impattando per il 66,7% sul salario percepito. 

 

Dove si guadagna di più in Europa?

Gli stipendi medi in Europa più alti (sempre in relazione al costo della vita), sono quelli percepiti di Germania, Gran Bretagna e Francia. 

In Italia spendiamo per vivere quanto spende un cittadino svedese dove il costo della vita è di circa 42 euro al giorno, l’unica grossa differenza è che in Svezia gli stipendi medi ammontano a 1930 euro, ben 520 euro al mese in più di noi italiani. 

Tra gli oneri economici che pesano sui cittadini ci sono le cosiddette “utenze” come corrente elettrica, acqua e gas che per noi italiani sono al di sopra della media europea. Lo stesso discorso vale per le imposte come l’IVA e le accese statali sui prodotti come la benzina che in Italia, negli ultimi anni, sono ancora in aumento nonostante la netta diminuzione degli stipendi.

 

Lavorare all’estero e professioni a prova di crisi in Italia

La panoramica sugli stipendi medi d’Europa e il costo della vita ci fa capire come mai sempre più italiani migrano verso Germania, Inghilterra e Francia. Chi non ha intenzione di cambiare nazionalità per sopravvivere alla crisi dell’Eurozona può informarsi su quelle che sono le professioni più ricercate in Italia così da individuare un lavoro a prova di crisi. 

 

 

 

Tasse rateizzate: come funziona e chi ne ha diritto

Le tasse possono essere rateizzate? Generalmente sì! Il contribuente può chiedere la rateizzazione delle tasse fino a 6 rate trimestrali per somme non superiori ai 5.000 euro mentre se il contributo da versare allo Stato supera i 5.000 euro la somma può essere ripartita fino a un massimo di 20 rate trimestrali. 

 

La rateizzazione delle imposte

La rateizzazione delle imposte (parliamo di tasse come Irpef, Irap, INPS e IVA segnalate al monento della dichiarazione dei redditi tramite modello Unico, 730…) è uno strumento molto utile per chi non dispone di grosse liquidità e soprattutto per chi non mette da parte i proventi in concomitanza con l’incasso del fatturato.  

La rateizzazione delle tasse si esegue mediante il modello di versamento F24. Le somme dovute a titolo di saldo e acconto delle imposte, fatta eccezione per l’IVA, possono essere rateizzate grazie all’opzione per la rateizzazione da scegliere al momento della compilazione del modello per la dichiarazione dei redditi. Le rate sono mensili e vedono una maggiorazione al mese di novembre, il mese di scadenza. In genere le rate vanno versate entro il 16 di ogni mese e, così come previsto dall’Agenzia delle Entrate, possono essere un massimo di 6. Così, chi decide di pagare le “imposte della dichiarazione dei redditi” a rate si troverà a dover versare:

2 rate a luglio (di solito una con scadenza a inizio mese e una entro il 16)

1 rata nel mese di agosto, sempre entro il 16

1 rata a settembre

1 rata con scadenza al 16 ottobre

1 maxirata a novembre

In altenrativa alle 2 rate di luglio il contribuente potrebbe iniziare a pagare nel mese di giugno. 

Gli interessi delle tasse a rate

Gli interessi dovuti sono minimi e possono variare in abse al modello di rateizzazione prescelto. La variazione oscilla dallo 0,14% a un massimo dell’1,46% dell’importo dovuto.

 

Tasse rateizzate pagate in ritardo:

come regolarizzare il pagamento delle tasse con il ravvedimento

Il contribuente che paga in ritardo la rata delle imposte rateizzate rischia l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo della sanzione che può raggiunge il 30% dell’importo della rata che è stata versata in ritardo. La sanzione dovrà essere sommata agli interessi legali in base ai giorni di ritardo del pagamento. Con il cosiddetto ravvedimento operoso (se si esegue entro il termine di pagamento della rata successiva), non viene fatta alcuna iscrizione a ruolo. 

 

Rateizzare le tasse universitarie


Per agevolare il pagamento delle tasse universitarie quasi tutti gli studenti hanno la possibilità di accedere a piani di rateizzazione delle rette. 

La rateizzazione delle tasse universitaria è generalmente priva di interessi. Chi intende pagare le tasse dell’università a rate farebbe bene informarsi presso il proprio ateneo perché ogni Università può disporre di uno statuto differente. In genere, la possibilità di rateizzare la seconda rata delle tasse è concessa a tutti gli studenti mentre, alcuni atenei, consento di accedere alla rateizzazione della prima rata universitaria solo con un certo reddito dimostrabile. 

Contratto part time: retribuzione e ferie

Contratto part time: cosa dice la legge in materia di retribuzione del lavoratori part time e delle ferie maturate? Tutte le informazioni su come funziona un contratto part time.

Il contratto di lavoro a tempo parziale, meglio conosciuto come contratto part time, indica un rapporto di lavoro subordiato caratterizzato da una riduzione dell’orario di lavoro rispetto a quello full time che è in genera di 40 ore settimanali.

Come ogni contratto di lavoro, anche quello part time può essere sia a tempo determinato che indeterminato. Un contratto part time per essere in regola deve essere sottoscritto da entrambe le parti e deve contenere informazioni precise sulla durata della prestazione lavorativa e sull’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. 

Il contratto part time può essere di tipo orizzontale, di tipo verticale e di tipo misto. 

  • Contratto part time orizzontale, come funziona?


In questo contesto il lavoratore offre prestazioni tutti i giorni a orario ridotto. Il contratto part time può essere anche di tipo misto e vede la combinazione delle due modalità part-time orizzontale e verticale. 

  • Contratto part time verticale, come funziona?


Con il contratto di lavoro part time di tipo verticale il lavoratore offre prestazioni a tempo pieno ma solo in alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno. 

Contratto di lavoro part time: ferie e retribuzione

Chi lavora con un contratto part time beneficia dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno. Ciò è vero sia per la retribuzione oraria, sia per la durata e l’assegnazione delle ferie annuali. Al pari di un lavoratore full time chi lavora con un contratto part time può essere soggetto a un periodo di prova e ha diritto a un congedo di maternità e paternità così come a riposi giornalieri. Un lavoratore part time è tutelato anche nella conservazione del posto in caso di infortunio o malattia. 

Come premesso, la retribuzione oraria è la medesima prevista per un lavoratore full time ma c’è da dire che il trattamento economico è proporzionale in ragione della ridotta entità della prestazione, ciò significa che le ferie pagate e i trattamenti economici per malattie, indennità e maternità saranno calcolati in proporzione alle prestazioni lavorative.

Ricapitolando: il lavoratore part time ha diritto alla medesima retribuzione oraria del lavoratore full time anche se gli importi dei trattamenti economici singoli (malattie, infortunio e maternità) saranno di gran lunga inferiori perché il calcolo è proporzionale al numero di ore di lavoro. In alcuni casi, però, il contratto part time prevede che il calcolo debba avvenire secondo parametri più favorevoli per il lavoratore. In caso di contratto part time verticale, l’indennità spetta solo per i giorni per i quali contrattualmente era prevista la presenza lavorativa. 

Il lavoratore part time ha gli stessi diritti dei lavoratori assunti a tempo pieno in termini della durata del periodo di ferie annuali, dei congedi di maternità e paternità e del trattamento di malattia e infortunio. Dato che il trattamento normativo è il medesimo, l’indennità relativa alle eventuali ferie non godute non può essere tassata perché è di natura “risarcitoria“: il lavoratore ha diritto alle ferie maturate e se non le sfrutta il datore dovrà versare un risarcimento danni in termini monetari di un diritto non goduto.

 

Informatore scientifico: come diventarlo

Come si diventa informatore scientifico del farmaco e a quanto ammonta lo stipendio di questa figura professionale? Tutte le informazioni sulla carriera dell’informatore scientifico.

Chiariamo subito che non si può diventare informatore scientifico senza laurea: per l’esercizio della professione il Legislatore ha stabilito l’obbligo di laurea conseguita in specifiche discipline ad andamento biomedico o chimico-farmaceutico. Di recente è stata istituita una laurea specifica in Informazione scientifica del farmaco, quindi, chi vuole diventare informatore scientifico, dopo il diploma, può presentare domanda di iscrizione presso quegli atenei d’Italia che dispongono del corso di laurea in Informazione scientifica del Farmaco.

 

Università e Corso di laurea in Informazione scientifica del Farmaco

Tra le varie università che propongono il corso di Laurea in Informazione Scientifica del Farmaco segnaliamo alcuni atenei:

  • – Università della Calabria
  • – Università di Camerino
  • – Università degli Studi di Napoli Federico II
  • – Università degli Studi di Bari Aldo Moro
  • – Università di Bologna Alma Mater Studiorum
  • – Università degli Studi di Parma
-Università degli Studi di Pisa
  • – Università di Roma La Sapienza
  • – Università degli Studi di Torino

Come diventare informatore scientifico

Come chiarito, per diventare informatore scientifico è necessario un diploma di laurea in discipline biomediche, chimiche o farmaceutiche. Grazie alla recente introduzione di un corso di formazione ad hoc, chi vuole diventare informatore scientifico può conseguire la laurea in Informazione scientifica del farmaco in una delle Università segnalate nel paragrafo precedente.

Prima di poter accedere alla professione sarà necessario seguire corsi di formazione presso la casa farmaceutica che ha posizioni aperte. Durante i corsi di formazione sarà possibile conoscere il meccanismo d’azione dei farmaci da proporre a medici e aziende ospedaliere. L’informatore scientifico dovrà seguire corsi di aggiornamento aziendali continui e costanti per l’intera durata della carriera lavorativa.

 

Informatore scientifico, quanto guadagna?

A quanto ammonta il cosiddetto “stipendio fisso” di un informatore scientifico, rispondere a questa domanda non risolverà completamente il quesito sul perché così tanti ragazzi vogliono diventare informatori del farmaco. Fino a qualche tempo fa, un informatore scientifico aveva retribuzioni minime molto alte ma lo scenario è cambiato; attenzione! Ciò non significa che un informatore scientifico guadagna male, solo che i suoi guadagni sono più bassi rispetto al passato. 

L’informatore scientifico è collocato, di solito, al livello B del CCNL dell’Area funzionale Commerciale marketing/vendite anche se per legge dipende dalla Direzione Scientifica (così come sottolineano gli studi necessari per diventare informatore del farmaco). Oggi un informatore scientifico percepisce uno stipendio minimo lordo di 1.970 euro di busta paga che al netto ammonta a circa 1700 – 1800 euro. 

Chi è in cerca di lavoro può consultare l’elenco delle nuove professioni e dei lavori più richiesti in Italia leggendo la pagina: professioni più ricercate in Italia.