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Covid, ricerca Tor Vergata, una sola molecola per bloccare varianti

La rivista Cell Reports ha pubblicato online uno studio internazionale sul Covid collaborativo che vede alleate l’Università di Roma Tor Vergata, l’Università di Brescia e altre Istituzioni americane e canadesi. Il gruppo internazionale ha ingegnerizzato una serie di anticorpi monoclonali contro il Covid, in modo da potenziarne le capacità neutralizzanti. E’ praticamente emerso che una sola molecola a concentrazioni molto basse, può bloccare le varianti del virus. Questo anticorpo si lega alla proteina spike con una potenza almeno 100 volte superiore a quella degli altri anticorpi disponibili e neutralizza un’ampia gamma di varianti del virus. La tecnologia utilizzata ha consentito di sviluppare una piattaforma robusta e modulare per la produzione rapida di anticorpi monoclonali di nuova generazione che superano di gran lunga gli anticorpi tradizionali bivalenti e quindi utilizzabili per altre applicazioni farmacologiche preventive. La possibilità di ottenere con grande rapidità anticorpi ad elevato potere neutralizzante può costituire una nuova arma per contrastare virus che cambiano rapidamente come il Covid. L’infusione passiva di questi anticorpi monoclonali come pre-esposizione o profilassi post-esposizione può offrire una protezione immediata dalle infezioni che potrebbero durare settimane o mesi. “La progettazione – afferma il professor Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata- lo sviluppo e la produzione di anticorpi monoclonali di nuova generazione è urgente per disporre di terapie mirate e immediate. Gli anticorpi monoclonali potrebbero limitare la progressione della malattia durante l’infezione precoce soprattutto per l’emergere di nuovi varianti che sfuggono ai vaccini”. “Dobbiamo pensare a lungo termine – afferma il professor Arnaldo Caruso dell’Università di Brescia – l’emergenza di nuove varianti capaci di evadere l’immunità acquisita naturalmente o a seguito di vaccinazione rende necessario lo sviluppo sempre più rapido di monoclonali neutralizzanti. La pronta disponibilità di questi anticorpi in grado di contrastare tali nuove varianti permetterà non solo di potenziare una eventuale terapia con farmaci antivirali specifici, rendendo il decorso della malattia più lieve e di breve durata, ma anche di proteggere per lungo tempo ed in maniera efficace tutti quei pazienti immunocompromessi o fragili che non rispondono alla vaccinazione”. (ITALPRESS).

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Covid, 19.666 i nuovi positivi e 105 i decessi nelle ultime 24 ore

Sono 19.666 i nuovi positivi al Covid nelle ultime 24 ore, su un totale di 198.897 tamponi effettuati. Lo riporta nel suo bollettino quotidiano il ministero della Salute. Le persone che hanno perso la vita a causa del Covid nelle ultime 24 ore sono state 105, portando il totale dei deceduti da inizio pandemia a quota 166.476. Gli attualmente ricoverati sono 5.810 (185 in meno rispetto a ieri), di cui 252 in terapia intensiva (-7 rispetto a ieri). (ITALPRESS).

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Covid, in calo incidenza settimanale e ricoveri in intensive

ROMA (ITALPRESS) – Scende l’incidenza settimanale del Covid-19 a livello nazionale: 261 ogni 100.000 abitanti (20-26 maggio) rispetto a 375 ogni 100.000 abitanti (13-19 maggio). Nel periodo 4 maggio – 17 maggio, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 0,86, in diminuzione rispetto alla settimana precedente. L’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero è al di sotto della soglia epidemica e stabile rispetto alla settimana precedente: RT=0,83 al 17 maggio, rispetto a Rt=0,84 al 10 maggio. E’ quanto emerge dai dati della cabina di regia dell’Istituto Superiore di Sanità. Il tasso di occupazione in terapia intensiva scende al 2,6% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 26 maggio) dal 3,1% (19 maggio). Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale scende al 9% (rilevazione giornaliera ministero della Salute al 26 maggio) contro il 10,9% (19 maggio).
Una regione/provincia autonoma è classificata a rischio alto in quanto i dati inviati non erano sufficientemente completi per la valutazione del rischio. Nessuna regione/provincia autonoma è classificata a rischio moderato; tutte le altre sono classificate a rischio basso. Sei regioni/province autonome riportano almeno una singola allerta di resilienza. Nessuna riporta molteplici allerte di resilienza. La percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è sostanzialmente stabile (13% contro il 12% della scorsa settimana). Rimane stabile anche la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (44% rispetto al 45%), come anche la percentuale dei casi diagnosticati attraverso attività di screening (44% rispetto al 43%).
(ITALPRESS).
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Epatocarcinoma, parte da Napoli il roadshow promosso da Roche

ROMA (ITALPRESS) – Fare il punto sullo stato dell’arte della presa in carico del paziente con epatocarcinoma in Campania, evidenziare l’importanza del lavoro sinergico dei team multidisciplinari, individuare le zone d’ombra e le aree di miglioramento, confrontarsi sulle soluzioni per migliorare la conoscenza e l’informazione sulla patologia e sulle innovazioni diagnostiche e terapeutiche disponibili: sono questi gli obiettivi della tappa di Napoli di “Uniti e Vicini ai Pazienti con Epatocarcinoma”, il roadshow promosso da Roche con il patrocinio di EpaC Onlus.
L’epatocarcinoma (HCC) è uno dei tumori più aggressivi e una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo. In Italia, nel 2020 i nuovi casi stimati di tumori epatici sono stati 13.000 e l’epatocarcinoma rappresenta il 75-85% dei casi. Oggi, grazie ai progressi scientifici e alle innovazioni diagnostiche e terapeutiche, la prognosi della patologia è in miglioramento, ma questo si accompagna ad una maggiore complessità della sua gestione, che pone alcune sfide sia dal punto di vista clinico che organizzativo.
La presa in carico del paziente con epatocarcinoma, infatti, deve essere guidata da un team multidisciplinare, composto da epatologi, chirurghi, oncologi e radiologi interventisti e altri specialisti che, lavorando in sinergia fin dal momento della diagnosi, possa individuare il miglior trattamento possibile per il paziente e indirizzarlo verso strutture di eccellenza e ad alta specializzazione, con la garanzia di accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura. Il team definisce il trattamento personalizzato sul paziente, in base alle patologie esistenti o pregresse, alle condizioni e alla morfologia del fegato e del tumore, alle comorbidità, alle riserve funzionali epatiche, alla rapidità di crescita dalla diagnosi, con il supporto di Linee Guida e PDTA regionali.
“L’epatocarcinoma è una patologia di complessa gestione perchè di solito insorge in pazienti affetti da cirrosi. L’Italia è il Paese europeo con maggiore incidenza di epatocarcinoma e la Campania è la regione con il più elevato numero di casi: infatti, su circa 10.000 casi all’anno per epatocarcinoma in Italia circa 1.000 si verificano in Campania, rappresentando una vera e propria emergenza sanitaria. – ha detto Giovan Giuseppe Di Costanzo, Responsabile U.O.C. Epatologia ed Unità Pancreas, A.O.R.N. Cardarelli -. L’istituzione di GOM, Gruppo Oncologico Multidisciplinare, per questa patologia ha reso più snella la fase di studio del paziente e della stadiazione del tumore. Il paziente inserito nel GOM viene seguito nel percorso diagnostico e stadiativo ed è sottoposto alle opportune indagini, accorciando così i tempi di attesa tra diagnosi e trattamento. Sicuramente l’estensione della rete regionale faciliterà la collaborazione tra centri Hub e Spoke migliorando ulteriormente l’assistenza e la gestione del paziente indirizzato nel miglior percorso di cura”.
L’epatocarcinoma si sviluppa prevalentemente in persone che soffrono di cirrosi a causa di epatite cronica (B o C) o di abuso di alcool, sindromi dismetaboliche, e tipicamente si manifesta in stadi ormai avanzati. La prognosi per le forme non resecabili di HCC è infausta, con poche opzioni di trattamento sistemico e il tasso di sopravvivenza ad un anno minore del 50% dal momento della diagnosi della forma avanzata.
“Nel corso degli ultimi anni in Italia e nel mondo occidentale, è cambiata l’epidemiologia dell’epatocarcinoma: stanno diminuendo i casi legati alle infezioni virali, in particolare l’epatite B e C, per effetto del vaccino e dei farmaci antivirali. Al contrario, sono aumentati gli epatocarcinomi associati alla steatosi epatica, in rapporto all’aumentata incidenza di obesità, diabete, cattiva alimentazione e abuso di alcol. Purtroppo, la popolazione dei pazienti con sindrome metabolica e steatosi epatica da monitorare e da sottoporre a controlli periodici è molto ampia e sfugge alla sorveglianza: per questo l’epatocarcinoma viene diagnosticato in uno stadio già avanzato- ha spiegato il professor Bruno Daniele, Direttore U.O.C. di Oncologia, Ospedale del Mare -. In Campania esistono già gruppi multidisciplinari per la gestione dell’epatocarcinoma nei vari stadi di evoluzione, all’interno delle aziende della Rete Oncologica, ma dovrebbe essere potenziata la presenza dei medici trapiantologi per garantire a tutti i pazienti che ne hanno i requisiti l’opzione di trapianto. Dovrebbe anche aumentare la sinergia tra i medici di medicina generale e i gruppi multidisciplinari. Questo eviterebbe il fenomeno dell’emigrazione sanitaria, assolutamente non necessaria dal momento che in Campania abbiamo tutte le risorse e le competenze per affrontare i casi nel modo migliore”.
Il PDTA regionale si prefigge di fornire un percorso di riferimento unico per il paziente con epatocarcinoma, ottimizzare i tempi di diagnosi e di trattamento, implementare sistemi informatici comuni di raccolta dei dati, fruibili dai professionisti ospedalieri che operano lungo il percorso e integrare le diverse competenze specialistiche che concorrono alla gestione del paziente con epatocarcinoma assicurando la multidisciplinarietà e la disponibilità al dialogo tra operatori ospedalieri ed il medico di medicina generale.
“Nel triennio 2016/2018 sono stati trattati chirurgicamente per epatocarcinoma, esclusi gli interventi finalizzati a trapianto epatico, 348 pazienti residenti in Campania; di questi, 208 sono stati trattati in 18 diverse strutture regionali di diagnosi e cura e 140 (40.2 % della casistica) sono stati trattati in ulteriori 30 diverse strutture extraregionali – ha affermato Maria Rosaria Romano, Dirigente UOD 04 Assistenza Ospedaliera della Direzione Generale per la Tutela della Salute e Coordinamento del Sistema Sanitario, Regionale Campania -. La Rete Oncologica Regionale ha decretato un PDTA Regionale specifico per la gestione dell’epatocarcinoma e del colangiocarcinoma sul territorio regionale; è di imminente definizione la mappa delle strutture regionali da abilitare all’ingresso in Rete per la chirurgia di entrambi i tumori. Per una corretta applicazione del PDTA è necessaria la partecipazione in piena collaborazione di tutte le professionalità coinvolte e, con la redazione dello stesso PDTA, s’intende fornire un riferimento operativo. In particolare, si punta ad organizzare la presa in carico del paziente nella sua globalità ed accompagnarlo in ogni fase del percorso diagnostico, stadiativo e terapeutico, garantendogli la continuità assistenziale necessaria per il raggiungimento della migliore cura”.
L’epatocarcinoma ha un effetto importante sui pazienti e sulle loro famiglie che hanno necessità di avere informazioni chiare e precise sui percorsi di cura, sui trattamenti e sulle strutture in grado di seguire al meglio il loro percorso diagnostico-terapeutico.
“L’epatocarcinoma è una patologia che ha un impatto significativo, sociale ed economico, non solo sui pazienti ma anche sul loro nucleo familiare. Il paziente deve essere assistito nel corso della propria quotidianità, guidato nel percorso terapeutico assistenziale e preso in carico da una struttura adeguata con un team multidisciplinare che lo segua in tutte le fasi della malattia incluse, se necessario, l’avvio al trapianto o alle cure palliative – ha detto Ivan Gardini, Presidente EPAC Onlus, Associazione che ha dato il patrocinio al Roadshow organizzato a Napoli -. Da una recente indagine condotta da EpaC Associazione Onlus, abbiamo constatato che uno dei problemi principali lamentati dai pazienti è la mancanza di informazione: più di un paziente su due ha la necessità di avere indicazioni più chiare, precise e facilmente reperibili sulle strutture ospedaliere adeguate a cui rivolgersi. Più della metà vorrebbe accedere ad informazioni relative alla disponibilità di terapie anche sperimentali, di partecipazione a trial clinici, alle quali nella maggior parte dei casi non riesce ad accedere perchè ne ignora l’esistenza o non trova informazioni a riguardo. Per questi motivi, è quanto mai fondamentale che esista un lavoro sinergico tra tutte le parti coinvolte”.
‘All’ospedale Cardarelli siamo attrezzati a 360 gradi per fronteggiare questa malattia con un padiglione, dedicato alle malattie epatiche e ai trapianti di fegato, dotato di un reparto di chirurgia epatobiliare e dei trapianti, epatologia, gastroenterologia, radiologia generale ed interventistica, medicina nucleare e terapia intensiva – ha sottolineato
Giovanni Vennarecci, Direttore della UO di Chirurgia Epatobiliare e Trapianti di Fegato Ospedale Cardarelli, Napoli -. Una delle criticità emerse a livello regionale è la scarsa attività di screening che si traduce in diagnosi tardive e in un ‘referral’ tardivo al trapianto o alla resezione epatica o ad altri trattamenti efficaci come la ablazione o la radioembolizzazione. Per l’epatocarcinoma è molto importante condividere con il centro trapianti di fegato le decisioni terapeutiche iniziali altrimenti il paziente potrebbe seguire percorsi non idonei. Fino ad ora la mancanza di un efficace coordinamento sul territorio non ci permette di conoscere esattamente quanti malati epatici cronici potenziali esistono in Campania. Bisognerebbe lavorare affinchè medici di medicina generale, il territorio e l’ospedale formino sempre di più una rete a beneficio dei pazienti. Con i Gruppi Oncologici Multidisciplinari, la Campania è avanti rispetto ad altre regioni d’Italia – ha aggiunto -. Il team multidisciplinare svolge un servizio condiviso perchè la decisione su quale sia il trattamento più efficace per l’epatocarcinoma dipende dallo stadio in cui viene identificato, precoce o tardivo, se sono presenti metastasi o se sono interessati i vasi sanguigni. La chirurgia, per esempio, deve essere meno invasiva possibile, laparoscopica o robotica, affinchè il trapianto di fegato risulti meno complicatò.
Alla Tavola Rotonda che si è svolta a Napoli, la prima di un ciclo di appuntamenti, hanno partecipato Sandro Pignata, Responsabile Scientifico della Rete Oncologica Campana; Direttore UOC Oncologia Medica Uro-Ginecologica, Istituto Nazionale Tumori G.Pascale; Giovanni Vennarecci, Direttore della UO di Chirurgia Epatobiliare e Trapianti di Fegato, l’AORN Cardarelli; Roberto Troisi, Direttore UOC di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica, Mininvasiva e Robotica, AOU Federico II; Ernesto Claar, Responsabile UOSD Epatologia, Ospedale Evangelico Betania; Carmine Coppola, Direttore di Medicina Interna, Epatologia ed Ecografia Interventistica ASL Napoli 3 Sud, Gragnano (Na); Erika Martinelli, Professore Associato di Oncologia Medica, U.O.C. Oncologia Medica ed Ematologia, Dipartimento di Medicina di Precisione, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”; Filomena Morisco, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, AOU Federico II; Sabino De Placido, Direttore UOC Oncologia Medica, AOU Federico II; Antonio Avallone, Direttore Oncologia Clinica Sperimentale Addome, Istituto Nazionale Tumori G. Pascale; Francesco Fiore, Direttore della SC di Radiologia Interventistica. l’Istituto Nazionale Tumori G. Pascale; Maria Rosaria Romano, Dirigente UOD 04 Assistenza Ospedaliera della Direzione Generale per la Tutela della Salute e Coordinamento del Sistema Sanitario, Regionale Campania.
Roche è impegnata a combattere i disordini del fegato in tutto il percorso della malattia, dalle prime fasi fino alla malattia avanzata, con l’obiettivo finale di fermare un giorno le patologie croniche del fegato. Un impegno che vede coinvolta non solo Roche Pharma sin dagli anni 90 con farmaci per le epatiti e oggi lo sviluppo di nuovi farmaci come atezolizumab, ma anche Roche Diagnostics con test immunometrici volti a migliorare la diagnosi precoce di epatocarcinoma e Roche Diabetes Care che da anni promuove, attraverso i propri portali rivolti ai pazienti diabetici, informazioni su corretti stili di vita e alimentazione, al fine di prevenire lo sviluppo di patologie epatiche quali cirrosi e fibrosi, che ledono la funzionalità d’organo e possono provocare gravi conseguenze, fino allo sviluppo di carcinomi epatici.

– foto xc9/Italpress –

(ITALPRESS).

Ddl Concorrenza, Egualia “La maggioranza tradisce pazienti e Ssn”

ROMA (ITALPRESS) – “Prendiamo atto con profondo sconcerto della scelta della maggioranza, in commissione Industria al Senato, di tradire ancora una volta l’interesse dei pazienti italiani e dell’intero Servizio sanitario nazionale mantenendo inalterato nel nostro ordinamento il meccanismo del Patent Linkage che invece l’art. 15 del DDL Concorrenza mirava ad abrogare”. Ad affermarlo è Enrique Hausermann, presidente di EGUALIA – associazione delle aziende produttrici di generici equivalenti, biosimilari e value added medicines – commentando l’approvazione di una riformulazione dell’articolo 15 del Ddl Concorrenza che – in aperta violazione dei principi espressi dalla normativa comunitaria – continua a mantenere in vita i “paletti” che in un decennio hanno causato oltre 220 milioni di mancati risparmi per il servizio sanitario pubblico, oltre che incertezze e costi aggiuntivi per le imprese del settore.
“Nonostante le ripetute sollecitazioni dell’Antitrust, l’ultima risalente al marzo 2021, e nonostante l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza amministrativa – prosegue Hàusermann – a causa di una scelta anacronistica del legislatore, AIFA, nel valutare i farmaci equivalenti per stabilirne la classe di rimborsabilità non dovrà tener conto solo di ciò che è di sua competenza – qualità sicurezza ed efficacia – ma dovrà continuare, unica in Europa, a considerare anche la copertura brevettuale”.
“Si tratta di una completa inversione di rotta rispetto alla cancellazione del Patent Linkage inizialmente contenuta nel testo presentato dal Governo, spacciata come un presunto compromesso tra le esigenze del comparto dei generici e quelle del comparto degli originator. Ci tengo a dirlo con chiarezza, non è un compromesso, è una totale retromarcia. La riformulazione prevista, infatti, perpetua la situazione già in essere da dieci anni, totalmente sbilanciata a favore di interessi protezionistici di alcuni comparti industriali. Ne è prova che l’Unione Europea sta procedendo a varare importanti riforme sul regolamento che disciplina i certificati di protezione complementare, oggetto di ripetuti abusi ed ingiustificate estensioni dei monopoli che da essi derivano, come facilmente si evince dai documenti preparatori della Pharma Strategy annunciata dalla Commissione Europea nel 2021”.
“In questo momento di grave difficoltà economica che i cittadini italiani ed europei e le autorità sanitarie si trovano ad affrontare dovrebbe essere di cruciale importanza agevolare l’accesso ai trattamenti meno costosi senza inutili ostacoli. A maggior ragione la scelta compiuta dalla politica su questo argomento risulta ingiustificata – conclude Hausermann – Garantiamo fin d’ora che daremo visibilità e informazioni dettagliate ai cittadini su qualsiasi danno economico che sarà subito dal SSN a causa della mancata abrogazione del Patent Linkage, nonchè di ogni altro effetto negativo per la concorrenza che possa derivare da questa scelta infelice”.

– foto Imagoeconomica –
(ITALPRESS).

Menarini inaugura la nuova sede a Dubai

DUBAI (EMIRATI ARABI) (ITALPRESS) – Menarini ha inaugurato oggi la sua sede regionale all’interno del Dubai Science Park, nel quadro dell’obiettivo di espansione della propria presenza nella regione Medio Oriente e Africa (MEA). Il Gruppo, specializzato in ricerca e produzione farmaceutica, consumer healthcare, oncologia e diagnostica, ha stabilito la sede del nuovo ufficio regionale (Menarini Middle East and Africa) a Dubai, città che rappresenta uno snodo ideale per migliorare la salute e il benessere dei pazienti di quest’area geografica e per instaurare rapporti cruciali con le principali parti interessate del settore.
L’inaugurazione ha visto la partecipazione di insigni personalità del settore sanitario, in particolare Amin Hussain Al Amiri, sottosegretario aggiunto alle Politiche e alle Licenze della Sanità pubblica presso il Ministero della Salute e della Prevenzione degli Emirati Arabi Uniti; Nicola Lener, ambasciatore italiano negli Emirati Arabi Uniti, oltre ai dirigenti del team globale Menarini, come Luca Lastrucci, direttore generale del Gruppo,Ugur Bingol, presidente per la regione META (Medio Oriente, Turchia e Africa) e Basel Thaher, responsabile regionale per il Medio Oriente e direttore generale per la regione MEA.
“La giornata di oggi, con l’apertura degli uffici regionali di Dubai, segna un momento storico per noi, un importante punto di svolta per aumentare sensibilmente la nostra presenza e il nostro portfolio in Medio Oriente – ha detto Elcin Barker Ergun, amministratore delegato del Gruppo Menarini e membro del Consiglio di Amministrazione -. Come azienda a conduzione familiare da ben 135 anni, non vediamo l’ora di servire sempre più pazienti in Medio Oriente nei prossimi anni, facendo leva sul nostro fermo impegno in favore della Qualità”.
Per Luca Lastrucci, direttore generale del Gruppo Menarini, “l’inaugurazione di oggi della sede di Dubai per la regione MEA è un traguardo importante per la nostra azienda, nel quadro dell’impegno per l’incremento degli investimenti in questa area geografica. La presenza in uno snodo farmaceutico di punta come Dubai potenzierà le capacità di Menarini e migliorerà l’accesso al mercato con la fornitura di prodotti all’avanguardia nell’ambito delle malattie cardiovascolari, gastrointestinali e infiammatorie”.
Lastrucci ha poi aggiunto: “Il governo degli Emirati Arabi Uniti ha dimostrato un fermo supporto agli investimenti farmaco-economici, con la sua solida infrastruttura commerciale e gli imponenti impianti che il paese vanta. Questo è per Menarini un passo fondamentale nella giusta direzione e continueremo a lavorare al fianco del governo degli Emirati Arabi Uniti per innalzare gli standard dell’assistenza sanitaria e favorire il benessere delle comunità all’interno e all’esterno del paese”.
A commento del perfetto allineamento dell’inaugurazione della nuova sede regionale di Menarini con la Dubai Industrial Strategy 2030, Ali Al Sayed, direttore del dipartimento Servizi farmaceutici dell’autorità sanitaria di Dubai, ha dichiarato: “Un obiettivo peculiare della strategia di Dubai per il 2030 è diventare uno snodo globale per aziende basate sulle conoscenze, attente alla sostenibilità e focalizzate sull’innovazione. Grazie alla sua lunga esperienza nel campo della ricerca medica, Menarini fornirà un contributo importante a questa strategia visionaria. E’ un’azienda con cui condividiamo la visione generale di consolidamento di Dubai come destinazione d’elezione per le conoscenze, l’istruzione e la formazione in ambito sanitario”.
Con alle spalle un’azienda presente in 140 paesi e oltre 17.000 dipendenti, la nuova sede regionale di Dubai opererà all’insegna dei radicati valori che contraddistinguono Menarini: attenzione al paziente, centralità delle persone e impegno per la qualità, l’integrità e la responsabilità. Questo importante traguardo è una testimonianza della mission per cui Menarini si impegna costantemente, ossia la cura delle patologie su scala globale, dando sempre la priorità alla salute dei pazienti, al di sopra di tutto.

– foto ufficio stampa Menarini –
(ITALPRESS).

Terapia genica, ideato un protocollo basato su mRNA che evita la chemio

MILANO (ITALPRESS) – In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell, un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), guidati da Luigi Naldini, ha mostrato come abbattere una delle più importanti barriere che limitano l’applicazione del trapianto di cellule staminali in terapia genica, ovvero la necessità di somministrare farmaci chemioterapici prima di infondere le cellule corrette nei pazienti. Nello studio, realizzato con il finanziamento di Fondazione Telethon, i ricercatori dell’SR-Tiget hanno combinato approcci molecolari e innovative tecniche basate sull’RNA messaggero, ottenendo un nuovo protocollo terapeutico – per ora ancora sperimentale – più sicuro e meno debilitante, che promette di allargare il numero di pazienti e di malattie per un cui la terapia genica potrebbe costituire un’opzione concreta.
“I risultati ottenuti rappresentano un traguardo importante per le applicazioni di terapia genica basata sulle cellule staminali del sangue e spianano la strada verso regimi terapeutici che non prevedano più l’impiego di chemio o radio-terapia, minimizzando gli effetti collaterali a breve e a lungo termine causati dall’elevata tossicità di questi trattamenti”, commenta Luigi Naldini, direttore di SR-Tiget e professore ordinario di Istologia e di Terapia genica e Cellulare presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. La terapia genica mira a correggere nelle cellule “malate” la funzione di un gene difettoso, mediante il trasferimento di una versione corretta e funzionale dello stesso gene. Nel contesto delle malattie ematologiche, un tipico protocollo di terapia genica prevede tre fasi, intervallate anche da parecchi giorni: la raccolta delle cellule staminali del sangue dal paziente, la loro correzione genetica in laboratorio e, infine, la loro re-infusione (o trapianto) nel paziente.
Nella prima fase, il paziente viene sottoposto a un regime farmacologico che spinge una parte delle cellule staminali ad abbandonare la nicchia nella quale risiedono all’interno del midollo osseo per raggiungere la circolazione sanguigna. Questo trattamento è anche noto come mobilizzazione ed è in genere molto ben tollerato. Una volta raggiunto il sangue, le cellule staminali possono essere prelevate, purificate e trasferite in laboratorio, dove vengono corrette geneticamente con vettori lentivirali per il trasferimento genico o con le procedure di editing con CRISPR.
Prima di poter ritrapiantare le cellule corrette è però necessario “fare loro spazio” nel midollo osseo del paziente, dove possano attecchire e ripopolare con la loro progenie corretta tutte le linee cellulari sanguigne. Bisogna eliminare le cellule staminali portatrici della mutazione patologica che sono rimaste nel paziente e nel frattempo hanno rioccupato tutta la nicchia. Per farlo si deve ricorrere a dei protocolli, chiamati di “condizionamento”, a base di chemioterapia o di radioterapia, che come tutti i trattamenti di questo tipo sono associati a un’elevata tossicità sia acuta (danni alle mucose, alto rischio di infezioni talvolta anche letali) sia a lungo termine (danni agli organi, secondi tumori, sterilità) e vengono quindi applicati solo in pazienti in condizioni di riceverli e per il trattamento di gravi malattie.
Quest’ultimo passaggio rappresenta quindi la barriera principale a un utilizzo più ampio e sicuro delle cellule staminali in terapia: il suo eventuale superamento rappresenta quindi da molti anni il miraggio di molte ricerche sperimentali.
“Nel nostro lavoro abbiamo dimostrato come i farmaci impiegati per la mobilizzazione – se utilizzati massimizzandone l’efficacia – possono da soli creare, in una finestra temporale ristretta, lo spazio sufficiente nel midollo osseo necessario all’attecchimento delle cellule staminali corrette senza l’impiego di regimi di chemio o radioterapia”, spiega Attya Omer Javed, prima autrice dello studio.
L’idea alla base della scoperta è quella di mettere in competizione tra loro le cellule corrette con quelle residenti e ancora portatrici della mutazione, rendendo più difficile a queste ultime – e più facile alle prime – ripopolare la nicchia staminale all’interno del midollo.
Il primo passo è stato sfruttare appieno il trattamento di mobilizzazione: per poter funzionare, questo trattamento danneggia le proteine di superficie che le cellule staminali del sangue usano per ancorarsi all’interno del midollo, ma i ricercatori hanno osservato che queste “proteine-ancora” vengono efficacemente ricostituite nelle cellule corrette durante la fase di coltura in laboratorio. Se reinfuse al picco di un trattamento di mobilizzazione, le cellule corrette hanno quindi un vantaggio nell’occupare la nicchia rispetto a quelle appena esposte al trattamento. Per potenziare ulteriormente il loro vantaggio, i ricercatori hanno pensato di utilizzare la tecnologia a RNA messaggero – la stessa usata per lo sviluppo dei vaccini contro il Covid-19 – e favorire una espressione superiore a quella fisiologica, ma pur sempre temporanea, delle proteine-ancora. “Abbiamo iniziato a testare l’utilizzo di RNA messaggero per promuovere l’espressione temporanea di un gene ancora prima dello sviluppo dei moderni vaccini a mRNA. Ora, forti degli straordinari risultati in termini di efficacia e sicurezza nei vaccini, possiamo sperare in una transizione più rapida in clinica” spiega Naldini.
Utilizzando cellule di donatori sani, pazienti e modelli animali, il gruppo di ricerca ha dimostrato l’efficacia terapeutica del nuovo protocollo di trapianto accoppiato a mobilizzazione in un modello animale di immunodeficienza primaria. Il risultato è la ricostituzione di una risposta immunitaria funzionale senza alcun bisogno di condizionamento. Successivamente, applicando il protocollo in un modello sperimentale con cellule staminali umane, ne hanno dimostrato la versatilità di applicazione nel contesto delle procedure di trasferimento genico con vettori lentivirali o di editing genetico con CRISPR, aprendo la strada ad un prossimo sviluppo clinico.
“Se l’efficienza di scambio ottenuta dopo potenziamento transitorio delle cellule geneticamente corrette negli esperimenti appena descritti fosse replicata nell’uomo, potrebbe risultare efficace per il trattamento di numerose malattie genetiche, dalle immunodeficienze primarie ad anemie ereditarie e malattie da accumulo, e non solo, aprendo nuovi orizzonti di applicazione per le moderne tecniche di terapia genica e cellulare”, conclude Naldini.

– foto ufficio stampa IRCCS Ospedale San Raffaele –
(ITALPRESS).

Entro l’anno sarà completata la digitalizzazione del 118 in Sicilia

PALERMO (ITALPRESS) – Entro la fine del 2022 sarà completata in Sicilia la digitalizzazione del 118, il servizio di emergenza-urgenza sanitaria. Sono 5mila gli operatori che a settembre completeranno la formazione. Le tecnologie consentiranno di rendere l’intero sistema più efficiente e di velocizzare gli interventi di soccorso: è previsto che tutti i mezzi del territorio vengano dotati di un tablet in grado di farli comunicare in diretta con la centrale. Sull’85% delle 251 ambulanze e sui sei elicotteri del 118 è già presente il nuovo apparecchio tecnologico che – tra le altre cose – consente agli infermieri presenti nella centrale operativa la geolocalizzazione.
“Digitalizzare è la naturale evoluzione al passo coi tempi del vecchio caro 118 che siamo abituati a conoscere dal 1994, quando è nato all’inizio in modo sperimentale – spiega Mario La Rocca, dirigente generale della Pianificazione strategica dell’assessorato regionale della Salute -. Abbiamo introdotto i tablet all’interno delle ambulanze per caricare app e programmi che mettono in contatto la centrale operativa con i soccorritori”.
“Con la geolocalizzazione dell’ambulanza, inoltre, siamo in grado di capire qual è il mezzo più vicino al luogo del sinistro e, quindi, invece di mandare di routine quello della sede fissa, se per caso – spiega – c’è un’ambulanza che ritorna da un intervento e sta passando vicino al luogo dell’incidente o dell’emergenza, si manda quella. La geolocalizzazione ci consente il calcolo dei percorsi più veloci e più brevi”.
Un sistema più snello che mette al centro il ruolo degli infermieri della centrale operativa che dovranno registrare il paziente e immediatamente contattare il mezzo di soccorso più idoneo per effettuare l’intervento, inviando contestualmente all’automezzo la documentazione sanitaria. La centrale, inoltre è in grado di visualizzare i posti e l’affollamento delle aree di emergenza negli ospedali, col tablet che fornisce anche un sistema di interscambio di dati in tempo reale fra tutti gli attori del sistema di emergenza.
“Adesso abbiamo aggiornato il servizio per renderlo più efficiente e più veloce – ha aggiunto La Rocca -. Siamo in grado di scegliere quale sia il pronto soccorso di destinazione più opportuno da raggiungere non più in base alla vicinanza territoriale, ma in base ai tempi necessari per assistere in modo concreto il paziente. Tutto questo deve essere accompagnato da una valutazione preliminare del grado di gravità del paziente soccorso perchè se si tratta di un’ambulanza non medicalizzata ovviamente si va sempre al pronto soccorso più vicino per stabilizzare il paziente”.
I circa 5mila operatori entro settembre saranno completamente formati, per far sì che entro la fine dell’anno il servizio digitalizzato sia completo in tutti i suoi aspetti. “Questo nuovo sistema agevola anche la centrale operativa a indirizzare le ambulanze con i pazienti nel posto più idoneo e nel posto dove c’è la presenza di posti letto disponibili – sottolinea Fabio Genco, direttore della centrale operativa 118 Palermo e Trapani -. Abbiamo nella nostra centrale degli schermi che ci consentono di sapere dove sono i mezzi di soccorso in un determinato momento e la pressione dei pronto soccorso di ogni singolo ospedale, oltre la situazione dei posti letto e dei ricoveri nei vari reparti”.
“La centrale coordinata da Gaetano Di Fresco è dotata di diverse postazioni, con degli infermieri che sono in grado di fornire a chi chiama ogni dettaglio su come operare in attesa dell’arrivo dell’automezzo – continua -. Alla centrale – grazie al sistema 112 NUE – arrivano solo le chiamate che hanno la necessità di intervento, visto che tramite il 112 vengono filtrate eventuali chiamate per la quali non è necessario un automezzo, oppure le chiamate ripetute da parte di passanti che magari notano un determinato incidente”.
“Siamo giunti a un livello di sovrasistema perchè l’utente, chiamando il 118, riceverà la risposta di un operatore che chiede di cosa ha necessità l’utente, che può essere pubblica sicurezza, soccorso tecnico o sanitario – sottolinea Alessandro D’Acquisto, servizio Emergenza Urgenza Sanitaria Isole minori e Aree disagiate -. Vi è una totale sinergia e quindi la possibilità che intervengano più enti contemporaneamente”.
A completare il sistema dei soccorsi anche l’app “Where Are U”: “Non tutti la conoscono, ma è in grado di salvare la vita nei momenti di difficoltà ed emergenza e di permettere la localizzazione esatta e la provenienza della chiamata alla centrale operativa del 112, in modo da consentire soccorsi veloci nel minor tempo possibile – racconta Marco Palmeri, dirigente del servizio urgenza emergenza dell’assessorato regionale alla Salute -. Questo anche nei casi in cui l’utente non conosce la sua esatta posizione oppure non è in grado di dare riferimenti e dati precisi rispetto al posto in cui si trova a causa, per esempio, di choc da incidente stradale o nel caso si trovi in montagna senza punti di riferimento. C’è di più, perchè la app consente inoltre la chiamata da muto che avverte l’operatore della centrale di un pericolo imminente per l’utente impossibilitato a dialogare per chiedere soccorso. Fondamentale per chiunque, in particolare donne vittime di violenza”.

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