PALERMO (ITALPRESS) – La collaborazione tra la Regione siciliana e UPMC, gruppo sanitario accademico legato alla University of Pittsburgh, prosegue nel segno dell’innovazione clinica e dell’offerta di cure e assistenza all’avanguardia. Il gruppo statunitense, che a Palermo ha avviato e gestisce l’IRCCS ISMETT – centro d’eccellenza internazionale per i trapianti e cure ad alta specializzazione – attraverso una partnership pubblico-privata con la Regione, porta per la prima volta in Sicilia il programma di oncologia medica integrata dell’UPMC Hillman Cancer Center di Pittsburgh.
Inaugurato oggi alla presenza dell’assessore alla Sanità della Regione siciliana, Ruggero Razza, e dei vertici di UPMC International, il nuovo reparto HCC integra i servizi chirurgici già offerti da ISMETT mettendo a disposizione dei pazienti dell’ospedale un team oncologico multidisciplinare – oncologi, infermieri, farmacisti ed esperti nel campo della psicologia, della riabilitazione e della nutrizione – che lavora in sinergia per sviluppare piani di cura personalizzati.
“Quando con il presidente Musumeci abbiamo visitato l’Hillman Cancer Center di UPMC a Pittsburgh, avevamo lanciato l’idea di recuperare il modello organizzativo per le terapie oncologiche che avevamo visto, e che guarda al paziente non solo come malato da curare, ma come persona che deve ricevere la migliore assistenza possibile – commenta l’assessore Razza -. Sono, quindi, particolarmente contento di essere qui oggi per l’inaugurazione del nuovo reparto di medicina oncologica dell’ISMETT, e voglio ringraziare UPMC per avere accettato questa nuova sfida. Questa iniziativa rafforza, inoltre, la collaborazione con l’ospedale Civico di Palermo, che attraverso la sua Unità Farmaci Antiblastici (UFA) produrrà il farmaco utilizzato nelle terapie”.
Con oltre 30 anni di esperienza e una media di 150mila pazienti assistiti ogni anno, l’UPMC Hillman Cancer Center è una delle più grandi reti oncologiche integrate al mondo, ed è ai primi posti nel mondo per l’attività di ricerca e per lo sviluppo di programmi oncologici. Il network trasferisce i suoi standard di cura a oltre 70 centri in tutto il mondo, e ha già una presenza consolidata in Italia, con i due centri di radioterapia ad alta specializzazione a Roma e in provincia di Avellino.
“Questa nuova iniziativa conferma l’impegno di UPMC a portare cure all’avanguardia ai pazienti in Italia – commenta Joel Nelson, Chief Medical Officer UPMC International -. Il cancro è oggi la principale causa di morte a livello mondiale, con 10 milioni di decessi nel 2020; anche in Italia, si stima che circa metà della popolazione maschile e 1/3 di quella femminile si ammalerà di cancro nell’arco della vita. Diagnosi precoce e trattamenti efficaci possono salvare molte vite. Entrare a fare parte della nostra rete di Cancer Center significa avere accesso alle ultime tecnologie e a trattamenti innovativi, in un continuo confronto con specialisti e ricercatori internazionali. Lo scambio di conoscenze e di pratiche, come l’aggiornamento continuo, sono una parte fondamentale del modello di cura e assistenza di UPMC”.
– foto ufficio stampa Ismett –
(ITALPRESS).
Tumori, UPMC avvia l’Hillman Cancer Center all’Ismett di Palermo
Covid, i nuovi positivi sono 44.489, le vittime 148, ricoveri in calo
Sono 44.489 i nuovi positivi in Italia, per un totale di 967.401 persone attualmente infettate dal Covid. E’ quanto emerge dal quotidiano bollettino del Ministero della Salute, che sancisce in 148 il numero delle vittime delle ultime 24 ore, per un totale di 165.494 persone decedute da inizio pandemia. I ricoverati negli ospedali sono 7.802, 182 in meno di ieri, mentre quelli in terapia intensiva sono 337, 16 in meno rispetto a 24 ore fa. (ITALPRESS).
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Porfiria epatica acuta, in Sicilia la mostra “Oltre il visibile”
PALERMO (ITALPRESS) – Un viaggio attraverso molteplici suggestioni visive per sensibilizzare sull’esistenza della porfiria epatica acuta, patologia rara, dalla natura complessa, aspecifica ed eterogenea nei suoi sintomi, ma anche per favorire l’empatia con i pazienti, raccontandone le difficoltà quotidiane e il coraggio con cui affrontano la loro condizione. Questo l’obiettivo della mostra itinerante “Oltre il visibile. Suggestioni visive e racconti sulla Porfiria Epatica Acuta” che, in questi giorni, è ospitata nel cortile di Palazzo Steri, a Palermo (fino al 21 maggio) e, successivamente, nell’atrio del padiglione 3 del policlinico Universitario di Catania (fino al 3 giugno).
La mostra è nata dalla collaborazione tra Alnylam Pharmaceuticals, azienda biofarmaceutica americana che, dal 2002, sta sviluppando una pipeline di medicinali basati sull’RNA Interference destinati ai pazienti con opzioni di trattamento limitate o inadeguate, e gli studenti del Triennio in Graphic Design and Art Direction di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti.
“Le porfirie sono un gruppo di malattie rare – spiega al riguardo il professore Maurizio Averna, responsabile dell’U.O. di Medicina Interna e Dislipidemie Genetiche del Policlinico “Paolo Giaccone” di Palermo – che derivano da un difetto, ereditario o acquisito, di uno degli enzimi della via biosintetica dell’eme, componente essenziale dell’emoglobina e, quindi, della vita. Per ogni enzima deficitario si può generare una forma differente di porfiria, e tra gli otto sottotipi, le porfirie acute a coinvolgimento epatico sono di fatto le più subdole, perchè apparentemente di più difficile diagnosi. Purtroppo, ancora troppo spesso queste patologie sono prese in considerazione dai medici solo quando la necessità di una diagnosi è disperata. Nella gestione di queste patologie, oltre alla ricerca che sta portando alla disponibilità di farmaci innovativi e sempre più efficienti, rimane fondamentale quindi la diagnosi sempre più precoce che si ottiene anche lavorando sulla consapevolezza e la conoscenza di queste patologie, sia da parte dei medici, che dei cittadini. E’ molto pertinente, quindi, oltre che socialmente importante, sensibilizzare l’opinione pubblica su una malattia sconosciuta come la porfiria epatica acuta anche attraverso il linguaggio universale dell’arte, attraverso la mostra “Oltre il visibile”, esposta nel cortile di Palazzo Steri, qui a Palermo, aperta al pubblico, il cui titolo già evocativo racchiude in sè il senso concreto dell’iniziativa, proponendo suggestioni visive e racconti sulla patologia che vanno oltre la malattia e la sua rappresentazione”.
Le porfirie epatiche sono, quindi, un gruppo di porfirie la cui sede prevalente di espressione del difetto genetico è rappresentata dal fegato. Il termine acute, o inducibili, secondo una delle più recenti classificazioni proposte in letteratura, si riferisce alla possibilità che il paziente vada incontro a un attacco acuto. I sintomi comuni della porfiria epatica acuta (AHP), della quale – seppur rara – hanno sofferto personaggi noti come Vincent van Gogh, re Giorgio III d’Inghilterra e la figlia di Isabel Allende, Paula, alla cui storia la scrittrice ha dedicato un libro, comprendono sia manifestazioni acute, crisi neuro viscerali con forte dolore addominale diffuso e alterazioni dello stato mentale (attacco porfirico acuto), sia sintomatologia cronica intercorrente e persistente.
“La porfiria epatica acuta può colpire persone di ogni sesso, età, razza o etnia, ma la maggior parte dei casi si verifica nelle donne di età compresa tra i 20 e i 40 anni – precisa la professoressa Agata Fiumara, Direttore U.O.C. Clinica Pediatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Azienda Ospedaliero Universitaria “Policlinico San Marco G. Rodolico” di Catania, che ospiterà la mostra dopo la tappa di Palermo -. Chi ne è affetto alterna intervalli di quiescenza ad attacchi acuti di dolore addominale severo e inspiegabile che possono durare anche più giorni e coinvolgere il sistema neuropatico, con il rischio anche di eventi fatali (arresti respiratori o cardiaci)”.
“Molti fattori ambientali o condizioni patologiche (come farmaci, restrizione calorica, ormoni, infezioni o abuso di alcool) spesso svolgono un ruolo chiave nell’innescare l’attacco acuto che può venire confuso con patologie più frequenti, quali sindrome dell’intestino irritabile, appendicite, fibromialgia ed endometriosi. Alcune persone, inoltre, presentano quotidianamente sintomi debilitanti, i cosiddetti sintomi cronici come l’ansia, la nausea, il dolore e l’affaticamento, anche quando non hanno attacchi acuti. Una sintomatologia molto varia, quindi, che può essere scambiata con quella di molte altre malattie, comportando un ritardo diagnostico che può protrarsi anche fino a 15 anni o diagnosi errate che possono condurre a trattamenti, interventi chirurgici e ricoveri ospedalieri non necessari. Per questo è importante che questa patologia genetica venga sospettata, vista e riconosciuta sempre più tempestivamente dagli specialisti – dagli operatori dei Pronto Soccorso ai medici di famiglia – oltre che dai pazienti e dall’opinione pubblica generale”.
Tutto il percorso della mostra “Oltre il visibile. Suggestioni visive e racconti sulla Porfiria Epatica Acuta” invita lo spettatore ad andare oltre, a ricercare una realtà diversa che normalmente non tutti riescono a vedere. Sensibilizzando anche sull’importanza di aumentare la consapevolezza sulle malattie rare, perchè, se è vero che per una patologia cosiddetta rara si identificano 5 pazienti su 10.000, a fronte di almeno sei o settemila malattie rare conosciute, solo in Europa si contano tra i 30 e i 40 milioni di persone affette.
Per maggiori informazioni sulla porfiria epatica acuta, per riconoscere segni e sintomi e sapere quali sono gli esami da effettuare per confermare una diagnosi di AHP è disponibile per pazienti, caregivers e specialisti il sito: https://www.livingwithporphyria.eu/it/informazioni-sull-ahp . Inoltre per facilitare la ricerca dei centri di riferimento dedicati alla porfiria epatica acuta è possibile consultare il sito: https://centriporfiriaepaticaacuta.it/.
– foto Weber Shandwick –
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Pronto soccorso, Cimo-Fesmed “Accelerare iter riforma emergenza-urgenza”
ROMA (ITALPRESS) – La fine della legislatura si avvicina, e con essa la fine dell’iter delle proposte di legge che non arriveranno al voto in Parlamento. Tra queste figura la riforma del settore dell’Emergenza-Urgenza, in questi giorni al centro delle cronache per le drammatiche condizioni in cui versano i pazienti e in cui lavorano medici e professionisti sanitari. Occorre dunque accelerare l’iter per evitare che la prossima legislatura sia costretta a ricominciare ad affrontare un tema così delicato da zero.
“Un 4° LEA dedicato all’Emergenza-Urgenza, la rete unica e il ruolo unico dei medici dell’area sono obiettivi che non possono più essere rinviati”, sottolinea Guido Quici, presidente della Federazione CIMO-FESMED, al convegno organizzato da FIMEUC, CIMO Toscana e Anaao Toscana dedicato al 30° anniversario della nascita del Sistema Emergenza-Urgenza in corso a Firenze.
“Ma oltre alla riforma strutturale e organizzativa del sistema occorre una riflessione sulle risorse – aggiunge -. Il rapporto della spesa sanitaria rispetto al Pil nel 2025 scenderà al 6,2% rispetto al 7% del 2022. Allora ci saranno risorse da destinare al settore dell’Emergenza o no? Il contratto di lavoro potrà contare su fondi sufficienti per garantire la carriera dei medici, per equiparare gli stipendi ai Paesi europei e frenare la fuga dal SSN o no? Il tetto alla spesa del personale che causa la grave carenza di medici e infermieri e che determina condizioni di lavoro inaccettabili sarà tolto o no? C’è l’intenzione di definire ‘usurantè il lavoro in Emergenza-Urgenza o no? Si intende aumentare significativamente il valore economico della guardia o no?”.
“La politica ha la responsabilità di risponderci entro la fine della legislatura – conclude Quici -. La crisi è adesso, ed è sotto gli occhi di tutti. Non c’è altro tempo da perdere”.
– foto ufficio stampa Cimo-Fesmed –
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“Stigma invisibile”, la prima serie Tv che racconta l’Hiv
ROMA (ITALPRESS) – Vivere oggi con l’HIV è molto diverso rispetto al passato. Eppure, alcuni atteggiamenti nei confronti di chi ha contratto il virus fanno fatica a essere eradicati. Fino al ’96, oltre a vivere una profonda discriminazione dovuta alla contrazione del virus, le persone con HIV vivevano anche un grave problema di salute. Mentre oggi, dopo 40 anni dalla scoperta del virus, grazie allo sviluppo di terapie sempre più efficaci, il virus dell’HIV può essere tenuto sotto controllo.
Chi convive con l’HIV può avere una qualità di vita al pari della popolazione generale con trattamenti che portano alla “formula” U=U: rendono il virus non rilevabile (Undetectable) e anche di conseguenza non trasmissibile (Untrasmittable). Il risultato è una vita piena per sè stessi e il proprio partner.
Dal punto di vista sociale però i passi in avanti non sono stati altrettanto rapidi e risolutivi: incombe ancora il pregiudizio correlato alla patologia e al suo principale veicolo: i rapporti sessuali. Uno stigma che aleggia sopra tutte le popolazioni con HIV: invisibile ma presente.
La serie TV “Stigma invisibile” dedicata all’HIV in 5 episodi intreccia storie autentiche di persone che ogni giorno non solo convivono con il virus ma anche con uno stigma, che spesso è più ingombrante e di difficile gestione del virus stesso.
Il progetto è nato grazie alla collaborazione tra Discovery e Gilead con un comune obiettivo: sensibilizzare sul tema dell’HIV con una modalità nuova e più vicina al grande pubblico. La docu-serie, di cui Michela Chimenti è ideatrice e autrice, realizzata dalla casa di produzione milanese Story Farm con la regia di Alessandro Carlozzo, è stata lanciata con un documentario lo scorso 1° Dicembre dedicato al World AIDS Day e, dal 4 maggio 2022 è visibile gratuitamente sul canale Discovery +.
I cinque episodi sono costruiti sulle storie dei protagonisti che emozionano perchè autentiche e raccontate senza filtri: storie di accettazione, di rivincita, di grande amore e di paura, a cui si affiancano le voci degli esperti che danno alla serie un quadro più approfondito della patologia.
Quanto può essere difficile confessare di avere l’HIV? Perchè alcuni fanno fatica a mostrarsi? Chi scopre di avere l’HIV deve chiudere con l’amore e il desiderio di una famiglia? Cosa vuol dire vivere con l’HIV? Una madre con HIV può dare alla luce un figlio sieronegativo? Un minorenne può fare il test senza il consenso dei genitori?
Queste tematiche, in Stigma invisibile, vengono affrontate dai reali protagonisti, in maniera diretta, nuova, senza autocommiserazione. La serie è da vedere tutta d’un fiato e ci ricorda che la corretta informazione è l’arma più potente che abbiamo.
In Italia vivono oltre 120mila persone con HIV, di cui circa 18mila inconsapevoli dell’infezione. E’ il cosiddetto sommerso. Per questo è importante promuovere la sensibilità rispetto al tema dell’HIV, stimolare le Istituzioni a non abbassare la guardia, continuare a investire affinchè le innovazioni possano essere a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno per garantire una sempre migliore qualità della vita.
“Gilead da oltre 30 anni è pioniera nella ricerca di soluzioni contro il virus e ha contribuito a trasformarne la storia, da patologia mortale a cronica – spiega Cristina Le Grazie, Direttore Medico di Gilead Italia -. Lo facciamo a fianco dei clinici, delle istituzioni e soprattutto dei pazienti, tenendo alta l’attenzione verso questo virus che ancora non è debellato e che sempre lascia una traccia indelebile del suo passaggio; una traccia fatta di pregiudizio, di stigma sociale. ‘Stigma Invisibilè è un progetto che va proprio nella direzione di far emergere con chiarezza queste tematiche. Una serie TV ci è sembrato il formato più immediato e familiare per raccontare al meglio l’HIV e come siano cambiate le cose in questi anni. Nasce dall’esigenza di portare sul grande schermo le storie di persone che potrebbero essere nostri amici, conoscenti, fratelli, genitori, ma di cui si parla sempre troppo poco e non ci si informa, se non toccati direttamente dal tema. L’informazione è lo strumento più potente per abbattere i pregiudizi e permetterci in futuro non solo di eliminare il virus ma anche di produrre una serie con un titolo diverso”.
– foto Honboard –
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Fibrosi Polmonare Idiopatica, sul Nejm risultati studio Unicatt-Gemelli
ROMA (ITALPRESS) – La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una forma di fibrosi polmonare senza una causa identificata. Sotto questo nome va un gruppo di malattie molto eterogeneo che possono essere causate per esempio da inalazioni di polveri sul luogo di lavoro, essere associate a farmaci o a malattie autoimmuni o, ancora, determinate da fattori genetici. La fibrosi polmonare idiopatica è una diagnosi di esclusione, che si fa dopo aver valutato tutte le cause possibili. Si stima che i casi in Italia possano essere tra i 30 e i 50 mila, anche se come tutte le malattie rare anche la IPF risente del problema della sottodiagnosi. Colpisce in genere intorno ai 65 anni, più i maschi e i fumatori. “La forma ‘idiopaticà è quella più rara, ma anche la più grave – spiega il professor Luca Richeldi, direttore della UOC di Pneumologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma -; in genere la sopravvivenza dal momento della diagnosi è intorno ai 5 anni, pur avendo oggi a disposizione delle terapie anti-fibrotiche che ne rallentano la progressione, senza tuttavia arrestarla”.
Per questo hanno destato grande interesse i risultati di uno studio di fase 2 su una nuova terapia putativa, appena pubblicati sul New England Journal of Medicine. Il nuovo farmaco, indicato per ora solo da una sigla (BI 1015550), è un inibitore delle fosfodiesterasi 4b. “Abbiamo coordinato a livello mondiale la fase 2 – ricorda il professor Richeldi, che dirige al Gemelli un centro di riferimento internazionale sulle fibrosi polmonari – e saremo i coordinatori mondiali anche per la fase 3, che partirà il prossimo ottobre. E’ un farmaco innovativo e molto specifico. Questo ha dei vantaggi in termini di effetti collaterali, che sono più contenuti. In vitro e in modelli animali il nuovo farmaco ha dimostrato di avere sia effetti anti-infiammatori che anti-fibrotici; si somministra per bocca, due volte al giorno”. Anche il disegno di questo studio di fase 2 appena pubblicato è innovativo. Durato tre mesi, ha arruolato sia pazienti in placebo puro (cosiddetti naìve), sia pazienti già in terapia con gli altri due farmaci: in tutto 147 pazienti, randomizzati 2:1 a farmaco attivo o a placebo.
“E’ il primo studio sulla IPF – sottolinea il professor Richeldi – che ha utilizzato un approccio cosiddetto ‘bayesianò, oggi molto di moda, perchè consente di ridurre il numero dei pazienti nel gruppo placebo, utilizzando dei controlli presi da studi precedentemente eseguiti; il vantaggio è quello di dare risultati molto solidi in un tempo contenuto e questo è importante perchè può accorciare i tempi di sviluppo dei nuovi farmaci, soprattutto nelle malattie rare”. I risultati dello studio, che andranno confermati nella fase 3, dimostrano che questo nuovo farmaco è sicuro, sia in combinazione con altre terapie, che da solo. Nei tre mesi di durata della fase 2 il nuovo farmaco ha stabilizzato la funzionalità respiratoria dei pazienti. “Questo farmaco percorre una via molecolare nuova – commenta Richeldi – e potrebbe dunque avere un effetto sia sinergico che additivo con gli altri due farmaci già utilizzati in clinica”.
La recente rivoluzione della terapia per l’IPF. “Negli ultimi anni – prosegue il professor Richeldi – sono stati introdotti in terapia due farmaci, il pirfenidone e il nintedanib, che rallentano la progressione di malattia del 50% circa; quanto prima vengono iniziati, maggiore la loro efficacia. Sono tuttavia gravati di effetti collaterali, per cui spesso è necessario ridurne la posologia o interrompere il trattamento. Poco prima che entrassero in commercio- ricorda il professor Richeldi – uno studio pubblicato sul NEJM nel 2012 aveva dimostrato che i cortisonici, che utilizzavamo in cronico in questi pazienti, possono addirittura accelerare la progressione di malattia, aumentando i ricoveri”. Quello che era stato lo standard di terapia per un decennio (non sostenuto però da un trial randomizzato) si era dimostrato insomma non solo inefficace, ma dannoso. Per questo, da allora la terapia steroidea è riservata solo alle riacutizzazioni della IPF.
Poi, a distanza di qualche anno, sono arrivati i primi due farmaci per la IPF, segnando una vera e propria rivoluzione terapeutica in questo campo. “Pirfenidone e nintedanib – ricorda il professor Richeldi – non nascono come anti-fibrotici, cioè come terapie studiate per la IPF; solo in un secondo momento, si è scoperto che avevano un’azione di rallentamento della malattia, ma sono nati per altre patologie, il nintedanib, un triplo inibitore delle tirosin-chinasi, è usato in oncologia per il tumore del polmone; il pirfenidone, che nasce come antibiotico veterinario, ha un effetto anti-fibrotico per meccanismi d’azione non chiariti. Hanno rappresentato un passo avanti epocale per il trattamento dell’IPF. Ma solo un passo avanti, non la soluzione. Rallentano, ma non bloccano e non guariscono la malattia e inoltre sono gravati di un importante profilo di effetti collaterali che, in almeno un terzo dei pazienti, richiede la sospensione del farmaco”. Quindi la ricerca farmacologica è continuata, alla ricerca di farmaci più efficaci e meno tossici che da soli o in combinazione con questi potessero dare ai pazienti alternative terapeutiche migliori.
“Al momento – ricorda il professor Richeldi – sono in fase di esecuzione due studi di fase 3, uno con la pentraxina, una molecola ricombinante che agisce sui macrofagi, bloccando l’attività di quelli profibrotici; l’altro con il pamrevlumab, un anticorpo monoclonale diretto contro un fattore di crescita per il connettivo. Gli studi, entrambi coordinati a livello mondiale dal nostro Centro, sebbene rallentati dalla pandemia, hanno quasi raggiunto la fine dell’arruolamento. Le fasi 2 di questi studi, anch’esse coordinate da noi, sono state in precedenza pubblicate su JAMA e su Lancet Respiratory Medicine. Questi studi potrebbero portare uno o entrambi questi farmaci (a somministrazione endovenosa) nella pratica clinica; ma dovremo aspettare la fine del prossimo anno per acquisire i risultati completi degli studi di fase 3”.
foto: Ufficio stampa Gemelli
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Malattie rare, Fondazione Cariplo e Telethon finanziano 24 progetti
MILANO (ITALPRESS) – Grazie all’alleanza tra Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon sono stati finanziati 24 progetti di ricerca di base per un totale di 5,7 milioni di euro. Obiettivo dell’iniziativa congiunta è la comprensione di aspetti genetici e meccanismi molecolari oggi ancora in gran parte sconosciuti o scarsamente compresi, ma potenzialmente utili per favorire lo sviluppo di nuove terapie per le malattie rare.
Sebbene il genoma umano sia stato sequenziato completamente, circa un terzo delle proteine umane non sono ancora state descritte[1]. Questa porzione di genoma ancora inesplorata potrebbe contribuire a chiarire nuovi meccanismi fisiologici e patologici e potrebbe rappresentare una miniera per scoprire nuovi percorsi terapeutici. Il bando di Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon si è proposto quindi di sostenere la ricerca di base in questo ambito, ispirandosi a un’iniziativa del National Institutes of Health (NIH) focalizzata sullo studio di quelle parti del nostro patrimonio genetico che, ad oggi, restano oscure ma dovrebbero essere “illuminate”.
In particolare, i progetti dovevano focalizzarsi sullo studio dei cosiddetti bersagli Tdark, definiti secondo i criteri stabiliti dall’Illuminating the Druggable Genome Knowledge Management Center (IDG-KMC), per i quali non sono note informazioni sulla struttura, sulla funzione e sulla interazione con molecole e farmaci.
I 24 progetti selezionati vedono la presenza di 35 gruppi di ricerca distribuiti su tutto il territorio nazionale: Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Molise, Trentino-Alto Adige e Veneto. Sono oltre 15 gli ambiti e le patologie oggetto di studio, tra cui disordini del neurosviluppo e della crescita, malattie reumatologiche, malattie renali, malattie neurologiche, distrofia muscolare, sindrome di Rett, malattia di Huntington, una forma rara e genetica della malattia di Alzheimer, malattie del sangue, malattie mitocondriali.
Complessivamente sono state ricevute oltre 200 proposte di progetto, presentate da enti di ricerca italiani non profit, pubblici o privati. Di queste, 132 sono state ritenute idonee e sottoposte al processo di valutazione, affidato a una commissione medico-scientifica di 15 scienziati di caratura internazionale provenienti da tutto il mondo e presieduta dal dr. Massimo Pandolfo della Mc Gill University di Montreal (Canada). A garanzia della trasparenza e della correttezza della valutazione, è stato usato il metodo di peer-review, o revisione tra pari, che indica la valutazione critica che un lavoro o una pubblicazione riceve da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi li presenta.
“La ricerca di base, in particolare per quanto riguarda le malattie rare, è ancora oggi un ambito orfano di investimenti e questo limita il numero di studi avviati, in particolare in aree del tutto inesplorate – dichiara Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon – In verità, la ricerca di base rappresenta un apripista per l’innovazione in generale, sviluppando conoscenze chiave, potenzialmente utili anche per la ricerca applicata nel campo di patologie più frequenti. Alla luce di queste considerazioni Fondazione Telethon e Fondazione Cariplo hanno deciso di creare quest’alleanza, che ci vede uniti nel comune obiettivo di favorire la crescita della ricerca scientifica attraverso progetti i cui risultati possano nel tempo rispondere alle necessità non soddisfatte dei pazienti e delle loro famiglie, in aree con opzioni terapeutiche scarse o nulle. Siamo quindi molto felici di questo sodalizio, che proseguirà anche nei prossimi anni, e ci auguriamo che anche altre Fondazioni seguano l’esempio di Cariplo mettendo a fattor comune risorse e competenze a sostegno della ricerca sulle malattie rare”.
“Questi ultimi due anni ci hanno dimostrato con evidenza la capacità innovativa e generativa della ricerca di base, capace di creare quel terreno comune da cui nel tempo nascono scoperte che cambiano radicalmente la vita delle persone. Da sempre Fondazione Cariplo sostiene la ricerca e continua a farlo oggi a fianco di Fondazione Telethon, che con noi condivide l’urgenza di provare a dare risposte a quelle persone che si trovano in condizioni particolarmente difficili. – conclude Giovanni Fosti, Presidente Fondazione Cariplo – Davanti alle sfide e alla complessità che ci troviamo ad affrontare è sempre più necessario il lavoro in rete e la condivisione dei saperi”.
foto: Photo credit: agenziafotogramma.it
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Covid, in Italia 13.668 nuovi positivi e 102 morti nelle ultime 24 ore
MILANO (ITALPRESS) – Sono 13.668 i nuovi positivi in Italia. E’ quanto si apprende dal quotidiano bollettino sulla pandemia, emesso dal Ministero della Salute. Gli attualmente positivi sono 982.368, mentre nelle ultime 24 ore le persone decedute sono state 102, portando il totale delle morti da inizio pandemia a quota 165.346. Gli attualmente ricoverati sono 7.984 (105 in più), mentre quelli in terapia intensiva sono 353 (sei in più rispetto a 24 ore fa). (ITALPRESS).
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