Home Salute Pagina 182

Salute

Un terzo dei medici sogna la pensione, soprattutto i giovani

ROMA (ITALPRESS) – Un terzo dei medici italiani, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di poter barattare istantaneamente il camice bianco con una spiaggia esotica o una panchina al parco è proprio la “fetta” più giovane della Professione: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni. E’ questo uno dei dati più eclatanti, e preoccupanti, dell’indagine quantitativa “La condizione dei Medici a due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19”, condotta dall’Istituto Piepoli su input della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, e presentata nell’ambito della conferenza nazionale sulla questione medica. “Noi amiamo questa professione, chiediamo solo di poterla esercitare con l’entusiasmo di chi inizia”, ha detto il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. “Questa propensione alla pensione anticipata, espressa da tanti giovani, è un dato scioccante che fa riflettere e mostra quanto profonda sia la crisi legata alla perdita di fiducia nel futuro, alla mancanza di speranza di un domani migliore per la nostra professione”, ha aggiunto.
La ricerca è stata realizzata attraverso la somministrazione di 500 interviste, condotte dal 21 al 28 marzo scorso, su un campione rappresentativo di 500 medici, uomini e donne, stratificati per età e per collocazione geografica, così segmentati: 50 medici di famiglia, 50 medici di continuità assistenziale, 50 pediatri, 200 Odontoiatri, 50 specialisti ambulatoriali, 50 ospedalieri, 20 pensionati, 30 medici di altra tipologia. Rilevante l’aumento in pandemia dei carichi di lavoro – oltre il 37% sul territorio, più 28% in ospedale – che ha riguardato la stragrande maggioranza dei medici e degli odontoiatri. A quanto emerge dalla ricerca, nel corso della pandemia il carico di lavoro è cresciuto per 3 medici su 4, portando quasi 1 ospedaliero su 5 a cambiare reparto (un cambiamento difficile, nella maggior parte dei casi).
Lo dichiarano mediamente il 75% dei medici del territorio, il 64% dei medici ospedalieri, il 24% degli specialisti ambulatoriali e il 12% negli odontoiatri. Un impegno gravoso che ha avuto ripercussioni – lo pensano il 40% sia dei medici sul territorio sia degli ospedalieri – anche sul rapporto di fiducia con i cittadini. E che ha provocato, insieme alle difficoltà organizzative, stress e preoccupazione nella stragrande maggioranza dei professionisti, il 71%. Si dichiarano “stressati” il 90% dei medici del territorio, il 72% dei medici ospedalieri, l’80% degli specialisti ambulatoriali, il 62% degli odontoiatri. D’altro canto, il 53% dei medici dichiara che molti cittadini hanno rinunciato a cure importanti, spesso interrompendole dopo averle iniziate, per colpa della pandemia. “Sono numerose le segnalazioni – ha spiegato Anelli – in letteratura circa il burnout dei medici. Infatti, storicamente, la medicina è stata caratterizzata da condizioni di lavoro difficili oltre a disattenzione al benessere e alla cura di sè da parte del medico. Secondo l’indagine dell’Istituto Piepoli il 24% dei medici di continuità assistenziale ha presentato problemi di salute, come disturbi del sonno, stress ansia e paura, analogamente al 10% dei mmg, al 4% dei medici ospedalieri e il 3% degli odontoiatri”. L’aumento dei carichi di lavoro ha sottratto tempo alla famiglia, al riposo, alla vita privata. Nel corso degli ultimi due anni, la maggioranza dei medici del territorio (55%) e degli ospedalieri (44%) ha dovuto rinunciare o ridurre i giorni di ferie.
Conciliare la gestione familiare con quella lavorativa è diventata un’impresa per i medici del SSN. Quasi tre medici del territorio su quattro non sono riusciti a mettere d’accordo lavoro e famiglia durante l’emergenza sanitaria. Lo stesso è accaduto al 62% dei medici ospedalieri. Sempre i tre quarti dei medici territoriali e il 66% degli ospedalieri non hanno tempo per la vita privata. Il Covid, imponendo il distanziamento sociale, ha dato impulso ai consulti da remoto: li hanno offerti la metà dei medici, con punte del 65% tra i medici di medicina generale. Sette medici su dieci non gradiscono i trattamenti da remoto, i consulti on line e telefonici, che hanno invaso la vita privata della maggioranza, il 58%, dei medici italiani. Lo denuncia l’82% dei medici del territorio, il 64% degli ospedalieri, il 45% degli Odontoiatri, il 41% degli specialisti ambulatoriali. Ciononostante, quattro medici su dieci continueranno a offrirli ai pazienti, perchè li ritengono un servizio a loro gradito. “Sono tanti i colleghi che non si riconoscono più in una professione mortificata da carichi di lavoro abnormi, ad esempio nei pronto soccorso e nel 118, e da un’invadenza burocratica che soffoca l’autonomia professionale”, ha osservato Anelli.
“La prescrizione farmaceutica e le prestazioni diagnostiche sono oramai appesantite da orpelli, modelli, piani terapeutici e quant’altro, utili solo a sottrarre al medico quel tempo che invece avrebbe dovuto garantire al cittadino”, ha aggiunto spiegando che serve uno sforzo comune per “recuperare quella reciproca fiducia che nel Servizio Sanitario Nazionale costituisce il presupposto per assicurare la migliore assistenza ai cittadini. Fiducia che si fonda sul diritto del cittadino alla libera scelta che dovrebbe essere garantito in tutti gli ambiti del sistema salute”. I medici, invece, si sono sentiti abbandonati dalle Istituzioni: hanno giudicato i provvedimenti adottati non adeguati ad agevolare l’attività professionale quotidiana. Un giudizio unanime, espresso dal 72% dei medici intervistati. Analogo parere è stato espresso dal 52% dei medici e odontoiatri sui percorsi di sicurezza messi in atto negli ultimi due anni. Processi che hanno creato uno scollamento tra i professionisti e le istituzioni, in particolare le Regioni. Buona parte del mondo medico e odontoiatra, il 59%, non si è sentito tutelato dalle Istituzioni. Lo dichiarano il 75% dei medici del territorio, ma anche il 62% dei medici ospedalieri, il 52% degli odontoiatri.
-foto tan-
(ITALPRESS).

Due anni di attività per il Day Hospital post-Covid del Gemelli

ROMA (ITALPRESS) – Spegne le sue prime due candeline il Day Hospital (DH) Post-Covid della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Nato da un’intuizione rivelatasi in seguito vincente (nel mondo si stimano oggi almeno in duecento milioni le persone affette da Long Covid), questo Day Hospital multidisciplinare è stato attivato a distanza di soli due mesi dall’esordio della pandemia di Covid-19. Tanti gli amici che hanno reso possibile l’attuazione di questo progetto della Fondazione Policlinico Gemelli, sostenuto anche grazie alla campagna di raccolta fondi “Insieme oltre il Covid”, promossa lo scorso ottobre. Fondazione Angelini ha voluto dare un segno concreto del suo supporto attraverso una donazione a favore delle attività svolte dal DH per far fronte alle molte richieste di aiuto da parte dei pazienti. In particolare l’intervento di Fondazione Angelini, impegnata nel sostenere iniziative nel campo del sociale, della salute e della cultura, ha contribuito a garantire l’ulteriore e necessaria continuità del progetto.
“Dall’inizio della nostra attività, abbiamo valutato 2.518 pazienti provenienti da tutta Italia, di età media 50 anni, per il 53% uomini – commenta il professor Francesco Landi, direttore UOC Medicina Interna Geriatrica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Docente di Medicina Interna e Geriatria all’Università Cattolica, campus di Roma -. La maggior parte di queste persone era stata ricoverata in ospedale (62%) e il 15% di loro aveva avuto necessità di cure in terapia intensiva. Abbiamo potuto valutare come solo il 20% dei pazienti a una distanza di 3 mesi dalla fase acuta di malattia aveva una guarigione completa, non lamentando più alcun sintomo Covid-relato. I sintomi persistenti più comunemente lamentati dai nostri pazienti sono stati fatigue (64%), dispnea da sforzo (63%), disturbi del sonno (45%), deficit di attenzione e memoria (38%), palpitazioni (35%), artralgie (35%), mialgie (35%), parestesie (28%)”.
“Il quadro generale dei sintomi – afferma il dottor Matteo Tosato, UOS Day Hospital Post-Covid del Gemelli – sta evolvendo negli ultimi mesi; l’impressione è che il Long Covid successivo alla variante Omicron sia ‘diversò da quello conseguente alle varianti precedenti. Ma è presto per trarre conclusioni certe poichè Omicron sta circolando da pochi mesi e sono ancora pochi i pazienti con Long Covid Omicron-relato che abbiamo valutato finora. Una primissima analisi sembrerebbe suggerire come la prevalenza di Long Covid e il numero di sintomi lamentati sia inferiore nei pazienti guariti da Omicron”.
Il Long Covid purtroppo non risparmia nemmeno bambini e ragazzi, una popolazione rimasta spesso ai margini dell’attenzione generale per il fatto di presentare in genere forme lievi se non del tutto asintomatiche di Covid-19. Presso l’ambulatorio Post – Covid Pediatrico della Fondazione Policlinico Gemelli a oggi sono seguiti 530 bambini; 168 di questi hanno presentato una sintomatologia persistente per almeno 6 settimane dall’infezione acuta e per questo sono stati sottoposti a valutazioni successive personalizzate. Tra tutti circa trenta presentavano i criteri diagnostici di Long Covid pediatrico.
“Durante questo anno e mezzo di follow-up di bambini con infezione da SARS-CoV-2 – ricorda il dottor Danilo Buonsenso, UOC di Pediatria del Policlinico Gemelli e docente di Pediatria all’Università Cattolica, campus di Roma – abbiamo avuto modo di comprendere meglio gli effetti a breve e lungo termine dell’infezione. La forma acuta resta, nella maggioranza dei casi, una malattia lieve-moderata rispetto a quanto riportato negli adulti, sebbene in rari casi possa rendersi necessaria l’ospedalizzazione. Per quanto riguarda la fase successiva, tuttavia, alcuni bambini possono sviluppare dei problemi. Una minoranza (circa 1 su diecimila) può sviluppare una grave sindrome infiammatoria multisistemica Post -Covid, che richiede ospedalizzazione e spesso ricovero in terapia intensiva pediatrica, sebbene in genere esiti poi in una guarigione completa. Un altro sottogruppo di bambini sviluppa invece, dopo l’infezione acuta, una serie di problemi cronici che possono rientrare nella definizione di Long Covid. Sono bambini con astenia, dolori muscolo-scheletrici, affaticabilità dopo sforzi lievi, pericarditi o alterazioni elettrocardiografiche, disturbi della concentrazione, alterazioni del tono dell’umore”.
“Anche se solo una piccola percentuale di bambini sviluppa sintomi – prosegue il dottor Buonsenso – considerati i numeri assoluti, il problema è rilevante; non conosciamo inoltre ancora quale sia la maniera più appropriata per gestire questi bambini. E’ dunque importante che famiglie e medici ne siano consapevoli e indirizzino queste famiglie presso centri specialistici come il nostro. Un altro punto ancora non chiaro è se le diverse varianti inducano forme diverse di Long Covid nei bambini, nè se i vaccini riducano il rischio di sviluppare questa complicanza. Solo nei prossimi mesi riusciremo a dirimere questi dubbi e capire meglio cosa sia successo in età pediatrica con le varianti Omicron e BA2”
Di pari passo con la preziosa attività assistenziale prestata alle persone con Long Covid-19 e nonostante il periodo difficile, molto importante è stata l’attività di ricerca svolta dal gruppo impegnato nel DH Post-Covid che si è concretizzato con numerose pubblicazioni scientifiche su una serie di riviste internazionali di grande prestigio.
Numerosi sono anche i progetti di ricerca in cantiere per i prossimi mesi, incentrati in particolare sull’efficacia di diversi approcci nutraceutici sulla persistenza di fatigue, sullo studio della perfusione polmonare in pazienti con persistenza di dispnea non giustificata dalle prove di funzionalità respiratoria, e sull’ipometabolismo cerebrale nei pazienti con deficit di attenzione e memoria. E’ in corso anche un’attenta analisi delle possibili differenze del Long Covid successivo alle diverse ondate di Covid 19 (e dunque alle diverse ‘variantì implicate). Il team del DH Post-Covid partecipa inoltre al tavolo di lavoro coordinato da Istituto Superiore di Sanità per la definizione di buone pratiche di lavoro sul tema del Long-Covid.
Sul fronte della ricerca pediatrica sono state pubblicate le prime casistiche pediatriche di Long Covid e le prime evidenze di rare, ma possibili, problematiche organiche. Di prossima pubblicazione anche un lavoro sull’impatto del Long Covid nel nucleo familiare, tematica che indirettamente va comunque a impattare sui minori. Altri progetti di ricerca in corso riguardano uno studio immunologico nei bambini con Long Covid, uno studio sulla perfusione polmonare, patologica in alcuni bambini con Long Covid, un altro sull’ipometabolismo della corteccia orbito-frontale in tre bambini con Long Covid e una ricerca sulle alterazioni di alcuni parametri della coagulazione nei bambini con Long Covid con più di tre sintomi. E’ infine in corso una collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla gestione del Long Covid pediatrico.
Secondo una recentissima metanalisi pubblicata su Journal of Infectious diseases la metà circa delle persone che hanno contratto il Covid-19 presenta sintomi persistenti a distanza di 4 mesi dalla diagnosi. E’ evidente che l’impatto sulla salute e sul benessere personale, come anche sulla forza lavoro è dunque enorme. Al momento non sono chiari i meccanismi alla base di questa misteriosa sindrome, che sembra assumere dai primi dati disponibili caratteristiche diverse a seconda della ‘variantè responsabile del Covid-19. Per la fatigue, i problemi di memoria, il respiro corto, i problemi del sonno e i dolori alle articolazioni che continuano a tormentare le persone con Long Covid anche a distanza di mesi dalla fase acuta, non si dispone ancora di una terapia mirata, ma solo trattamenti di supporto, comunque di beneficio, che vanno orchestrati da team multidisciplinari, visto che i sintomi coinvolgono vari distretti del corpo. I più colpiti sono i pazienti con forme gravi-moderate di Covid-19 che hanno necessitato di ricovero e le donne. Altri studi indicano come possibili ulteriori fattori di rischio per un viraggio verso il Long Covid l’età avanzata, l’essere già affetti da asma, l’obesità e l’ipotiroidismo. Una condizione insomma che merita attenzione e un’assistenza adeguata perchè ha le potenzialità di mettere ulteriormente sotto stress l’intero servizio sanitario. Anche per questo dunque i DH e gli ambulatori specializzati nella gestione del Long Covid sono preziosi e meritano di essere supportati.

-foto ufficio stampa Policlinico Gemelli-
(ITALPRESS).

Cure domiciliari anti-Covid, Angelini “Paracetamolo efficace e sicuro”

ROMA (ITALPRESS) – “In seguito alle speculazioni mediatiche sul protocollo ‘Paracetamolo e vigile attesà, nuovamente diffuse dopo la notizia della positività del Premier Mario Draghi”, Angelini Pharma riconferma in una nota “nell’interesse di pazienti e cittadini, che il paracetamolo è un farmaco efficace nel trattamento dei pazienti Covid-19 paucisintomatici per quanto riguarda febbre e dolore, cui si aggiunge un elevato profilo di sicurezza e di tollerabilità in adulti e bambini”.
“Uno studio pubblicato lo scorso agosto dall’Università di Cambridge – si legge – ha analizzato il ruolo dell’assunzione del paracetamolo in pazienti affetti da Covid-19 evidenziando addirittura la valenza terapeutica nella profilassi preventiva, che non è riscontrata, ad esempio, negli antiinfiammatori.
Vale la pena ricordare, infatti, come la sentenza del Consiglio di Stato – emessa il 9 febbraio 2022 – abbia già messo la parola fine al dibattito, quasi sempre strumentalizzato a fini politici e mediatici, sulle Linee Guida del ministero della Salute relativamente alle cure domiciliari del paziente sintomatico affetto da Covid-19″.
Angelini Pharma evidenzia inoltre che “la decisione del Consiglio di Stato ha fatto chiarezza una volta per tutte anche sulla libertà prescrittiva del medico sulle terapie domiciliari e sulle evidenze scientifiche ad oggi disponibili e condivise a livello internazionale, confermando l’efficacia terapeutica, la sicurezza e la tollerabilità del paracetamolo come antipiretico e antidolorifico anche in pazienti affetti da Covid-19”.
(ITALPRESS).

Covid, 75.020 nuovi casi e 166 decessi nelle ultime 24 ore

ROMA (ITALPRESS) – Sono 75.020 i nuovi casi di Coronavirus in Italia (ieri 99.848) a fronte di 446.180 tamponi effettuati su un totale di 210.506.904 da inizio emergenza. E’ quanto si legge nel bollettino del Ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità di oggi. Nelle ultime 24 ore sono stati 166 i decessi (ieri 205) che portano il totale di vittime da inizio pandemia a 162.264. Con quelli di oggi diventano 15.934.437 i casi totali di Covid in Italia. Attualmente i positivi sono 1.222.813 (+15.913), 1.212.167 le persone in isolamento domiciliare. I ricoverati in ospedale con sintomi sono 10.231 di cui 415 in Terapia intensiva. I dimessi/guariti sono 14.549.360 con un incremento di 59.916 unità nelle ultime 24 ore.
La regione con il maggior numero di nuovi casi nelle ultime 24 ore è la Lombardia (9678), poi Campania (8714), Lazio (8202), Veneto (7423) e Emilia-Romagna (5930).
-foto Imagoeconomica –
(ITALPRESS).

Con l’Intelligenza Artificiale colonscopie più efficaci e sostenibili

ROZZANO (ITALPRESS) – L’Intelligenza Artificiale si è dimostrata una valida alleata nella prevenzione dei tumori del colon e del retto: i suoi algoritmi, infatti, permettono una maggiore precisione nell’identificazione di polipi durante la colonscopia. I benefici legati all’utilizzo di queste tecnologie non sono, però, soltanto clinici, ma si traducono anche in termini di maggiore sostenibilità economica: lo dicono i dati di uno studio multicentrico pubblicato sulla rivista The Lancet Digital Health, coordinato dal professor Alessandro Repici, direttore del Dipartimento di Gastroenterologia di Humanitas e docente di Humanitas University e dal professor Cesare Hassan, docente di Humanitas University, in collaborazione con l’Università di Oslo.
Obiettivo del progetto è studiare il rapporto costo-efficacia delle tecnologie di Intelligenza Artificiale (IA) nell’ambito della colonscopia. L’utilizzo di questi software, infatti, richiede alle strutture ospedaliere investimenti economici molto alti (pari a circa 19$ per paziente). Lo studio firmato da Humanitas ha dimostrato che, nell’arco di 30 anni, questi investimenti non solo vengono interamente ammortizzati, ma generano anche un risparmio se paragonati alle spese mediche per i pazienti con tumore del colon. Gli strumenti di IA, infatti, migliorano il tasso di identificazione delle lesioni del colon del 44%, riducendo il rischio di incorrere in errori diagnostici. L’esecuzione di colonscopie di screening con l’ausilio dell’IA è associata, da un lato, ad una riduzione dell’incidenza dei tumori del colon dell’8,4% e dall’altro ad un risparmio economico di 57$ per persona grazie alla riduzione dei costi di terapia legata alla maggiore prevenzione.
L’insieme di questi dati testimonia l’importanza di continuare ad investire in Intelligenza Artificiale sia per garantire al paziente un’assistenza sempre più efficace e personalizzata, sia per promuovere una Sanità più sostenibile.
Il tumore del colon è la seconda causa di morte per cancro in Italia e, ad oggi, lo strumento migliore per la sua corretta diagnosi è la colonscopia. Humanitas da anni è impegnata nello sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale che possano supportare i professionisti sanitari nell’identificazione dei polipi anche di dimensioni molto piccole, altrimenti difficili da notare o perchè non ben esposti, o a causa del loro colore, spesso molto simile a quello della mucosa sana.
L’AI Center di Humanitas è il primo centro di Ricerca sull’Intelligenza Artificiale integrato ad un ospedale in Italia. La missione dell’Humanitas AI Center, diretto da Victor Savevski, Chief Innovation Officer di Humanitas, è creare uno spazio di condivisione di conoscenze e competenze tra ingegneri, medici e data scientist per raggiungere standard di cure ancora più elevati attraverso la costruzione di algoritmi intelligenti capaci di elaborare una grande mole di informazioni cliniche, così da trovare associazioni tra di esse e definire modelli di previsione utili al progresso della Ricerca scientifica e all’innovazione di ambiti come la medicina predittiva, la personalizzazione dei trattamenti e la diagnostica per immagini.
Oltre alla prevenzione dei tumori del colon e del retto, Humanitas è impegnata nell’applicazione dell’Intelligenza Artificiale anche in altri contesti. Ad esempio, nel 2021 è stato lanciato il progetto GenoMed4All, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020 Research & Innovation. Le malattie ematologiche sono considerate rare, per cui il bisogno clinico di nuove conoscenze e strumenti è molto forte. GenoMed4All va incontro a questa necessità attraverso la creazione di una piattaforma che faciliti la condivisione e l’analisi dell’enorme quantità di dati genomici e clinici elaborati in sicurezza dalle strutture ospedaliere.
(ITALPRESS).

Covid, i nuovi casi sfiorano quota 100mila

ROMA (ITALPRESS) – Decisa impennata dei nuovi casi di Covid-19 in Italia. Nelle ultime 24 ore, infatti, sono stati 99.848, rispetto ai 27.214 di ieri a fronte di 610.660 tamponi effettuati su un totale di 210.060.724 da inizio emergenza. Il tasso di positività si porta al 16,3%. E’ quanto emerge dai dati del bollettino del ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità di oggi. Nelle ultime 24 ore sono stati 205 i decessi (ieri 127) che portano il totale di vittime da inizio pandemia a 162.098. Con quelli di oggi diventano 15.858.442 i casi totali di Covid in Italia. Attualmente i positivi sono 1.206.900 (-1379), 1.196.280 le persone in isolamento domiciliare. I ricoverati in ospedale con sintomi sono 10.207 di cui 413 in terapia intensiva. I dimessi/guariti sono 14.489.444 con un incremento di 101.614 unità nelle ultime 24 ore. La regione con il maggior numero di nuovi casi nelle ultime 24 ore è la Lombardia (14.065), poi Campania (12.275), Lazio (10.681), Veneto (9.754) e Puglia (8.887).
(ITALPRESS).

Sclerosi Multipla, arriva la prima terapia domiciliare ad alta efficacia

MILANO (ITALPRESS) – L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dato il via libera alla rimborsabilità di Kesimpta (ofatumumab), primo trattamento ad alta efficacia a domicilio mirato alle cellule B indicato per adulti con Sclerosi Multipla recidivante remittente (SMRR) in cui il paziente presenta riacutizzazioni seguite da periodi con sintomi più lievi o assenti. Un’approvazione importante che testimonia l’impegno di Novartis nello sviluppo di terapie innovative in grado di rispondere alle esigenze ancora insoddisfatte sia della classe medica che delle persone con SM.
La Sclerosi Multipla è una patologia neuroinfiammatoria cronica che ostacola il normale funzionamento del cervello, dei nervi ottici e del midollo spinale attraverso l’infiammazione e perdita del tessuto, portando nel tempo a diversi gradi di disabilità fisica ed emotiva. Solo in Italia colpisce 130mila persone e la sua incidenza è di circa 3.400 nuovi casi all’anno nella fascia più giovane e produttiva della società (20-40 anni), con una prevalenza doppia nelle donne rispetto agli uomini. Circa l’85% dei diagnosticati ha inizialmente la forma Recidivante Remittente (SMRR), caratterizzata da episodi acuti di malattia (recidive) alternati a periodi di completo o parziale benessere (remissioni).
“La Sclerosi Multipla è una patologia cronica dal decorso imprevedibile, per la quale oggi, nonostante i grandi passi avanti condotti dalla ricerca, non esiste ancora un trattamento risolutivo. L’obiettivo che ci poniamo come specialisti è quindi quello di far intraprendere al paziente un percorso terapeutico adeguato e specifico per il suo quadro clinico, fin dall’insorgenza della malattia – ha commentato il professor Claudio Gasperini, direttore UOC di Neurologia e Neurofisiopatologia San Camillo-Forlanini e coordinatore del Gruppo SIN per la Sclerosi Multipla – Poter rallentarne la progressione, ridurre la frequenza e il numero di recidive, ci permette infatti di limitare la disabilità dei pazienti e di migliorare la loro qualità di vita”.
I due studi gemelli di Fase III ASCLEPIOS I e II, su cui si basa l’approvazione AIFA, hanno mostrato una riduzione delle ricadute annuali di oltre il 50% rispetto a teriflunomide e una riduzione del rischio relativo di progressione della disabilità confermata a 3 mesi superiore al 30%. Ofatumumab rappresenta quindi un vero e proprio passo in avanti nel trattamento della Sclerosi Multipla, dal momento che ha dimostrato: Efficacia: quasi 9 pazienti su 10 raggiungono lo stato di non evidenza di attività della malattia (NEDA-3) nel loro secondo anno di trattamento, come mostrato nell’analisi post hoc; Sicurezza: profilo di sicurezza simile a teriflunomide, a oggi uno dei trattamenti di prima linea per la SM; Specificità: ofatumumab è la prima terapia domiciliare mirata contro i linfociti B.
Non solo. Grazie alla penna autoiniettiva, ofatumumab potrà essere autosomministrato una volta al mese direttamente a casa.
“Le evidenze dimostrano che l’inizio precoce di un trattamento ad alta efficacia può avere esiti positivi a lungo termine sul miglioramento della qualità di vita del paziente – ha commentato la professoressa Maria Trojano, ordinario di Neurologia, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari e direttore UOC Neurologia e Neurofisiopatologia Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico Bari -. Il profilo di sicurezza favorevole di ofatumumab, la sua efficacia clinica e la possibilità della autosomministrazione a domicilio lo candidano pertanto a diventare un trattamento di prima scelta per i pazienti con forme recidivanti e remittenti di Sclerosi Multipla (SMRR), in grado non solo di aiutare a migliorare la qualità della vita delle persone che convivono con la SM, ma anche di fornire un notevole vantaggio nella riduzione dei costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale associati alle terapie infusionali, quando previste, e all’aumento della disabilità nei pazienti”.
Il rallentamento della progressione della malattia e la riduzione della disabilità ad essa associata, infatti, rappresentano un consistente sgravio del peso socioeconomico della SM oggi quantificato in 45.000 euro annui per persona con SM che possono raggiungere la cifra di 84.000 euro in caso di Sclerosi Multipla in stadio avanzato. L’autosomministrazione della terapia presso la propria abitazione, inoltre, comporta grande flessibilità di cura rappresentando pertanto un ampio vantaggio in termini di costi diretti e indiretti per il SSN e gli stessi pazienti che, grazie alla terapia a domicilio, sono ora in grado di diminuire considerevolmente il tempo speso per affrontare le cure, con un effetto favorevole sulla vita sociale e lavorativa.
“Sono molti i bisogni insoddisfatti delle persone con Sclerosi Multipla: la presa in carico comprensiva e personalizzata, il pieno accesso alle terapie, alla riabilitazione e agli ausili necessari – ha commentato Mario Alberto Battaglia, presidente Fondazione Italiana Sclerosi Multipla e direttore generale Associazione Italiana Sclerosi Multipla -. Le nuove terapie disponibili rendono sempre più realizzabile la cura personalizzata che cambia le prospettive e il futuro delle persone, migliora la qualità di vita oggi, riduce il costo di malattia per la persona e per la collettività”.
La Sclerosi Multipla, con la sua natura cronica e degenerativa e l’elevata incidenza nella fascia più giovane e produttiva della società (20-40 anni), ha un peso notevole sulla formazione scolastica, sulla vita professionale, su quella di relazione ed in generale sull’autonomia dell’individuo, che col tempo diventa una persona fragile e bisognosa di un’assistenza a 360 gradi. Caratteristiche che la rendono una delle malattie neurologiche a più alto impatto sulla popolazione italiana.
“Per Novartis reimmaginare la medicina significa poter davvero migliorare la vita delle persone sostenendo la ricerca e aprendo la strada a prospettive terapeutiche innovative – ha dichiarato Giuseppe Pompilio, Value, Access&Regional Partnership Head di Novartis Italia – La Sclerosi Multipla è una patologia complessa che può incidere significativamente sull’autonomia di chi ne è affetto e di coloro che se ne prendono cura. Siamo orgogliosi di poter oggi disporre di un trattamento domiciliare e ad alta efficacia, frutto di un percorso di collaborazione motivato dal desiderio di fornire risposte concrete ai bisogni dei pazienti garantendo un accesso alle cure in tempi sempre più stretti, oltre che servizi in grado di supportarli nella loro gestione della patologia. Un impegno da parte di Novartis a sostegno di una sanità sempre più efficiente, sostenibile e vicina ai pazienti, in linea con l’indirizzo del Pnrr che coniuga salute e assistenza domiciliare delle cure”.
(ITALPRESS).

Da Cimo-Fesmed dossier sul malessere degli ospedalieri

ROMA (ITALPRESS) – Un quadro disarmante, composto da tante sezioni quanti sono i problemi principali che i medici italiani devono affrontare in ospedale ogni giorno. Un puzzle le cui tessere compongono la frustrazione e la delusione dei professionisti, e che spiegano i motivi che spingono sempre più medici ad abbandonare il Servizio sanitario nazionale. E’ l’idea da cui è partita la campagna sui social network del sindacato dei medici CIMO-FESMED, aderente a CIDA, con l’intento di raccontare a Istituzioni e pazienti cosa significa essere un medico ospedaliero oggi: significa perlopiù essere “medici senza”, lo slogan che accompagna la pubblicazione di ciascun post dedicato all’analisi di una tessera del puzzle, di una sfaccettatura del disagio della professione, dei diritti e tutele che negli anni sono stati sottratti alla categoria.
La campagna è culminata con la pubblicazione del dossier “Medici senza futuro, un futuro senza medici – Tutte le ragioni del disagio dei medici ospedalieri e i perchè della fuga dal Servizio sanitario nazionale”, in cui il sindacato, in vista della Conferenza nazionale sulla “Questione medica” organizzata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici che si svolgerà il 21 aprile presso il Teatro Argentina di Roma, offre una panoramica sulle criticità riscontrate dai medici dipendenti del SSN.
L’immagine che ne emerge rende più chiaro perchè “quello italiano non è un Servizio sanitario nazionale per medici”, come recita l’introduzione del dossier: la carenza di personale, che è destinata a peggiorare se non si pone un freno alla fuga; i turni di lavoro massacranti, per cui è ormai normale lavorare per più di 50 ore a settimana, fare 7-8 notti al mese e non andare in ferie per anni; le 2.500 aggressioni e i 35 mila contenziosi che si registrano in sanità ogni anno, ritenuti inevitabili effetti collaterali della professione; il taglio delle strutture complesse e semplici, che impedisce all’84% dei medici di fare carriera; il continuo task shifting e la creazione di nuove figure gestionali a scapito dei medici; il controllo sempre più opprimente delle Direzioni. Il tutto con stipendi che sono tra i più bassi d’Europa, falcidiati per anni da tagli indiscriminati ai fondi contrattuali, e con il 98% delle Aziende che continua ad applicare il contratto collettivo di lavoro 2006-2009: in molti ospedali le trattative decentrate del CCNL 2016-2018 non sono nemmeno iniziate, e per il rinnovo del contratto 2019-2021 si attende ancora l’atto di indirizzo da parte delle Regioni.
«Il quadro offerto dal dossier impedisce di biasimare i colleghi che decidono di abbandonare il Servizio sanitario nazionale – commenta il Presidente della Federazione CIMO-FESMED Guido Quici -. Occorre un piano straordinario di assunzioni, rinnovare i contratti di lavoro e renderli realmente esigibili con penalizzazioni a carico delle aziende inadempienti, ricreare un clima più sereno in corsia, riformare gli ospedali in modo da consentire ai medici di partecipare al governo clinico delle attività, garantire reali opportunità di carriera. Se ai medici non si offre un futuro, la sanità pubblica rischia un futuro senza medici».
(ITALPRESS).
(Photo credit: agenziafotogramma.it)