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Epatite C malattia dimenticata, 20 mila siciliani non sanno di averla

PALERMO (ITALPRESS) – Circa 20 mila siciliani potrebbero avere contratto l’Epatite C senza saperlo. E’ la stima fatta dagli esperti che ogni giorno si confrontano con le malattie del fegato, secondo quanto emerge dai dati regionali della Rete di sorveglianza.
A fronte di una storia siciliana che parla di una presenza importante della malattia nell’isola, negli anni le attività di cura e prevenzione hanno fatto grandi passi avanti fino a far decrescere la presenza dell’infezione da HCV. Parallelamente, però, è calata anche l’attenzione da parte dei siciliani. Per assurdo, infatti, la diminuzione dei casi ha fatto anche abbassare la guardia alla popolazione e oggi si stima che circa ventimila siciliani potrebbero essere affetti da epatite C senza saperlo.
L’assenza di una diagnosi, sempre secondo quanto emerge dai dati regionali della Rete di sorveglianza, si presenta come un problema importante a fronte di una malattia che oggi è assolutamente curabile in modo semplice, se solo diagnosticata nei giusti tempi. In realtà non si tratta di un problema solo siciliano ma di un tema di caratura nazionale. Se, infatti, le stime in Sicilia parlano di circa 20mila probabili infezioni inconsapevoli da HCV, analoghe stime parlano di 250.000 casi, invece, nel Paese.
Se è vero che oggi l’Epatite C è curabile in modo semplice ed efficace è altrettanto vero che l’infezione non diagnosticata può portare a malattie dall’esito nefasto. Proprio l’epatite C sta, infatti, spesso alla base di due patologie correlate che possono risultare mortali. La prima è certamente il cancro al fegato; la seconda la cirrosi. E su questo fronte i dati parlano chiaro: il numero di pazienti viventi con cancro del fegato dovuto a HCV in Sicilia è pari a 1.500 mentre nel Paese si attesta in 20.000 mentre sono 8. 000 i pazienti viventi con cirrosi da HCV nell’isola.
Fra cancro e cirrosi, negli anni scorsi si registravano circa 2.000 decessi l’anno. Una mortalità drasticamente abbattuta anche del 40% dalle nuove terapie, efficaci e risolutive se la malattia è diagnosticata per tempo. Ecco perchè la diagnosi è importante. Occorre tornare ad alzare l’asticella dell’attenzione non soltanto nei comportamenti che possano evitare di contrarre l’Epatite C ma anche garantire la massima diffusione della cultura della prevenzione e della diagnosi unico strumento che permetterebbe di eradicare la malattia.
Ecco perchè gli esperti spingono per la diffusione capillare di un percorso diagnostico semplice e già esistente con lo scopo finale di abbattere il numero dei casi non diagnosticati e dare accesso alle cure di facile accesso e uso ed efficaci a chi dovesse risultarne affetto.
– foto Agenzia Fotogramma –
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Ultrasuoni focalizzati, alta tecnologia al servizio della neurochirurgia

ROMA (ITALPRESS) – Gli ultrasuoni focalizzati sono una procedura terapeutica che focalizza i fasci di energia ultrasonica in modo preciso su obiettivi in profondità sui tessuti, senza danneggiare le aree sane. Il principio dei Focused Ultrasound è analogo all’uso di una lente di ingrandimento per concentrare i raggi di luce solare su un singolo punto per bruciare una foglia. Al posto della lente di ingrandimento, però, si utilizza una lente acustica, in modo da convogliare più fasci di ultrasuoni intersecanti su un bersaglio in profondità nel corpo. Attualmente in fase di studio, i Focused Ultrasound hanno suscitato molto interesse in ambito oncologico, e soprattutto per i tumori cerebrali, in quanto trattamento non invasivo potenzialmente in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e di diminuire il costo delle cure. Sono questi alcuni dei temi trattati da Francesco DiMeco, professore ordinario di neurochirurgia dell’Università degli Studi di Milano, direttore della scuola di specializzazione in neurochirurgia e direttore del dipartimento di neurochirurgia presso l’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“Quella degli ultrasuoni focalizzati è una metodologia che permette di sfruttare dell’energia pulita, che sono gli ultrasuoni, per raggiungere bersagli profondi nel cervello – ha esordito il professore – Tutto questo senza fare tagli, non aprendo la scatola cranica e quant’altro. C’è una grandissima differenza, perchè fino a ora le procedure erano molto invasive, oppure quelle poco invasive, come la radioterapia, hanno effetti collaterali importanti”.
La terapia con gli ultrasuoni focalizzati è altamente tecnologica: “Al Besta, grazie alla generosità di una nostra donatrice, abbiamo potuto comprare qualcosa di tecnologicamente avanzato come la macchina per gli ultrasuoni focalizzati. Sono riuscito ad acquisirla e installarla in una sala operatoria altamente tecnologica – ha raccontato – La risonanza magnetica resta fondamentale e va accoppiata ai Focused Ultrasound, in modo tale che in tempo reale possiamo seguire quello che stiamo facendo. Individuiamo un bersaglio e procediamo con gli ultrasuoni focalizzati, con estrema precisione. Facciamo una lesione reversibile, poi il paziente viene tirato fuori dalla risonanza magnetica, verifichiamo se quanto fatto ha funzionato per risolvere il suo problema, come per esempio potrebbe essere un tremore, rimettiamo il paziente nella risonanza magnetica e a quel punto procediamo con la lesione permanente”, ha aggiunto DiMeco.
“Con l’uso della tecnologia, mappiamo il cervello e sappiamo in che punto della risonanza ci troviamo, in che area bersagliare e in quali non bersagliare”. Fondamentale nel campo della neurochirurgia, ha spiegato DiMeco, la possibilità di simulare virtualmente gli interventi per far pratica in vista delle operazioni sui pazienti in carne e ossa: “Con l’avanzare dei software, dell’imaging tecnologicamente avanzato, abbiamo anche la possibilità di riprodurre virtualmente delle situazioni chirurgiche. Questo ci permette anche di creare dei simulatori, strumenti con cui avvertiamo la resistenza offerta dal cervello o da un eventuale tumore, fatto che ci permette di esercitarsi virtualmente senza fare dei danni – ha sottolineato – L’alternativa è continuare a esercitarsi sul cadavere, o con l’apprendistato. Meglio invece piazzare virtualmente mille cateteri e poi andare a farlo, che andare per la prima volta a farlo su un paziente”.
Infine, sull’esperienza internazionale nel dipartimento di Neurochirurgia della Johns Hopkins Medical School di Baltimora: “Per me è stato uno step fondamentale nella mia carriera. Quello che ho imparato in America è stato molto importante – ha concluso DiMeco – Sono bastati pochi anni per dare un twist alla mia carriera”.

– foto tratta da video Medicina Top –
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Covid, in una settimana nuovi casi in aumento

ROMA (ITALPRESS) – Nella settimana compresa tra il 4 e il 10 aprile 2024 si registrano 646 nuovi casi positivi con una variazione di +27,9% rispetto alla settimana precedente (505);
15 deceduti con una variazione di -28,6% rispetto alla settimana precedente (21); 119.189 tamponi effettuati con una variazione di +24,2% rispetto alla settimana precedente (95.940). Lo rende noto il ministero della Salute.
Il tasso di positività dello 0,5% resta invariato rispetto alla settimana precedente (0,5%). Il tasso di occupazione in area medica al 10/4/2024 è pari a 1,2% (727 ricoverati), rispetto a 1,2% (732 ricoverati) del 3/4/2024.
Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 10/4/2024 è pari allo 0,2% (21 ricoverati), rispetto allo 0,2% (22 ricoverati) del 03/04/2024.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

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Scoperta l’impronta digitale molecolare lesioni pre-tumorali del pancreas

ROMA (ITALPRESS) – I Tumori Mucinosi Papillari Intraduttali (IPMN) del pancreas sono una delle tante neoplasie che interessano questo organo. La loro peculiarità è che rappresentano un vero rompicapo per i clinici perchè è difficile inquadrarle come forme benigne o maligne. La stratificazione del rischio infatti si è avvalsa finora solo di fattori clinici e radiologici perchè non si dispone di un biomarcatore di malignità. Questo crea incertezze di classificazione, che si ripercuotono sulla scelta di avviare o meno il paziente verso un trattamento chirurgico demolitivo o continuare la sorveglianza. Uno studio appena pubblicato su Nature Communications dal gruppo di ricerca del professor Giampaolo Tortora, ordinario di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli, viene a colmare in parte questo gap di conoscenza. I ricercatori hanno infatti individuato dei biomarcatori tessutali specifici, una sorta di impronta digitale molecolare, che consente di distinguere con certezza le forme benigne da quelle ad alto grado di malignità o ad alto rischio di trasformazione maligna. Per arrivare a questi risultati, i ricercatori di Università Cattolica – Gemelli hanno esaminato una quantità incredibile di dati su pezzi operatori di pazienti trattati al Gemelli nel corso degli ultimi dieci anni, avvalendosi di analisi omiche e in particolare di sofisticate tecnologie di trascrittomica e proteomica spaziale.
Il loro lavoro ha così consentito di individuare sul tessuto tumorale le ‘firme molecolarì che indicano una displasia di basso grado (HOXB3 e ZNF117), quelle dei casi ‘borderlinè (SPDEF) e infine i marcatori di displasia di alto grado, cioè delle forme sicuramente maligne (NKX6-2). Questo lavoro non solo fornisce un importante nuovo strumento diagnostico per differenziare le lesioni pancreatiche pre-tumorali benigne da quelle maligne, ma getta luce anche sul ruolo dell’attivazione di alcuni geni (TNFalfa e MYC) nella progressione degli IPNM da una forma benigna a una maligna (adenocarcinoma pancreatico duttale, o PDAC). La ricerca appena pubblicata è stata supportata da un grant della Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro (‘Luigi Bonatti e Anna Maria Bonatti Roccà), assegnata al progetto del dottor Carmine Carbone, team leader dello studio e ricercatore di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Le neoplasie mucinose papillari intraduttali pancreatiche sono lesioni cistiche che si sviluppano all’interno dei dotti pancreatici e che contengono al loro interno dei ‘tralcì di tessuto (proiezioni papillari) rivestiti di epitelio mucoso. La frequenza di queste cisti dal comportamento incerto, che si scoprono per caso in occasione di una TAC o una RMN fatta per altro motivo, è in aumento e cresce con l’avanzare dell’età. Una recente metanalisi della Mayo Clinic (Usa) rivela che gli IPMN vengono scoperti per caso nell’11% circa degli over 50 sottoposti a TAC addominale. Mancano però dati certi di prevalenza e incidenza. ‘Una necessità assoluta è dunque quella di creare un registro italiano degli IPMN – sostiene il professor Tortora – perchè siamo certi che il loro numero sia ampiamente sottostimatò.
Questi tumori originano dai dotti pancreatici e sono considerati precursori dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), una neoplasia estremamente aggressiva per la quale si dispone di limitate opzioni terapeutiche. Ma con le conoscenze attuali non è possibile prevedere l’andamento della loro storia naturale e individuare dunque con certezza quelli a maggior rischio di trasformazione maligna. Le forme considerate ad alto rischio (sulla base del quadro TAC) vengono sottoposte subito a intervento chirurgico, mentre quelle a basso rischio, a sorveglianza (cioè a RMN ogni 6 mesi). ‘Finora dunque – spiega il professor Tortora – la stratificazione del rischio degli IPMN viene fatto solo in base alle caratteristiche cliniche (ad alto rischio sono soprattutto gli IPMN che si sviluppano nei dotti principali) e radiologiche (TAC, RMN), mentre non si disponeva di criteri che tenessero conto della loro biologia. Questo fa sì che fino al 10% degli IPMN considerati a ‘basso rischiò – ammette il professor Tortora – sfugga a una corretta valutazione e, nel tempo, possa dar luogo a un tumore aggressivò.
La ricerca condotta presso l’Università Cattolica e il Policlinico Gemelli – dà invece un importante contributo all’individuazione delle lesioni ad alto potenziale di trasformazione maligna. ‘E si tratta di un’indicazione importante – sottolinea il professor Tortora – perchè se è fondamentale individuare le lesioni ad alto rischio di trasformazione maligna, altrettanto determinante è definire le caratteristiche di ‘benignità’, per evitare ai pazienti un intervento chirurgico inutile, molto invasivo e non privo di rischì.
Come si gestisce un paziente con IPMN. Una volta fatta diagnosi di IPMN il paziente viene sottoposto a un controllo con RMN ogni 6 mesi per tenere sotto controllo la lesione e sottoporla a biopsia se cambia aspetto. ‘Non avevamo finora alcun parametro, al di là di quelli morfologici (radiologici) – ricorda il professor Tortora – che ci potesse aiutare a capire in ragionevole anticipo quale potesse essere l’evoluzione di una lesione per orientare l’iter terapeutico verso un comportamento attendista o andare subito all’intervento chirurgico demolitivo (non esiste infatti un intervento solo ‘riduttivò dell’IPMN)’.
Una diagnosi di precisione. ‘Con un paziente e minuzioso studio di trascrittomica e proteomica spaziale effettuato su tessuto (cioè sul pezzo operatorio) – ricorda il dottor Carmine Carbone (team leader dello studio e ricercatore di Fondazione Policlinico Gemelli e corresponding author del lavoro, insieme al primo autore dello studio, il dottor Antonio Agostini, ricercatore di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS) – abbiamo analizzato a una a una le cellule che compongono gli IPMN per studiarne l’RNA e le proteine corrispondenti, rispettando la citoarchitettura del tessuto. In questo modo, è stato possibile evidenziare che le forme a minore o a maggior rischio di trasformazione maligna si differenziano per l’espressione di alcuni geni e proteine; in particolare, l’espressione del gene NKX6-2, conferisce un aumentato rischio di differenziazione maligna; al contrario, l’espressione dei geni HOXB3 e ZNF117 indica una displasia di basso grado, quindi una condizione di benignità. Il prossimo step consisterà nella ricerca di un biomarcatore prognostico di trasformazione tumorale nel sanguè. ‘Al momento – afferma il professor Tortora – l’unico marker tumorale associato al cancro del pancreas è il CA 19-9, ma il fatto di trovarlo alto indica già la presenza di un adenocarcinoma pancreaticò.
Le vie del cancro e le prospettive terapeutiche. Lo studio pubblicato su Nature Communications ha evidenziato anche che il TNFalfa e il MYC sono le ‘viè molecolari attraverso le quali viaggia la trasformazione di una lesione pre-cancerosa, in una francamente tumorale. ‘In futuro quindi – prosegue il dottor Carbone – potremmo ipotizzare la messa a punto di trattamenti in grado di bloccare queste ‘viè (un anti-MYC è già allo studio). Ma c’è di più. Con la teranostica si potrebbe provare a coniugare un anticorpo mirato contro l’NKX6-2 con un radiofarmaco per andare a colpire con precisione, sfruttando il ‘nucleare buonò le cellule tumorali che esprimono questo gene, indice di malignità’.
Una task force italiana contro i tumori del pancreas. E’ di qualche giorno fa la notizia della creazione di una cabina di regia per i tumori del pancreas, presso il Ministero della Salute, che mira a favorire la creazione di una rete di Centri Pancreas Unit, per migliorare la diagnosi e il trattamento dei tumori del pancreas.
I Gruppi di Lavoro, coordinati dal professor Sergio Alfieri (ordinario di Chirurgia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Direttore Clinico Scientifico dell’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola) raggruppano i maggiori esperti di tumori del pancreas di tutta Itali; tra questi, il professor Giampaolo Tortora, che ha firmato insieme ai suoi collaboratori questa importante pubblicazione su Nature Communications.

– Foto: Policlinico Gemelli –

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Sottoscritta convenzione tra la Fondazione Giglio di Cefalù e Casagit salute

CEFALU’ (PALERMO) (ITALPRESS) – E’ stata sottoscritta una convenzione tra la Fondazione Giglio di Cefalù e “Casagit salute”, (Società Nazionale di mutuo soccorso dei Giornalisti italiani “Angiolo Berti”) che consentirà agli iscritti di accedere alle prestazioni in solvenza dell’omonimo ospedale con la copertura dei costi delle prestazioni direttamente in capo alla Casagit. A firmare la convenzione, per l’accesso alle prestazioni in forma diretta, sono stati il presidente del Giglio, Giovanni Albano, e il presidente di Casagit Salute, Gianfranco Giuliani.
La convenzione è stata presentata, nel corso di una video call, alla presenza del direttore amministrativo Gianluca Galati, del responsabile della comunicazione del Giglio, Vincenzo Lombardo, del presidente di Casagit, Gianfranco Giuliani, e del fiduciario per la Sicilia, Maria Pia Farinella.
“Abbiamo accolto – ha detto Albano – come già avvenuto con altre assicurazioni, la richiesta di Casagit Salute a convenzionarsi con il nostro Istituto divenuto sempre più attrattivo per la qualità dei servizi offerti”.
Per il presidente di Casagit Salute, Giuliani, è “un’opportunità di cura offerta, in Sicilia, ai propri assistiti. Ampliamo la rete delle strutture convenzionate – ha aggiunto – con un centro di riferimento per la buona sanità”.
“Fondazione Giglio – ha rilevato il direttore amministrativo Galati – è da sempre attenta ad accogliere i segnali di una sanità che cambia implementando le modalità di accesso alle cure”.
“Ringrazio il presidente Albano e il presidente Giuliani unitamente al fiduciario della Sicilia, Maria Pia Farinella – ha detto Lombardo – per aver condiviso questa iniziativa”.
L’iter amministrativo per il Giglio è stato seguito da Elisabetta Cucco e per Casagit da Serena Polverino.
Tutte le convenzioni attive di Fondazione Giglio sono presenti nell’area solvenza del sito internet ospedalegiglio.it.
– foto ufficio stampa Fondazione Giglio di Cefalù –
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Linfoma diffuso a grandi cellule B: arriva glofitamab

MILANO (ITALPRESS) – C’è una speranza per le persone adulte affette da linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) che sono state già sottoposte a due o più linee di terapia sistemica senza risultati: AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato glofitamab, un anticorpo bispecifico sviluppato da Roche. Ora quindi il farmaco risulta rimborsabile. Si tratta di una terapia chemio-free pronta all’uso e quindi immediatamente somministrabile, quando necessario, che vanta una durata fissa, ovvero 12 cicli da 21 giorni ciascuno. In questo modo i pazienti sapranno quando il trattamento terminerà.
Il linfoma diffuso a grandi cellule B è la forma più comune di tumori fra gli NHL (linfoma non Hodgkin). Un caso su tre di NHL è un linfoma diffuso a grandi cellule B, è un tipo aggressivo di linfoma. Generalmente è un linfoma responsivo con una prima linea di trattamento ma, nel 40% dei casi ci sarà una ricaduta o la malattia sarà refrattaria. In questi casi le opzioni di terapia erano limitate e la sopravvivenza del paziente era a breve termine.
Glofitamab è il primo anticorpo bispecifico per DLBCL recidivante o refrattario approvato da AIFA, si tratta di un nuovo tipo di immunoterapia: “I pazienti affetti da DLBCL fortemente pretrattati o refrattari avevano purtroppo poche alternative terapeutiche. Negli ultimi anni il panorama terapeutico si è arricchito di nuove terapie innovative ed efficaci e l’approvazione di glofitamab rappresenta una di queste innovazioni – ha affermato Paolo Corradini, Professore Ordinario di Ematologia all’Università degli Studi di Milano – I dati di glofitamab confermano l’importante ruolo degli anticorpi bispecifici CD20xCD3 nel trattamento dei linfomi non Hodgkin B sia aggressivi sia indolenti, mostrando come una terapia a durata definita possa determinare risposte complete e durature anche dopo il termine del trattamento. In quest’ottica si conferma anche il razionale di studi clinici in corso, in cui gli anticorpi bispecifici vengono testati in strategie di combinazione nelle linee di trattamento precoci del DLBCL e del linfoma follicolare”.
Il meccanismo d’azione di glofitamab lo rende particolarmente efficace e in grado di indurre risposte complete, veloci e durature in pazienti con linfomi fortemente pretrattati e/o refrattari alle precedenti terapie, incluse le CAR-T. L’approvazione della terapia da parte di AIFA si basa sui risultati dello studio registrativo di fase I/II NP30179. Lo studio, con follow up mediano aggiornato di 32.1 mesi ha dimostrato che glofitamab è in grado di mantenere risposte complete e durature.
Dopo il follow up infatti, il 55% dei pazienti con risposta completa era ancora in remissione a 24 mesi e la maggior parte di questi pazienti era ancora in vita 18 mesi dopo aver completato il trattamento con glofitamab. Il farmaco risulta inoltre ben tollerato.
“Il nostro impegno è quello di portare ai pazienti soluzioni terapeutiche innovative che generino risultati con impatto rilevante. Da molti anni Roche sta dedicando un grande focus allo sviluppo di anticorpi bispecifici attivanti i linfociti T e abbiamo raggiunto risultati clinici e organizzativi significativi nel trattamento dei linfomi – ha detto Federico Pantellini, Medical Affairs Lead Roche Pharma Italia – Grazie agli importanti dati di efficacia ottenuti dallo studio registrativo, alla sua pronta disponibilità e al regime a durata fissa, crediamo che glofitamab potrà migliorare significativamente i percorsi terapeutici dei pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B recidivante o refrattario”.
– foto fo3/Italpress –
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Disfunzione erettile, a Palermo impianto di protesi peniena

PALERMO (ITALPRESS) – Eseguito con successo a Villa Serena, a Palermo, un impianto di protesi peniena. Si tratta di una procedura rivolta ai pazienti affetti da disfunzione erettile refrattaria ai farmaci. L’intervento è stato condotto dall’equipe medica, guidata da Emilio Italiano, con Danilo Di Trapani e il supporto dell’anestesista Salvatore Pirri.
La protesi peniena, un dispositivo medico essenziale per migliorare la qualità della vita di molti pazienti, è stata fornita in collaborazione da aziende leader come Rigicon, GM e Medival. La protesi consta di tre componenti: i cilindri che vengono posizionati nei corpi cavernosi del pene, un serbatoio nello spazio peri-vescicale ed una pompetta di attivazione e sgonfiaggio nella sacca scrotale, tutto attraverso una piccola incisione alla base dell’asta.
L’equipe medica dei dottori Italiano e Di Trapani, accreditata già da anni da certificazione di implantologia peniena in Italia, presiederà il Congresso Nazionale di Andrologia che torna a Palermo dopo ben 35 anni dal 29 al 31 maggio. La Società Italiana di Andrologia (SIA), sempre attiva nell’attenzione della prevenzione, della cura e del benessere maschile, si riunirà anche per l’evento regionale in programma domani e sabato a Capo d’Orlando, in provincia di Messina.
“Gli sforzi combinati dei professionisti medici e delle aziende del settore testimoniano l’impegno nel fornire soluzioni avanzate per la salute e il benessere dei pazienti affetti da disfunzione erettile”, fanno sapere da Villa Serena.
– foto ufficio stampa Villa Serena –
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Aiop “Bene Gemmato, a italiani interessa gratuità e qualità cure”

ROMA (ITALPRESS) – “Il Sottosegretario al Ministero della Salute, Marcello Gemmato, ha evidenziato due elementi, a mio avviso, centrali: in primo luogo che è quanto meno miope, se non strumentale, imputare a questo Governo le criticità del nostro Servizio sanitario nazionale, problematiche che sono strutturali e che riflettono molti anni di inerzia strategica e di programmazione, non solo finanziaria”. Così Barbara Cittadini, Presidente nazionale Aiop in merito alle dichiarazioni espresse da Gemmato nel corso della trasmissione radiofonica “Giù la maschera” (Radio 1 Rai).
“Le liste d’attesa – prosegue Cittadini – rappresentano, da diverso tempo, un vulnus del sistema, esasperato dalla crisi pandemica e affrontato per la prima volta in modo “non emergenziale” proprio da questa maggioranza che, non si è limitata a stanziare mezzo miliardo di euro per ridurre i tempi di risposta ai bisogni di cura dei cittadini, ma ha coinvolto, anche, la componente di diritto privato del Ssn – finora fortemente condizionata, nell’espressione delle sue potenzialità da tetti di spesa all’acquisto di prestazioni dalle strutture accreditate – in questo comune impegno prima di tutto etico.
E lo ha fatto sulla base di un dato di fatto incontrovertibile: le strutture di diritto pubblico, da sole, non sono state in grado di utilizzare le somme precedentemente assegnate per la riduzione delle liste.” Secondo la Presidente Aiop, “il secondo elemento di verità, espresso chiaramente dal Sottosegretario è, infatti, che al cittadino interessa la gratuità, la tempestività e l’efficacia delle prestazioni e non di certo la natura giuridica degli erogatori”.
Questo è – conclude Cittadini – esattamente quello che emerge dal 21° Rapporto Ospedali&Salute che Aiop ha realizzato in collaborazione con il Censis: per il 69% degli italiani è indifferente la natura giuridica di una struttura, in quanto a contare è la qualità delle prestazioni ricevute; per il 56% la presenza del privato accreditato rappresenta addirittura una necessità”.

– Foto: ufficio stampa Aiop –

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