ROMA (ITALPRESS) – “Moderna ci ha appena informato che delle previste 166 mila dosi ne consegnerà 132 mila, il 20% in meno. Contavamo poi di poter contare per il primo trimestre su 16 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca, sono scese a 3,4 milioni. Pretendiamo che i fornitori rispettino gli impegni sottoscritti”. Lo ha detto nel corso di una conferenza stampa il commissario straordinario all’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, in merito ai ritardi nelle forniture dei vaccini anti-Covid.
Al momento “ci mancano almeno 300 mila dosi di vaccino che non abbiamo ricevuto. Abbiamo avviato tutte le azioni possibili a tutela della salute degli italiani. Confidiamo di poter fare valere le nostre ragioni, grazie al supporto dell’Avvocatura dello Stato e della Rappresentanza italiana a Bruxelles”, ha sottolineato Arcuri.
“Il vaccino non è una bibita nè una merendina, è l’unico antidoto per uscire da una notte che dura un anno, non si può scherzare, non si deve fare propaganda, non si devono fare annunci, si devono solo consegnare i vaccini promessi”, ha proseguito il commissario.
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Arcuri “Dalle aziende farmaceutiche pretendiamo il rispetto degli impegni”
Al Gemelli bimbo di 5 mesi con Sma trattato con terapia genica
ROMA (ITALPRESS) – Somministrata per la prima volta nel Lazio un’innovativa terapia genica a un bambino asintomatico di meno di sei mesi, con diagnosi di atrofia muscolare spinale (SMA) di tipo 1. Il piccolo nei giorni scorsi ha ricevuto nel Centro NEMO Pediatrico presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS un’infusione di Zolgensma (onasemnogene abeparvovec), prima terapia genica per la cura della SMA di tipo 1.
“Questo farmaco – afferma Marika Pane, responsabile del Centro NEMO Pediatrico del Policlinico Gemelli, che ha somministrato il trattamento – rappresenta un ulteriore passo avanti per la cura di questa malattia; il farmaco agisce sostituendo la funzione del gene mancante o non funzionante SMN1 e si somministra una sola volta nella vita. Siamo felici di essere stati in grado di agire prima della comparsa di segni importanti di malattia, grazie al fatto che il bimbo è stato diagnosticato attraverso lo screening neonatale”.
La SMA può essere oggi diagnosticata precocemente grazie ai programmi di screening alla nascita, avviati su tutti i nati per ora solo nel Lazio – per iniziativa di genetisti e neuropsichiatri infantili dell’Università Cattolica e del Gemelli – e in Toscana. La somministrazione precoce di questo trattamento innovativo consente di ottenere risultati migliori per arrestare la progressione della malattia.
Per il primo bambino con SMA di tipo 1 trattato nel Lazio è stata attivata una collaborazione interaziendale e multidisciplinare, sotto il coordinamento dell’Area Farmaci e Dispositivi della Regione Lazio, attraverso il quale l’Azienda Sanitaria di residenza del piccolo (ASL Viterbo) ha provveduto ad avviare l’acquisto del medicinale e a svolgere gli adempimenti previsti dai Registri AIFA, mentre presso il Gemelli è avvenuta la gestione logistica, l’allestimento del medicinale, la somministrazione e la gestione clinica del piccolo.
“Il percorso, iniziato con l’individuazione del bambino attraverso lo screening neonatale, fino alla somministrazione del trattamento – afferma Marcello Pani, Direttore UOC Farmacia Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – ha coinvolto varie strutture e professionisti che hanno collaborato strettamente per assicurare i sincronismi necessari a garantire tempestivamente efficacia e sicurezza del trattamento. Il medicinale è arrivato presso la farmacia ospedaliera qualche giorno prima della somministrazione seguendo un rigoroso tracciamento della temperatura di trasporto (-60°) ed è stato quindi allestito nelle condizioni ottimali presso il nostro laboratorio di galenica sterile, immediatamente prima della somministrazione”.
“L’inserimento di Zolgensma nell’elenco delle terapie per le quali è possibile richiedere un programma di accesso anticipato – commenta Eugenio Mercuri, Ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università Cattolica e Direttore Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è un ulteriore traguardo raggiunto. Oggi, grazie agli enormi progressi sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico, assistiamo a una vera e propria rivoluzione terapeutica per l’atrofia muscolare spinale, grazie all’arrivo di diverse opzioni di trattamento (di recente sono stati introdotte anche le RNA targeted therapies nusinersen e risdiplam) che hanno dimostrato di poter cambiare in maniera significativa la storia della malattia”.
“Esprimiamo grande soddisfazione per questo primo trattamento che vede protagonista il Gemelli – ha affermato Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – per la cura di un paziente così piccolo affetto da una grave e rara malattia. Questo risultato è il frutto di una virtuosa collaborazione che ha visto impegnati e perfettamente integrati clinici e farmacisti di un ospedale di ricerca e cura, qual è il nostro Policlinico, con quelli della ASL di Viterbo e Novartis (per AveXis EU Limited), con il coordinamento della Regione Lazio”.
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Coronavirus, in Sicilia 994 nuovi casi e 37 decessi
ROMA (ITALPRESS) – Lievissimo decremento dei nuovi positivi al Coronavirus in Sicilia. Secondo il bollettino del Ministero della Salute, i nuovi contagiati nelle ultime 24 ore sono 994 (-2 rispetto al giorno precedente). Bisogna però registrare un significativo calo dei tamponi a 22.761. L’indice di positività risale al 4,3%. Lievissimo calo dei decessi, 37 (-1), i guariti oggi sono 1.811 mentre gli attualmente positivi calano di 854 unità a 46.171. Tra i dati positivi quelli sui ricoveri nei reparti ordinari, 1.405 (-16), mentre le terapie intensive registrano un calo attestandosi a 215 pazienti (-17) con 7 nuovi ingressi (ieri erano stati 11). In isolamento domiciliare vi sono 44.556 persone.
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Svezia, un chirurgo sardo esegue il primo trapianto bilaterale di mani
CAGLIARI (ITALPRESS) – “La grande sfida è stata quella di coordinare un gruppo di oltre 15 chirurghi, infermieri e anestesisti per 18 ore di intervento”. Così il professore Paolo Sassu, chirurgo sardo specializzato in interventi alle mani, ha raccontato il primo trapianto bilaterale di mani nei paesi scandinavi eseguito sotto il suo coordinamento allo Sahlgrenska University Hospital in Svezia. “Lo scopo principale dell’equipe è stato assicurarsi che ossa, vene, tendini e nervi fossero connessi – ha proseguito il professore – in modo che le funzionalità della mano e la mobilità fossero al meglio possibile”. Il trapianto bilaterale di mani è un procedimento molto complesso che richiede un doppio intervento simultaneo sul donatore e sul ricevente, rendendo necessario un preciso lavoro di coordinamento oltre all’abilità dei chirurghi all’opera. Il paziente aveva perso entrambe le mani a causa di un’infezione subita due anni prima ed è stato dimesso dopo quattro settimane di riabilitazione, ma già dopo ventiquattro ore dall’operazione di trapianto è stato capace di muovere tutte e dieci le dita.
“La procedura chirurgica ha richiesto una pianificazione e un allenamento durati cinque anni”, ha spiegato Per Fredrikson, specialista di chirurgia delle mani e ideatore della tecnica applicata per connettere l’osso del donatore con l’avambraccio del ricevente. “Il fatto che siamo in grado di svolgere questo genere di procedure avanzate è un segno dell’eccellenza raggiunta dallo Sahlgrenska University Hospital”, ha chiosato Sassu. L’intervento si è reso necessario a causa delle difficoltà del paziente nel gestire delle protesi, che nei casi di amputazione doppia non sempre ottengono i risultati sperati, rendendo difficilissimi tutti i gesti quotidiani più semplici.
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Policlinico di Bari riferimento al Sud per cura scoliosi e cifosi
BARI (ITALPRESS) – Al Policlinico di Bari per curare scoliosi e cifosi. Arrivano da tutto il Sud Italia i pazienti in carico presso l’unità operativa di Chirurgia vertebrale. La mobilità attiva extra Asl e extra Regione per le patologie legate alla colonna vertebrale è pari al 27,4 per cento: i dati relativi ai primi mesi di attività confermano che vengono a curarsi a Bari non solo dalle altre province pugliesi tra cui Taranto, Foggia e Brindisi ma anche da Catania, Cosenza, Matera, Potenza, Salerno. E c’è stato anche un paziente da Firenze.
Così l’ospedale barese, attraverso l’istituzione dell’unità operativa semplice di Chirurgia vertebrale entrata in funzione da settembre 2020 in piena emergenza Covid, è diventato il punto di riferimento del Mezzogiorno per le patologie vertebrali. L’unità operativa è composta da 8 posti letto, 3 dirigenti medici ed una equipe infermieristica dedicata, affidati alla direzione del dottor Andrea Piazzolla.
I numeri dei primi mesi confermano come l’idea del professor Biagio Moretti, direttore dell’Unità operativa complessa di Ortopedia e Traumatologia e del professor Francesco Signorelli, direttore dell’Unità operativa complessa di Neurochirurgia, condivisa dalla Direzione generale e da tutto il Dipartimento Assistenziale Integrato, sia vincente: 624 prestazioni ambulatoriali; 156 interventi chirurgici, 26 dei quali di alta complessità eseguiti per deformità vertebrali come scoliosi e cifosi; tasso di occupazione dei posti letto di 1,24%.
“Non sono più i pugliesi a dover andare fuori a curarsi, ma con l’istituzione dell’unità di Chirurgia vertebrale avviene il contrario: quasi un terzo i pazienti proveniente da fuori – racconta il direttore dell’unità Andrea Piazzolla – C’è la storia di Agata, 25 anni, che ha affrontato un viaggio dalla Sicilia, insieme alla madre, per curare la sua scoliosi o di Alessio, 20 anni, proveniente da Salerno per un intervento di chirurgia vertebrale maggiore per scoliosi o ancora di Arcangela, 49 anni, già operata in un altro ospedale su cui è stato effettuato un nuovo intervento chirurgico sulla colonna vertebrale che le ha ridato la libertà di movimento persa ormai da tre anni”.
“Il centro di Chirurgia vertebrale del Policlinico di Bari, dopo anni e anni di esperienze e di risultati, è diventato un modello e un punto di riferimento regionale. Soprattutto in un settore, quello dell’instabilità vertebrale e delle patologie complesse della colonna vertebrale, che rappresentava una delle principali voci ortopediche di alta complessità di mobilità passiva” commenta il commissario straordinario del Policlinico di Bari, Vitangelo Dattoli.
Risultati raggiunti anche grazie ad una equipe anestesiologica particolarmente esperta ed affidata al coordinamento del dottor Gioacchino Marella, responsabile dell’unità operativa semplice di Anestesia del blocco operatorio a servizio delle cliniche Ortopediche.
“Negli ultimi anni, siamo riusciti a velocizzare in maniera drastica i tempi di ripresa post-operatoria, a trattare il dolore in maniera più efficace e ridurre i rischi di complicazioni derivanti dalla lunga permanenza in ospedale, grazie ad un protocollo definito Fast Track o ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) – dichiara il dottor Gioacchino Marella – Durante l’intervento, viene effettuata un’anestesia bilanciata specifica per ogni paziente, con medicinali capaci di ridurre significativamente le perdite ematiche e la necessità di trasfusioni. La terapia antidolorifica, basata sull’uso di particolari pompe elastomeriche che consentono l’infusione continua di piccole dosi di morfina, antinfiammatori e modulatori del dolore neuropatico costituisce uno dei cardini fondamentali del nostro protocollo”.
“Nonostante si stia assistendo ad un incremento dell’invasività delle tecniche chirurgiche, sia in termini di quantità di impianti applicati che di osteotomie vertebrali effettuate per ottenere correzioni sempre maggiori – spiega il professor Biagio Moretti – stiamo assistendo ad una continua riduzione della durata degli interventi stessi, delle perdite ematiche e della necessità di trasfusioni”.
“Il protocollo ERAS – continua il dottor Piazzolla – riveste particolare importanza soprattutto nei giovani pazienti con scoliosi idiopatica. Si inizia già alcuni giorni prima dell’intervento, quando il paziente e i familiari non solo vengono informati sulla procedura chirurgica ed istruiti sul percorso post-operatorio ma hanno anche la possibilità di incontrare i pazienti operati nella settimana precedente, e si prosegue per tutta la degenza; ventiquattro ore dopo l’intervento vengono mobilizzati e messi seduti; a 36-48 ore dall’intervento vengono aiutati ad alzarsi dal letto iniziando di fatto la mobilizzazione attiva assistita grazie all’aiuto dei fisioterapisti. Mediamente in 4 giornate post operatorie possono far ritorno a casa”.
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Bambino Gesù “A 21 giorni 1^ dose vaccino Covid, anticorpi per 99%”
ROMA (ITALPRESS) – A 21 giorni dalla somministrazione della prima dose del vaccino anti-SARS-CoV-2, il 99% dei vaccinati ha sviluppato anticorpi contro il virus. Sono i dati del primo monitoraggio realizzato tra gli operatori sanitari dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dall’èquipe della Medicina del Lavoro e della struttura complessa di Microbiologia, con il supporto dell’Immunologia clinica e il coordinamento della Direzione sanitaria. Ad oggi, al Bambino Gesù, la prima dose di vaccino è stata somministrata a quasi 3.000 operatori sanitari “negativi” (ovvero mai entrati in contatto con il virus SARS CoV-2), la seconda dose a 1.425 operatori. Il monitoraggio a 21 giorni dalla prima dose ha rilevato una risposta anticorpale positiva nel 99% dei vaccinati esaminati, con la produzione di una quantità di anticorpi specifici (titolo anticorpale) 50 volte superiore alla soglia di negatività. 7 giorni dopo la seconda dose, gli anticorpi sono stati sviluppati dal 100% dei vaccinati finora valutati, con un titolo anticorpale di circa 1.000 volte superiore alla soglia di negatività, indice di elevato tasso di potenziale protezione.
Positivi i dati anche sul fronte immunologico: a soli 7 giorni dalla prima somministrazione si è registrato un incremento delle cellule B di memoria (quelle che mantengono la produzione di anticorpi nel tempo) nell’80% dei casi e un incremento significativo delle cellule T di memoria (che coordinano l’intera risposta immunitaria contro il virus) nel 64% delle persone vaccinate. Risultati che sembrano supportare pienamente i dati epidemiologici: a partire dal 14° giorno dalla prima dose, cioè successivamente alla comparsa degli anticorpi protettivi e della memoria immunitaria, finora non è stato infatti registrato alcun caso di infezione tra gli operatori sanitari vaccinati. Solo 7 persone hanno sviluppato l’infezione da SARS CoV-2, ma tutte entro il 14° giorno dalla prima somministrazione del vaccino, con lievi sintomi e senza necessità di ricovero ospedaliero.
«Si tratta dei primi risultati che confermano nella pratica clinica la bontà dell’approccio vaccinale in termini di efficacia e di protezione dal SARS-CoV-2. Ampliano inoltre le nostre conoscenze, mostrando i dettagli dei meccanismi della risposta immunitaria al vaccino, e suggeriscono, basandosi su quanto finora evidenziato, che gli anticorpi prodotti dalla vaccinazione abbiano una persistenza nell’organismo alquanto duratura. Sarà ora necessario ampliare le osservazioni e prolungarle nel tempo, tuttavia quanto finora osservato in questa rilevazione è alquanto promettente e supporta l’utilità di una vaccinazione di massa contro il COVID-19» commenta il professore Carlo Federico Perno, responsabile di Microbiologia e Diagnostica di Immunologia.
“I dati resi noti dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù sull’immunizzazione del personale sanitario che ha ricevuto entrambe le dosi del vaccino sono davvero ottimi e incoraggianti. A 21 giorni dalla prima dose di vaccino Il 99% degli operatori ha sviluppato gli anticorpi a dimostrazione dell’efficacia dei vaccini che rappresentano un arma straordinaria nella lotta contro il virus. L’obiettivo primario ora deve essere quello di correre con la campagna vaccinale più delle varianti e va fatto di tutto per mettere in condizione le Regioni di avere i giusti quantitativi di vaccini”. Lo dichiara l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato.
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Coronavirus, 15.204 nuovi casi e 467 decessi in 24 ore
ROMA (ITALPRESS) – Impennata dei casi di coronavirus in Italia. Sono 15.204 i nuovi positivi (ieri erano stati 10.593). A fronte però di una crescita dei tamponi, ben 293.770 e che determina un indice di positività che comunque risale al 5,1%. E’ quanto riporta il bollettino del ministero della Salute. Scendono a 467 i decessi, ieri erano stati 541.
I guariti sono 19.172 mentre gli attuali positivi sono 482.417, con una flessione di 4.448 unità. Prosegue l’allentamento della pressione sugli ospedali. Sono 194 in meno i pazienti nei reparti ordinari portando il dato complessivo a 21.161, calo pure nelle terapie intensive con 2.352 ricoverati registrando quindi un calo complessivo di 20 degenti e 115 nuovi ingressi. In isolamento domiciliare vi sono infine 454.456 persone. La regione con il maggiore numero di positivi è il Veneto (2.385), seguito da Lombardia (2.293), e Lazio (1.338).
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Vaccino anti-Covid e radioterapia, i nodi da sciogliere
ROMA (ITALPRESS) – Le autorità sanitarie raccomandano la vaccinazione anti-Covid-19 e definiscono le categorie preferenziali nelle fasi iniziali (operatori sanitari e socio-sanitari, residenti e personale dei presidi residenziali per anziani, persone di età avanzata) (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus). Si pone quindi la domanda sulla vaccinazione anti-Covid-19 nei pazienti oncologici ed in particolare su pazienti già candidati alla vaccinazione per l’età avanzata.
Le attuali raccomandazioni internazionali (https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/index.html) non identificano specificamente i pazienti oncologici (inclusi quelli sottoposti alla radioterapia) tra i candidati alla vaccinazione ma individuano le persone immunodepresse quali gli individui più idonei a ricevere la vaccinazione anti-SARS-CoV-2, se in assenza di controindicazioni.
La radioterapia può influenzare il sistema immunitario, ma è soprattutto la diagnosi di neoplasia maligna che può essere manifestazione di una compromissione del sistema immunitario. (https://www.cancer.org/content/dam/CRC/PDF/Public/8896.00.pdf).
Al momento attuale non esistono dati scientifici relativi all’efficacia e profilo di sicurezza del vaccino anti-SARS-CoV-2 nei pazienti oncologici. Alla luce però dello stato di immunodepressione per alcune classi di pazienti oncologici, la potenziale risposta immunitaria potrebbe essere minore rispetto alla popolazione sana.
E’ ragionevole pensare, ma con la massima prudenza, che nei pazienti oncologici che dovranno effettuare la radioterapia o sottoposti nel recente passato alla radioterapia, i possibili benefici di una vaccinazione contro il Covid-19 siano superiori ai rischi, essendo questi associati principalmente ad una minore efficacia.
In assenza di controindicazioni certe, quali reazioni allergiche di qualsiasi tipo e natura legate ai vaccini o loro eccipienti e dopo accurata anamnesi, si consiglia, ove indicata, la vaccinazione ai pazienti in trattamento con radioterapia/radio-chemioterapia o comunque in trattamento attivo per la malattia oncologica.
A tale proposito è preferibile l’esecuzione della vaccinazione, se disponibile, prima di intraprendere il trattamento radioterapico e/o quando il quadro ematopoietico risulta ottimale, così come accade per le altre vaccinazioni quali quelle antinfluenzali o antipneumococciche.
E’ di fondamentale importanza che i pazienti discutano con il proprio radioterapista oncologo i tempi di esecuzione del vaccino, in base all’urgenza del trattamento radiante e alla disponibilità del vaccino.
(ITALPRESS).









