TRAPANI (ITALPRESS) – Le dipendenze patologiche sono condizioni caratterizzate dall’incapacità di controllare o sospendere un comportamento nonostante le conseguenze negative che ne derivano. Possono essere legate a droghe o alcol, ma anche al gioco, all’alimentazione o all’uso eccessivo di internet.
E’ importante sottolineare che le dipendenze patologiche sono considerate disturbi mentali e richiedono l’attenzione di professionisti della salute mentale per la valutazione e la gestione.
L’Asp di Trapani offre una serie di servizi per combattere le dipendenze patologiche, come spiega Vincenzo Trapani, Responsabile del Ser.D di Alcamo.
“Il nostro compito – afferma – è prendere in carico le persone che ci chiedono un aiuto per superare quello che è il problema della dipendenza, quindi accogliere e lavorare fondamentalmente in equipe, cioè affrontare il problema a 360 gradi, perchè qui operano sia medici, che psicologi, sociologi, pedagogisti, assistenti sociali, educatori professionali”.
Il trattamento delle dipendenze spesso richiede un approccio multidisciplinare che può includere terapia individuale, terapia di gruppo, supporto familiare, e in alcuni casi, farmacoterapia.
“Siamo impegnati su tutte le scuole del territorio di Alcamo e del distretto – aggiunge Trapani – in tutti i livelli scolastici, dalle medie ai licei. La prevenzione è importante, perchè dobbiamo far capire ai nostri ragazzi i rischi a cui si va incontro. Operiamo facendo degli incontri settimanali in tutte le scuole, sia con i ragazzi, che con le famiglie. Questo è importante, perchè dobbiamo sensibilizzare anche i genitori ad affrontare il problema con i propri figli”.
All’interno delle scuole “operiamo con i CIC – prosegue -, che sono gli sportelli ascolto. E questo è importantissimo per intercettare molto rapidamente quello che è un disagio. Spesso i ragazzi non hanno il coraggio di affrontare il problema. Avere un operatore che dà fiducia e che gli permetta di affrontare il problema, significa anche poter intercettare rapidamente il disagio e quindi poterlo affrontare, parlandone chiaramente con i genitori, anche con il corpo docente e quindi poi con noi che siamo gli operatori di riferimento. Il nostro compito è importantissimo, perchè purtroppo ci troviamo di fronte a un’altissima percentuale di soggetti che chiede un aiuto per le più svariate dipendenze”. Trapani sottolinea che il problema “è sottostimato, perchè noi gestiamo soltanto la punta dell’iceberg. Ancora c’è molta reticenza a presentarsi in una struttura come il Ser.D per chiedere di essere aiutati. Però quello che noi dobbiamo fare è sensibilizzare la popolazione: quando c’è un disagio bisogna intervenire rapidamente, perchè prima si interviene, prima si può essere aiutati in maniera adeguata”.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Parte dalle scuole il trattamento per le dipendenze patologiche
A Roma “Made for More”, verso nuovi standard di cura per la pouchite
ROMA (ITALPRESS) – Informare la comunità scientifica sulle novità di trattamento per la pouchite e fare awareness sulla patologia sono gli obiettivi principali dell’evento Made for More, organizzato a Roma da Takeda, alla presenza e con la partecipazione di circa 300 clinici.
Nei pazienti con colite ulcerosa che necessitano di intervento chirurgico perchè refrattari alla terapia medica o a causa della comparsa di displasia, la procedura di scelta è la procto-colectomia con anastomosi ileo-anale (IPAA – Ileal Pouch Anal Anastomosis), che evita la necessità di un’ileostomia permanente ed è potenzialmente curativa. La pouchite è la complicanza più comune dopo un’IPAA e può interessare fino al 50% dei pazienti trattati chirurgicamente.
I pazienti con pouchite generalmente presentano sintomi gastrointestinali tra cui diarrea, dolore e crampi addominali, aumento della frequenza di evacuazione (fino a 7-8 scariche al giorno), tenesmo – la contrazione spasmodica e spesso associata a dolore dello sfintere anale – incontinenza fecale, sanguinamento rettale.
Nei casi più gravi, possono manifestarsi anche sintomi sistemici come febbre, disidratazione, astenia, malnutrizione, che richiedono l’ospedalizzazione del paziente.
Inoltre, i pazienti portatori di anastomosi ileo-anale possono sviluppare una forma cronica o recidivante di pouchite, con sintomi che persistono per più di 4 settimane, nonostante la somministrazione della terapia, o episodi acuti che si verificano più di 3-4 volte l’anno. La qualità di vita è quindi significativamente compromessa in questi pazienti.
Il trattamento iniziale della pouchite cronica consiste in un ciclo di quattro settimane di antibiotici che può essere seguito da steroidi ed immunosoppressori.
Vedolizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che lega in modo specifico l’integrina a4ß7 sulla superficie linfocitaria, inibisce il meccanismo di homing dei linfociti T nella mucosa intestinale e sviluppa un’efficace immunomodulazione selettiva del tratto gastrointestinale, senza immunosoppressione sistemica.
Per valutare l’efficacia e la sicurezza di vedolizumab IV in questo setting clinico, è stato condotto lo studio EARNEST (NCT02790138), un trial di fase 4, multicentrico, randomizzato, controllato con placebo, che ha arruolato 102 pazienti ed il cui endpoint primario era la remissione clinica della pouchite alla settimana 14, valutata in base allo score mPDAI (modified Pouchitis Disease Activity Index). Il trattamento con vedolizumab IV nello studio EARNEST ha dimostrato una superiorità clinicamente e statisticamente significativa rispetto al placebo, in tutti gli endpoint chiave. Inoltre, il trattamento è stato ben tollerato e non sono emersi nuovi segnali di sicurezza rispetto al noto profilo di sicurezza generale di vedolizumab.
Infine, il trattamento con vedolizumab ha prodotto un evidente beneficio in termini di qualità della vita nei pazienti trattati rispetto al placebo, come misurato tramite gli score IBDQ e CGQL.
– foto xi2/Italpress –
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Studio del Policlinico Gemelli, i nemici del cuore 3.0 e come difendersi
ROMA (ITALPRESS) – Un’ampia review appena pubblicata su European Heart Journal coordinata da ricercatori di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica, in collaborazione con prestigiosi esperti americani (Deepak Bhatt del Mount Sinai di New York e Sanjay Rajagopalan della Case Western Reserve University di Cleveland) prende in esame i fattori di rischio cardio-vascolare del terzo millennio.
I nemici del cuore e delle coronarie sono tanti e vanno ben al di là di quelli tradizionali, i cosiddetti fattori di rischio modificabili o SMuRFs (colesterolo, diabete, ipertensione, fumo). Se di certo i grandi ‘classicì non sono da trascurare, va anche detto che almeno il 15% degli infartuati non presenta alcun fattore di rischio noto. E’ dunque necessario allargare la visuale e far luce sui nuovi pericoli dai quali proteggersi. E’ quanto ha cercato di fare una review pubblicata su European Heart Journal (primo nome Rocco A. Montone) che riassume i principali ‘nuovì rischi per il cuore nel nome-ombrello di ‘esposomà. Tra i nuovi arrivati vanno considerati l’inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, esposizione a sostanze chimiche), fattori socio-economici e psicologici (stress, depressione, isolamento sociale), ma anche malattie infettive come l’influenza e il Covid-19, con le quali facciamo pesantemente i conti ogni inverno.
“Sebbene negli anni i trattamenti contro i fattori di rischio tradizionali siano diventati sempre più efficaci e abbiano contribuito non poco a ridurre incidenza e conseguenze della cardiopatia ischemica – sottolinea Rocco Montone, cardiologo presso la UOC Cardiologia Intensiva di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica – questa resta la principale causa di morte nel mondo. Per questo l’attenzione si sta allargando dai fattori di rischio tradizionale, a tutto ciò che ci circonda, al mondo del quale siamo immersi, fatto di inquinamento, virus, problemi economici e psicologici che, a loro volta, possono contribuire in maniera sostanziale a determinare e perpetuare il problema ‘cardiopatia ischemicà. Questi fattori di rischio – prosegue Montone – interagiscono in modo imprevedibile, spesso potenziandosi tra loro. Ecco perchè è necessario considerarli nella loro totalità, includendoli in questo nuovo paradigma dell’esposoma. La nostra review fa dunque il punto su come l’esposizione a lungo termine all’esposoma possa contribuire alla comparsa di cardiopatia ischemica e suggerisce quali potenziali strategie di mitigazione del rischio andrebbero messe in atto”.
L’inquinamento atmosferico (soprattutto da PM2.5 o particolato fine) da solo può ridurre l’aspettativa di vita di 2,9 anni (il fumo di tabacco la riduce di 2,2 anni). Lo studio Global Burden of Disease (GBD) ha stimato che nel 2019 fossero direttamente riconducibili all’inquinamento nel mondo 7 milioni di decessi (4,1 da inquinamento ambientale e 2,3 da inquinamento domestico). “Questi decessi da inquinamento – ricorda Montone – sono causati soprattutto da malattie cardiovascolari (arresto cardiaco, scompenso, aritmie, ictus ischemico e soprattutto infarti) e agiscono su vari meccanismi. L’esposizione all’aria inquinata ad esempio ‘ossidà il colesterolo cattivo (LDL), rendendolo più pericoloso e altera la funzionalità del colesterolo ‘buonò (HDL), rendendo così meno efficaci anche le statine. L’esposizione acuta a PM2.5 proveniente dagli scappamenti dei veicoli diesel può determinare un rialzo improvviso della pressione. Gli inquinanti atmosferici inoltre possono alterare la sensibilità all’insulina e promuovere la comparsa di diabete, attraverso stress ossidativo e infiammazione cronica; secondo il GBD, fino al 22% dei casi di diabete di tipo 2 potrebbero essere imputati all’inquinamento”.
Altri problemi vengono dall’inquinamento acustico, luminoso e dallo stress sociale, che alterando gli ormoni dello stress e i ritmi circadiani (con la deprivazione o frammentazione del sonno) possono peggiorare lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, portando a disfunzione endoteliale, ad una maggior aggregabilità delle piastrine e promuovendo così la comparsa di cardiopatia ischemica. L’inquinamento del suolo infine, come quello da metalli pesanti (cadmio, piombo e arsenico), pesticidi o particelle di plastica può contaminare l’acqua e il cibo che mangiamo, contribuendo anch’esso alla comparsa di eventi cardiaci avversi.
Anche i cambiamenti climatici, che sono strettamente correlati all’inquinamento, hanno un impatto importante sulla salute del cuore. “Le ondate di caldo – ricorda Montone – sono sempre più frequenti; una prolungata esposizione al caldo è stata di recente correlata ad aumentato rischio di mortalità cardiovascolare”.
Da non sottovalutare poi la salute mentale, legata a doppio filo a quella del cuore. Stress cronico, depressione, isolamento sociale e solitudine possono dare un importante contributo alle malattie cardiovascolari; lo stress determina una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico che può portare a ipertensione arteriosa, mentre l’aumentata produzione di cortisolo dai surreni, può promuovere insulino-resistenza e favorire la comparsa di obesità viscerale. Lo stress infine si associa spesso ad alterate abitudini di vita (dieta poco sana, sedentarietà, fumo) che potenziano i fattori di rischio cardio-vascolari tradizionali.
Malattie infettive. Molte infezioni respiratorie come l’influenza e il COVID-19, ma anche le parodontiti e le infezioni da Helicobacter pylori e Chlamydia sono correlate ad un aumento rischio cardiovascolare; aumentano l’infiammazione sistemica, lo stress ossidativo, l’attivazione piastrinica e possono danneggiare direttamente le cellule del cuore (miociti).
Strategie di mitigazione (a scuola di consapevolezza).
Trattare l’esposoma per proteggere il cuore, di certo non è facile come assumere pillola contro il colesterolo o la pressione. E se la responsabilità individuale ha comunque uno spazio importante, sono necessarie anche azioni di politica ambientale e di mitigazione più alte. E’ importante tuttavia essere consapevoli dei rischi e contribuire, ognuno per la nostra parte, alla riduzione di questi fattori di rischio che impattano non solo sul singolo ma su tutta la collettività.
“Sul fronte dell’inquinamento ambientale – afferma Montone – sarebbe opportuno velocizzare la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, mettere in atto politiche per la riduzione del traffico nei centri cittadini e promuovere i trasporti con veicoli a basse o a zero emissioni. Importante anche ripensare le città, evitando la commistione di aree industriali e residenziali. Se l’esercizio fisico all’aperto è sempre raccomandabile, è importante che venga fatto in aree verdi, lontane dal traffico. Nelle giornate a maggior tasso di inquinamento, potrebbe essere opportuno indossare una mascherina quando si esce o restare in casa con le finestre chiuse, usando dei purificatori d’aria. L’inquinamento acustico si riduce adottando tecnologie per ridurre il rumore dei trasporti, regolamentando il traffico, incoraggiando l’uso di veicoli elettrici, disegnando edifici ‘a provà di rumore, creando aree verdi che fanno da ‘tamponè naturale dei rumori. L’inquinamento luminoso si combattere a livello pubblico e personale; oltre a ricordarci di spegnere le luci, per favorire l’igiene del sonno, è bene ricordarsi di serrare le tapparelle o di indossare una mascherina sugli occhi”.
A livello internazionale sta crescendo il movimento di sensibilizzazione al problema che celebrerà la settimana internazionale ‘DarkSky’ (dal 2 all’8 aprile). Anche a tavola, bisogna ricordarsi di adottare una dieta da fonti sostenibili, come la dieta mediterranea; ridurre il consumo di carne rossa fa bene alla salute personale e a quella dell’ambiente. “Sul fronte della protezione dalle malattie infettive che mettono a rischio il cuore – conclude Montone – è importante insistere nelle campagne vaccinali autunnali contro influenza e Covid-19, promuovere misure l’igiene delle mani, la sanificazione delle superfici e degli ambienti, indossare una mascherina facciale nei luoghi chiusi e affollati”.
“Sebbene la consapevolezza sociale del problema sia in aumento e le principali linee guida cardiovascolari stiano ora prendendo in considerazione l’importanza di ridurre l’esposizione a questi nuovi fattori di rischio cardiovascolare – afferma il Professor Filippo Crea, Editor-in-Chief di European Heart Journal, Direttore del Centro di Eccellenza di Scienze Cardiovascolari Ospedale Isola Tiberina – Gemelli Isola, già Ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica – c’è ancora molta strada da fare per implementare strategie preventive e di gestione. In questo contesto, gli operatori sanitari e le organizzazioni pubbliche in generale dovrebbero essere consapevoli della necessità di affrontare questo cambio di paradigma. Infine, sarà fondamentale promuovere ulteriori ricerche per studiare il modo in cui questi fattori di rischio emergenti, da soli e in combinazione, influiscono sull’integrità del sistema cardiovascolare. E’ importante iniziare a esplorare in profondità il lato nascosto della luna in quanto, come dimostrato in un recente lavoro epidemiologico pubblicato sul New England Journal of Medicine i fattori di rischio noti (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e fumo) spigano solo metà delle malattie cardiovascolari”.
– foto ufficio stampa Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, cardiologo Rocco Montone –
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Accesso a cure, come garantire equità con Nuovo Sistema Garanzia dei Lea
ROMA (ITALPRESS) – Nonostante il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale sia passato da circa 114 miliardi di euro del 2019 agli oltre 124 Mld del 2022, per arrivare ai 134 Mld del 2024, al contrario il livello di rinuncia alle cure dei cittadini che ne avrebbero avuto necessità nel 2022 (Istat – ultimo dato pubblico disponibile) è peggiorato rispetto a quello del 2019 (pre-pandemia): dal 6,3% del 2019 si è passati al 7% del 2022, con un incremento di 0,7 punti percentuali.
Rilevanti anche le differenze regionali nel 2022. Si passa dal 12,3% di rinuncia alle cure della Sardegna al 9,6% del Piemonte, per scendere fino al 4,7% della Campania (vedi tabella per tutti i dati regionali).
A preoccupare, inoltre, è il fatto che questo importante indicatore dell’assistenza sanitaria, come molti altri, ad oggi non vengono utilizzati dal Ministero della Salute per verificare le performance delle Regioni nella capacità di garantire concretamente i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria ai cittadini.
Stiamo parlando del Nuovo Sistema di Garanzia dei Lea (NSG), un sistema di monitoraggio e valutazione dell’operato delle Regioni, utilizzato dal Ministero della Salute per assegnare ogni anno il “punteggio Lea”, funzionale anche all’erogazione di una parte del fondo sanitario nazionale
Approvato nel 2019, il NSG dei Lea è entrato in vigore nel 2020, ma i suoi indicatori oggi sono troppo pochi e deboli, e questo lo rende già vecchio e superato dalla realtà dei fatti: su 88 indicatori, solo 22 (un quarto quindi) concorrono all’assegnazione del punteggio alle Regioni (indicatori “core”).
Per questo, Salutequità ha realizzato sull’argomento il suo secondo Report “Valutare bene per garantire equità. Raccomandazioni per l’equità nel Nuovo Sistema di garanzia (NSG) dei Livelli Essenziali di Assistenza”, messo a punto insieme a 15 soggetti tra associazioni pazienti, società scientifiche, manager di strutture sanitarie, professionisti sanitari -AIOP, AISC, AISM, AMD, AMICI, APIAFCO, APMARR, CARD, Diabete Italia, Federsanità Anci, FIMMG, FNOPI, SIFO, SIT, UNIAMO- realizzato grazie al contributo non condizionato del Gruppo Servier in Italia, e presentato a Roma nel corso di un seminario nazionale di confronto alla presenza di molteplici stakeholder, esperti e decisori con l’obiettivo di rendere il Diritto alla Salute sempre più effettivo ed esigibile in tutte le Regioni.
“Il NSG – afferma Tonino Aceti, presidente di Salutequità – dovrebbe essere uno strumento flessibile capace di adattarsi costantemente alle priorità di salute dei cittadini e a quelle di politica sanitaria del SSN, che sono in continua evoluzione, a partire dalle innovazioni previste dal PNRR, dal DM 77/2022 e dal Decreto Tariffe dei nuovi Lea. Questo vuol dire poter contare su un sistema dinamico di aggiornamento degli indicatori, oggi poco sfidanti (non solo per oggetto, ma anche per modalità di calcolo) e inadeguati a misurare la realtà vissuta dai cittadini, oltrechè relativi ad un SSN del periodo pre-pandemico. L’obiettivo del lavoro è dunque quello di proporre raccomandazioni condivise per perfezionare e ammodernare il Nuovo Sistema di Garanzia dei Lea in un’ottica di maggiore equità di accesso all’assistenza sanitaria. Senza maggiori e migliori controlli sull’assistenza erogata dalle Regioni, a fronte dei miliardi di euro stanziati per il SSN, non si va da nessuna parte. Senza contare che le ipotesi di assegnare più autonomia alle Regioni, non prevedendo contestualmente un rafforzamento del ruolo di controllo dello Stato a garanzia dell’unitarietà del SSN, rischiano di acuire ulteriormente le rilevanti disuguaglianze che esistono”.
Solo per fare alcuni esempi che il report declina nel dettaglio: la necessità di misurare meglio i programmi di screening organizzato, ad esempio considerando anche le lesioni individuate così come le coperture raggiunte per gli anziani non solo nella vaccinazione antinfluenzale, ma in tutte quelle previste dal nuovo Piano nazionale (Pneumococcica e contro Herpes Zooster).
Ancora per le liste di attesa ci sono solo due indicatori, uno core e uno non core, e nessuno dei due verifica e garantisce il completo rispetto delle norme del Piano nazionale di governo delle liste di attesa e nulla c’è sul recupero delle prestazioni mancate durante la pandemia. Il Livello di rinuncia alle cure per la misurazione dell’equità sociale è ancora considerato “no core”, mentre dovrebbe invece diventare “core” per la sua capacità di restituire un’informazione robusta sul ruolo delle regioni nell’eliminare o ridurre al minimo le disparità di salute oltrechè garantire un accesso, senza alcuna discriminazione, alle prestazioni sanitarie.
Mancano poi tra gli indicatori “core” quelli sulla prevenzione e gestione del rischio clinico e dei vari livelli di sicurezza degli ospedali, sul monitoraggio delle infezioni correlate all’assistenza, sull’umanizzazione delle cure negli ospedali e, tema caldissimo in questo momento, sui tempi di attesa al pronto soccorso (dove non è “sotto controllo” neppure l’applicazione delle linee di indirizzo sul triage) e per il ricovero ospedaliero.
Nulla tra gli indicatori “core” sull’aderenza alle terapie, sull’attuazione del Piano nazionale Cronicità anche con indicatori dei Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali e con la verifica della qualità, accessibilità ed equità dell’assistenza per le persone con malattie rare.
C’è poi da introdurre e mettere in primo piano la verifica dell’assistenza territoriale (medici e pediatri di famiglia, infermieri di famiglia e comunità, continuità assistenziale, rispetto del decreto 77/2022 di riordino dell’assistenza territoriale per quanto riguarda anche l’ulteriore personale infermieristico, medico e delle altre professioni sanitarie) e per l’assistenza domiciliare integrata, tra le altre verifiche, la composizione delle èquipe, le ore di assistenza ai pazienti.
Così come bisognerebbe prevedere tra gli indicatori “core” quelli sul rispetto degli standard e dei fabbisogni di personale in tutte le strutture disegnate dal PNRR (e indicate nei decreti applicativi) e per la rete delle cure palliative, anche con i relativi finanziamenti. Poi la stratificazione della popolazione (la demografia cambia gli orizzonti di cura) e tutto il capitolo della telemedicina, teleassistenza e del Fascicolo sanitario elettronico.
E’ necessario quindi, secondo Salutequità, prevedere un sistema di aggiornamento agile, flessibile e dinamico degli indicatori di monitoraggio attualmente previsti dal Decreto; integrare la composizione del Comitato Lea con la partecipazione di componenti laici (oggi “il controllore è anche il controllato”); garantire maggiore tempestività e dinamicità di pubblicazione dei punteggi LEA, rivedendo le attuali tempistiche “a consuntivo” (31 dicembre dell’anno successivo e non come ora che i dati sono ancora riferiti al 2019); implementare la previsione dell'”Intervento di potenziamento dei Lea” da parte delle Regioni come previsto dal Patto per la Salute 2019-2021; definire in modo sfidante le soglie di ciascun indicatore, verificare tutti gli ulteriori adempimenti Lea in modo sostanziale; ammodernare, rafforzare e integrare il sottoinsieme “core” del NSG con nuovi indicatori.
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Influenza, l’incidenza torna a calare. Superato il picco
ROMA (ITALPRESS) – In netto calo, ma sempre nella fascia di intensità alta, il numero di casi di sindromi simil-influenzali (ILI) in Italia. L’ultimo bollettino RespiVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità, relativo alla prima settimana del 2024,
segnala che nella prima settimana del 2024 l’incidenza è scesa a 16,5 casi per mille assistiti, mentre nella settimana precedente si era raggiunto il picco con 18,3 (dato aggiornato rispetto a quello diffuso la scorsa settimana a seguito dei ritardi di notifica). Scende anche la proporzione dei campioni positivi ad influenza sul totale dei campioni analizzati (34% vs 46%). Lo affermano i bollettini della sorveglianza RespiVirNet pubblicati oggi. “Sia i dati epidemiologici che microbiologici sembrano indicare che stiamo superando il picco, anche se è fortemente probabile una circolazione sostenuta anche nelle prossime settimane, facilitata dalla riapertura delle scuole – commenta Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento Malattie Infettive dell’Iss -. Continuiamo a raccomandare pertanto le vaccinazioni per le persone più a rischio, ancora utili in vista della ‘codà della stagione che durerà ancora diverse settimane, e una sana prudenza nei comportamenti. Resta valida la raccomandazione di non assumere antibiotici, inutili in caso di infezioni virali, se non su indicazione del proprio medico, e di recarsi al pronto soccorso solo se strettamente necessario”.
-foto Agenzia Fotogramma –
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Nuovi casi di Covid in calo, -45,9% in una settimana
ROMA (ITALPRESS) – Nella settimana compresa tra il 4 e il 10 gennaio 2024 si registrano 20.945 nuovi casi positivi con una variazione di -45,9% rispetto alla settimana precedente (38.737). I morti sono stati 355, con una variazione di -4,3% rispetto alla settimana precedente (371). 226.569 i tamponi effettuati con una variazione di -6,6% rispetto alla settimana precedente (242.518).
Il tasso di positività è del 9,2%, -6,7% rispetto alla settimana precedente (16%). Il tasso di occupazione in area medica al 10/01/2024 è pari all’8,2% (5.131 ricoverati), rispetto al 10,1% (6.320 ricoverati) del 3/1/2024.
Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 10/1/2024 è pari al 2,4% (213 ricoverati), rispetto al 2,8% (246 ricoverati) del 3/01/2024.
“I dati di questa settimana evidenziano una ulteriore frenata della diffusione del Covid, che si riflette anche sulla riduzione del tasso di occupazione delle strutture ospedaliere, sia in area medica che in terapia intensiva – afferma il direttore generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute, Francesco Vaia -. Un risultato che dobbiamo consolidare, continuando a proteggere i più fragili attraverso la vaccinazione che, ricordiamo, è possibile ricevere contemporaneamente a quella anti-influenzale, particolarmente importante visto l’andamento delle ultime settimane. Siamo ancora in tempo. Rinnoviamo l’invito alle Regioni, in particolar modo a quelle che più fanno fatica, a mettere in campo ogni azione organizzativa e di comunicazione, soprattutto sul territorio, per evitare il sovraffollamento delle aree di emergenza ospedaliera”.
– Foto: Agenzia Fotogramma –
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Iraq, al Policlinico San Donato la gestione di un ospedale pubblico
MILANO (ITALPRESS) – Il Policlinico San Donato, ospedale del Gruppo San Donato, si è aggiudicato la gestione pluriennale di un ospedale pubblico in Iraq. Si tratta dell’ospedale universitario ad alta specialità nella città di Najaf, dotato di 492 posti letto e di proprietà del Ministero della Salute iracheno.
A firmare l’accordo il ministro della Salute, Saleh Al-Hasnawi e Kamel Ghribi, vice presidente del Gruppo San Donato e presidente di GKSD Investment Holding.
Il ministro della Salute ha affermato che la firma dell’accordo rientra nel quadro dei rapporti di cooperazione tra Iraq e Italia, nell’ottica di un lavoro congiunto tra i due Paesi. La partnership con Gruppo San Donato rafforza questa cooperazione e, per la prima volta, porta l’eccellenza sanitaria italiana al servizio del Paese e della popolazione irachena.
Kamel Ghribi ha così commentato la sigla dell’accordo: «Siamo onorati di questo incarico che abbiamo ricevuto dal governo iracheno. La nostra iniziativa in Iraq ha carattere pionieristico e ci auguriamo che essa possa rappresentare solo l’inizio di una sempre più stretta collaborazione tra i nostri Paesi, poichè questo accordo apre le porte a nuove opportunità di sviluppo e cooperazione anche per altre aziende italiane».
L’intesa rientra nel nuovo indirizzo di politica sanitaria, che punta allo strumento del partenariato pubblico-privato con operatori internazionali per innalzare la qualità, l’accessibilità e la sostenibilità finanziaria delle cure della popolazione irachena.
– Foto ufficio stampa Gruppo San Donato –
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Infezioni sessualmente trasmesse, per i giovani occorre parlarne di più
PALERMO (ITALPRESS) – Sifilide, gonorrea, papilloma virus, epatiti virali, HIV. Le infezioni sessualmente trasmissibili sono diverse e sono causate da germi che possono provocare sia una malattia acuta che cronica. Rischiano di dare anche gravi complicanze a lungo termine e persino i tumori. La fascia più esposta è quella dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni. “Si trasmettono per via sessuale, qualunque tipo di rapporto sessuale, per il contatto con i liquidi organici infetti”, ha spiegato Pietro Colletti, direttore Unità Malattie Infettive dell’Ospedale Borsellino di Marsala che ne ha parlato in un servizio dell’Italpress dedicato ai giovani e alle infezioni sessualmente trasmissibili. “Tali infezioni – ha continuato – possono essere trasmesse anche attraverso il sangue o altri liquidi biologici, per passaggio dalla madre al nascituro durante la gravidanza, il parto o l’allattamento e con pratiche quali i piercing”.
Quanto ne sanno i giovani? “Veramente poco – afferma una ragazza intervistata – perchè a scuola non è un tema trattato. La mia istruzione non è completa su questo”.
Uso corretto del preservativo, tanta informazione nelle scuole, dialogo in famiglia: la prevenzione è spesso più importante della cura.
Bisogna “parlarne nelle scuole, già dalle medie – sottolinea una giovane -, per aprire i ragazzi e le ragazze a questo mondo, per far capire loro i rischi e riuscire a spiegare che esistono modi per prevenire”.
“Nonostante si tratti di un tabù per molti – spiega un’altra giovane -, specialmente per gli adulti, in realtà” parlarne “è una cosa che fa comodo e fa cultura”.
Un ragazzo propone, quindi, di parlarne “nelle ore pomeridiane con progetti o impiegare ore di biologia o scienze all’educazione sessuale. Il dialogo in famiglia può aiutare. Serve soprattutto – aggiunge – consapevolezza e maturità nell’affrontare la sessualità che da molti purtroppo è vista come un tabù”.
Nonostante una larga diffusione nella popolazione, si parla ancora poco dell’infezione da Papilloma virus ma per l’Hpv, che nelle sue forme più gravi può causare anche neoplasie, c’è una soluzione: la vaccinazione a partire dagli 11-12 anni.
“E’ offerta – ha spiegato Davide Alaimo, ginecologo all’Ospedale Buccheri La Ferla di Palermo – dal sistema sanitario nazionale gratuitamente però poche persone conoscono questa possibilità. Adesso ci siamo allontanati tanto dalla vaccinazione perchè si ha paura delle vaccinazioni ma quella dell’Hpv in paesi come Finlandia, Svezia e Norvegia ha portato a una copertura massima delle vaccinazioni tanto che – ha concluso – potrebbero fare a meno del Pap test come screening perchè si considera ormai quasi debellato”.
– foto Italpress –
(ITALPRESS).









