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Influenza nei bambini, no all’uso dell’antibiotico “fai da te”

ROMA (ITALPRESS) – Gli esperti considerano la stagione influenzale alle porte di media intensità, con tre virus principali circolanti, oltre ad altri 262 virus cugini: l’influenza vera e propria, il Covid-19 e il virus respiratorio sinciziale. Sulla base dei dati in arrivo dall’emisfero australe, si ammaleranno di influenza tra i 5 e i 6 milioni di italiani, di questi circa il 30% saranno bambini, una percentuale molto alta determinata dalla vita di comunità e, nel caso dei più piccoli, da un sistema immunitario non ancora maturo. Il tasso di incidenza dipenderà inoltre dai ceppi virali in circolazione, dalla loro novità rispetto agli anni precedenti, e dalle condizioni meteorologiche e climatiche: il clima freddo, ma anche gli sbalzi di temperatura e gli ambienti secchi, riducono le difese delle vie aeree alte, aprendo la porta alle malattie di stagione. Questi i temi trattati da Roberta Levi, medico chirurgo specialista in pediatria e consulente presso la casa di cura Madonnina di Milano, intervistata da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“Durante l’inverno, proprio perchè i bambini vivono di più in ambienti chiusi, si ammalano maggiormente, e si stimano circa 5-6 episodi infettivi durante l’inverno – ha esordito – Le patologie più frequenti sono le infezioni alle alte vie respiratorie, quindi i pediatri vengono chiamati per questo motivo: raffreddori che durano per più tempo, mal di gola o tossi che non passano mai. Queste forme sono prevalentemente di natura virale, non necessitano di antibiotico – ha ricordato – Poi ci sono le forme batteriche, o virali che si trasformano in batteriche, ma per l’antibiotico bisogna sempre rivolgersi al pediatra. Il fai da te non va bene”. E su quando allarmarsi in caso di influenze nei bambini: “Se nonostante la febbre è vivace, ha appetito, o con l’antipiretico torna a essere attivo, non preoccupa, sono invece preoccupanti i bambini sotto i tre mesi, il bambino che non beve e ha disidratazione, o che ha associata una malattia dolorosa come il mal di testa, o quando nonostante l’antipiretico non migliora”.
Diversi i consigli dell’esperta su come mitigare il rischio del contagio nei bambini e come intervenire per una rapida guarigione: “Sicuramente occorrerebbe evitare luoghi chiusi e affollati, a parte la scuola che non è evitabile – ha sottolineato – All’infuori di questa, stare all’aperto per quanto possibile e compatibilmente col clima. Fa bene il movimento quotidiano, l’attività sportiva, tutto questo rinforza il sistema immunitario. E’ bene evitare di mandare i bambini a scuola se hanno ancora tosse o raffreddore, evitare il contatto con persone malate, soprattutto nei primi giorni della malattia – ha spiegato Levi – Bisogna evitare di scambiarsi bicchieri, posate, strumenti di lavoro a scuola con altri bambini, lavarsi sempre le mani prima di mangiare, bisogna cercare di trasmettere queste informazioni. E poi, mangiare cibi sani, frutta, verdura, meno merendine e cibi non preconfezionati. Va curata l’idratazione, il bambino deve bere quel che riesce a bere, per esempio le spremute sono fonti di vitamina C e possono essere d’aiuto in questa stagione”.
“Le neo mamme alla prima esperienza sono spesso molto ansiose, è un’ansia generata da altre mamme, dal bombardamento di consigli e informazioni da amiche, internet e cose che si leggono – ha aggiunto sul rapporto con i genitori – Creano confusione e aumentano l’ansia, è importante avere una persona di riferimento, di fiducia, che possa calmare l’ansia e risolvere i dubbi”. Infine, sulla vaccinazione dei più piccoli: “La vaccinazione antinfluenzale è consigliata a tutti i bambini dai 6 mesi di età, in più è particolarmente consigliata a chi va già a scuola o ai più fragili – ha concluso Levi – In questi ultimi con una patologia di base, un’influenza potrebbe essere più grave o peggiorare la loro malattia”.

– foto da video Medicina Top –
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Tumore del colon-retto, prospettive di vita in netta crescita

ROMA (ITALPRESS) – Il cancro al colon retto è il secondo tipo di tumore più frequente nel nostro paese ed è anche il secondo tra i più letali, con 48.100 nuove diagnosi stimate nel 2022 e 21.700 decessi. Rispetto al 2020, l’incidenza è cresciuta dell’1.5% negli uomini e dell’1.6% nelle donne. Lo dice il report “I numeri del cancro 2022” stilato dall’associazione italiana di oncologia medica. Un modo efficace per diagnosticarlo precocemente c’è, ma purtroppo in Italia è poco sfruttato: si tratta dello screening per la ricerca del sangue occulto nelle feci, proposto gratuitamente ogni due anni dal sistema sanitario nazionale a tutte le persone tra i 50 e i 70 anni. In Italia meno del 50% della popolazione nella fascia 50-70 anni aderisce allo screening, una percentuale che nel sud Italia addirittura non supera il 15-20%. Sono questi i temi trattati dal professor Alberto Malesci, senior consultant gastroenterologo presso l’Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore straordinario di Gastroenterologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, intervistato da Marco Klinger per Medicina Top, format dell’agenzia di stampa Italpress.
“In un contesto storico che negli ultimi decenni ha visto una diminuzione di incidenza e mortalità, ci sono però due novità epidemiologiche di rilievo – ha esordito – La prima è che si è visto un picco di incidenza in soggetti di età inferiore a 50 anni a livello globale, e non si sono ancora capite per intero le cause di questo rialzo, probabilmente riguardanti abitudini negative dei millennials. La seconda novità – ha aggiunto Malesci – è rappresentata dal periodo della pandemia, che ha visto un drastico calo degli screening con un drammatico calo delle diagnosi, fatto per cui ci si aspetta un incremento della mortalità a causa delle diagnosi tardive. E per quanto riguarda la sintomatologia: “I sintomi sono piuttosto semplici. Dolori addominali, presenza di sangue nelle feci, difficoltà nelle evacuazioni, anche un calo di peso non spiegato deve portare a indagare nel colon, oppure un’anemia per cui non si trova altra spiegazione”, ha sottolineato.
“Il cancro del colon così come le lesioni precancerose come gli adenomi possono essere assolutamente asintomatici. Il fatto che il tumore del colon possa essere asintomatico giustifica i programmi di screening sulla popolazione asintomatica – ha ricordato il professore, soffermandosi poi sulle aspettative di vita di questo tipo di pazienti oncologici – Le prospettive sono in grande miglioramento per chi ha questa diagnosi, dipende dallo stadio: in stadio 1 e 2 la prognosi è di oltre il 90% a cinque anni, lo stadio 3 si è guadagnato un 10% di sopravviventi a 5 anni e ora siamo al 70%, per lo stadio 4 siamo intorno al 20%, ma le nuove terapie stanno facendo guadagnare punti di sopravvivenza e qualità di vita. La vera novità straordinaria è che quest’anno per la prima volta è stata riportata la regressione di un cancro al colon retto con la sola terapia medica senza intervento chirurgico”.
L’esame diagnostico di riferimento indicato è la colonscopia, che diventa anche terapeutico quando si tratta non di cancro ma di lesioni che potrebbero evolversi in formazione cancerogena. Sono tante, infatti, le patologie più o meno gravi legate al colon retto: “In Italia oggi circa 250.000 persone riportano malattie infiammatorie al colon, il rischio di questi pazienti di sviluppare il cancro del colon, per quanto variabile, va dal 15 al 40% nell’arco della loro vita, mentre nei pazienti non portatori di queste malattie siamo intorno al 5% – ha puntualizzato Malesci – Il problema è magnificato anche dal fatto che la prevalenza della malattia infiammatoria nella nostra popolazione è destinata ad aumentare, è un fenomeno squisitamente anagrafico, nel 2030 probabilmente ci si aspetta che raddoppi: non per l’aumento dell’incidenza, ma per l’aumento dell’età dei pazienti che hanno già la diagnosi, circa mezzo milione di persone avrà un’infiammazione al colon che può sfociare poi in cancro”.
E sul diffusissimo colon irritabile: “E’ un’altra patologia il cui disturbo è molto diffuso ma naturalmente molto meno preoccupante, a livello globale colpisce il 10-15% della popolazione, il trend è in incremento, ma mancano studi longitudinali di qualità, e spesso il compito del medico è di tranquillizzare il paziente – ha spiegato – Ci sono mille integratori e vari trattamenti, il mio consiglio di base è implementare una dieta a basso potere di fermentazione. Ha un grosso background scientifico e può ridurre sostanzialmente i sintomi”.

– foto da video Medicina Top –
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Pfizer contro la discriminazione di genere

ROMA (ITALPRESS) – In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, i circa 2000 dipendenti di Pfizer delle sedi di Roma e Milano, degli stabilimenti di Ascoli e Catania, hanno deciso di dimostrare la loro solidarietà alle donne vittime di violenza e di unirsi a coloro che sono impegnati su questo fronte ogni giorno. In preparazione della giornata, i dipendenti si sono dati appuntamento nelle varie sedi indossando un accessorio o un indumento rosso per dipingere simbolicamente insieme (di rosso) una panchina, con l’obiettivo di ricordare le milioni di donne, che ogni anno, nel corso della loro vita, subiscono una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
“Per noi di Pfizer questa giornata è davvero speciale, poichè per la prima volta, abbiamo l’occasione di affrontare insieme questo importante argomento, ancora sottostimato: tanta violenza è subita ancora in silenzio”, spiega Paivi Kerkola, Amministratore Delegato e Presidente. “Nonostante la quasi totalità delle vittime siano donne, vogliamo ricordare che la violenza di genere non riguarda solo loro, ma tutta la società. La prevenzione di questo fenomeno è un imperativo morale per tutti noi. In Pfizer” aggiunge Kerkola “siamo da sempre impegnati nel creare un ambiente di lavoro sicuro e inclusivo. Nessuna forma di discriminazione o abuso è tollerata e su questo siamo tutelati dai nostri valori e dal lavoro continuo e costante di un team dedicato ai temi della Diversity Equity & Inclusion”.
In occasione della Giornata, l’azienda si è fermata per qualche ora ad ascoltare le testimonianze di due esperte, Oria Gargano – giornalista e presidente di BeFree, cooperativa sociale contro tratta violenze discriminazioni, che attualmente gestisce servizi antiviolenza e antitratta in diverse Regioni – e Giorgia Ortu La Barbera – psicologa, consulente senior in ambito HR – che da anni operano per sostenere le donne vittime di violenza.
“Le organizzazioni non sono solo luoghi in cui si svolge un lavoro: sono anche contesti in cui si intessono relazioni significative, si costruisce una rete di supporto, si crea una cultura comune”, ha detto Giorgia Ortu La Barbera. “Spesso sono anche l’unico luogo sicuro per le donne vittime di violenza. Attraverso il suo chiaro impegno e le sue persone, una grande azienda può svolgere l’importante ruolo di cassa di risonanza su questi temi, nella consapevolezza che il problema della violenza contro le donne si contrasta su un piano culturale, e pertanto riguarda tutte e tutti noi, la nostra responsabilità e le nostre azioni, dentro e fuori i contesti di lavoro”.
“Per contrastare le tante forme della violenza di genere bisogna attivare approcci e pratiche profondamente trasformativi”, ha affermato Oria Gargano. “La violenza contro le donne nelle sue varie forme scaturisce da un contesto sociale, politico, culturale ed economico deprivante. Bisogna dunque rivedere e rivoluzionare tutte le convinzioni supinamente accettate, le abitudini, le scale valoriali ed i nostri comportamenti quotidiani. E’ necessario mettere al centro del nostro agire la cultura del rispetto quale elemento imprescindibile per costruire una società migliore”.
Per questo Pfizer ha deciso di intraprendere anche un percorso per ottenere la Certificazione per la parità di genere. Questa certificazione viene riconosciuta alle imprese che si contraddistinguono per un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere: per esempio nel garantire l’equità remunerativa per genere a parità di ruoli professionali, o nel tutelare la genitorialità.
“Colgo l’occasione per congratularmi con i colleghi del sito di Ascoli, che hanno recentemente ottenuto la Certificazione sulla parità di genere. E vorrei ricordare anche un altro premio assegnato alcuni giorni fa alla nostra azienda”, ha concluso Paivi Kerkola “il Premio Minerva Roma Azienda d’Eccellenza 2023. Lavorando insieme, possiamo contribuire a creare un mondo in cui tutte le donne possano vivere e lavorare senza paura. Rendere visibile il problema è il primo passo per risolverlo”.
-foto ufficio stampa Pfizer –
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Tumore raro al fegato asportato all’Arnas Garibaldi di Catania

CATANIA (ITALPRESS) – Un uomo di 63 anni, portatore di un esteso tumore del fegato che infiltrava indissociabilmente il pancreas, il colon destro, il diaframma, il surrene e la vena cava, è stato salvato mediante un delicato ma radicale intervento di asportazione in unico blocco di fegato, duodeno e testa pancreas, colecisti, colon destro, diaframma, surrene e parte di vena cava dall’equipe dell’Unità Operativa di Chirurgia Epatobiliopancreatica dell’Ospedale Garibaldi – Nesima di Catania, diretta da Nicola Cinardi.
L’equipe, condotta dal chirurgo oncologo Nicola Cinardi era composta da Angelo Zappalà, Riccardo Schillaci e Giulia Impellizzeri, dagli infermieri Caruso, Capizzi, Cantarella e Greco. Alla particolare gestione anestesiologica intraoperatoria erano dedicati le dottoresse Terranova e Amato, del gruppo diretto da Giuseppe Calabrese.
“La fattibilità dell’asportazione totale della massa in blocco con tutti gli organi coinvolti è stato un momento cruciale, – sottolinea Cinardi – in quanto vengono effettuate, in una certa fase dell’intervento, talune manovre di non ritorno, come quello della transezione epatica e pancreatica col tumore fisso posteriormente al diaframma di destra, anch’esso asportato e poi ricostruito, che obbligano alla necessità di portare a termine la procedura”.
L’isolamento preliminare dei grossi vasi sanguigni coinvolti (asse mesenterico superiore e vena cava inferiore) a monte e a valle della neoplasia, manovra molto delicata e difficoltosa ha consentito un sicuro controllo vascolare, indispensabile per minimizzare le perdite ematiche (irrisorie nella fattispecie) in un intervento simile, fanno sapere dall’Arnas Garibaldi.
“Grazie a questo approccio – precisa ancora il chirurgo – il paziente è stato sottoposto in unica seduta operatoria ad asportazione del grosso tumore che infiltrava fegato destro, duodeno, pancreas, colon destro, diaframma destro, surrene destro e vena cava, portandolo di fatto alla guarigione. Peraltro abbiamo ricostruito parte del diaframma, asportato di necessità, col prelievo autologo di uno dei legamenti che fissano il fegato all’addome”.
La scrupolosa pianificazione preoperatoria della tattica chirurgica e il preciso management postoperatorio dell’equipe diretta da Giuseppe Calabrese, hanno garantito un ottimale controllo del dolore e ottimizzazione dei tempi di ripresa con un decorso post operatorio totale di soli 9 giorni per il tipo di chirurgia estrema, sottolineano dall’Arnas Garibaldi, secondo cui “il mantra della multidisciplinarietà è sempre più pregnante e caratterizza con decisione l’azione di un complesso operatorio intriso di grandi professionalità e di tecnologia avanzata”.
“Non bisogna sorprendersi di certi risultati – ha detto Fabrizio De Nicola, Direttore Generale dell’Arnas Garibaldi – in quanto nella sanità siciliana esistono talune realtà d’eccellenza. L’equipe guidata dal dottore Nicola Cinardi, con cui mi complimento sinceramente, si distingue per la capacità di introdurre soluzioni chirurgiche all’avanguardia. Il difficile intervento eseguito, peraltro il primo di questo genere a nostra conoscenza, serve a rimarcare come l’alta specialità dell’Arnas Garibaldi si confermi ancora una volta affidabile e vincente”.
– foto ufficio stampa Arnas Garibaldi di Catania –
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Epatite C, lo screening rileva 10.000 infezioni. Proseguire su anziani

ROMA (ITALPRESS) – Ancora oggi, in Italia, troppi pazienti sommersi e affetti da Epatite C. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mondo sono circa 80 milioni le persone colpite dal virus dell’epatite C (HCV), pari al 1.1% della popolazione globale, con un’ampia variabilità di distribuzione geografica. Nel nostro Paese si stima che circa 200.000 cittadini non siano consapevoli di essere portatori del virus. Il mancato riconoscimento, e di conseguenza anche il mancato trattamento tempestivo, possono portare ad un’evoluzione degenerativa e fatale della patologia.
Nonostante i progressi compiuti in questi ultimi anni in Italia, l’eliminazione dell’Epatite C rimane una delle principali sfide per il nostro sistema salute. Dopo oltre dieci anni di attività, ACE – Alleanza Contro le Epatiti, la sigla che riunisce le due Società Scientifiche AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e l’Associazione pazienti EpaC ETS, torna a porre al centro del dibattito istituzionale il contrasto al virus dell’HCV, al fine di raggiungere l’obiettivo OMS di eliminazione dell’Epatite C, nel nostro Paese, entro il 2030. Ace, in un evento organizzato da PharmaLex – formerly MAPCOM e con il contributo non condizionato di Gilead, ha riunito gli esperti di questa patologia in un confronto con la politica.
“Grazie allo screening, sinora sono state scoperte oltre 10.000 infezioni attive, nonostante alcune Regioni non abbiano ancora attivato lo screening sulla popolazione generale. Al fine di continuare l’attività di case finding e raggiungere l’obiettivo finale, sono fondamentali due azioni: da una parte l’ampliamento della fascia per lo screening, che permetterà la scoperta di ulteriori pazienti infetti ma inconsapevoli, e dell’altra la proroga di qualche anno al fine di permettere alle Regioni di continuare la campagna – ha detto Ivan Gardini, presidente dell’Associazione EpAC Onlus – Il nostro impegno è garantire che sempre più persone possano ricevere il trattamento definitivo per l’Epatite C e guarire dalla malattia”.
“Trattare la popolazione infetta e eliminare l’HCV entro il 2030 è l’obiettivo di ACE – ha spiegato Massimo Andreoni, direttore scientifico SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali). “Il nostro Paese ha messo a disposizione un fondo per lo screening gratuito che garantisce l’individuazione e il trattamento dei pazienti. Tutte le Istituzioni della salute dovrebbero sostenere questo percorso e supportare l’Alleanza nella sua battaglia. Eliminare il sommerso e bloccare l’evoluzione della malattia deve rientrare nelle agende politiche del Governo e della politica”.
Nelle infezioni da HCV è fondamentale una diagnosi precoce, per avviare i pazienti al trattamento ed evitare così le complicanze di una malattia epatica avanzata, in modo tale da ridurre anche i costi sanitari complessivi, migliorare la quality of life del paziente e interrompere la circolazione del virus, impedendo “a monte” nuove infezioni.
“Come Società Scientifica sosteniamo e sviluppiamo strategie efficaci per indirizzare i pazienti verso cure adeguate – ha ricordato Vincenza Calvaruso, Segretario Nazionale AISF, Associazione Italiana per lo Studio del Fegato -. La nostra comunità scientifica sta lavorando incessantemente per la promozione delle ricerche applicate al fegato, sottoponendo alle autorità studi e documenti volti al miglioramento dell’assistenza epatologica. Per l’Epatite C ci sono cure risolutive, dobbiamo intercettare pazienti da trattare e lo screening è la sola arma efficace”.
Lo screening non può arrestarsi, è necessario identificare e trattare i casi di epatite C, prevenendo così le complicazioni a lungo termine e contribuendo in modo definitivo alla sua eliminazione.
In questa fase, fondamentale resta il ruolo del legislatore: “In qualità di Ambassador ACE e come promotore dell’Intergruppo Parlamentare Epatiti Virali e Malattie del Fegato, costituito lo scorso luglio, reputo quanto mai necessario che la politica si impegni a raggiungere l’obiettivo OMS di eliminare l’Epatite C, nel nostro Paese, entro il 2030”, le parole del senatore Giovanni Berrino, 10° Commissione Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale, Senato della Repubblica e Componente Intergruppo Parlamentare Epatiti Virali e Malattie del Fegato. “Il problema delle infezioni da HCV in Italia è quanto mai attuale. Per questo motivo, insieme ai Senatori Ignazio Zullo (FdI), Raoul Russo (FdI), Salvatore Sallemi (FdI) ed altri, abbiamo depositato un disegno di legge finalizzato all’eradicazione del virus HCV. Uno degli aspetti fondamentali di questa iniziativa è il consolidamento di uno screening nazionale gratuito fino al 31 dicembre 2030”.
Nonostante i progressi compiuti in questi ultimi anni in Italia, l’eliminazione dell’Epatite C rimane una delle principali sfide per il nostro sistema salute. Va percorso l’ultimo miglio verso l’identificazione dei pazienti inconsapevoli della patologia che, una volta intercettati, possono essere presi in carico e trattati con le terapie di ultima generazione, per assicurarne la completa guarigione.
“Nel complesso lo screening nazionale gratuito per l’infezione da HCV ha finora permesso di testare quasi 1 milione di persone e di identificare quasi 10.000 casi di infezione attiva. Casi di malattia che uscendo dal “sommerso” possono accedere alle terapie ed eliminare il virus, prima che si manifestino le gravi conseguenze dell’infezione”, ha concluso Sabrina Valle, Dirigente Sanitario Medico, Ufficio 5 Prevenzione delle Malattie Trasmissibili e Profilassi Internazionale, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del ministero della Salute. “Si tratta di una iniziativa di sanità pubblica che indirizza l’Italia verso il raggiungimento dell’obiettivo OMS di eliminazione dell’epatite C, come minaccia per la salute mondiale entro il 2030”.

– foto xl3/Italpress –
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Tumore al seno metastatico, progetto “InPerson” del Policlinico Gemelli

ROMA (ITALPRESS) – Accendere i riflettori sulle persone e ascoltarle con attenzione per intercettare i loro bisogni e le loro criticità, che spesso vanno ben oltre gli effetti indesiderati dei farmaci. Soprattutto quando si tratta di pazienti con una neoplasia avanzata, come quelle con tumore del seno HER2-negativo metastatiche. E’ a loro che è dedicato l’innovativo progetto InPerson che si avvale degli strumenti tipici della medicina narrativa e degli interventi offerti dalle terapie integrate in oncologica. Il progetto, che ha vinto un prestigioso bando Pfizer (Pfizer Global Medical Grant) è stato disegnato dalla dottoressa Alessandra Fabi, Responsabile della Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, in collaborazione con la dottoressa Cristina Cenci, Founder DNM-Digital Narrative Medicine e si avvale della collaborazione della UOS di Terapie Integrate in Senologia, diretta da Stefano Magno.
“Il progetto InPerson – spiega Alessandra Fabi – porta le pazienti con tumore del seno in fase avanzata proprio al centro della cura, secondo il modello person-based care. Utilizzeremo per questo uno strumento di digital narrative medicine (DNM) una piattaforma consolidata, messa a punto al Gemelli con la collaborazione di un servizio esterno DNM. Su questa piattaforma, la paziente, dall’inizio del percorso terapeutico, fino alla fine del trattamento e oltre, annoterà non solo i benefici della cura, ma anche le tossicità, intese in senso dinamico”. Attraverso i PROMs e la narrazione del proprio vissuto, i medici avranno infatti la possibilità di conoscere la paziente in ogni sfumatura, relativa a benefici della cura, qualità di vita, aspetti emotivi e psicologici. Nel racconto dinamico, giorno per giorno – aggiunge – cattureremo tutti i vari domini inerenti alla qualità della cura e del beneficio di cura”.
Ma l’InPerson non è costruito solo sulla ‘stanzà virtuale della narrazione, cioè del diario digitale che il medico può andare a leggere in qualsiasi momento della giornata. Il progetto infatti prevede anche un’altra ‘stanzà, che è quella delle terapie integrate. “Nel momento in cui i medici e il personale sanitario dell’unità di terapia integrata identificano un need della paziente – sottolinea Fabi – si inseriscono nell’approccio terapeutico. La narrazione della paziente consente insomma di rilevare non solo le sue necessità, ma anche di trattarle in maniera innovativa, attraverso l’integrazione della cura”.
Gli obiettivi del progetto InPerson: “Gli outcome del progetto – prosegue la dottoressa Fabi – sono i benefici della cura, registrati dai clinici e dalla paziente. Ma anche la rilevazione precoce dell’effetto collaterale, che permette di ridurre il grado di tossicità, l’individuazione di un need della paziente, quale l’approccio psicologico, un trattamento con l’agopuntura e altre terapie integrate per le parestesie, la nausea, le vampate. Anche l’intercettazione di una necessità di alimentazione, viene così precocizzata e addirittura diventa oggetto in maniera precauzionale di alcuni approcci che nella normalità non sono presenti in un percorso terapeutico”.
Il progetto durerà un anno e mezzo e riguarderà 50 pazienti con tumore della mammella metastatico, trattate al Gemelli (studio monocentrico). La piattaforma DNM ha invece personale esterno.
“Siamo i primi in Europa a fare un progetto di questo tipo – conclude la dottoressa Fabi – con la medicina narrativa all’interno dei processi oncologici, e l’intervento farmacologico coadiuvato dalle cure integrate in oncologia”.
“Di recente – commenta Stefano Magno, chirurgo senologo e direttore della UOS di Terapie Integrate in Senologia (Centro Komen Italia per i trattamenti integrati in oncologia), Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, afferente alla UOC di Chirurgia Senologica diretta dal professor Riccardo Masetti – si è assistito nell’erogazione delle cure a uno spostamento da un modello centrato sulla malattia, a un modello centrato sulla persona. E quest’ultimo richiede degli approcci sempre più integrati, empatici e orientati all’ascolto dei bisogni del paziente. Questo progetto mira dunque a migliorare la qualità di vita delle pazienti con tumori del seno in fase avanzata, HER2-negativi attraverso l’introduzione di un ascolto ‘digitalè e un sistema di comunicazione innovativo nella pratica clinica. A questo scopo verrà utilizzato un diario narrativo digitale che consente di integrare delle misurazioni standardizzate di qualità di vita (PROMs, Patient Reported Outcome Measures) con il racconto soggettivo del paziente (approccio di medicina narrativa) rispetto alla sua malattia, sfruttando la stessa piattaforma digitale (DNMLAB.IT) che si basa su metodologie validate di medicina narrativa e che è già da tempo utilizzata al Gemelli. In un’altra ‘stanzà di questa piattaforma digitale si cercherà di personalizzare il percorso di cure oncologico con una serie di terapie integrative che rispondono ai bisogni di salute complessi della paziente e del suo stile di vita”.
Obiettivo principale dello studio InPerson è dunque quello di migliorare la qualità della relazione paziente-medico; obiettivi secondari sono rafforzare l’interazione del team multidisciplinare, validare degli strumenti digitali per introdurre modelli innovativi di engagement del paziente e di compliance, migliorare la qualità degli scambi di informazione tra pazienti con la stessa patologia. Obiettivo generale dello studio è quello di misurare la fattibilità dell’utilizzo di questo percorso digitale, per valutarne quindi l’impatto sulla relazione terapeutica, sulla qualità di vita dei pazienti e sulla loro capacità di affrontare la malattia. “Tenendo in considerazione i need bio-psico-sociali dei pazienti (il focus sarà principalmente su nutrizione, attività fisica e qualità del sonno) – spiega il dottor Magno – questo progetto mira a ottenere un miglioramento significativo e misurabile della qualità di vita delle pazienti con tumore del seno in fase avanzata. Nella tipologia delle pazienti (con tumore del seno metastatico) che saranno incluse in questo progetto, il tema non è quello della prevenzione delle recidive, ma delle tossicità, argomento fondamentale perchè è dirimente nel consentire alla paziente di prolungare i trattamenti oncologici e di migliorare la sua sopravvivenza. E dunque, il contenimento delle tossicità è un tema prioritario soprattutto in una paziente metastatica”. Ma le tossicità non sono solo quelle farmacologiche-somatiche. Ci sono tossicità inerenti alla vita emotiva, al distress legato alla malattia e ai suoi trattamenti. E non ultimo quello della time-toxicity.
“La paziente con una prospettiva di vita non indefinita – riflette il dottor Magno – ha anche la necessità di concentrare gli interventi e la diagnostica, in modo da non togliere troppo tempo alla sua vita quotidiana con i familiari e gli amici. Il progetto è pensato anche per venire incontro a questa esigenza e per affrontare il tema della qualità di vita lungo due direttrici: quella degli effetti collaterali dei farmaci o dei trattamenti e quindi della compliance e quella dei comportamenti, degli stili di vita. Se riesco a contenere gli effetti collaterali, avrò una migliore aderenza e potrò effettuare terapie più a lungo, con un probabile impatto prognostico. Anche nella paziente metastatica inoltre, sappiamo che un’alimentazione sana, un’attività fisica commisurata e compatibile con il suo stato di malattia, una gestione e un’adeguata quantità e qualità del sonno fanno la differenza. Ma questi sono aspetti che di solito vengono largamente sottostimati e sottovalutati. Per questo, in questo progetto abbiamo deciso di dedicare una ‘stanzà virtuale alle terapie integrate. Qui si creeranno dei sottogruppi di 10-12 pazienti, delle piccole community per favorire gli scambi tra le pazienti e intercettare i loro bisogni. Tutto il progetto parte dall’ascolto, da un ascolto attivo; offriamo alle donne degli strumenti per aiutarle a raccontarci le loro esigenze e bisogni di salute, anche quelli ‘nascostì. Noi le invogliamo a parlarcene attraverso il diario digitale narrativo e attraverso una serie di questionari validati (su sonno, qualità di vita, abitudini alimentari), che consentono una stima quali-quantitativa. Una volta intercettati i bisogni poi, favoriamo lo scambio all’interno della mini-community su questo argomento, perchè anche questo aiuta a far emergere le criticità. Infine, proponiamo un intervento che rimane sulla piattaforma, erogato a distanza, se possibile (ad esempio, raccomandazioni alimentari) oppure più attivo, di persona che cerchiamo di abbinare alle visite oncologiche periodiche che la paziente fa in ospedale, per non gravare sulla time-toxicity. Anche i programmi di attività fisica vengono personalizzati sulla base delle caratteristiche delle singole pazienti (come la presenza di metastasi ossee o viscerali e la fatigue estrema); ma va spiegato che non ci sono controindicazioni assolute all’attività fisica per nessuna paziente. E anzi, è un tema fondamentale, oltre che uno degli interventi più efficaci per la fatigue”.
– foto ufficio stampa Fondazione Policlinico Gemelli, da sinistra Alessandra Fabi e Stefano Magno –
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Sanità e innovazione, a Roma la 6^ edizione del “Lean HealthCare Award”

ROMA (ITALPRESS) – Assicurare il rapido accesso alle terapie in modo sostenibile ed efficace per la società, tenendo conto della continua evoluzione del contesto sanitario. E’ l’obiettivo di Bayer, ribadito nel corso della sesta edizione del Lean Healthcare Award 2023, il premio delle eccellenze sanitarie pubbliche e private italiane di cui l’azienda farmaceutica è stata ancora una volta main sponsor. “Bayer sostiene il “Lean HealthCare Award” fin dalla prima ora perchè crediamo nell’importanza di rispondere in maniera concreta ai problemi di salute generando valore per tutti: pazienti, operatori sanitari e processi organizzativi in sanità, eliminando sprechi e inefficienze”, ha detto Danilo De Spirito, Market & Innovation Access Head di Bayer.
La sesta edizione del premio, vinta dall’Asl Romagna, ha visto concorrere 222 progetti, presentati da 92 aziende socio-sanitarie pubbliche e private che hanno contribuito attivamente a rafforzare il sistema sanitario, e più in generale, a rimodellare e innovare i processi nel mondo dell’Healthcare.
Grande successo per la manifestazione – con 23 aziende e 31 progetti arrivati nella fase finale – ormai diventata un vero e proprio punto di riferimento per le aziende del settore in cui è possibile confrontarsi per capire come e dove migliorare i servizi per i cittadini.
Nella serata di gala che si è svolta al Palazzo delle Esposizioni di Roma, sono stati assegnati altri premi. Nella categoria “Progetto con maggiori risultati” il primo premio è andato all’Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo per l’ottimizzazione del percorso del paziente maculopatico, che ha proposto nuovo modello di riorganizzazione del percorso pre-operatorio e di riduzione di liste d’attesa con un focus sulla riabilitazione specialistica. Ed è sul concetto di innovazione nel mondo sanitario che Bayer punta anche con la sua nuova struttura, da poco guidata da De Spirito. “Crediamo fortemente nell’innovazione, sia come approccio di Bayer per soddisfare i bisogni dei nostri interlocutori, sia come base per creare le condizioni ottimali per l’accesso alle nostre promettenti terapie del futuro”.
Con la sesta edizione del Lean Healthcare Award è arrivata una nuova spinta all’innovazione e alla creatività. Ampi e qualificati i progetti giunti in finale. Dalla realizzazione di una piattaforma per il monitoraggio delle infezioni correlate all’assistenza, fino a un progetto per ridurre l’attesa della chirurgia oncologica. E ancora l’efficientamento del percorso di presa in carico del paziente affetto da malattia rara, la trasformazione da casa della salute in casa della comunità e i nuovi modelli organizzativi dell’assistenza di prossimità per le aree interne.

– foto ufficio stampa Bayer –
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In crescita nuovi casi Covid e decessi nell’ultima settimana

ROMA (ITALPRESS) – Sono 34.319 i nuovi casi positivi al Covid-19, in aumento del 28,1%, rispetto alla settimana precedente.
E’ quanto emerge dai fdati del bollettino del ministero della Salute relativo alla settimana 9-15 novembre. Si registrano 192 decessi (+17,8%), 224.522 tamponi eseguiti (+13,5%) e un tasso di positività del 15,3% in crescita dell’1,7%. Il tasso di occupazione in area medica, rilevato il 15 novembre, è pari al 6,7% (4.167 ricoverati), rispetto al 5,9% di sette giorni fa e il tasso di occupazione in terapia è dell’1,4% (122 ricoverati), rispetto al 1,2% precedente. Per il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Francesco Vaia “i numeri, ancorchè sostanzialmente stabili negli indici più significativi e cioè l’impatto con le strutture ospedaliere, determinano la necessità di un maggior impegno da parte di tutte le Regioni sia sul piano della comunicazione che della organizzazione della vaccinazione in difesa dei fragili”.
(ITALPRESS).
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