Home Salute Pagina 561

Salute

L’USO DEI CELLULARI NON AUMENTA IL RISCHIO TUMORI

0

27″In base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali. La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva, infatti, incrementi dei rischi di tumori maligni o benigni in relazione all’uso prolungato dei telefoni mobili”. Lo sostiene l’Istituto Superiore di Sanita’, che ha pubblicato il rapporto “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (ISS, ARPA Piemonte, ENEA e CNR-IREA). 

Rispetto alla valutazione della IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) nel 2011, sottolinea l’ISS, “le stime di rischio considerate in questa meta-analisi sono più numerose e più precise. I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi caso-controllo non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione”. Tuttavia sono in corso ulteriori studi per chiarire “le residue incertezze riguardo ai tumori a più lenta crescita e all’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia”.

 

DIAGNOSI DIABETE A 40 ANNI RIDUCE ASPETTATIVA VITA 6/7 ANNI

0

Si stima che in media una diagnosi di diabete all’età di 40 anni riduca l’aspettativa di vita di circa 6 anni negli uomini e di circa 7 anni nelle donne e che la metà di questa riduzione sia imputabile alle malattie cardiovascolari. Questi sono alcuni dei dati presentati nel Rapporto del 12th Italian Diabetes Barometer Forum organizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) Foundation, Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Health City Institute, I-Com Istituto per la competitività, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane e Intergruppo Parlamentare “Qualità di vita nelle città”. Nel mondo, secondo i dati dell’iniziativa Global Burden of Disease della World Health Organization (WHO), nel 2017, l’iperglicemia è stata responsabile di 6,53 milioni di decessi, passando, tra le cause di morte, dal sesto posto di dieci anni fa al terzo posto fra gli uomini e al secondo fra le donne, con un aumento di circa il 27% dei casi. Questa tendenza negativa è evidente anche per quanto riguarda gli anni di vita persi ponderati per disabilità, che sono aumentati del 25,5% rispetto al 2007, superando così i 170 milioni.

Inoltre, la prima causa di morte a livello mondiale, per entrambi i sessi, è l’ipertensione arteriosa e la quarta fra gli uomini e terza fra le donne l’eccesso ponderale, due condizioni spesso presenti nella maggioranza delle persone con diabete.

Il 53% dei decessi associati a iperglicemia è dovuto a cause cardio-cerebrovascolari, in particolare 2,27 milioni di morti per malattie cardiache ischemiche e 1,19 milioni per ictus; si stima che ogni minuto nel mondo muoiano 6-7 persone per malattie cardiovascolari legate al diabete. In Italia, secondo i dati Istat del 2017, a fronte di una prevalenza media di malattie cardiologiche tra gli over 45 del 7,5%, quella tra persone con diabete è pari a circa il 17,1%, ben oltre il doppio di quella rilevata per i non diabetici: 6,4%. “Si tratta di un problema che interessa soprattutto gli anziani, quindi destinato a crescere in termini assoluti con l’invecchiamento della popolazione. Ad esempio, tra le persone con diabete di 45-64 anni la prevalenza di malattie cardiache è pari al 10,6% contro una prevalenza del 19,4% tra i 65-74enni con diabete, che arriva fino al 27,1% se si prende in considerazione solo la categoria dei maschi con diabete di questa fascia di età”, sottolinea Roberta Crialesi, dirigente del Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia di Istat.

Da una recente indagine promossa dall’International Diabetes Federation in partnership con Novo Nordisk, che ha coinvolto oltre 12.000 persone con diabete di tipo 2 in 130 Paesi, è emerso che, per quanto riguarda la conoscenza dei fattori di rischio, un paziente su quattro non era consapevole del ruolo svolto dall’ipertensione e dal sovrappeso, uno su tre ignorava che iperglicemia, ipercolesterolemia, fumo ed inattività fisica aumentano il rischio cardiovascolare e circa uno su due non conosceva l’importanza, quali fattori di rischio, di elevati livelli di stress, del diabete di lunga durata e di un’età oltre i 65 anni. Nel nostro Paese, la conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare sembra essere migliore rispetto al dato internazionale; tra i partecipanti, il 90% riconosce il ruolo del sovrappeso/obesità, l’89% dell’ipertensione, l’88% dell’ipercolesterolemia e dell’iperglicemia. Tuttavia, percentuali importanti di pazienti ignorano il rischio associato all’inattività fisica, al fumo, a una dieta ricca in grassi e alla familiarità e circa la metà dei partecipanti non ha identificato come fattori di rischio cardiovascolare avere il diabete da più di 5 anni o avere oltre 65 anni di età.

“La percezione da parte delle persone con diabete del proprio rischio cardiovascolare sembra essere migliore in Italia rispetto al campione complessivo, dove il 46% dei partecipanti si considera a rischio moderato/alto, contro il 36% a livello globale. Tuttavia, la percezione del proprio rischio non sembra essere commisurata alla effettiva presenza di fattori di rischio, che è risultata estremamente più elevata – spiega Antonio Nicolucci, direttore Coresearch -. Per esempio, il 73% dei partecipanti riferisce livelli elevati di glicemia, il 58% una durata del diabete di oltre 5 anni, il 56% dichiara di essere fisicamente inattivo, il 56% di essere in sovrappeso o obeso. Questi dati suggeriscono che le persone con diabete non conoscono appieno i fattori di rischio e tendono a sottostimare la propria suscettibilità ad andare incontro a complicanze cardiovascolari’, conclude.

GRAVIDANZE, 41% SONO INDESIDERATE

La Società Italiana della Contraccezione, fondata il 16 luglio 2004, celebra il proprio anniversario con 15 consigli per un’estate all’insegna di una sana e sicura sessualità.  “Quando abbiamo fondato la SIC nel 2004, – ricorda il past president Annibale Volpe – siamo stati spinti dalla volontà di fare informazione sul delicato tema della contraccezione, anche per il benessere della donna e della coppia. Parlare di contraccezione oggi, significa anche spiegare la fisiopatologia della riproduzione, la sessualità in generale e la salvaguardia della salute. Dopo 15 anni, sappiamo bene quanto sia importante”. 

“D’estate, con i ritmi di lavoro più lenti, e quando si è in vacanza si è più disposti a lasciarsi andare, a socializzare e aprirsi agli altri, facendo nuove conoscenze o rinsaldando un rapporto spento dalla routine e dallo stress – spiega Antonio Cianci, presidente della SIC -. Ma non dimentichiamo che la nostra salute è sempre la priorità. Non dimentichiamoci della contraccezione, in tutte le sue modalità. Quest’anno, per il nostro 15° anniversario di fondazione, abbiamo pensato a 15 punti da ricordare e sempre consultabili sulle nostre pagine social”.

Il primo consiglio secondo la SIC è di non sospendere la pillola. Inoltre, gli esperti ricordano che è possibile un’estate senza ciclo mestruale: “Oggi le formulazioni a regime esteso sospendono il ciclo mensile per vacanze, e non solo, all’insegna del benessere psicofisico”. La SIC, inoltre, ricorda che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le gravidanze indesiderate sono il 41% di tutte le gravidanze, e nel 25% dei casi non è stato utilizzato alcun contraccettivo non ritenendosi a rischio. “Eppure – ricordano gli esperti SIC – una gravidanza è possibile anche con un solo rapporto non protetto, sufficiente anche per contrarre un’infezione”. La SIC raccomanda attenzione anche al sesso orale perché “è alto il rischio di contrarre gonorrea, herpes, sifilide, epatite B, HIV, clamidia”.

Tra gli altri consigli SIC, “no all’improvvisazione: prima di iniziare una relazione o vivere una notte di passione ricordiamoci del rispetto per sé e il partner: il preservativo, anche abbinato ad un contraccettivo ormonale, garantisce una doppia protezione”. Gli esperti, ancora raccomandano “se si è sessualmente attivi, di rivolgersi con regolarità al medico, ancor di più se si pensa di aver avuto comportamenti a rischio di malattie sessualmente trasmissibili: una diagnosi tempestiva allevia i sintomi, ove presenti, previene complicazioni e interrompe il contagio”. 

Il manifesto della SIC raccomanda anche di prestare attenzione all’igiene intima. “La pulizia delle zone genitali è molto importante ma deve essere “equilibrata”: infatti sia la sua mancanza sia il suo eccesso può condizionare la salute sessuale e le IST”. Infine, secondo gli esperti “Sì ai vaccini: quelli per combattere le infezioni sessualmente trasmissibili sono pochi, ma ad esempio quello per l’HPV (Papilloma virus) è importante: protegge dal tumore del collo dell’utero e dai condilomi genitali”.

RINNOVATO IL CONTRATTO DEI MEDICI

0

Firmato il contratto dei medici e dei dirigenti del Servizio sanitario nazionale. Lo rende noto la Fp Cgil, che dopo “un’attesa lunga oltre 10 anni” parla di “risultato importante per i circa 130 mila professionisti della sanità interessati”. Un’ipotesi di rinnovo, quella siglata nella notte, relativa al triennio 2016-2018 e che prevede un aumento medio pro capite di 200 euro al mese.

Positivo il commento del segretario nazionale della Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn, Andrea Filippi: “Premiate le carriere gestionali e professionali e valorizzato finalmente il lavoro dei giovani neo assunti che prenderanno una retribuzione di posizione minima di 1.500 euro annue da subito: un fatto storico mai accaduto prima. Così come lo è l’aver previsto la certezza di ottenere un incarico dopo 5 anni di servizio, con una retribuzione che sale di 2.000 euro all’anno”.

“Dopo 10 anni si firma il Contratto per la Dirigenza medica e sanitaria che interesserà circa 130.000 addetti. È un fatto positivo che ci consente di riconoscere pienamente il valore di tutta la Dirigenza medico-veterinaria, la Dirigenza Sanitaria e la Dirigenza delle Professioni sanitarie che, per la prima volta, trova un assetto di regole e principi organizzativi unici”, afferma il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini. “Voglio ringraziare il Presidente dell’ARAN, Sergio Gasparrini, l’assessore Sergio Venturi, presidente del Comitato di Settore Regioni-Sanità, i loro staff e tutte le organizzazioni sindacali che dopo mesi di intenso confronto hanno sottoscritto l’accordo. Considerata la ristrettezza delle risorse disponibili – conclude Bonaccini – credo sia stato fatto il miglior accordo possibile in un’ottica di assunzione di responsabilità per il bene della nostra Sanità pubblica”.

 

AGGRESSIONI AI MEDICI, SI CORRE AI RIPARI

0

La Fimmg, la Federazione italiana medici di medicina generale, e la Croce Rossa Italiana, con la collaborazione della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, hanno siglato un protocollo d’intesa teso a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle aggressioni ai danni del personale sanitario, nell’ambito della campagna “Non sono un bersaglio”. 

Il documento – firmato nella sede Fnomceo alla presenza di Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa, e di Silvestro Scotti, segretario generale nazionale della Fimmg – prevede attività di advocacy istituzionale congiunte, oltre alla creazione e al potenziamento del network associativo delle due parti. 

“Solo otto regioni hanno messo in campo le raccomandazioni previste dal ministero in materia. Credo che la Puglia sia la regione in cui si sono registrati i casi più gravi, con 2 morti, insieme alla Campania che ha un alto numero di episodi. È un fenomeno anomalo, frutto di una società che ha perso i riferimenti valoriali e che non guarda più al medico come a un professionista della salute, ma come un funzionario dello Stato che gli permette o meno di accedere alle prestazioni sanitarie”, osserva Filippo Anelli, presidente Fnomceo. 

“In questo momento – prosegue Anelli – chiediamo che sia approvato il disegno di legge attualmente al Senato che prevede l’aumento delle pene nei confronti dei cittadini violenti, oltre a un automatismo che consenta alla magistratura di intervenire senza aspettare che un medico o un operatore sporgano denuncia”. Tra i punti previsti nell’accordo quello di condividere le reciproche professionalità per attuare progetti, programmi e iniziative di sensibilizzazione sull’importanza delle attività di assistenza sanitaria e della tutela degli operatori. 

“Le aggressioni al personale sanitario sono ormai diventate un’emergenza e non si può restare fermi a guardare. Per questo Fimmg e Croce Rossa hanno deciso di avviare una collaborazione importante per sensibilizzare, ognuna in base alle proprie competenze, su un tema così delicato e sentito dalla nostra categoria. Servono urgentemente leggi chiare e stringenti per arginare questo fenomeno preoccupante, che potrebbe sfociare presto in un vero e proprio allarme sociale”, afferma Silvestro Scotti, riflettendo sulla crescita di episodi che hanno coinvolto anche i medici di famiglia. 

“Come auspicato e annunciato sin dal suo lancio, la vocazione di ‘Non sono un bersaglio’ è quella di essere veicolo di mobilitazione a livello nazionale di tutti gli attori del soccorso e della società civile. Dobbiamo riscrivere insieme le regole del gioco attraverso un lavoro di squadra, riaffermando la neutralità di chi soccorre. Ecco perché è molto importante il Protocollo con Fimmg: un ulteriore tassello verso la riconquista della dignità e dell’integrità dell’operatore sanitario”, ha detto Francesco Rocca, presidente nazionale della Croce Rossa Italiana.

 

 

LA CONFERMA DELL’AIFA “I VACCINI SONO SICURI”

0

“Non sono emerse informazioni che possano influenzare il rapporto beneficio-rischio per le varie tipologie di vaccino correntemente utilizzate, confermando quindi la loro sicurezza”. Lo chiarisce l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che ha pubblicato sul portale istituzionale il Rapporto Vaccini 2018, che sintetizza le attività di sorveglianza post-marketing sui vaccini condotte in Italia nell’anno 2018.

Rispetto ai rapporti precedenti, quest’anno è stato possibile utilizzare, per il calcolo dei tassi di segnalazione (rapporto tra il numero di segnalazioni e i dati di esposizione), le dosi effettivamente somministrate a livello nazionale, fornite dal Ministero della Salute e dai Dipartimenti della Prevenzione delle Regioni e delle Provincie Autonome. Ciò ha consentito di calcolare i tassi di segnalazione generale e delle reazioni avverse gravi correlabili per dosi somministrate su scala nazionale.

 

Complessivamente, su un totale di circa 18 milioni di dosi somministrate in Italia nel 2018 per tutte le tipologie di vaccino, sono state effettuate 31 segnalazioni ogni 100.000 dosi, che corrispondono a circa 12 segnalazioni ogni 100.000 abitanti. La frequenza delle segnalazioni relative a reazioni avverse gravi correlabili è di 3 eventi ogni 100.000 dosi. Le reazioni correlabili segnalate sono tutte note e quindi già riportate nelle informazioni sul prodotto dei vaccini autorizzati in Italia.

L’andamento crescente del numero delle sospette reazioni avverse è indicativo di una sempre maggiore attenzione alla vaccinovigilanza da parte sia degli operatori sanitari che dei cittadini.

“Dall’analisi dei dati nazionali – spiega l’Aifa -, non sono emerse informazioni che possano influenzare il rapporto beneficio-rischio per le varie tipologie di vaccino correntemente utilizzate, confermando quindi la loro sicurezza. Oltre all’analisi approfondita delle sospette reazioni avverse per singola tipologia di vaccino, come ogni anno, è stato dedicato un focus ai vaccini anti-influenzali e alcuni approfondimenti che, in questa edizione, riguardano le vaccinazioni internazionali per i viaggiatori e le vaccinazioni raccomandate in gravidanza”.

 

INCOLLATI ALLO SMARTPHONE ANCHE D’ESTATE, È ALLARME VISTA

0

Il cellulare non è pericoloso solo quando si usa impropriamente, ad esempio mentre si guida. D’estate, aumenta il tempo in cui ci isoliamo dal mondo per informarci, chattare, prenotare un ristorante e troppe ore con gli occhi fissi sullo schermo dello smartphone fanno male. Lo ricorda Pasquale Troiano, primario di oculistica dell’Ospedale Sacra Famiglia Fatebenefratelli di Erba (Como). «Pensate che lo diceva già nel 1703 Bernardino Ramazzini – spiega – quando, nel De Morbis Artificum Diatriba (Trattato sulle Malattie dei Lavoratori), decise di inserire un capitolo denominato Lepturgorum morbis, che si occupava delle manifestazioni oculari presenti nei soggetti che lavoravano su cose piccole (orafi, miniaturisti, ecc). In questo capitolo sono perfettamente descritti tutti i problemi oculari che derivano dall’impegno visivo prolungato per vicino e soprattutto, già allora, egli poneva un forte accento sul fatto che questi soggetti erano destinati a divenire miopi!». Queste informazioni potrebbero già bastare per indurci a ridurre il nostro impegno visivo per vicino senza attendere la strutturazione dell’Ergoftalmologia (oftalmologia del lavoro), quella branca dell’oculistica che dagli anni 80 del secolo scorso ha codificato il concetto di “astenopia occupazionale”, quella condizione di affaticamento oculare che è collegata all’impegno visivo per vicino. «L’ergoftalmologia ha individuato un rapporto tra le capacità visive del soggetto e il tipo di impegno visivo richiesto. Se l’impegno visivo richiesto eccede le capacità visive del soggetto l’affaticamento oculare compare in breve tempo, è più sintomatico ed è più frequente. È come se si chiedesse a un soggetto che pesa 50 chili di trasportare dei gravi che ne pesano 100, forse riuscirà a farlo una volta …» osserva Troiano.

L’uso di strumenti optoelettronici sempre più piccoli richiede una maggiore necessità accomodativa: «se il soggetto ha un apparato visivo sano e perfettamente normale sul piano della motilità oculare e sul piano rifrattivo, non avrà alcun problema. Se, invece, il soggetto ha alterazioni dell’apparato visivo o della motilità oculare o della rifrazione che non sono stati individuati e corretti, allora ci saranno enormi problemi di affaticamento oculare. Pertanto, la raccomandazione fondamentale è eseguire una visita medica oculistica e una visita ortottica che potranno verificare le condizioni anatomiche e funzionali dell’apparato visivo e correggere eventuali alterazioni mettendo così il sistema visivo nella sua migliore condizione operativa» spiega l’esperto. Aggiungendo, per l’estate, che «è sempre opportuno cercare di non prolungare l’osservazione per vicino facendo delle pause che non possono essere “smetto di usare il computer e uso il cellulare o viceversa”; la pausa deve prevedere la messa a riposo del sistema accomodativo (che essendo un sistema basato su muscoli è inevitabilmente destinato all’affaticamento) mediante lo spostamento della nostra osservazione a distanze superiori almeno a 3 metri (ancora meglio 6) come ad esempio guardare fuori da una finestra».

L’astenopia è una sindrome caratterizzata da sintomi variegati che non si presentano sempre allo stesso modo in tutti i soggetti, tuttavia la irritabilità degli occhi e la cefalea sono tra i più frequenti. Come tutte le condizioni di affaticamento i sintomi, seppur fastidiosi, si risolvono con il riposo. Ben più grave, invece, è l’uso prolungato di smartphone nei bambini e negli adolescenti poiché è responsabile della miopizzazione dell’occhio che è una modifica irreversibile e progressiva della vista. Negli ultimi 10 anni si sta assistendo a una vera e propria epidemia di miopia la cui causa principale e l’enorme aumento dell’impegno visivo prolungato per vicino.

 

SANITÀ, 4.6 MILIARDI DI EURO DAL SUD AL NORD

0

I cittadini italiani hanno il diritto di essere assistiti in strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza, concretizzando il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a 4.578,5 milioni di euro, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome lo scorso 13 febbraio, previa compensazione dei saldi.

Le Regioni con saldo positivo superiore a 100 milioni di euro sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte del Centro-Sud.

“Le nostre analisi – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, in riferimento al report dell’osservatorio Gimbe che analizza la mobilità sanitaria 2017 – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio questo fenomeno abbiamo già inoltrato formale richiesta dei flussi integrali trasmessi dalle Regioni al Ministero che permetterebbero di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, identificando le dinamiche della mobilità, alcune ‘fisiologiche’ ed altre francamente ‘patologiche'”.

 

Per la mobilità attiva, sei Regioni con maggiori capacita’ di attrazione vantano crediti superiori a 200 milioni: in testa Lombardia (25,5%) ed Emilia Romagna (12,6%) che insieme contribuiscono a oltre 1/3 della mobilità attiva. Un ulteriore 29,2% viene attratto da Veneto (8,6%), Lazio (7,8%), Toscana (7,5%) e Piemonte (5,2%). Il rimanente 32,7% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 15 Regioni, oltre che all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (217,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (39,7 milioni). In generale emerge una forte attrazione delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.

Per la mobilità passiva, le sei Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni: in testa Lazio (13,2%) e Campania (10,3%) che insieme contribuiscono a circa 1/4 della mobilità passiva; un ulteriore 28,5% riguarda Lombardia (7,9%), Puglia (7,4%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%). Il restante 48% si distribuisce nelle altre 15 Regioni. Più sfumate le differenze Nord-Sud nella mobilità passiva.

 

In particolare, se quasi tutte le Regioni del Sud hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in tutte le grandi Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, testimoniando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento tra Regioni del Nord con elevata qualità dei servizi sanitari: Lombardia (-362,3 milioni), Piemonte (-284,9 milioni), Emilia Romagna (-276 milioni), Veneto (-256,6 milioni) e Toscana (-205,3 milioni).

“Con il nuovo indicatore elaborato dalla Fondazione Gimbe – precisa Cartabellotta parlando del saldo pro-capite di mobilità sanitaria – la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente”.