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IDO “GRAVIDANZA PROCESSO TROPPO MEDICALIZZATO”

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“La gravidanza sta diventando un processo troppo medicalizzato”. A dirlo è Magda Di Renzo, psicoterapeuta dell’età evolutiva responsabile del servizio Terapie dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), che il 12 gennaio interverrà al corso per pediatri, psicologi e neuropsichiatri infantili dal titolo ‘Il neonato pretermine: la cooperazione multiprofessionale per affrontare la complessità’.

Il corso è promosso a Roma dal Sindacato italiano specialisti pediatri, in collaborazione con l’IdO e con i patrocini della Società italiana di pediatria (Sip) e della Società italiana di neonatologia (Sin) e continuerà nelle mattinate del 26 gennaio e del 23 febbraio.

“La maggior parte delle donne arrivano alla prima gravidanza ad età avanzata e ciò sta determinando un numero elevato di gravidanze a rischio, e sta modificando quel percorso immaginario che la madre e il padre iniziano a costruire prima ancora che il bambino venga concepito. In particolare – precisa Di Renzo – penso a tutte quelle situazioni di infertilità che richiedono una medicalizzazione della gravidanza, che inevitabilmente finisce per interferire nell’immaginario dei genitori”.

 

È provato che “le gravidanze pretermine abbiano un’incidenza maggiore nei casi di gravidanze gemellari e di gravidanze che hanno alle spalle problemi di infertilità. Un aspetto – sottolinea la psicoterapeuta – che non viene abbastanza evidenziato all’inizio del percorso. Non vengono, ad esempio, segnalati i rischi quali il parto prematuro, che in una percentuale abbastanza significativa rientrano anche nella prematurità grave”.

Con un parto prematuro “i genitori non hanno il tempo di elaborare l’immagine di un bambino ‘sano’. Questo attiva in loro dei sentimenti depressivi, una particolare ansia che li rende assolutamente impreparati – e lo sarebbe chiunque – a far fronte a un bambino sicuramente fragile”.

Le gravidanze a rischio che invece arrivano dopo situazioni di aborti “lasciano dentro dei lutti non elaborati. Un lutto non elaborato produce sentimenti depressivi che vengono proiettati sul bambino – aggiunge la psicoterapeuta – ed è importante che il pediatra sia consapevole che la madre arriva non equipaggiata ad utilizzare le sue energie. Arriva con l’idea di un bambino medicalizzato già nella mente, ancor di più se è prematuro”. Il pediatra deve, quindi, sapere se “sono presenti una serie di rischi in questi bambini, prematuri o non, che hanno a che fare con le stimolazioni precedenti. Sono note le conseguenze biologiche sui minori, come i problemi esofagei”.

Di Renzo si soffermerà al corso SISPe-IdO sul processo di mentalizzazione del genitore in contatto con un figlio che non corrisponde alle tue aspettative. “L’immaginario dei genitori si è spostato dal ‘Chissà come sarà nostro figlio’ al ‘Ce la faremo’. La gravidanza di fatto è medicalizzata e l’immaginario dei genitori è rivolto soprattutto alla prossima analisi – conclude Di Renzo – di fatto non riescono ad immaginare il figlio perché sono occupatissimi dalle analisi ed esami clinici che devono fare”.

LISTE D’ATTESA PRIMA CAUSA RINUNCIA CURE

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Circa 20 milioni di italiani (il 38,7% della popolazione adulta) nell’ultimo anno hanno sperimentato la criticità delle liste d’attesa per accedere a prestazioni specialistiche, oppure per un ricovero in ospedale. Le liste d’attesa più lunghe, oltre i 60 e fino a 120 giorni, hanno interessato il 35,6% degli utenti per le visite specialistiche, il 31,1% per i piccoli interventi ambulatoriali, il 22,7% per gli accertamenti diagnostici e il 15% per i ricoveri in ospedale pubblico per interventi più gravi. Sono significative anche le attese tra i 30 e i 60 giorni, in particolar modo per l’accesso a visite specialistiche, accertamenti diagnostici e ricoveri, che hanno riguardato rispettivamente il 22,6%, 20% e 18,3% degli utenti. È quanto emerge dal 16° Rapporto annuale “Ospedali & Salute 2018”, presentato a Roma, promosso dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP) e realizzato dalla società Ermeneia – Studi & Strategie di Sistema, che sottolinea come le liste d’attesa rappresentano, per i cittadini, una rilevante inefficienza del SSN, non solo perché generano ansie e disagi ai pazienti e alle loro famiglie, ma soprattutto perché sono la prima causa di rinuncia alle cure (51,7%, +4,1 punti rispetto al 2017).

Inoltre concorrono ad alimentare da un lato la spesa out-of-pocket, dall’altro la mobilità sanitaria, aumentando ulteriormente le diseguaglianze tra regioni. Oltre il 30% degli utenti, infatti, per accedere più rapidamente a una visita o a un esame, sceglie di rivolgersi ad altre strutture, di pagare privatamente le prestazioni o ricorrere ad ospedali in altre regioni. “A causa delle liste d’attesa, molti cittadini si trovano costretti a rinunciare alle cure, a pagarle direttamente o a migrare nelle regioni nelle quali l’offerta sanitaria è programmata meglio, in termini quali-quantitativi, per ricevere un’assistenza sanitaria efficiente, efficace e in tempi ragionevoli”, afferma Barbara Cittadini, presidente AIOP. “Rispetto a tale criticità, risulta indispensabile aumentare l’offerta dei servizi erogati – sottolinea – promuovendo la piena integrazione tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del SSN, al fine di consentire l’accesso di tutti i cittadini alle prestazioni sanitarie, nei rispettivi territori di appartenenza. Un SSN in grado di erogare assistenza nei tempi corretti, oltre che di qualità, deve essere uno dei principali obiettivi del Paese”. 

Oltre la metà degli italiani in lista d’attesa (10,6 milioni) ha vissuto, infatti, almeno, un’esperienza di accesso al Pronto Soccorso, che, in generale, ha riguardato quasi un terzo della popolazione adulta, pari a 14,5 milioni di persone, registrando, nel 20,7% dei casi, ulteriori attese, in media tra le 3 e le 10 ore prima di essere visitati. 

Cittadini: “Serve riorganizzazione ed efficientamento Ssn”
“Per difendere il principio universalistico e solidaristico del Ssn, è indispensabile e improcrastinabile procedere alla sua riorganizzazione e al suo efficientamento, sia dal punto di vista economico-finanziario, che da quello dell’offerta di prestazioni e di servizi di qualità che devono essere garantiti in maniera omogenea nei territori, tenendo conto di una domanda che è aumentata e, nel tempo, si è anche diversificata per effetto dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento delle cronicità”, sottolinea Cittadini.

“Il Ssn, nel suo complesso registra, da troppo tempo, una tendenza a un definanziamento costante e ingravescente in rapporto al Pil. Oggi l’impegno finanziario si attesta sulla soglia del 6,6% del Pil: in questo modo – avverte Cittadini – è a rischio la capacità di garantire prestazioni adeguate, coerenti con il progresso scientifico e con le esigenze della popolazione”.

Per Cittadini, inoltre, “siamo di fronte a una duplice diminuzione: si è ridotto il Pil ed è diminuita la quota di impegno finanziario in favore del Ssn. Oltre all’esiguità dei fondi destinati al Ssn rispetto al Pil, occorre rilevare l’adozione di scelte di politica sanitaria che non consentono di investire nell’ambito dell’innovazione, garantendo uno sviluppo del settore; presupposti indispensabili, perché il nostro Sistema mantenga quei livelli di qualità, che l’hanno sempre caratterizzato. In secondo luogo – osserva -, va considerato il progressivo logoramento dei servizi garantiti dalla componente pubblica che, sovente, presenta fenomeni di riduzione quantitativa e di indebolimento qualitativo delle prestazioni; fenomeni che portano non solo disagi ai pazienti e alle loro famiglie ma, anche, dei rimandi o delle rinunce alle cure, come pure il ricorso, in costante crescita, all’out-of-pocket o alla mobilità sanitaria extraregionale”. 

Secondo Cittadini quindi “è improcrastinabile l’esigenza di aumentare l’offerta di servizi erogati per ovviare al problema delle liste di attesa, consentendo ai cittadini di operare la libertà di scelta del luogo di cura e implementare l’erogazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza. Il Ssn è una risorsa preziosa per il Paese, che rischia di essere smarrita. È indispensabile che tutti coloro che hanno responsabilità di sistema ne assumano piena consapevolezza: Governo, Regioni e operatori a tutti i livelli. Sono necessari un rinnovato impegno finanziario e una maggiore condivisione d’intenti fra la componente di diritto privato e quella di diritto pubblico del Ssn, che dovrebbero lavorare insieme in maniera più sinergica. Le imprese ospedaliere di diritto privato accreditato, sono consapevoli della responsabilità che hanno nel loro ruolo di componente del Servizio sanitario e del suo significato. Lavoriamo, pubblico e privato, a un obiettivo comune che è quello di assicurare un’assistenza sanitaria in termini universalistici, efficiente ed efficace. La presenza in Italia di una grande rete di aziende ospedaliere di diritto privato – conclude – è una opportunità rilevante per il Ssn, un prezioso strumento per erogare prestazioni di qualità, una riserva di operatività e di flessibilità a servizio di tutto il sistema”. 

PREVIDENZA MEDICI, OLIVETI “FUTURO DI LUCI E OMBRE”

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La tenuta del sistema previdenziale dei medici italiani che versano i loro contributi all’Enpam dopo il via libera a quota 100 e della pace fiscale “riserva un futuro di luci e ombre”.

A parlare è Alberto Oliveti, presidente dell’Enpam e dell’Associazione degli enti di previdenza dei professionisti (Adepp) in una intervista realizzata a margine di una tavola rotonda sulle prospettive della previdenza e dell’assistenza dei medici, che si è svolta nella sede dell’Ordine dei medici di Palermo, coordinata dal vicepresidente dell’Ordine dei medici di Palermo Giovanni Merlino e dal presidente della Commissione albo Odontoiatri Mario Marrone.

“La Fondazione – dice Oliveti – ha una grande solidità economica con un patrimonio di riserva capace di garantire un futuro previdenziale sostenibile di 50 anni. Significa che, se oggi non ci fossero più versamenti, potremo assicurare le pensioni ai nostri iscritti per almeno altri 13 anni. Le pensioni che eroghiamo non cambieranno rispetto ai provvedimenti del governo nazionale, nessun impatto sugli assegni percepiti. La quota 100 riguarda la previdenza dei soli medici dipendenti che versano i contributi all’Inpis, ma accedere per loro è svantaggioso perché una volta in pensione non potranno più esercitare la professione”.

Ciò che riguarda i medici è il provvedimento ‘saldo e stralcio’, che incide negativamente sulle pensioni dei medici. Per Oliveti, la norma è il ‘vulnus’ della Legge di Bilancio 2019 per i medici che versano all’Empam: “Lo subiamo in spregio alla nostra autonomia, si traduce in minori prestazioni. Le ricadute sui nostri bilanci saranno negative, di conseguenza sulle pensioni. Meno si verserà, più basse saranno le pensioni. I medici che hanno un debito contributivo con la Fondazione con un reddito Isee inferiore a 20mila/30mila euro, a seconda della fascia, hanno diritto di ridurre il dovuto, ma quello che può sembrare un vantaggio immediato, in prospettiva si tradurrà nella corresponsione di minori prestazioni. Comprendo che l’iniziativa sia di consenso politico ma è contro la nostra autonomia”.

La Fondazione Enpam amministra i contributi versati dai medici in modo strategico attraverso investimenti prudenti, ma che abbiano ricavi positivi perché servono a sostenere le prestazioni. E’ una Cassa privata, ma subisce una doppia imposizione fiscale.

Autonomia ed esenzione fiscale per assicurare anche un patto generazionale per il presidente dell’Enpam sono “i nodi” da difendere e patrocinare: “Siamo un Ente più che sostenibile e il patto generazionale che vogliamo rappresentare è prima di tutto un patto professionale, che si sostanzia in una logica di solidarietà: o io metto in atto dei meccanismi perché i giovani possano lavorare domani, o il patto salta. Abbiamo chiesto di portare in modo stabile all’8% quel perimetro di esenzione fiscale sul 5% degli investimenti. Ma una ‘manina’ l’ha cancellata dalla legge di Bilancio”.

I contributi versati non servono solo a pagare le pensioni, ma anche per sostenere chi lavora oggi e i giovani medici che lavoreranno domani.

Alberto Oliveti elenca alcune delle prestazioni destinate ai giovani laureati e agli studenti del quinto anno iscritti all’Enpam, che possono godere degli stessi benefici, con pari dignità dei colleghi giovani medici: “A loro assicuriamo il prestito d’onore, accesso al credito e mutui agevolati per l’acquisto della prima casa e studio professionale; coperture per le neo mamme o per le studentesse, come il bonus bebè, a tutela della genitorialità perché non diventi motivo di debolezza. E servizi di tipo assistenziale, se un giovane medico diventasse inabile all’esercizio della professione, ha diritto ad una integrazione di pensione fino a 15mila euro l’anno per tutta la vita, anche se iscritto da un solo giorno. E questo vale anche per gli studenti del quinto anno”.

Le dichiarazioni di Oliveti hanno incassato il consenso di una folta platea di medici e dell’Ordine dei medici siciliani, guidati da Toti Amato.

Il vicepresidente dell’Omceo di Palermo Giovanni Merlino ha sottolineato la gestione virtuosa dell’Enpam e ha sollecitato tutti i medici a sostenerne le strategie di sviluppo e soprattutto la battaglia dell’autonomia, costantemente sotto attacco: “Ad oggi è la più grande Cassa previdenziale privata del Paese. A riprova, il mezzo secolo di sostenibilità previdenziale. Esserne orgogliosi però non basta, spetta a noi medici e istituzioni ordinistiche sostenere l’Ente per vincere la partita di una completa autonomia, a partire dalla doppia tassazione iniqua che subiamo e l’ingerenza nelle regole di gestione del patrimonio. Oggi, lo statuto valorizza anche il rapporto con gli Ordini territoriali come strumento privilegiato per rendere più funzionale la sua attività ed avere un contatto più diretto con tutti i medici. Sostenerne le strategie di crescita significa aumentare quantità e qualità delle prestazioni di tutti gli iscritti”.

Tra i tanti interventi alla tavola rotonda, anche Luigi Galvano, consigliere del Cda dell’Enpam, che ha parlato di Welfare integrato, dall’assistenza tradizionale all’assistenza strategica, e Luigi Tramonte, consigliere del Fondo Sanità, che ha affrontato il tema della previdenza complementare. 

 

CRESCE LA SPESA SANITARIA PRIVATA

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Gli italiani pagano di tasca propria circa un quarto delle spese totali per la salute. La spesa sanitaria totale registrata in Italia nel 2017 è stata infatti pari a 152,8 miliardi di euro e di questi, il 74% (113,1 miliardi di euro) è rappresentato dalla spesa pubblica e il 24% (39,7 miliardi di euro) dalla spesa sanitaria privata. Ben il 91% della spesa privata (36 miliardi di euro) è stata out of pocket, ovvero sostenuta interamente di tasca propria dai cittadini, mentre solo per il rimanente 9% si è trattato di spesa intermediata. Un dato significativo che, da un lato, conferma lo spostamento del finanziamento sempre più a carico dei cittadini e dall’altro fa notare come la sottoscrizione di forme di sanità integrativa rimanga un fenomeno ancora limitato rispetto ad altri paesi europei: in Irlanda, Francia e Paesi Bassi la componente intermediata raggiunge un’incidenza sulla spesa sanitaria privata superiore al 40%. Questi e altri approfondimenti sul tema della sanità sono stati presentati a Roma nel corso di un incontro organizzato da UniSalute, società del Gruppo Unipol e principale player nel mercato della sanità integrativa che gestisce 43 Fondi Sanitari integrativi di categoria derivanti da CCNL.

I dati presentati fanno parte di uno studio elaborato dalla  European House-Ambrosetti che mostra come l’incidenza della spesa sanitaria pubblica italiana sul PIL (pari a 6,6%) sia minore della media europea (7,4%) e nei prossimi anni sia destinata a diminuire e con un gap, rispetto agli altri paesi del Vecchio continente, destinato ad ampliarsi: Germania, Svezia e Paesi Bassi, ad esempio, spendono più di 4.000 euro l’anno per ogni cittadino, quasi il doppio di quanto spende l’Italia.

La tendenza all’aumento della spesa sanitaria privata e soprattutto di quella out of pocket (ben il 24% in più negli ultimi anni) evidenzia uno stato di sofferenza del nostro sistema sanitario nazionale in considerazione di uno sbilanciamento demografico verso la fascia più anziana delle popolazione che genera conseguentemente una maggiore domanda di salute.

“Siamo convinti che la sanità integrativa dovrà mantenere e ampliare il ruolo di primo piano grazie all’importante attività svolta ad oggi dai Fondi Sanitari di categoria che hanno consentito di intercettare parte della spesa diretta in sanità per oltre 5,8 milioni di assistiti”, ha commentato l’amministratore delegato di UniSalute, Fiammetta Fabris.

“La vivacità  e l’attenzione del settore è evidente anche dalle nuove modalità con cui abbiamo saputo insieme intercettare le nuove e diverse esigenze a tutela degli iscritti  e dei loro familiari, cominciando  ad attivare percorsi di presa in carico delle patologie, in particolare quelle croniche, specifici  percorsi di prevenzione personalizzata e modelli di gestione di assistenza domiciliare. Restano aperte importanti tematiche che costituiscono le sfide anche del SSN quali la non autosufficienza e i farmaci che pesano per una buona percentuale sul totale della spesa privata totale”, ha aggiunto.

Alcuni di questi bisogni, già presenti tra le coperture prestate dai Fondi Sanitari di categoria ai propri iscritti, sono il segno della dinamicità del settore e della propensione dello stesso e della Compagnia a cogliere le novità tra cui il ricorso alle nuove tecnologie (ad esempio legate alla telemedicina) che possono supportare una spesa che rischia altrimenti di diventare troppo onerosa per i cittadini.

A chiusura dell’evento, anche in considerazione dell’apertura del prossimo confronto che i Fondi avranno sui tavoli ministeriali, la Fabris ha inoltre evidenziato come, in questi anni, i Fondi Sanitari di categoria da CCNL abbiano assicurato prestazioni per un valore di circa 2 miliardi di euro, confermando il ruolo di secondo pilastro della sanità. “E’ necessario ora – ha concluso – iniziare delle riflessioni anche interne al sistema. Siamo alla vigilia di una stagione importante, con obiettivi precisi: il mantenimento degli investimenti pubblici nel settore, la razionalizzazione della spesa, un maggiore spazio da dedicare su questo fronte nella contrattazione nazionale”.

 

AIFA ISTITUISCE TAVOLO PERMANENTE PER PAZIENTI

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L’Agenzia Italiana del Farmaco ha deciso di istituire un tavolo permanente di consultazione con le associazioni dei pazienti all’interno di Open Aifa. L’Aifa – si legge in una nota – intende adesso privilegiare il coinvolgimento attivo di tutti i cittadini e pazienti riservando loro uno spazio esclusivo.

L’Agenzia invita pertanto i pazienti, riuniti in associazione o anche singoli cittadini portatori di tematiche inerenti al farmaco a contattarla all’indirizzo [email protected] e a consultare la pagina dedicata per prendere visione e sottoscrivere il regolamento di partecipazione.

L’apertura di questo canale di dialogo rappresenta un contributo prezioso per l’attività regolatoria, perché portatore di esperienze reali e competenze che miglioreranno il raggiungimento dell’obiettivo primario che per l’Aifa è la promozione e tutela della salute dei cittadini. L’agenda e i resoconti saranno resi disponibili sul portale istituzionale dell’Agenzia.

CONTE “GASLINI ECCELLENZA SCIENTIFICA E UMANA”

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“Sono molto lieto di rendere omaggio a una struttura di cura e di ricerca che rappresenta un’eccellenza a livello nazionale, europeo e internazionale”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in visita all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, incontrando i lavoratori della struttura.

“Qui alte competenze si coniugano con la grande capacità di ricerca scientifica e tutto si amalgama con una sensibilità umana verso i bambini – ha aggiunto Conte -. L’eccellenza non è solo scientifica, ma anche la capacità di considerare la medicina come missione per la cura. Oggi sono qui a ringraziarvi per tutto quello che fate, in tutti i ruoli a tutti i livelli. Quando c’è un’eccellenza non si possono fare distinzioni: sicuramente quando si ragiona di eccellenza pensiamo al grande clinico o al grande professore, ma pensare che dietro a un’eccellenza non ci siano dietro anche gli infermieri, il personale ausiliario e altri che contribuiscono quotidianamente ai risultati sarebbe veramente sbagliato. Raggiungere questi livelli significa riuscire a fare sistema”.

PICO, NUOVA FRONTIERA MEDICINA ESTETICA NON INVASIVA

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Una medicina estetica moderna che comprende cure e trattamenti eseguiti in modo non chirurgico, in linea con i trend attuali. Anche a questo si deve il successo di Pico, clinica di medicina estetica nata meno di un anno fa a Milano, in procinto di aprire due nuovi centri a Londra e Shanghai entro marzo.

Grazie alla ricerca medica e allo sviluppo tecnologico è possibile migliorare i benefici dei trattamenti non invasivi ed è questa l’ottica che guida il percorso di Pico.

Fra i principali proposti rientrano la mesoterapia, il filling, le applicazioni botuliniche, le biorevitalizzazioni, il microneedlig technology, la liposuzione non chirurgica tramite tecnologia coolsculpting, criolipolisi, medicina tricologica e sportiva.

«Siamo sempre più orientati a garantire risultati che non prevedano tempi di recupero, per questo i nostri trattamenti estetici puntano alla mini invasività – ha spiegato Francesco Binaschi, medico chirurgo con master universitario di secondo livello in chirurgia estetica – a esempio, CoolSculpting è un trattamento utilizzato per ridurre il grasso localizzato, un metodo indolore e non invasivo che permette la riduzione dell’adipe attraverso il freddo, senza bisogno di anestesia e convalescenza portando a una riduzione per morte cellulare del 25/50 per cento del tessuto adiposo della zona trattata nei quattro mesi successivi al trattamento».

Nata dalla collaborazione di 3 giovani imprenditori italiani, inglesi e cinesi, Pico ha attirato fin da subito l’attenzione di investitori internazionali. «Entro marzo apriremo altri due centri – ha detto Giacomo Bacchilega, socio fondatore – ma l’obiettivo è conquistare nuovi mercati per raggiungere Madrid, Parigi, Pechino e Chengdu entro il 2020».

 

MALATTIE RARE, 100 MILIONI L’ANNO SU SSN E PREVIDENZA

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Le malattie rare incidono per cento milioni all’anno sulla sanità e la previdenza pubblica. È quanto emerge da un’analisi sui costi sociali delle malattie rare, presentata presso il Montecitorio Meeting Center di Roma. La ricerca è stata condotta dall’ Economic Evaluation and HTA del Ceis (Centre for Economic and International Studies) della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Per approfondire i vari aspetti dell’analisi si è svolto un workshop – «Dalla parte degli invisibili. Le malattie rare tra tutele e sostenibilità» – organizzato dal network PreSa – Prevenzione e Salute.

La ricerca, coordinata dal professor Francesco Saverio Mennini, researcher director Eehta del Ceis, ha preso in analisi 23 malattie rare e 7 tumori rari, avvalendosi della banca dati Inps. Nel periodo considerato (2009-2015) è stata stimata una spesa di circa 600 milioni di euro, una media di 100 milioni ogni anno. Il gruppo di malattie rare ha determinato, per gli assegni ordinari di invalidità, riconosciuti ai lavoratori con un grado di invalidità fra il 67% e il 99%, un costo medio annuo di 13,5 milioni di euro; con un incremento medio annuo dei costi del 6,7%. Le statistiche, invece, registrano un costo medio minore per quanto riguarda i tumori rari. È stato infatti stimato, per gli assegni ordinari di invalidità, un costo medio annuo di 42,6 milioni e un incremento medio annuo del 4,7%.

Le pensioni di inabilità, invece, riportano un costo medio annuo di 15,2 milioni e un incremento del 2,9%. «Questo dato – spiega PreSa – fa emergere il problema della presa in carico precoce e della diagnosi tempestiva con riferimento alle malattie rare. Infatti, una diagnosi ritardata accompagnata da una presa in carico non tempestiva, determina un incremento dell’inabilità che si traduce, come dalle stime effettuate, in un incremento sia del numero che dei costi delle pensioni di inabilità». Secondo Alberto Burlina, direttore Uoc complessa malattie metaboliche ereditarie dell’azienda ospedaliera di Padova, «il costo sociale sta divenendo il vero problema di queste patologie. Non basta avere un trattamento, ma è la scelta del trattamento che incide sul costo successivo. Le patologie rare sono 6 mila e riguardano circa 30 milioni di persone in Europa, per tale ragione occorre una diagnosi precoce al fine di ridurre i costi sociali. Inoltre, è importante implementare sul territorio modelli organizzativi per la prevenzione».

Domenica Taruscio, direttore del centro nazionale malattie rare, ha ricordato che le malattie rare – alla cui prevenzione è dedicata la giornata nazionale del 28 febbraio – «sono 7000, 8000, e ognuna è una patologia a sé» e si può fare «molto sul 20% delle malattie rare multifattoriali». Nelle conclusioni finali, Mennini ha ricordato come «una politica di screening strutturata e una rete per far emergere i dati reali» potrebbero evitare un incremento dei costi, sostenendo i pazienti nella prevenzione delle malattie rare.  Per Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali «il valore di ricerche come questa è di fondamentale importanza poiché mettono a disposizione dei decisori politici dati rilevanti per la valutazione dei costi sociali», mentre il deputato Andrea Mandelli ha sottolineato come sia necessario «puntare sui concetti di prevenzione e investimento. Investire in salute, prevenzione e cure vuol dire investire sul nostro futuro. Il Servizio Sanitario Nazionale è una grande conquista, ma va manutenuta e rivista alla luce della necessità di avere sempre più efficienza nei costi e mandando definitivamente in soffitta la parola ‘tagli’».