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Salute

ADROTERAPIA, ACCORDO TRA POLICLINICO GEMELLI E CNAO

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La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e il CNAO, Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia, hanno firmato un accordo di collaborazione sull’adroterapia, terapia oncologica avanzata, indicata per i tumori non operabili e resistenti alla radioterapia tradizionale ai raggi X: al Policlinico Gemelli aprirà entro giugno un nuovo ambulatorio, denominato “CNAO-Gemelli ART”(Advanced Radiation Therapy), dedicato ai pazienti colpiti da queste forme di tumore particolarmente aggressive. I pazienti del Centro-Sud Italia potranno quindi essere valutati e seguiti da un’equipe di medici esperti in radioterapia avanzata e adroterapia e beneficiare di questa innovativa terapia al CNAO di Pavia. L’ambulatorio aprirà all’interno del Gemelli Advanced Radiation Therapy centro altamente specializzato di radioterapia oncologica.

L’adroterapia è una forma avanzata di radioterapia che al posto dei raggi X utilizza fasci di protoni e ioni carbonio in grado di colpire il tumore con grande efficacia, con maggiore risparmio dei tessuti sani circostanti e una riduzione notevole degli effetti collaterali. E’ indicata in alcune forme specifiche di tumore e per quelli non operabili e radioresistenti. CNAO è l’unico centro italiano e uno dei soli 6 al mondo in grado di erogare tale trattamento.

 

Grazie a questo accordo, CNAO collaborerà con il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS per la formazione di medici e fisici medici che lavoreranno all’interno dell’ambulatorio sull’adroterapia che aprirà al Gemelli Advanced Radiation Therapy. L’equipe medica valuterà i pazienti oncologici per capire quando è necessaria e indicata l’adroterapia. Nei casi selezionati verrà erogata al CNAO di Pavia. I medici del CNAO e del Policlinico Gemelli potranno seguire insieme il percorso dei pazienti e condividere le informazioni cliniche.

“L’ambulatorio CNAO-Gemelli ART – commenta Marco Elefanti, Direttore Generale del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – ci consentirà di offrire ai nostri pazienti oncologici, che in circa 50.000 l’anno si rivolgono alle cure dei nostri sanitari, tutta la gamma dei trattamenti oncologici più avanzati al fine di realizzare una personalizzazione della cure basata sulle necessità del singolo paziente. Questo accordo sarà anche la base per progettazioni di innovative opportunità di ricerca sulle moderne biotecnologie, integrate con le conoscenze molecolari e omiche che contraddistinguono la moderna oncologia in un contesto di reti territoriali di eccellenza”.

“L’accordo – ha aggiunto Gianluca Vago, presidente del CNAO – garantirà un approccio multidisciplinare tra esperti in ambito oncologico rendendo così virtuoso e puntuale il meccanismo di accesso dei pazienti elettivi al trattamento adroterapico. Il coinvolgimento del professor Vincenzo Valentini, Direttore della Radioterapia Oncologica al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS , che è stato presidente dell’Associazione europea di radioterapia, contribuirà in maniera significativa a una corretta selezione dei pazienti e ad una migliore conoscenza di questo tipo di trattamento, che ad oggi è stato utilizzato su più di 2200 pazienti affetti da tumori rari”.

I tumori trattabili con l’adroterapia al CNAO sono quelli inoperabili e resistenti alla radioterapia tradizionale: cordomi e condrosarcomi della base del cranio e del rachide; tumori del tronco encefalico e del midollo spinale; sarcomi del distretto cervico-cefalico, paraspinali, retroperitoneali e pelvici; sarcomi delle estremità resistenti alla radioterapia tradizionale (osteosarcoma, condrosarcoma); meningiomi intracranici in sedi critiche (stretta adiacenza alle vie ottiche e al tronco encefalico); tumori orbitari e periorbitari (ad esempio seni paranasali), incluso il melanoma oculare; carcinoma adenoideo-cistico delle ghiandole salivari; tumori solidi pediatrici; tumori in pazienti affetti da sindromi genetiche e malattie del collageno associate ad un’aumentata radiosensibilità; recidive che richiedono il ritrattamento in un’area già precedentemente sottoposta a radioterapia.

 

AIOP “INDIFFERIBILE RIORGANIZZAZIONE SSN”

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Il Servizio Sanitario Nazionale continua a registrare alcune criticità tra le quali quella delle liste d’attesa: una condizione comune da Nord a Sud, e la Sicilia non fa eccezione. A scattare questa foto è il 16^ Rapporto annuale “Ospedali & Salute 2018”, promosso dall’Aiop – Associazione Italiana Ospedalità Privata e realizzato dalla società Ermeneia – Studi & Strategie di Sistema, di cui si è discusso al Palazzo dei Normanni, a Palermo.

Quella delle liste d’attesa, secondo il Rapporto, è un’esperienza vissuta, nell’ultimo anno, da circa 20 milioni di persone per accedere a visite specialistiche, accertamenti diagnostici e ricoveri ospedalieri. Un fenomeno che alimenta smarrimento, disuguaglianze e malcontento: ciononostante, 2 italiani su 3 si dichiarano soddisfatti del Servizio sanitario della propria regione.
Il Rapporto, presentato per la prima volta in Senato nel mese di gennaio, analizza l’andamento del sistema ospedaliero italiano, con un focus sulla domanda di prestazioni sanitarie e la qualità dell’assistenza percepita dai cittadini.

L’occasione della presentazione di Palermo ha fornito l’opportunità di estendere alla realtà siciliana il dibattito su due ‘temi caldi’ del Servizio sanitario nazionale – liste d’attesa e uso improprio e, quindi, sovraffollamento dei Pronto Soccorso -, grazie a un approfondimento elaborato nella sede dell’Assemblea Regionale Siciliana.

I siciliani, secondo quanto sottolineato nel corso della presentazione del Rapporto, attendono fino a 2 mesi per accedere a prestazioni specialistiche per le quali i tempi massimi di attesa non dovrebbero superare i 3 giorni. Le liste più lunghe si registrano per l’ecocolordoppler cardiaco (57,2 giorni per il 21% degli utenti), seguito dalla colonscopia (50 giorni nel 41% dei casi). Sono significative anche le attese per le prestazioni da erogare entro i 10 giorni, che possono prolungarsi fino a 3 mesi: è il caso della mammografia bilaterale (88 giorni per il 30% degli utenti) e, ancora una volta, della colonscopia (89,3 giorni per il 43% degli utenti).

Le attese non risparmiano neanche le prestazioni di ricovero: ad esempio, per quelle da effettuare entro i 30 giorni, circa il 13% dei pazienti attende fino al doppio del tempo (67 giorni) per un ricovero ordinario, mentre per il 7,5% di chi è in lista per un ricovero in day hospital, l’attesa può protrarsi fino a 105 giorni.

Dal punto di vista dei cittadini, le liste d’attesa rappresentano una rilevante inefficienza del Sistema sanitario nazionale, non solo perché generano ansie e disagi ai pazienti e alle loro famiglie, ma soprattutto, perché sono la prima causa di rinuncia alle cure (51,7%, +4,1 punti rispetto al 2017 – dato nazionale), e concorrono ad alimentare, da un lato la spesa out-of-pocket, dall’altro la mobilità sanitaria, aumentando, ulteriormente, le diseguaglianze tra regioni.
Oltre il 30% degli utenti, infatti, per ricevere una risposta tempestiva, sceglie di pagare privatamente le prestazioni o ricorrere ad ospedali in altre regioni.

“Le liste d’attesa – commenta Barbara Cittadini, presidente Aiop – rappresentano un elemento di forte disuguaglianza sociale, in quanto inducono molti cittadini a rinunciare alle cure, a pagarle o a migrare nelle regioni nelle quali l’offerta sanitaria è programmata per rispondere in maniera efficiente e in tempi ragionevoli alla domanda di salute. Per risolvere questa criticità e superare le disomogeneità territoriali nell’accesso alle prestazioni sanitarie, risulta indispensabile potenziare, in termini quali-quantitativi, l’offerta dei servizi erogati, promuovendo la piena integrazione tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del SSN, in una condivisione di intenti, affinché i valori del sistema universalistico e solidaristico non vadano smarriti e vengano preservati e custoditi”.

Altro fenomeno analizzato nel Rapporto, che rende necessaria l’individuazione di soluzioni, in tempi rapidi, è quello degli accessi al Pronto Soccorso che aumentano in maniera sensibile – nell’ultimo anno, vi ha fatto, infatti, ricorso quasi un terzo della popolazione nazionale adulta, pari a 14,5 milioni di italiani -, diventati una soluzione per accedere più rapidamente alle prestazioni sanitarie.

In base a quanto emerso dalla ricerca, oltre il 50% degli italiani ricorre ai Dipartimenti di emergenza quando non trova una risposta dalla medicina territoriale, mentre, in più di 1 caso su 4, tenta, direttamente, la strada del Pronto Soccorso come soluzione per accorciare le liste d’attesa, con tutte le conseguenze negative che ne derivano rispetto all’affollamento degli ospedali, costretti a far fronte a un numero crescente di pazienti, in molti casi senza avere le risorse e gli strumenti adeguati.

Questo atteggiamento trova conferma in Sicilia dove, tra il 2017 e il 2018, è cresciuta del 71% la percentuale di pazienti che si sono rivolti ad un Pronto Soccorso pubblico che, non potendo assisterli in quell’ospedale, li ha inviati in una struttura accreditata del SSN. La percentuale sale addirittura al 164,3% nella provincia di Catania, seguita da quelle di Trapani (75,8%) e di Palermo (74,3%).

Non sorprende, allora, che più di un terzo dei cittadini (34,5%) ritenga necessario individuare soluzioni per limitare le attese nei Pronto Soccorso situati negli ospedali pubblici, anche tramite il ricorso alle strutture accreditate, che potrebbero garantire tale servizio, se incluse nella Rete regionale di emergenza/urgenza.

In generale, un italiano su tre, tra coloro che hanno avuto esperienze di liste d’attesa e/o di Pronto Soccorso, si dichiara insoddisfatto del Servizio Sanitario della propria regione, soprattutto degli ospedali pubblici (32,6%) e delle strutture delle ASL (28,6%), in percentuale minore, invece, degli ospedali privati accreditati (18,3%) e di quelli non accreditati (14,3%).

“Per arginare questi fenomeni, che coinvolgono milioni di italiani – sottolinea Barbara Cittadini -, è indifferibile procedere a una riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale, sia dal punto di vista economico-finanziario, sia dell’offerta sanitaria, che non è più coerente con la domanda di salute, come conseguenza dell’allungamento della vita media, dell’aumento delle patologie croniche e per effetto della progressiva diminuzione della quota del PIL destinata alla Sanità. La realtà, descritta nel Rapporto ‘Ospedali & Salute 2018’, che trova riscontro anche nel contesto siciliano, deve indurci a recuperare i presupposti che hanno ispirato, 40 anni fa, la nascita del SSN, reinterpretandoli nel mutato contesto demografico, sanitario ed economico”.

“In questo processo di efficientamento auspichiamo che le Regioni sappiano utilizzare adeguatamente, superando qualsivoglia resistenza ideologica, la risorsa della componente di diritto privato del SSN, che ha la possibilità di adeguare e incrementare la propria offerta di prestazioni in tempi rapidi e a costi contenuti. Le Regioni che hanno operato questa scelta si trovano oggi in una condizione migliore e registrano livelli più alti di soddisfazione dei cittadini”, conclude la presidente Aiop, Barbara Cittadini.

 

GRILLO “VIA LIBERA A PIANO MARSHALL EDILIZIA SANITARIA”

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“Con il via libera di oggi della Conferenza delle Regioni all’intesa per il rifinanziamento dei 4 miliardi del Fondo per l’edilizia sanitaria e il rinnovamento tecnologico previsti dalla legge di bilancio 2019, a cui si aggiungono gli 890 milioni di fondi strutturali, si apre una nuova stagione di concretezza e di efficacia per sostenere il Servizio sanitario nazionale. Da oggi parte il Piano Marshall per l’edilizia sanitaria che ho annunciato appena sono diventata ministro”. Lo afferma il ministro della Salute, Giulia Grillo.

Le risorse ripartite alle Regioni potranno essere utilizzate per la sottoscrizione di Accordi di Programma, secondo le modalità e le procedure per l’attivazione dei programmi di investimento in sanità definite dagli Accordi tra Governo e Regioni.

“A meno di un anno dal mio insediamento ho messo a disposizione i primi 5 miliardi per dare ospedali nuovi e le migliori tecnologie sanitarie al Paese. Nella quota sono destinati 60 milioni per la realizzazione di 6 centri di eccellenza in grado di sviluppare attività di ricerca, produzione e trattamento con terapia genica Car-T. A differenza dei tanti che mi hanno preceduto parlo di quello che ho fatto e non di quello che farò. L’obiettivo è, nell’arco della legislatura, ammodernare tutto il patrimonio sanitario del Paese e vi racconterò giorno dopo giorno quello che stiamo realizzando, lavorando per dare servizi migliori e una buona sanità a tutti i cittadini di tutto il Paese. Nessuno deve più rimanere indietro”, precisa Grillo.

 

Il ministero della Salute dopo aver effettuato, su mandato del ministro, una completa ricognizione e un’analisi sullo stato del patrimonio di edilizia sanitaria, di concerto con le Regioni, ha evidenziato un fabbisogno complessivo per interventi sul patrimonio edilizio da realizzare sull’intero territorio nazionale che ammonta a 32 miliardi di euro, di cui circa 12 miliardi di euro per le strutture che si trovano in zone a maggior rischio sismico. Tra le varie competenze del ministero della Salute rientra infatti la programmazione e il finanziamento degli interventi sul patrimonio immobiliare e tecnologico delle strutture del Servizio sanitario nazionale.

 

DIETA MEDITERRANEA, AL VIA CONFERENZA MONDIALE

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Un messaggio video del direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha aperto la seconda Conferenza Mondiale sulla Rivitalizzazione della Dieta Mediterranea, in corso a Palermo. Messaggio, con il quale lancia l’invito a porre l’attenzione su un duplice fronte: da una parte l’aumento della fame nel mondo, dall’altra su un’ulteriore forma di malnutrizione, anch’essa preoccupante, l’epidemia di obesità. Secondo le stime, infatti, fornite direttamente dalla voce di chi dirige l’istituto delle Nazioni Unite, specializzato ad accrescere i livelli di nutrizione, ‘se si continua di questo passo la metà dell’umanità, nel 2030, sarà sovrappeso’.

Ad essere messe in evidenza, dunque, le qualità prodotte dalla Dieta mediterranea. Un ‘partner dietetico sano’, è stato definito. Grazie all’utilizzo di alimenti come verdure, ortaggi e pesce.
Ad introdurre la conferenza, con i saluti in lingua francese, il coordinatore Sandro Dernini. “La Dieta mediterranea è tanto buona ma nessuno la segue. Essa non ha soltanto benefici per la salute, – ha spiegato Dernini – ma ha quattro benefici per la sostenibilità. Indubbiamente ha dei ritorni economici locali, sul territorio. Essendo inoltre una dieta basata su alimenti vegetali ha un bassissimo impatto ambientale e una grandissima ricchezza di biodiversità, oltre ad avere riconosciuta anche dall’Unesco l’alto valore culturale e sociale”.

Iniziato stamattina, con l’apertura dei lavori al Real Teatro Santa Cecilia di Palermo, l’evento internazionale sulla rivitalizzazione della Dieta mediterranea interesserà il capoluogo siciliano per tre giornate, dal 15 al 17 maggio. Numerose le istituzioni che presenzieranno in questa tre giornate. Tra queste il ministero degli Affari Esteri e della Salute, la regione siciliana, il comune di Palermo, insieme ad istituzioni internazionali come la Fao, il Ciheam e il forum delle culture del Mediterraneo.

A prendere la parola, in rappresentanza della Regione Sicilia, l’assessore alla Salute Ruggero Razza, che, dopo aver portato i saluti del presidente Musumeci, ha puntualizzato come siano stati importanti gli sforzi intrapresi dalla regione in ambito di dieta mediterranea. “Abbiamo adottato una proposta di delibera della giunta ed un atto di indirizzo – ha detto Razza – che tende ad uniformare alla dieta mediterranea tanto le mense scolastiche quanto le mense delle strutture ospedaliere. È un segnale importante – ha puntualizzato – perché va nella direzione della riorganizzazione delle abitudini alimentari ma soprattutto è un aiuto all’agricoltura perché questa dieta si fonda su produzioni di alta qualità come le nostre”.

L’omaggio della città è giunto dall’assessore alla cultura del capoluogo Adam Dawasha: “Palermo è una città che rappresenta un vero ponte tra la parte europea, la parte nord africana e la parte del levante del Mediterraneo – ha sottolineato l’assessore, intervenuto durante l’evento -. Noi siamo sempre stati crocevia di tutti i popoli. Il nostro cibo, la nostra dieta, la nostra gastronomia si sono incontrati con le tradizioni gastronomiche delle altre culture presenti nell’area del Mediterraneo. La dieta mediterranea è una dieta fondamentale per la salute e per il benessere, rappresenta un punto di incontro fra le culture che vivono nel mediterraneo”.

Diversi i punti che saranno al centro della conferenza che si dislocherà in cinque location differenti: oltre al Regio Teatro Santa Cecilia, la Sala Almeyda dell’Archivio storico comunale, la GAM, palazzo della Aquile e palazzo Comitini. Ad essere affrontate, nel corso delle 18 sessioni tematiche che coinvolgeranno più di cento ricercatori, saranno anche le opportunità economiche prodotte dalla dieta mediterranea. Un modello alimentare che, oltre a far bene alla salute, coinvolgerà i consumi, “con una significativa attenzione sia ai sistemi produttivi – come ha spiegato Teodoro Miano, vice presidente Ciheam, l’istituto agronomico mediterraneo di Bari – sia ai sistemi socio-economici. Obiettivo finale quello di sviluppare sistemi alimentari sostenibili, creare attività produttive a beneficio di giovani imprenditori”, ha concluso.

DIETA MEDITERRANEA, AL VIA CONFERENZA MONDIALE

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Un messaggio video del direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha aperto la seconda Conferenza Mondiale sulla Rivitalizzazione della Dieta Mediterranea, in corso a Palermo. Messaggio, con il quale lancia l’invito a porre l’attenzione su un duplice fronte: da una parte l’aumento della fame nel mondo, dall’altra su un’ulteriore forma di malnutrizione, anch’essa preoccupante, l’epidemia di obesità. Secondo le stime, infatti, fornite direttamente dalla voce di chi dirige l’istituto delle Nazioni Unite, specializzato ad accrescere i livelli di nutrizione, ‘se si continua di questo passo la metà dell’umanità, nel 2030, sarà sovrappeso’.

Ad essere messe in evidenza, dunque, le qualità prodotte dalla Dieta mediterranea. Un ‘partner dietetico sano’, è stato definito. Grazie all’utilizzo di alimenti come verdure, ortaggi e pesce.
Ad introdurre la conferenza, con i saluti in lingua francese, il coordinatore Sandro Dernini. “La Dieta mediterranea è tanto buona ma nessuno la segue. Essa non ha soltanto benefici per la salute, – ha spiegato Dernini – ma ha quattro benefici per la sostenibilità. Indubbiamente ha dei ritorni economici locali, sul territorio. Essendo inoltre una dieta basata su alimenti vegetali ha un bassissimo impatto ambientale e una grandissima ricchezza di biodiversità, oltre ad avere riconosciuta anche dall’Unesco l’alto valore culturale e sociale”.

Iniziato stamattina, con l’apertura dei lavori al Real Teatro Santa Cecilia di Palermo, l’evento internazionale sulla rivitalizzazione della Dieta mediterranea interesserà il capoluogo siciliano per tre giornate, dal 15 al 17 maggio. Numerose le istituzioni che presenzieranno in questa tre giornate. Tra queste il ministero degli Affari Esteri e della Salute, la regione siciliana, il comune di Palermo, insieme ad istituzioni internazionali come la Fao, il Ciheam e il forum delle culture del Mediterraneo.

A prendere la parola, in rappresentanza della Regione Sicilia, l’assessore alla Salute Ruggero Razza, che, dopo aver portato i saluti del presidente Musumeci, ha puntualizzato come siano stati importanti gli sforzi intrapresi dalla regione in ambito di dieta mediterranea. “Abbiamo adottato una proposta di delibera della giunta ed un atto di indirizzo – ha detto Razza – che tende ad uniformare alla dieta mediterranea tanto le mense scolastiche quanto le mense delle strutture ospedaliere. È un segnale importante – ha puntualizzato – perché va nella direzione della riorganizzazione delle abitudini alimentari ma soprattutto è un aiuto all’agricoltura perché questa dieta si fonda su produzioni di alta qualità come le nostre”.

L’omaggio della città è giunto dall’assessore alla cultura del capoluogo Adam Dawasha: “Palermo è una città che rappresenta un vero ponte tra la parte europea, la parte nord africana e la parte del levante del Mediterraneo – ha sottolineato l’assessore, intervenuto durante l’evento -. Noi siamo sempre stati crocevia di tutti i popoli. Il nostro cibo, la nostra dieta, la nostra gastronomia si sono incontrati con le tradizioni gastronomiche delle altre culture presenti nell’area del Mediterraneo. La dieta mediterranea è una dieta fondamentale per la salute e per il benessere, rappresenta un punto di incontro fra le culture che vivono nel mediterraneo”.

Diversi i punti che saranno al centro della conferenza che si dislocherà in cinque location differenti: oltre al Regio Teatro Santa Cecilia, la Sala Almeyda dell’Archivio storico comunale, la GAM, palazzo della Aquile e palazzo Comitini. Ad essere affrontate, nel corso delle 18 sessioni tematiche che coinvolgeranno più di cento ricercatori, saranno anche le opportunità economiche prodotte dalla dieta mediterranea. Un modello alimentare che, oltre a far bene alla salute, coinvolgerà i consumi, “con una significativa attenzione sia ai sistemi produttivi – come ha spiegato Teodoro Miano, vice presidente Ciheam, l’istituto agronomico mediterraneo di Bari – sia ai sistemi socio-economici. Obiettivo finale quello di sviluppare sistemi alimentari sostenibili, creare attività produttive a beneficio di giovani imprenditori”, ha concluso.

ITALIANI LONGEVI MA NON CAMBIANO BRUTTE ABITUDINI

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Un paese longevo in cui però non si modificano le abitudini negative (resta costante, per esempio, il numero dei fumatori) e si investe in maniera insufficiente nel servizio sanitario nazionale. Questo il quadro generale prospettato dalla quindicesima edizione del Rapporto Osservasalute, curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica di Roma, e presentato al Policlinico Gemelli. La principale causa di morte restano i tumori nella fascia fra i 19 e i 64 anni, anche se diminuiscono. Nell’arco di tempo compreso tra il 2006-2016, informa lo studio, diminuisce del 24% per gli uomini e del 12,6% per le donne. Diminuisce la mortalità neonatale e infantile, passando dal 2010 al 2016, da 3,16 decessi per 1.000 nati vivi a 2,81 per 1.000. La vita media di un italiano è stimata in 83,4 anni, secondo in Europa dopo la Spagna (83,5 anni). 

L’Italia, rispetto alla media dei paesi dell’Ue, presenta un vantaggio di circa 3 anni per gli uomini (la media pari a 78,2 anni) e 2 anni per le donne (la media di è 83,6 anni). Negativi, invece, i numeri relativi ai fumatori, rimasti costanti dal 2014 a oggi. Sono circa 10 milioni e 370 mila i fumatori in Italia nel 2017, poco più di 6 milioni e 300 mila uomini e poco più di 4 milioni e 70.000 donne. Si tratta del 19,7% della popolazione di 14 anni ed oltre.

 

 

ICTUS, SIGARETTE RESTANO PRINCIPALE CAUSA

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Se si parla molto del rapporto fra fumo e tumori al polmone, non altrettanto capillare è l’informazione su quello fra fumo e ictus. Eppure i più importanti studi internazionali dimostrano che il fumo di sigaretta raddoppia il rischio di ictus, di cui è di gran lunga la principale causa. Se n’è parlato a Milano, a Palazzo Lombardia, nel corso della terza tappa del nuovo ciclo de ‘Gli incontri di Salus’, organizzata dal quotidiano Il Giorno, attraverso relatori illustri quali Silvio Garattini, presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Domenico Inzitari del Dipartimento Neurofarba dell’Università degli Studi di Firenze, Eugenio Parati, direttore U.O.C. malattie cerebrovascolari della Fondazione IRCCS Istituto neurologico Carlo Besta e Giulia Veronesi, chirurgo e responsabile del progetto Smac dell’Istituto clinico Humanitas. Nel corso dell’incontro è stato sottolineato come siano da sfatare svariati luoghi comuni, a partire da quello che individua nella combustione il principale fattore di rischio legato al fumo.
“Il rischio di ictus è legato all’assunzione di nicotina, dunque le sigarette elettroniche non mettono affatto al riparo dal pericolo”, ha spiegato Garattini, aggiungendo come siano privi di fondamento anche gli ‘alibi’ addotti da molti fumatori: “Non è vero, ad esempio, che l’esposizione all’inquinamento atmosferico comporti gli stessi rischi del fumo di sigaretta. Quest’ultimo è molto più nocivo rispetto alla stessa quantità delle emissioni di un tir. Per questo, a livello normativo, il fumo andrebbe limitato non solo all’interno dei luoghi pubblici ma anche in aree esterne particolarmente affollate o di passaggio, come gli ingressi di ristoranti e aeroporti o i parchi pubblici”.
Anche il tema della prevenzione, in particolare attraverso una corretta informazione nei confronti dei soggetti più giovani, è stato sottolineato nel corso dell’incontro, viene troppo spesso sottovalutato nel nostro Paese, dove in gioco ci sono non solo gli interessi delle multinazionali del tabacco ma anche gli introiti del Monopolio di Stato.
“Spesso si calcolano i contributi fiscali che verrebbero a mancare inasprendo la lotta contro il fumo, ma nessuno pensa di mettere sulla bilancia i costi che il servizio sanitario deve affrontare per le terapie legate a malattie indotte dal fumo”, ha notato Domenico Inzitari.
Tra i tanti temi affrontati nell’incontro, compresi quelli delle nuove frontiere della chirurgia e delle terapie riabilitative, il principale messaggio di speranza è stato quello lanciato dal professor Garattini al termine del suo intervento: “Non è mai troppo tardi per smettere di fumare. I benefici saranno comunque evidenti, a qualunque età”.

IL SESSO DEGLI ITALIANI PIÙ FREQUENTE E VARIO

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Più frequente, più vario, con più partner: ecco il sesso degli italiani. Oggi la gamma delle pratiche sessuali degli italiani di 18-40 anni è molto articolata. L’80,7% fa sesso orale, il 67% pratica la masturbazione reciproca, il 46,9% usa un linguaggio osceno durante i rapporti, il 33,1% pratica il sesso anale, il 24,4% usa oggetti, cibi o bevande per giochi erotici, il 16,5% scatta foto o registra video durante i rapporti, il 16,5% fantastica apertamente con il partner su altri possibili partner, il 13,1% ha rapporti sessuali a tre o più persone, il 12,5% pratica il bondage o il sadomasochismo. La frontiera della trasgressione si è spostata in avanti e oggi il sesso degli italiani è più frequente, più vario, con più partner. È quanto emerge dal «Rapporto Censis-Bayer sui nuovi comportamenti sessuali degli italiani», un’analisi dettagliata della vita privata delle coppie e dei single, dell’immaginario sessuale, delle abitudini più comuni e di quelle insolite, che viene pubblicata a vent’anni di distanza dall’ultima grande ricerca sulla sessualità degli italiani.

Oggi il numero medio di partner sessuali avuti a quarant’anni è 6: 4 per le donne, 7 per gli uomini. Vent’anni fa il 50% delle donne entro i quarant’anni aveva avuto un solo partner, oggi questo dato è sceso al 39,6% (tra gli uomini il dato è sceso dal 24,7% al 22%). Aveva avuto sei o più partner il 12,7% delle donne, oggi questo dato è salito al 15,8% (per gli uomini il dato è salito dal 32,4% al 40,5%). Si fa più ricorso al dating e si finisce più rapidamente a letto. Vent’anni fa faceva sesso almeno due o tre volte alla settimana il 35% dei 18-40enni, oggi il 41,6% (e l’8,4% lo fa tutti i giorni). In media i 18-40enni italiani hanno 1,8 rapporti sessuali alla settimana, 8 al mese. E se il 48,6% ritiene di fare sesso nella giusta misura, il 48% ne vorrebbe fare di più e solo il 3,4% di meno.

La pornografia è ormai uscita dalla sfera del proibito, dello scandaloso, del perverso. È diventata protagonista del mainstream sessuale, anche nelle coppie stabili, grazie all’accesso online, facile, gratuito, di massa. Il 61,2% degli italiani di 18-40 anni guarda video porno da solo, il 25,2% lo fa in coppia. E il 37,5% pratica il sexting (l’invio tramite smartphone di immagini e testi sessualmente espliciti). Il web è diventato il principale influencer, con un forte impatto sull’immaginario sessuale collettivo, sui comportamenti e sui canoni estetici, sdoganando pratiche inconfessabili vent’anni fa. Sono stati infranti antichi pudori, tabù e reticenze: la trasgressione è istituzionalizzata.

 

Anche nelle camere da letto di moglie e marito, per rendere la relazione sessuale più intrigante, non scontata: la novità e la sperimentazione sono l’antidoto al rischio di noia, sempre in agguato.

Vent’anni fa le donne che separavano il sesso dall’amore erano il 37,5%, oggi sono aumentate al 77,4%. Tra gli uomini il dato è salito dal 61,9% di allora all’81,8% di oggi. La prima cosa che si associa al sesso è la ricerca soggettiva del piacere (19,8%), poi l’amore (16,5%), la passione (16,2%) e la complicità (13,9%). E la vita sessuale soddisfa di più (il 79,6% dei 18-40enni) della propria vita in generale (73,6%). Questo vale più per gli uomini (l’80,4% è molto o abbastanza soddisfatto della propria vita sessuale) che per le donne (il 78,6%).

Ci sono anche 1,6 milioni di italiani di 18-40 anni che non fanno sesso. In vent’anni la percentuale di maschi 18-40enni che non praticano sesso è passata dal 3% del totale all’11,6%. Quella delle femmine dal 7,9% all’8,7%. E sono 220.000 le «coppie bianche» in quella fascia d’età: persone che stanno insieme, ma senza avere rapporti sessuali.

Il 63,3% dei 18-40enni italiani ha avuto rapporti sessuali completi non protetti. Perché rinunciano alla contraccezione? Perché non avevano a disposizione un contraccettivo (22,5%), hanno deciso di correre il rischio (18,1%), non pensavano che ci fossero grandi probabilità di incorrere in una gravidanza indesiderata (17,9%) oppure perché il partner ha preferito non usare contraccettivi (15,1%). Il 33,9% degli uomini e il 23,3% delle donne percepiscono la contraccezione come una limitazione. Esiste una discreta informazione sui metodi contraccettivi: il profilattico è il più conosciuto (dal 92,8%), seguito dalla pillola (dall’86,5%, e il dato sale al 90,7% tra le donne). Una corretta informazione è indispensabile per il sesso sicuro e soprattutto per la tutela della salute femminile. Ma il porno, così diffuso, non contribuisce a favorire l’utilizzo dei contraccettivi.

«Da più di cinquant’anni Bayer svolge un ruolo di primo piano nella ricerca a favore della salute femminile, studiando soluzioni innovative e sempre più efficaci per rispondere alle esigenze delle donne – ha detto Franco Pamparana, direttore medico di Bayer Italia -. I dati del Rapporto del Censis ci aiutano a comprendere meglio che cosa sta cambiando nella sessualità degli italiani. E ci dicono che è sempre più importante garantire una corretta e ampia informazione sulla contraccezione, per consentire a ogni donna di prendere decisioni pienamente consapevoli. Noi ribadiamo il nostro impegno in questa direzione».