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La chirurgia maxillofacciale tra tecnologia e nuove tecniche

ROMA (ITALPRESS) – Malformazioni, esiti di traumi e di interventi oncologici al volto e al cranio, sono il target della chirurgia maxillofacciale. Le malformazioni facciali che, se coinvolgono anche il cranio, possono essere definite cranio-facciali, sono per lo più la conseguenza dell’errato sviluppo dell’embrione durante il primo trimestre di gravidanza. Quanto più precocemente arriva l’anomalia di sviluppo, tanto più grave è la malformazione. La correzione arriva il più presto possibile, per garantire al bambino il migliore sviluppo. Costantemente esposti, la faccia con il cranio sono le regioni del corpo più colpite da eventi traumatici. Grazie alle possibilità tecnologiche sempre migliori, correzioni e ricostruzioni post-oncologiche sono sempre più soddisfacenti, con risultati insperati anche fino a pochi anni fa. Sono questi i temi trattati da Aldo Bruno Giannì, presidente del Comitato di Direzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia e professore ordinario di Chirurgia Maxillofacciale dell’Università degli Studi di Milano, intervistato da Marco Klinger per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“La chirurgia maxillofacciale è una branca medica, si accede alla specialità tramite la laurea in medicina. E’ un termine un pò difficile, la parola maxillo sta a indicare la porzione intermedia del viso – ha spiegato -. Di fatto si occupa di tre grandi patologie. Quella traumatica, compresa quella dei tessuti molli, la patologia malformativa, per esempio il labbro leporino o la più diffusa malocclusione dei denti, e poi c’è il terzo grande ambito che è quello della patologia oncologica, molto vasto”. Un tipo di chirurgia che come altre nasce in epoca di guerra: “In funzione di quella che era la traumatologia da guerra, nacque la chirurgia maxillofacciale per quanto riguarda le fratture delle mandibole e del mascellare – ha spiegato Giannì – Prima, questi pazienti dovevano rimanere con la bocca bloccata per moltissimo tempo, da lì è nata la volontà di ampliare la possibilità di curarli in maniera mirata, riducendo questo tipo di terapie un pò desuete. Quindi ci si è specializzati, è stato l’inizio. A differenza di altre specialità – ha aggiunto – la maxillo ha avuto uno sviluppo soprattutto grazie alla scuola europea”.
Il professore ha citato due esempi di patologie e malformazioni su cui si interviene in ambito di chirurgia maxillofacciale: “Uno dei problemi più diffusi è il progenismo, con l’inversione dei rapporti tra arcata dentale superiore e inferiore, che provoca però anche disfunzioni respiratorie, e poi problemi dal punto di vista psicologico in gente giovane. Questa forse è la vera chirurgia estetica, potremmo dire. Trattiamo anche i tessuti molli: contestualmente, trattiamo osso e tessuti – ha sottolineato -. C’è anche il caso opposto in cui la mandibola è scarsamente rappresentata. La mandibola in questi casi è talmente indietro che la colonna d’aria di notte sparisce e il paziente va in apnea notturna. Non è dunque solo un problema morfologico. Spesso si tratta di interventi necessari, non solo a livello estetico”. La chirurgia maxillofacciale si occupa del viso e la tecnologia è sempre più d’aiuto per ottenere risultati importanti in una parte del corpo delicatissima: “Il viso è la regione con maggiore gonfiore in caso di traumi minimi, figuriamoci con quelli importanti, per questo spesso è necessario un approccio multidisciplinare con i neurochirurghi. Per quanto riguarda le malformazioni ai denti, ci interfacciamo anche con gli ortodontisti – ha ricordato Giannì -. E c’è persino un rapporto con gli ingegneri: in caso di tumori facciamo ricostruzioni con gli autotrapianti, segmenti dello stesso paziente che vengono spostati, ma grazie alla possibilità di avere tac tridimensionali molto precise, ovvero una riproduzione virtuale di tutto lo scheletro con i difetti di quel caso, otteniamo le dimensioni esatte del punto su cui intervenire per delle ricostruzioni customizzate. La precisione e l’accuratezza sono ancora più importanti quando si tratta del viso, fanno la differenza anche da un punto di vista morfologico”.
Infine, uno sguardo al futuro di questo tipo di chirurgia: “Il concetto deve essere che la tecnologia non deve sostituirsi alla capacità del chirurgo, ma oggi abbiamo tante possibilità – ha riconosciuto Giannì -. Abbiamo la realtà aumentata che ci consente di essere sempre più precisi grazie al virtuale, una cosa neanche immaginabile quindici anni fa. Non possiamo oggi pensare di non utilizzare tutte queste tecnologie, costose ma che devono diventare il nostro patrimonio. Oggi – ha concluso – grazie all’esperienza degli ultimi trent’anni e alla tecnologia siamo in grado di offrire una qualità di ricostruzione che, fermo restando che è meglio non avere questi problemi, fino a qualche anno fa non era pensabile”.

– Foto Italpress –

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Al Gemelli una App per monitorare le pazienti ginecologiche

ROMA (ITALPRESS) – Garantire alle pazienti osservazione e assistenza continua, monitorando la condizione di salute fuori dall’ospedale, rendere sempre più efficace la gestione e l’interazione con il team clinico durante il periodo post-operatorio, aiutare la ricerca verso modelli di cura sempre più personalizzati. Questi sono in sintesi gli obiettivi del Virtual Ward, nuova App dedicata alle pazienti ginecologiche sottoposte a intervento chirurgico presso la UOC di Ginecologia oncologica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, diretta dal professor Giovanni Scambia.
La paziente che decide di entrare nel Virtual Ward può scaricare gratuitamente sul proprio cellulare l’App Healthentia e cominciare così a condividere numerose informazioni che aiuteranno il team clinico ad avere un quadro completo e aggiornato del suo stato di salute.
Le Care Manager presentano il percorso assistenziale durante il colloquio con la paziente ricoverata in reparto e informano il medico riguardo lo stato di salute e prontamente lo avvisano in caso di necessità e urgenza. Il percorso inizia al momento della dimissione dall’ospedale e ha una durata di circa 30 giorni durante i quali la paziente riceve una serie di questionari che hanno l’obiettivo di valutare l’andamento della condizione di salute della paziente con una particolare attenzione a segni e sintomi post-operatori, stato della ferita chirurgica e monitoraggio di eventuali presidi, quali ad esempio cateteri o drenaggi.
La paziente ha inoltre la possibilità di condividere numerosi dati facoltativi come parametri vitali e contenuti multimediali (foto, video, screenshot di referti esterni alla struttura), oltre a poter interagire con gli operatori sanitari in modo immediato e continuo.
“Virtual Ward è parte integrante della nostra pratica clinica – spiega la professoressa Anna Fagotti, Direttore UOC Carcinoma Ovarico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. – Questa App è utile alle pazienti per condividere, comprendere e risolvere eventuali problematiche di salute che emergono mentre sono a casa, accompagnandole nei giorni successivi alla dimissione dall’ospedale. La fase della convalescenza domiciliare – continua la professoressa Fagotti – è un momento emotivo difficile per le pazienti, molte sono le incertezze e tante le domande sul percorso di cura. Inoltre, le pazienti possono avere poca conoscenza della patologia e difficoltà a riconoscere segni e sintomi di importanza clinica”. Anche in questo l’App può essere uno strumento estremamente utile, essa infatti include un’Assistente Virtuale che veicola informazioni e consigli utili ad esempio relativi allo stile di vita da seguire nel periodo post-operatorio, ricoprendo così un importante ruolo educativo.
“Questo strumento – conclude la professoressa Fagotti – è molto utile anche per noi medici. I dati inviati dall’App ci permettono di cogliere subito l’insorgere di sintomi da correlare a possibili complicanze legate all’intervento chirurgico che altrimenti potrebbero emergere in ritardo. Attraverso l’App possiamo interagire con la paziente con immediatezza e continuità e intervenire in modo tempestivo e puntuale”.
La stretta collaborazione tra il team sanitario e la Facility Gemelli Generator – Real World Data, coordinato dal dottor Stefano Patarnello, ha reso possibile la realizzazione di un modello assistenziale in grado di integrare e supportare i tradizionali mezzi di monitoraggio post-operatorio.
L’esperienza del team clinico ha reso possibile la definizione di un percorso innovativo di assistenza: i questionari sono stati definiti per consentire alla paziente un’interazione efficace e pragmatica; tutte le informazioni raccolte permettono una visione olistica dello stato di salute; infine il team di Care Manager dedicato alla messa a punto e alla gestione del nuovo percorso assistenziale è il punto focale per garantire quotidianamente l’erogazione del servizio.
Il team progettuale Gemelli Generator – Real World Data, coordinato dalla dottoressa Alice Luraschi, ha lavorato assieme alla società Innovation Sprint, produttrice del dispositivo medico Healthentia, per offrire un servizio e uno strumento intuitivi e di immediato beneficio nella pratica clinica e nella quotidianità di paziente.

– foto: ufficio stampa Gemelli –

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Ictus, al Garibaldi di Catania un’avanzata tecnologia unica in Italia

CATANIA (ITALPRESS) – Ogni anno nel mondo circa 15 milioni di persone sono colpite da ictus; tra queste 5 milioni vanno incontro a morte ed altri 5 milioni a disabilità permanente. A livello mondiale l’ictus è la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità, con una incidenza di 150 casi ogni 100.000 abitanti. L’ictus ischemico acuto dal punto di vista patogenetico è causato da un’occlusione di un’arteria cerebrale, con riduzione di apporto di sangue e conseguente necrosi del tessuto cerebrale, condizione che si estende progressivamente se non si interviene in maniera rapida a ricanalizzare l’arteria occlusa.
I sintomi dell’ictus possono includere debolezza muscolare, paralisi, difficoltà di linguaggio, stato confusionale, problemi di vista e vertigini. Il riconoscimento precoce della sintomatologia è fondamentale per il trasporto immediato del paziente in un centro specializzato dove si possano attuare terapie adeguate.
In atto esistono due terapie che possono essere somministrate al paziente colpito da ictus ischemico acuto: la trombolisi intravenosa, un farmaco che “scioglie” piccoli grumi di sangue responsabili dell’occlusione arteriosa e la trombectomia meccanica, una tecnica di disostruzione endovascolare effettuata dai neuroradiologi interventisti.
Per entrambi gli approcci, di vitale importanza è il fattore tempo, “Time i Brain” è la frase che sintetizza questo concetto, ovvero quanto più è precoce il trattamento tanto maggiore sarà il beneficio clinico per il paziente che potrà recuperare pienamente o in parte le funzioni neurologiche perdute.
Con l’obiettivo di ridurre i tempi di trattamento dell’ictus è stata installata nell’Unità Operativa Complessa di Radiologia del PO Garibaldi dell’ARNAS Garibaldi di Catania, una moderna apparecchiatura Angio-TC integrata (Siemens-Nexaris) che fonde in un’unica soluzione un tomografo TAC ad alta risoluzione ed un Angiografo digitale altamente performante, una strumentazione tecnologica estremamente avanzata, unica in Italia, dedicata alla diagnosi e al trattamento dell’ictus ischemico acuto.
“Si tratta della prima One Stop in Stroke Room per il trattamento dello ictus in Italia – spiega il dottore Gianluca Galvano, Responsabile U.O.D. di Neuroradiologia e Direttore F.F. della U.O.C. di Radiologia del P.O. Garibaldi centro – ovvero un sistema diagnostico-terapeutico combinato che consente al Neuroradiologo di fare diagnosi di Ictus ischemico acuto, e successivamente di effettuare il trattamento di ricanalizzazione, mediante trombectomia, all’interno di un’unica sala, col paziente posizionato sullo stesso lettino, senza che lo si debba spostare, come accade nei percorsi convenzionali, da un ambiente all’altro dell’ospedale, col rischio di ritardare, di decine di minuti se non di ore, il trattamento di ricanalizzazione dell’arteria occlusa”.
Per quanto la suite Angio-TC combinata abbia assunto un ruolo fondamentale nella riduzione dei tempi di trattamento, va detto che il miglioramento delle performance di cura, si è realizzato anche ottimizzando tutto il percorso diagnostico terapeutico Intraospedaliero del paziente con Ictus Ischemico acuto; infatti in accordo con il dott. Luigi Sicurella, Direttore della UOC di Neurologia con Stroke Unit dell’Arnas Garibaldi, il trattamento di trombolisi endovenosa, quando previsto, viene effettuato dai Neurologi della stroke unit direttamente all’interno della sala Ibrida Angio-TC, subito dopo lo studio diagnostico Tac ed in contemporanea all’intervento di Trombectomia.
I tempi di transito del paziente, dall’ingresso in Pronto Soccorso alla sala Ibrida dedicata, sono stati ulteriormente ridotti grazie alla velocizzazione dei percorsi di TRIAGE e di visita negli ambulatori, assegnando al paziente un codice rosso dedicato e dando immediata notifica di allerta a tutti gli operatori coinvolti, risultati ottenuti grazie al ruolo fondamentale del personale del Dipartimento di Emergenza dell’Arnas Garibaldi, diretto dal dott. Giovanni Ciampi.
L’intervento immediato degli Anestesisti, della U.O.C. di Anestesia e Rianimazione del P.O. Garibaldi-Centro, Diretta dalla Dott.ssa Daniela Di Stefano, partecipa in maniera importante, al buon esito del trattamento e all’ulteriore riduzione dei tempi di esecuzione delle procedure di ricanalizzazione.
L’implementazione della sala Angio-TC integrata associata all’ottimizzazione del percorso di cura ha fatto registrare sin da subito una notevole riduzione del tempo di transito del paziente dall’ingresso in ospedale all’inizio del trattamento di Trombectomia ‘door to groin timè che passa da 60-90 minuti del percorso convenzionale a 20-30 minuti del nuovo sistema.
Se si considera che ogni singolo minuto di ischemia cerebrale causa la perdita di due milioni di neuroni e quattordici miliardi di sinapsi, si capisce bene come ogni strumento tecnologico ed organizzativo, orientato alla riduzione dei tempi per riperfondere il tessuto cerebrale sia determinante, per il paziente, allo scopo di ottenere migliori risultati possibili in termini di recupero delle funzioni neurologiche perdute.
“Il raggiungimento di un traguardo così importante – afferma Fabrizio De Nicola, Commissario Straordinario dell’Arnas Garibaldi – muove innanzitutto dalla recente definizione della rete dei centri di Neuroradiologia Interventistica, sapientemente operata dall’Assessorato della salute della Regione Siciliana, la quale ha attribuito alla Neuroradiologia dell’Arnas Garibaldi il ruolo di centro HUB di riferimento per la macroarea Catania-Siracusa-Ragusa. Un plauso particolare, inoltre, va a tutto il personale medico e paramedico che, a vario titolo, si prende cura dei pazienti con Ictus ischemico acuto dall’ingresso in ospedale fino alle procedure di ricanalizzazione”.

– foto: ufficio stampa Arnas Garibaldi Catania –
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Il microbiota come strumento terapeutico, esperti a confronto a Bologna

BOLOGNA (ITALPRESS) – Nell’attuale momento storico stiamo assistendo al passaggio da studi puramente osservazionali sul microbiota a un nuovo approccio incentrato sull’analisi dei meccanismi d’azione della flora batterica e dei possibili effetti della sua modulazione sulla malattia. Pertanto, il microbiota e la sua capacità di influire sulla salute dell’organismo possono iniziare a essere inquadrati in una vera prospettiva terapeutica. E’ questa la “rivoluzione” al centro del congresso “Microbiota Revolution 2023. Dalla ricerca alla pratica clinica: a che punto siamo”, realizzato grazie al sostegno non condizionante di Alfasigma e che vede riuniti a Bologna esperti italiani e internazionali per aggiornare la comunità medico scientifica sugli ultimi sviluppi della ricerca di base e clinica sul microbiota. Con il termine microbiota si intende un insieme diversificato e dinamico di microrganismi che formano un vero e proprio ecosistema, dal cui equilibrio dipende lo stato di salute del nostro organismo. Le comunità microbiche che popolano l’intestino sono, infatti, coinvolte in una serie di processi biochimici e immunologici che concorrono al corretto funzionamento di chi li ospita, interagendo con esso e stabilendo una relazione simbiotica essenziale per il benessere umano.
“La presenza di alterazioni del microbiota intestinale in diverse condizioni patologiche -gastrointestinali ed extra-gastrointestinali – permette di considerare il microbiota come un target terapeutico interessante. La sua modulazione e la correzione della disbiosi e della sovracrescita batterica dell’intestino si è rivelata efficace nell’ottenere un significativo miglioramento dei sintomi in alcune condizioni cliniche, come la sindrome dell’intestino irritabile o la malattia diverticolare del colon”, sottolinea Carmelo Scarpignato, professore di Medicina e Farmacologia Clinica, United Campus of Malta e professore Onorario di Medicina alla Chinese University of Hong Kong.
“In particolare, per quanto riguarda la malattia diverticolare – patologia molto frequente soprattutto negli over 60 – da tempo si prospetta il ruolo del microbiota nella genesi dei sintomi e delle complicanze di tale condizione. Studi recenti, caratterizzando il microbiota e i suoi metaboliti, hanno rilevato alcune modificazioni importanti sia nel microbiota fecale che in quello stanziale vicino ai diverticoli, così come uno squilibrio importante a favore di un microbiota pro-infiammatorio, con riduzione di quelle popolazioni batteriche che hanno un effetto benefico”, dice Giovanni Barbara, professore Ordinario di Gastroenterologia, Alma Mater Studiorum Università di Bologna e IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, e direttore scientifico del Congresso.
Diversi studi clinici hanno evidenziato una stretta correlazione tra l’alterazione della flora batterica (disbiosi) e l’insorgenza di diverse patologie anche a livello neurologico – quali Alzheimer, Parkinson o ictus cerebrale – a dimostrazione della presenza di un asse intestino-cervello.
“Se è ormai noto che il cervello comandi e regoli una serie di funzioni del nostro organismo, comprese quelle digestive, meno conosciuta è l’interazione in senso opposto, ovvero come il nostro apparato digerente può influenzare le funzioni cerebrali. E ancora meno risaputo è che proprio il microbiota a comunicare con il sistema nervoso centrale attraverso una serie di meccanismi diretti o indiretti, come la modulazione del sistema immunitario o altri effetti sul sistema endocrino intestinale. Si tratta di meccanismi e concetti nuovi che ci spiegano come modificazioni del microbiota possono provocare disturbi psichiatrici o psicologici e come possiamo modulare il microbiota per favorire questa interazione cervello – intestino”, prosegue Barbara.
“Bisogna tenere presente che l’interazione tra terapie farmacologiche e microbiota intestinale è bidirezionale. Infatti, se è vero che molti farmaci – anche non appositamente studiati per avere come target l’ecosistema intestinale – possono modificare la composizione quali/quantitativa del microbiota, la presenza di un enorme patrimonio enzimatico batterico e la produzione di alcuni metaboliti batterici influenzano la farmacocinetica e la farmacodinamica di molte molecole. I dati più interessanti riguardano l’immunoterapia e la chemioterapia antineoplastica, la cui efficacia e tossicità può essere modificata dalla composizione del microbiota intestinale. Siamo solo all’inizio di una nuova era che permetterà sempre di più una medicina di precisione, personalizzata sul singolo paziente”, continua Scarpignato.
“Sappiamo che le conoscenze sul microbiota intestinale hanno rivoluzionato non solo la gastroenterologia ma anche la medicina in generale. Con questo Congresso desideriamo fornire un aggiornamento sugli ultimi sviluppi della ricerca in questo settore per evitare che fake news o indicazioni terapeutiche che possono confondere i pazienti abbiano la meglio – conclude Antonio Gasbarrini, professore Ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Cemad (Centro malattie apparato digerente) Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma e Direttore scientifico del Congresso -. Innanzitutto, cercheremo di individuare come deve essere diagnosticato il microbiota intestinale: esistono delle modalità corrette di diagnosticarlo, direttamente o indirettamente? I profili del microbiota hanno un senso nella pratica clinica o sono ancora appannaggio dei ricercatori? E ancora: se hanno un senso nella pratica clinica, come devono essere diffusi tali profili: chiunque può averne accesso o solo i clinici che sono in grado di interpretarli? Sono tutti dati di cui non abbiamo informazioni in questo momento”.

– foto ufficio stampa Alfasigma –
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Premi Urbes, al giornalista Fabio Mazzeo lo speciale “Mario Pappagallo”

GENOVA (ITALPRESS) – Si è svolta in occasione della 40a Assemblea annuale ANCI, presso la Sala Maestrale del Padiglione Blu della Fiera di Genova, la cerimonia di conferimento dei Premi URBES 2023. Annualmente la rivista URBES assegna un premio alle città, agli enti, alle fondazioni e alle persone che, con il loro impegno e con progetti mirati, hanno promosso la salute e il benessere nel proprio contesto urbano. Il riconoscimento, che si svolge con l’egida di C14+, Health City Institute, Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”, vuole rappresentare uno stimolo per tutti gli attori a piantare un seme oggi per far nascere “una foresta di benessere” domani, per il futuro nelle nostre città.
Nell’ambito della cerimonia, è stato per la prima volta assegnato il Premio speciale “Mario Pappagallo”, riconoscimento a uno dei grandi padri del giornalismo sanitario, firma storica del Corriere della Sera e direttore responsabile di URBES. La giuria ha deciso di assegnare il premio al giornalista Fabio Mazzeo, direttore della comunicazione della Fondazione Salvatore Maugeri, impegnato nel dibattito pubblico sulle materie sanitarie e autore Tv, già capo ufficio stampa del Ministero della salute, “per l’impegno nell’opera di divulgazione e informazione in ambito sanitario e per l’equilibrio, il rispetto e la curiosità con cui rivolge l’attenzione alle politiche pubbliche urbane per la salute”.
La giuria è presieduta da Ketty Vaccaro, Responsabile Area Welfare e Salute Fondazione CENSIS, e composta da Maria Emila Bonaccorso, Alessandra Capuano, Marina Carini, Annamaria Colao, Roberta Crialesi, Rosapia Farese, Tiziana Frittelli, Simona Frontoni, Francesca Romana Lenzi, Anna Lisa Mandorino, Annalisa Manduca, Rosaria Iardino, Eleonora Mazzoni, Mariarita Montebelli, Paola Pisanti, Eleonora Selvi, Chiara Spinato, Simona Tondelli.

– foto: ufficio stampa Urbes –

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Farmaceutica, Janssen si sposta a Milano. Nuovo headquarter a Bicocca

MILANO (ITALPRESS) – E’ l’inizio di una nuova era in Italia per Janssen, l’azienda farmaceutica di Johnson & Johnson, che da novembre si sposterà a Milano in un momento di grande focalizzazione verso lo sviluppo di trattamenti innovativi in aree terapeutiche chiave per la salute globale, come l’onco-ematologia, l’immunologia e le neuroscienze. La scelta del trasferimento rientra nell’ambito di un quadro più ampio di rinnovamento che Johnson & Johnson sta effettuando a livello globale e che include anche la nuova immagine corporate ed il rebranding di Janssen, l’azienda farmaceutica di Johnson & Johnson, nel più semplice “Johnson & Johnson”. La decisione rappresenta inoltre un tassello fondamentale nella strategia di investimenti dell’azienda nel nostro Paese: Janssen, che impiega complessivamente 1.500 persone, è tra i primi 3 posti nel mercato italiano del pharma, negli ultimi 3 anni ha investito 90 milioni di euro in Italia per ricerca e sviluppo, protezione dell’ambiente, sicurezza e digitale e vanta uno stabilimento produttivo all’avanguardia a Latina che esporta il 90% della produzione presso oltre 100 Paesi nel mondo. “E’ con grande orgoglio che comunichiamo oggi il nostro trasferimento in una sede nuova, improntata ad una maggiore collaborazione tra le funzioni, al benessere delle persone e alla sostenibilità ambientale. Sarà uno spazio collaborativo e flessibile, che intercetta le nuove necessità dei dipendenti in un momento di trasformazione dei modelli di lavoro: secondo il JLL Worker Preferences Barometer 2022, infatti, ben il 73% dei collaboratori a livello globale vede l’ufficio come uno spazio di condivisione di idee e connessione con i colleghi. Questo nuovo “Way of Working”, insieme alla vicinanza ad un importante polo della ricerca milanese, ci permetterà di portare avanti in maniera ancor più efficace l’impegno a lavorare insieme ai nostri interlocutori per costruire la sanità del futuro” spiega Mario Sturion, Managing Director di Janssen Italia, l’azienda farmaceutica di Johnson & Johnson. “La decisione costituisce un passo importante all’interno del percorso che abbiamo intrapreso già da tempo, basato su una serie di attività ed investimenti finalizzati ad aumentare l’attrattività del settore farmaceutico in Italia e di conseguenza l’impatto sui pazienti e i loro caregiver. Siamo un’azienda con una lunga storia alle spalle e siamo pronti ad una nuova era in cui useremo le nostre competenze nelle terapie innovative per offrire opzioni sempre più personalizzate e all’avanguardia per il trattamento e la cura di malattie complesse”. Concepito per favorire la collaborazione e l’apertura al mondo esterno, il nuovo headquarter ospiterà momenti di incontro e confronto con tutti gli interlocutori dell’azienda come Università, Centri di ricerca, startup, Società scientifiche, Associazioni pazienti oltre che Istituzioni, per rispondere sempre meglio alle nuove esigenze del Sistema Salute. In particolare, la nuova sede aprirà le proprie porte agli studenti universitari e delle scuole superiori nell’ambito di Fattore J, progetto avviato da Janssen nel 2020 per sensibilizzare i ragazzi sul valore dei progressi scientifici per la salute, il benessere e la qualità della vita di tutti.
L’organizzazione del lavoro andrà nella direzione di un nuovo “way of working” costruito sulle esigenze delle persone e sempre più orientato alla flessibilità: diversi spazi permetteranno ai collaboratori di scegliere e prenotare l’area più adatta alle attività da svolgere, semplificando la gestione dei progetti. Questa scelta si innesta sul modello globale di lavoro ibrido J&J Flex, nato per assicurare flessibilità ai dipendenti, favorendo un miglior equilibrio vita-lavoro, e che prevede la possibilità di lavorare da remoto. Per aumentare il benessere dei dipendenti, saranno disponibili anche alcuni servizi wellness all’interno di una Energy Room. L’attenzione di Janssen Italia per i dipendenti e per tutti gli stakeholder aziendali poggia su un solido insieme di valori condivisi, il Credo Johnson & Johnson, che nel 2023 festeggia gli 80 anni. Questi principi ispirano l’impegno dell’azienda nelle comunità in cui opera, sia in termini di sostenibilità sociale che ambientale. A questo proposito la nuova sede è certificata LEED Gold, uno dei protocolli di sostenibilità ambientali degli edifici più importanti a livello globale e sarà promosso l’utilizzo di soluzioni di mobilità sostenibile per raggiungere l’ufficio, con un incentivo economico all’utilizzo dei trasporti pubblici e una convenzione con un sistema di carpooling. Il design degli interni dei nuovi uffici è ispirato alla convivialità delle piazze italiane, all’eleganza delle gallerie e all’eccellenza dell’artigianato del Bel Paese, in un perfetto equilibrio tra estetica e funzionalità. Ogni piano è dedicato ai quartieri di Milano con elementi legati all’arte, alla cultura e al saper fare italiano. Il tema del nono piano è il Duomo con i suoi motivi che ricorrono sulle vetrate come elementi decorativi; l’ottavo piano è dedicato ai Navigli, protagonisti di una carta da parati personalizzata nata da uno schizzo a mano libera. Al settimo piano, ispirato al parco Sempione, dominano il verde e le grafiche botaniche, mentre al sesto piano, dedicato a Bicocca, dominano le tonalità della terra e dei mattoni. Il piano terra invece, inizio del percorso, è il punto “Centrale” che ospita il ristorante aziendale e un grande spazio di lavoro affacciato sul giardino esterno.

– Foto: ufficio stampa Janssen –
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Psoriasi, a Palermo la campagna “L’Esperienza al Centro” di Novartis

PALERMO (ITALPRESS) – In occasione della Giornata Mondiale della Psoriasi, che si celebra il 29 ottobre, arriva a Palermo oggi “l’Esperienza al Centro”, la campagna di sensibilizzazione promossa da Novartis, che vuole riportare l’attenzione sulla malattia psoriasica, aiutando i pazienti a riconoscere i primi segni della psoriasi e a cogliere gli eventuali sintomi di coinvolgimento articolare. La diagnosi tempestiva risulta fondamentale per il decorso della malattia. Sono previsti consulti gratuiti oggi presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Paolo Giaccone. Sarà possibile prenotare i consulti specialistici sulla piattaforma www.esperienzaalcentro.it
“La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica a prevalente interessamento cutaneo, che in particolari condizioni può accompagnarsi a manifestazioni sistemiche – ha detto Maria Rita Bongiorno, direttore della Clinica dermatologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Paolo Giaccone -. Numerose sono le comorbidità che si possono associare alla psoriasi e sono comunemente osservate nei pazienti con forme gravi della malattia. Ben si comprende, quindi, la necessità che questi pazienti siano identificati il prima possibile in modo da attuare misure preventive, terapie appropriate e follow-up ravvicinati”.
Nuovi dati dello studio globale Psoriasis and Beyond, rivelano un urgente bisogno di maggior informazione sui legami tra psoriasi, artrite psoriasica e comorbidità comuni. Lo studio, promosso da Novartis, è frutto della collaborazione tra IFPA (la federazione internazionale che raccoglie le associazioni pazienti) e 16 realtà associative nei diversi Paesi.
I risultati mostrano che meno di un terzo delle persone che vivono con la malattia psoriasica sono consapevoli del rischio di condizioni associate come malattie cardiovascolari, diabete, depressione e ansia. Inoltre, solo il 29% degli intervistati con psoriasi è consapevole dei legami tra psoriasi e artrite psoriasica. I dati, raccolti tramite 4.978 interviste a persone provenienti da 20 diversi Paesi, sono stati pubblicati su Dermatology.
“Ed è proprio in occasione della Giornata Mondiale della Psoriasi – il cui tema di quest’anno è l’accesso alla cura per tutti – che la Campagna l’Esperienza al centro arriva a Palermo – ha sottolineato Valeria Corazza, presidente APIAFCO Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza -. Spesso, i lunghi tempi di attesa e la necessità di spostarsi da una città all’altra per una visita specialistica, gettano nello sconforto le persone che giornalmente convivono con la psoriasi. In questo scenario la campagna informativa “L’Esperienza al Centro” intende riportare l’attenzione sulla psoriasi offrendo la possibilità di accedere a consulti specialistici gratuiti per aiutare i pazienti a riconoscere i primi segni della patologia e a cogliere gli eventuali sintomi delle comorbidità, come il coinvolgimento articolare”.
“Molto spesso presentare lesioni cutanee della psoriasi (rossore e desquamazione) e/o avere un familiare di primo grado affetto da psoriasi, può aumentare la probabilità di manifestare un coinvolgimento articolare, noto come Artrite psoriasica, e caratterizzato da sintomi quali il dolore, la rigidità mattutina e il gonfiore delle articolazioni. Individuare i sintomi per tempo può fare la differenza: la diagnosi precoce si rivela molto più importante per l’artrite psoriasica che per la psoriasi stessa”, ha affermato Giuliana Guggino, docente di Reumatologia e responsabile della Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera – Universitaria Policlinico Giaccone di Palermo.
L’artrite psoriasica è una forma specifica di artrite infiammatoria associata alla psoriasi. A livello mondiale, la sua prevalenza non è omogenea e dipende da diversi fattori, tra cui i principali sono: background genetico del Paese nel quale è presente, caratteristiche ambientali, abitudini alimentari, stili di vita. In Italia colpisce circa quaranta persone ogni diecimila abitanti e si può affermare che fino a un terzo delle persone affette da psoriasi potrebbe anche esser colpito da artrite psoriasica. La patologia si manifesta solitamente tra i trenta e i cinquant’anni, circa 5-10 anni dall’esordio della psoriasi. Colpisce in egual misura il sesso maschile e quello femminile, ma nelle donne la gestione e l’accettazione della malattia sono più problematiche.
“E’ fondamentale per chi soffre di malattia psoriasica potersi rivolgere ad un centro specializzato per patologia, dove dermatologi e reumatologi collaborano in un approccio sinergico e multidisciplinare nella gestione del paziente, al fine di una diagnosi precoce e appropriatezza terapeutica sempre più condivisa tra Clinico e paziente. Collaborazioni e campagne come questa diventano utili per promuovere la corretta informazione, ma anche per creare rete tra gli stakeholder uniti nella realizzazione di nuovi strumenti procedurali”, ha sottolineato Teresa Perinetto, Presidente ASIMAR Associazione Siciliana Malati Reumatici – APS.
Per avere tutte le informazioni necessarie e per prendere parte alla Campagna basta andare sul sito www.esperienzaalcentro.it.

– foto Italpress –
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Neoplasie linfoproliferative, studi su impatto e gestione del paziente

ROMA (ITALPRESS) – In occasione della XVI edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment (SiHTA), ha avuto luogo il simposio promosso da BeiGene, azienda biotecnologica globale, dal titolo ‘Il burden economico della Macroglobulinemia di Waldenstrom (MW) e della Leucemia Linfatica Cronica (LLC) e stima del potenziale impatto organizzativo legato alla gestione multidisciplinare dei pazientì. Al simposio interattivo sono intervenuti Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Microeconomia, Direttore EEHTA-CEIS, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergatà e Presidente SiHTA, ed Eugenio Di Brino, Co-founder & Partner di Altems Advisory, Università Cattolica del Sacro Cuore, sull’impatto di queste malattie onco-ematologiche sul Servizio Sanitario Nazionale e quanto sia fondamentale ottimizzare la presa in carico dei pazienti anche tramite l’implementazione di Team multidisciplinari.
Entrambe le neoplasie linfoproliferative rientrano nella categoria dei linfomi non Hodgkin: la Macroglobulinemia di Waldenstrom (WM), un raro tumore del sangue, colpisce ogni anno circa 250 persone in Italia, rappresentando circa il 2% di tutti i linfomi non-Hodgkin ed ha in genere una progressione lenta dopo la diagnosi. La Leucemia Linfatica Cronica (LLC), una delle forme di leucemie più frequenti negli adulti, è una neoplasia spesso indolente che si sviluppa lentamente. Pertanto, molti pazienti potrebbero non aver bisogno di un trattamento immediato. Circa due terzi dei pazienti affetti richiedono, alla diagnosi o in un momento successivo, il trattamento con una terapia sistemica e la maggior parte di essi viene sottoposta a più di una linea di trattamento.
Queste patologie sono quindi malattie dalle caratteristiche croniche, che interessano perlopiù soggetti anziani, e che di frequente quindi si associano anche a numerose comorbidità, che ne rendono la presa in carico particolarmente più complicata.
Proprio su questi aspetti si è soffermato lo studio presentato da Eugenio Di Brino, che ha analizzato il possibile impatto che un approccio multidisciplinare avrebbe rispetto all’attuale modello di gestione dei pazienti affetti da queste patologie.
L’analisi, che ha preso in considerazione 4 Centri ematologici italiani, ha permesso di identificare le maggiori criticità esistenti nel percorso di cura dei pazienti affetti dalle patologie in esame: per la Macroglobulinemia di Waldenstrom l’assenza di armonizzazione dei criteri diagnostici e di uniformità dei criteri di eleggibilità ai trattamenti disponibili, e la mancanza di omogeneità sul territorio nazionale; per la Leucemia Linfatica Cronica la mancanza di studi di confronto diretto tra i diversi trattamenti disponibili, che complica la scelta terapeutica ottimale, la variabilità nelle risposte al trattamento e l’influenza di fattori logistici, come l’accessibilità delle strutture sanitarie ai pazienti.
Si evince quindi come tali patologie necessitino di una maggiore attenzione e sensibilizzazione. Data la loro cronicità e complessità risulta anche di fondamentale importanza valutarne l’impatto economico sociale che è quanto ha realizzato il Professor Francesco Saverio Mennini attraverso l’analisi di dati di costi diretti sanitari e indiretti sostenuti oggi in Italia, per la gestione di queste patologie tratti da fonti nazionali appropriate.
Nel complesso, l’analisi ha stimato una media di 7.568 pazienti ospedalizzati ogni anno per le patologie considerate, con la maggioranza dei pazienti ricoverati con LLC (87%) contro il 13% della WM. Il peso economico totale stimato per le due patologie è pari ad oltre 317,5 milioni annui corrispondente ad una media per paziente di oltre 41 mila (con circa 256 milioni annui dovuti alla LLC e circa 62 alla WM). La principale voce di spesa rappresentata dai costi diretti è pari all’82% della spesa complessiva, mentre i costi indiretti rappresentano il 18% e derivano dalle prestazioni previdenziali e assistenziali erogate ai pazienti, anche attraverso indennità di accompagno e invalidità, che comportano un aggravio di costi sociali, ad esempio per le ore di lavoro perse da parte del paziente stesso, trattandosi di pazienti anziani ma spesso ancora in età lavorativa o da parte dei caregiver che li affiancano.
‘L’analisi dei costi sostenuti attualmente per queste malattie onco-ematologiche ha rivelato un quadro significativamente impattante sul Sistema Sanitario Nazionale, mettendo in evidenza la necessità di una ottimizzazione nella gestione di questi pazienti – ha commentato il Professor Mennini – Anche grazie alla disponibilità di terapie sempre più avanzate, per questo tipo di malattie onco-ematologiche si può iniziare a parlare di cronicizzazione, per cui è fondamentale poter garantire una presa in carico ottimale di questi pazienti, sia per garantire loro un miglioramento della qualità di vita sia per assicurare la sostenibilità del sistema con adeguato utilizzo delle risorse a disposizione’.
La ricerca di ALTEMS condotta dal professor Di Brino è andata proprio ad indagare come l’approccio di un team multidisciplinare permetta di ottimizzare gli esiti dei pazienti e gli aspetti organizzativi ed economici in questo setting di patologie. Le motivazioni principali che valorizzano l’implementazione del lavoro in un team strutturato per la diagnosi e la presa in carico di questi pazienti vanno nella direzione di migliorare alcune delle criticità sopra elencate, come ad esempio, poter arrivare ad una valutazione accurata dei pazienti essendo in età avanzata, armonizzare i criteri diagnostici e uniformare quelli di eleggibilità ai trattamenti, migliorare i processi di logistica, la gestione degli eventi avversi e la collaborazione tra i professionisti sanitari.
L’analisi ha valutato, attraverso l’ascolto dei professionisti sanitari dei 4 Centri coinvolti nell’indagine, quale potrebbe essere l’organizzazione ottimale per la gestione di questi pazienti in un approccio multidisciplinare, con un team in cui l’ematologo è affiancato da altri specialisti come cardiologo, neurologo, farmacista ospedaliero, geriatra, ma anche figure di supporto come il farmacologo, il nefrologo, il radiologo e il reumatologo. Questo permetterebbe sicuramente di seguire meglio il paziente nell’intero percorso di cura ma anche di supportare l’ematologo, che spesso nella pratica clinica si ritrova ed essere solo nella gestione di questi pazienti, che hanno tutta una serie di comorbidità associate da gestire nel modo migliore.
Sono state identificate alcune modalità di funzionamento del team per poter efficientare il lavoro, come la programmazione di riunioni una volta al mese con la discussione di 10 casi clinici. Tutti gli specialisti dovrebbero prepararsi alla riunione effettuando un pre-reading dell’agenda che si andrà a discutere (impiegando circa 30 min) e con una tempistica media di discussione per ciascun caso di 12 minuti. Si è stimato un valore annuo di costo orario di circa 58.000 euro per il lavoro di un tumour board, che risulta essere il 6% delle risorse economiche del personale sanitario investite. Il maggior peso è rivestito dalla fase di preparazione della riunione, che può però essere migliorato efficientando i canali di comunicazioni esistenti, ad esempio un’unica mail o piattaforme di condivisione clinica.
Nell’analisi sono anche stati ipotizzati alcuni indicatori utili per misurare la performance del Team multidisciplinare così strutturato sugli esiti di salute come la risposta al trattamento, l’aderenza terapeutica, il tempo di diagnosi, il numero di accessi al pronto soccorso e l’incidenza di complicanze.
‘Dall’analisi di Altems Advisory è emerso che destinando una piccolissima quota parte delle risorse in termini di tempo del personale sanitario all’applicazione dei team multidisciplinari si può migliorare notevolmente la gestione del paziente, apportando notevoli benefici non solo all’outcome delle terapie ma anche benefici in termini di efficienza organizzativa per le strutture sanitarie – ha affermato Eugenio Di Brino, Co-Founder & Partner di Altems Advisory, spin-off dell’Università Cattolica – Sicuramente un altro fattore di miglioramento per la presa in carico di questi pazienti è il poter favorire l’integrazione tra ospedale e territorio, data la sempre più elevata tendenza alla cronicizzazione per questi pazienti, grazie alle nuove terapie disponibili. Il sistema deve farsi quindi trovare pronto per agevolare questa integrazione, affinchè si eviti che una gestione non controllata delle cronicità abbia negativi impatti sull’intero sistemà.
Alla luce delle analisi condotte emerge quindi l’importanza di prioritizzare patologie onco-ematologiche come la Macroglobulinemia di Waldenstrom e la Leucemia Linfatica Cronica e dare la giusta centralità ai pazienti affetti da queste patologie, che sono spesso già fragili a causa dell’età avanzata e delle patologie associate, attraverso l’implementazione di un percorso di cura ottimale, ed omogeneo sul territorio nazionale.
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(ITALPRESS).