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Banca del Fucino e ANDI, siglata la convenzione Dental Pharma

ROMA (ITALPRESS) – Banca del Fucino e l’Associazione Nazionale Dentisti italiani – ANDI hanno siglato oggi una convenzione che prevede una gamma di prodotti e servizi pensati su misura per le esigenze finanziarie specifiche degli studi dentistici e dei medici odontoiatri. In Italia sono circa 44 mila i dentisti, di cui oltre 28.000 associati ad Andi. A livello di associazioni professionali si contano circa 33 mila studi odontoiatrici. Il fatturato medio delle società di persone nel settore è di circa 548 mila euro l’anno.
L’accordo segue una specifica fase di studio di settore e una serie di interviste dedicate tramite cui è stato possibile mettere a fuoco le peculiari caratteristiche del business di riferimento e strutturare dei prodotti di finanziamento con importi, durata e condizioni di attivazione particolarmente interessanti in linea con le necessità tipiche del comparto.
Ad esempio, la gamma di prodotti “Dental Pharma” prevede anche dei finanziamenti ad hoc legati all’esigenza dell’acquisto o ristrutturazione dei locali dello studio e/o servizi di consulenza per aiutare il professionista nella delicata fase del passaggio generazionale.
La convenzione permette anche una attivazione in digitale e un servizio in video assistenza per operare oltre che nelle aree storiche di presenza della Banca, in generale su tutto il territorio nazionale.
“L’accordo – dice Marco Alessandrini, Responsabile della Divisione Health & Pharma di Banca del Fucino – implementa, sviluppandola, una partnership che intercorre da tempo con ANDI. Il carattere assolutamente innovativo dell’accordo è rappresentato dal coinvolgimento del network delle Filiali della Banca del Fucino, rafforzato dal canale digitale e da un servizio in video assistenza da remoto con presa di appuntamento direttamente dall’Associato, evitando in tal modo attese e consentendo l’individuazione dell’interlocutore competente”.
“I prodotti e i servizi – prosegue Alessandrini – sono fatti su misura per gli Associati all’ANDI e rispecchiano le specifiche esigenze dei professionisti raccolte attraverso interviste dedicate. La customizzazione dei prodotti “Dental Pharma” attribuisce un carattere distintivo rispetto all’offerta indifferenziata al fine di rendere memorabile la customer experience dell’Odontoiatra”.
“Si conferma e si amplia la partnership fra il gruppo bancario Banca del Fucino, Igea Banca e ANDI, già estremamente utile nel periodo dei lockdown a causa del Covid – è il commento di Carlo Ghirlanda, presidente nazionale ANDI – La confidenza e la positiva valutazione del nostro settore che il gruppo bancario ha maturato in questi anni a partire da quella prima esperienza ci ha consentito di definire ulteriori sinergie allo scopo di facilitare l’accesso al credito per tutti gli Odontoiatri ANDI, ed in particolare per sostenere le esigenze dei professionisti più giovani. Il rapporto con Banca del Fucino e Igea banca viene inoltre rinforzato dalla convenzione esistente fra questi istituti e il sistema di garanzia fidi Fidiprof, al quale la nostra associazione aderisce, che consente al professionista ANDI di essere garantito fino al 90 % nelle fidejussioni bancarie. Questo accordo si caratterizza quindi come un servizio di grande utilità per tutti i nostri associati, che sono certo sapranno apprezzare questo ulteriore contributo di ANDI alla loro vita professionale e personale”.

– foto: Agenzia Fotogramma –
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Roadmap per un’evoluzione digitale dal progetto DiCo Sanità

ROMA (ITALPRESS) – Grazie a DiCo Sanità, progetto di Digitalizzazione Collaborativa promosso da Bayer Italia, sono state presentate a Roma e in diretta Web “12 Raccomandazioni” elaborate da manager sanitari, professionisti e cittadini per fare della digitalizzazione in sanità una vera opportunità.
La digitalizzazione in sanità e la trasformazione organizzativa stanno rivoluzionando il settore della Sanità, offrendo nuove opportunità per migliorare l’efficienza, la qualità e la sicurezza dell’assistenza sanitaria. L’adozione di tecnologie digitali può contribuire a ottenere una maggiore efficienza nella gestione dei dati sanitari, nell’implementazione di soluzioni di telemedicina, nella creazione di modelli di assistenza più personalizzati e nella promozione della prevenzione.
Affinchè questa “evoluzione digitale” sia davvero un successo, Bayer ha lanciato il progetto DiCo Sanità, in collaborazione con SICS – Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria – e TelosManagement & Consulting, riunendo attorno a questo tema un Board di esperti di altissimo livello composto da manager, dirigenti e studiosi della digitalizzazione in Sanità che, in circa un anno di lavoro e approfondimenti, ha elaborato delle vere e proprie Raccomandazioni per soluzioni concrete.
Le Raccomandazioni sono state presentate oggi alle Istituzioni, nel corso del “National Summit” dedicato a DiCo Sanità a cui hanno partecipato, oltre ai componenti del Board, numerosi rappresentanti delle Istituzioni, tra cui Francesco Zaffini, Presidente della Commissione Sanità del Senato.
“Per Bayer questo è il primo, importante passo per il raggiungimento degli obiettivi che ci eravamo posti con questo progetto, dichiara Arianna Gregis – Country Division Head Pharmaceuticals Bayer Italia -. Dopo un anno di lavoro e approfondimenti, è sempre più chiaro che la Road Map condivisa oggi con i partner di DiCo Sanità possa contribuire realmente a rendere la digitalizzazione a misura del cittadino. L’auspicio da parte di Bayer è lavorare al fianco dei pazienti, delle loro famiglie e in forte sinergia con le istituzioni e le associazioni pazienti, affinchè la spinta tecnologica che stiamo vivendo rappresenti una straordinaria opportunità anche per il mondo della salute”.
La digitalizzazione in sanità non è solo acquisto di macchinari, reti, apparecchiature ed elementi di Intelligenza Artificiale. Digitalizzare la sanità significa trasformare il pensiero, le organizzazioni e il modo di lavorare.
Questo il principio di fondo che ha guidato l’elaborazione delle dodici Raccomandazioni, suddivise in quattro cluster prioritari a cui sono state legate attività specifiche per ciascun ambito, dal livello istituzionale più alto fino alla singola Azienda Sanitaria.
Cluster 1 – regolamentazione e standard di riferimento: Vi rientrano, a titolo esemplificativo, le Raccomandazioni e le relative esortazioni ad agire sui temi di fondo di una maggior condivisione delle strategie e della visione complessiva che dovrà interessare la digitalizzazione della sanità italiana, la definizione di regole aggiornate che ridefiniscano i modelli di presa in carico dei pazienti su tutto il territorio e la definizione dei ruoli e dei modelli di integrazione che si vogliono perseguire.
Cluster 2 – organizzazione e processi: Vi rientrano i modelli organizzativi con relativa definizione, per esempio, dei sistemi di responsabilità, le Procedure e i Processi (per i quali diventa necessario definire chiaramente i modelli di presa in carico digitale) e, infine, la necessità di definire cosa si intende per Appropriatezza digitale in sanità.
Cluster 3 – cultura del cambiamento: E’ uno degli ambiti più delicati e strategici su cui il Board DiCo Sanità ha concentrato le proprie energie. Le raccomandazioni di questo Cluster riguardano l’Informazione, la Formazione e il Change Management. E’, in buona sostanza, una delle chiavi di volta del processo di digitalizzazione della sanità che avrà successo con la definizione puntuale delle nuove competenze e saperi di professionisti e cittadini.
Cluster 4 – infrastruttura e gestione dati: Le ultime raccomandazioni del Board DiCo Sanità riguardano le Condizioni abilitanti per realizzare la digitalizzazione (dagli acquisti centralizzati alla stratificazione della popolazione), la Co-Progettazione sul campo (in particolare con i professionisti) e l’Open Innovation attraverso cui monitorare e misurare la trasformazione digitale in corso.
“La nostra azienda – sottolinea Danilo De Spirito, Patient Access Head di Bayer Italia – ha sentito forte la necessità di facilitare lo scambio di idee tra gli attori coinvolti in un processo complesso quanto irrinunciabile come quello della digitalizzazione in sanità. L’evento di presentazione del 17 ottobre, assieme al lavoro del Board che proseguirà anche nel 2024 per approfondire le possibili declinazioni pratiche, è una risposta concreta alle esigenze di trasformazione del sistema la cui unica finalità è quella di offrire ai cittadini le migliori cure possibili, in maniera sempre più sostenibile ed efficace. Una prospettiva che solo una Digitalizzazione Collaborativa dell’intero sistema potrà garantire”.
-foto ufficio stampa Bayer-
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Salutequità “Sulla prevenzione sanitaria serve un cambio di passo”

ROMA (ITALPRESS) – Per la prevenzione le Regioni investono da 85 euro procapite in Friuli-Venezia Giulia fino a 158 in Valle d’Aosta (dati ultimo Rapporto Corte dei conti). Ma i risultati sono molto diversi e la protezione che ne deriva per gli assistiti del SSN è molto variabile, in particolare quando parliamo di vaccinazioni per gli adulti e di screening oncologici. E’ quanto emerge dal Report “Prevenzione sfida per l’equità nelle Regioni” realizzato da Salutequità con il contributo non condizionato di Sanofi.
“Sulla prevenzione – dichiara Tonino Aceti, Presidente di Salutequità – c’è bisogno di un cambio di passo. L’obiettivo programmato di recupero per gli screening oncologici non è stato centrato in troppe realtà: il divario delle prestazioni recuperate va dal 91% del Nord al 27% del Centro al 44% del Mezzogiorno. Anche sulle coperture vaccinali antinfluenzali c’è una chiara flessione su cui bisogna agire rapidamente.
La prima cosa da fare è dare pari dignità alla prevenzione così come a ospedale e territorio, varando gli standard quali/quantitativi di personale dei Dipartimenti di Prevenzione.
E’ poi indispensabile che la prevenzione sia concretamente un banco di prova per la valutazione delle Regioni ai fini della valutazione LEA. Abbiamo bisogno di un nuovo aggiornamento dei LEA per estendere ad esempio lo screening mammografico alle donne di ulteriori fasce d’età, come peraltro già garantito in diverse Regioni oggi; come pure per rendere effettivamente esigibile ogni aggiornamento del Calendario Vaccinale. Su questa partita gli sforzi devono essere massimi e di tutti perchè la prevenzione è un vero e proprio investimento in termini di salute e di sostenibilità del SSN”.
Le Regioni che a fronte di costi minori ottengono punteggi LEA più elevati nella prevenzione sono 7: P.A. di Trento, Toscana, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Marche e Lazio. Quelle che invece sostengono i costi maggiori a fronte di una valutazione inferiore alla soglia della sufficienza sono P.A. di Bolzano, Sicilia e Valle d’Aosta.
Nel 2021 sono risultate inadempienti nella garanzia dei LEA nella prevenzione 4 Regioni (Valle d’Aosta, PA Bolzano, Calabria e Sicilia), ma 16 hanno visto una riduzione di punteggio rispetto al 2019 (pre-pandemia). E i dati non sembrano migliori per il 2022: la Corte dei conti sottolinea infatti che per quanto riguarda gli screening oncologici è stato recuperato soltanto il 67% delle prestazioni non erogate durante la pandemia, con una forbice regionale che oscilla tra il 9% di recuperato della Calabria al 16% della Campania, fino al 100% di recuperato in Piemonte, Trento, Toscana e Basilicata.
Nella stagione 2022-2023 la copertura per la vaccinazione antinfluenzale nella popolazione anziana è scesa di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2020-2021, nel pieno della pandemia, arrivando al 56,7%. Hanno raggiunto coperture sopra la media nazionale solo 9 Regioni: Friuli-Venezia Giulia (58,3%), Emilia-Romagna (62,3%), Toscana (58,9%), Lazio (60,2%), Abruzzo (62,5%), Basilicata (66,3%), Calabria (62,1%), Sicilia (58,9%) e l’Umbria (68,7%), unica regione in cui sono stati vaccinati quasi 7 anziani su 10. Tra 37% e 46% si sono invece collocate Valle d’Aosta, P.A. Bolzano e Sardegna.
“Eppure, l’adesione alla vaccinazione antinfluenzale e allo screening lascia indietro chi ne avrebbe più bisogno”, sottolinea Salutequità. Dalla Sorveglianza Passi 2021-2022 emerge che una donna su 10 di età compresa tra 50-69 anni non si è mai sottoposta a una mammografia a scopo preventivo (10,3%) e circa una su 5 non la esegue da oltre due anni (19,3%). Fattori sociali, economici e culturali continuano a condizionare l’accesso alla prevenzione: sia per lo screening mammografico che per lo screening cervicale, la maggiore quota di donne che si sottopone a questi esami possiede un’istruzione elevata, maggiori risorse economiche, è di cittadinanza italiana, coniugata o convivente.
Per la vaccinazione antinfluenzale dati Istat mostrano che circa un terzo degli anziani con una o più patologie non si è vaccinato perchè non si ritiene un soggetto a rischio.
Coerentemente con la Circolare del Ministero della Salute, la desk research di Salutequità rileva che la maggior parte delle Regioni dal mese di ottobre hanno avviato la campagna antinfluenzale 2023-2024 che, come ogni anno, ha l’obiettivo (minimo=75%; ottimale=95% negli over 65 e nei gruppi ad alto rischio di tutte le età) di promuovere la vaccinazione, contenere i contagi ma soprattutto le complicanze.
Toscana, Lombardia e Liguria hanno anticipato i tempi di qualche giorno: è risultato possibile prenotare il vaccino a partire rispettivamente dal 26, dal 28 e dal 29 settembre.
Nella prima settimana di ottobre hanno avviato la campagna antinfluenzale 5 Regioni: Campania, Lazio, P.A. Bolzano, P.A. Trento e Puglia.
Nella seconda settimana (tra 12 e 16 ottobre) altre 8 Regioni (Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Piemonte, Sicilia, Umbria e Veneto).
Diverse le modalità di prenotazione: alcune Regioni hanno il numero verde, altre la piattaforma digitale, altre ancora rimandano alle pagine web delle singole aziende, altre un mix di interventi.
Abbastanza ricorrente è invece l’informazione sulla possibilità di ricevere l’antinfluenzale presso i MMG/PLS, farmacie convenzionate e centri vaccinali oltrechè il riferimento alla contestuale somministrazione della vaccinazione anti SARSCoV-2.
Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2023-2025 riconosce le vaccinazioni come strumento altamente costo-efficace poichè in grado di ridurre i costi diretti e indiretti della malattia e delle sue complicanze.
Per la sola influenza e ILI si stima che i costi pesino più di 10 miliardi di euro all’anno, di cui 2 miliardi a carico del SSN e 8,6 a carico delle famiglie (fonte: Report Osservatorio GIMBE n. 3/2021).
Aspetto quello dei costi dovuti alla mancata vaccinazione richiamato anche dalla più recente Circolare del Ministero della salute sulla Prevenzione e controllo dell’influenza.
Allargando l’orizzonte alle vaccinazioni per l’adulto nel PNPV 2017-2019 è stimato un risparmio in termini di costi diretti in oltre 75 milioni di euro in 4 anni per eventi correlati allo pneumococco con coperture minime pari a 5% negli ultra 65enni e 2% dei 50- 64enni. Per la vaccinazione contro l’Herpes Zoster il risparmio stimato era pari a 3.081.760 per il 2016 con copertura vaccinale del 30%; 7.704.480 € per il 2017 con copertura del 40%, 13.868.063 € per il 2018 con il 50% di copertura vaccinale.
Nonostante le vaccinazioni nell’anziano (FLU, Pneumo, HZ) siano ricomprese nei LEA, attualmente si dispone di uno specifico indicatore di monitoraggio NO CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG) solo per l’influenza, mentre per la vaccinazione pneumococcica e quella contro l’Herpes Zooster non abbiamo alcuna restituzione ufficiale sui dati di copertura.

– Foto: Agenzia Fotogramma –

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Monitorare microbiota vaginale per alleviare i sintomi della menopausa

ROMA (ITALPRESS) – Comprendere l’interazione fra microbiota vaginale e sintomi della menopausa offre nuove possibilità per alleviare tali sintomi e migliorare la qualità della vita delle donne. E’ la conclusione di un recente articolo pubblicato su Nature Microbiology che analizza diversi studi condotti sulla correlazione tra composizione del microbiota vaginale e disturbi della menopausa legati a sintomi genito-urinari, atrofia vulvogenitale, dispareunia, disuria e infezioni ricorrenti del tratto urinario. Wellmicro (NAMED GROUP) – realtà interamente dedicata all’analisi del microbiota – tramite tecnologia NGS ed elaborazione bioinformatica dei dati – permette di valutare con un test lo stato dell’ecosistema vaginale al fine di comprendere se persiste o meno uno stato di eubiosi, sia in menopausa sia in tutte le altre fasi della vita di una donna.
“Nelle donne, prima e dopo la menopausa, la carenza di estrogeni e progesterone conseguente all’esaurimento ovarico, determina una deplezione progressiva dei Lattobacilli, amici e protettori della salute vaginale – afferma la Prof.ssa Alessandra Graziottin Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’H. San Raffaele Resnati di Milano, Prof. ac del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Università di Verona, e Presidente Fondazione Graziottin per la cura del dolore nella donna, Onlus – .Un test ripetuto nel tempo potrebbe costituire un perfetto monitoraggio della salute intima tra prima e dopo la menopausa, come indicatore sia dell’entità dell’alterazione microbiologica sia della popolazione più fisiologica per quella donna, cui tornare. Nelle donne in corso di terapia ormonale sostitutiva (TOS), potrebbe inoltre diventare un ottimo strumento di monitoraggio qualitativo di efficacia della terapia, in parallelo all’accurata valutazione clinica e al dosaggio del pH vaginale”.
Non solo nel momento della menopausa, ma durante tutta l’esistenza di una donna sono numerosi i fattori interni (stato ormonale, età, equilibrio del sistema immunitario) ed esterni (assunzione di antibiotici, utilizzo di dispositivi contraccettivi, infezioni) che influenzano il microbiota vaginale, modificandolo nella composizione e favorendo condizioni patologiche che possono diventare croniche o recidivanti e impattare fortemente sulla qualità di vita.
“Le infezioni vulvovaginali rappresentano le più comuni affezioni ginecologiche – afferma il Prof. Filippo Murina, Responsabile del Servizio di Patologia del Tratto Genitale Inferiore e Centro Menopausa dell’Ospedale Buzzi, Università di Milano.In particolare, le vaginosi batteriche possono interessare fino al 60% delle donne, con un’elevata incidenza di ricorrenze. Per quanto riguarda la candidosi vulvo-vaginale, il 75% delle donne nel corso della vita presenta almeno un episodio infettivo e, di queste, quasi il 10% svilupperà una forma ricorrente. Nonostante sia generalmente considerato un disturbo di scarsa rilevanza, la vaginite in realtà esercita un significativo impatto psicologico ed espone al rischio di complicanze ginecologiche ed ostetriche. Sintomi come prurito, bruciore e dolore durante i rapporti sessuali possono alterare significativamente la vita sociale e la vita di coppia.
“Il test Wellmicro permette di conoscere la composizione del DNA batterico e fungino del microbiota vaginale – afferma Andrea Castagnetti, Direttore Generale di Wellmicro. Si tratta di un’analisi metagenomica che studia le comunità di microrganismi che vivono nell’ambiente vaginale. Tramite una interpretazione funzionale brevettata è possibile indagare sulla correlazione tra stato di disbiosi vaginale e sintomi o fastidi riscontrati. Lo specialista è quindi supportato nella scelta di strategie terapeutiche maggiormente personalizzate per il mantenimento o il ripristino del benessere intimo”.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Cresce il consumo di crack, effetti “drammatici” sui giovani

PALERMO (ITALPRESS) – In passato poco conosciuto, oggi il consumo di crack è sempre più diffuso, soprattutto tra i giovani. Ricavata tramite processi chimici dalla cocaina, la sostanza viene assunta inalando il fumo. Costa poco, appena 5 euro a dose, ma è pericolosissima: crea dipendenza, aggressività e alienazione. Ne abbiamo parlato con esperti e giovani.  “Non conosco gli effetti che ha sull’organismo – racconta un ragazzo – perché sfortunatamente è una lacuna delle scuole superiori, quindi non fanno informazione riguardo alle sostanze stupefacenti”. Gli fa eco un altro coetaneo: “Non conosco bene questa sostanza e non conosco persone che ne fanno uso. Sicuramente so che è una pericolosa”. “Dovrebbe avere più o meno effetti allucinogeni – spiega invece una studentessa universitaria -, quindi che creano lo sballo, però chiaramente ci possono essere anche effetti collaterali molto gravi”.  A spiegare come il crack agisce  sull’organismo umano è Giampaolo Spinnato direttore Uoc dipendenze Asp Palermo: “Ha un effetto un po’ più forte, un po’ più rapido, ma che svanisce molto presto rispetto alla cocaina. L’effetto del crack dura molto poco e questo facilita l’innescarsi di fenomeni di dipendenza, per cui chi fa uso di crack facilmente finisce con rimanerne intrappolato – sottolinea -. Tutte le sostanze stimolanti tendono a peggiorare le condizioni psicopatologiche, soprattutto in molti soggetti e soprattutto in certi giovani e, quindi, la diffusione del crack aumenta l’emergenza di problematiche di natura psicologica e psicopatologica”.“Avendo avuto in passato un’amica che ne faceva uso – dice un’altra ragazza – ho visto gli effetti della droga su di lei e posso dire che le hanno rovinato la vita sotto tutti i punti di vista, ha persino lasciato la scuola durante la seconda superiore. La sua mente ormai non collegava più niente, a malapena ricordava come si chiamavano i suoi genitori”. “Sono amicizie che sono stato costretto anche ad allontanare, non ci stavano più con la testa” ammette un altro coetaneo. Effetti confermati dalla dottoressa Francesca Picone, direttore Uoc modulo 9 dipendenze patologiche Asp Palermo:  “Gli aspetti che riguardano la sfera della psiche sono troppo drammatici, perché hanno a che fare con un discontrollo degli impulsi – evidenzia -. Nel vissuto del consumatore di crack  c’è l’incapacità di mantenere la coscienza critica di sé. Si va fuori controllo senza neanche minimante per rendersene conto”, conclude.

– Foto: Italpress –

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Accesso più equo e tempestivo alle cure per l’infiammazione di tipo 2

ROMA (ITALPRESS) – Riconoscere le diverse manifestazioni croniche dell’infiammazione di tipo 2 come l’asma, la dermatite atopica, la rinosinusite cronica con poliposi nasale o l’esofagite eosinofila, e sviluppare nuovi standard di diagnosi per una presa in carico dei pazienti non solo efficace ma anche efficiente, integrando l’assistenza secondo un modello di cura multidisciplinare che consenta un accesso più equo e tempestivo alle prestazioni specialistiche lungo tutto il ciclo di vita dell’individuo. Sono queste alcune delle proposte operative racchiuse nel Policy Paper realizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) insieme a Sanofi nell’ambito del progetto dal titolo “La gestione del paziente nell’infiammazione di tipo 2”, un ciclo di tre incontri che ha visto coinvolti 4 associazioni di pazienti e 16 società scientifiche, oltre a esponenti delle istituzioni, con l’obiettivo di portare l’attenzione sull’importanza di gestire la complessità che caratterizza i pazienti con patologie derivanti da infiammazione di tipo 2 e dell’attuale impostazione assistenziale. Lo studio è stato presentato oggi nella sala Caduti di Nassiriya del Senato nel corso di un evento istituzionale nato per iniziativa del Senatore FdI Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato previdenza sociale Ignazio Zullo.
All’evento hanno preso parte, tra gli altri, la Public Affairs Country Head di Sanofi, Fulvia Filippini; il presidente I-Com, Stefano da Empoli; la senatrice Elena Murelli, componente della Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato previdenza sociale. “Sanofi ha dato il proprio contributo alla comunità medico scientifica per chiarire il meccanismo comune di patologie apparentemente non collegate, spesso coesistenti o che si alternano nel corso della vita, così da portare ai pazienti soluzioni terapeutiche trasformative nel trattamento delle malattie causate dall’infiammazione di tipo 2. Per supportare questa ricerca a favore dei pazienti, però, non servono solo risorse e conoscenze ma è fondamentale sviluppare nuovi standard di diagnosi per una presa in carico non solo efficace ma anche efficiente”. Afferma Fulvia Filippini, Public Affairs Country Head di Sanofi. Per la senatrice Elena Murelli, componente della Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato previdenza sociale, “analizzare questi numeri ti fa riflettere su cosa si può fare per migliorare” le criticità. Emerge anche come curare “le singole patologia ha un costo elevato, nel momento in cui si fa sistema lavorando in una rete e con un team multidisciplinare i costi si andrebbero a ridurre, anzi, ottimizzare questi costi sanitari. Sono la prima a dire che la sanità non è un costo ma un investimento, ma queste risorse vanno spese bene. Altro punto importante è l’innovazione dei farmaci, è quindi fondamentale finanziare la ricerca per poter avere sempre più farmaci innovativi per poter garantire ai pazienti una vita sana ma anche un supporto dal punto di vista psicologico”, conclude.
Lo studio riconosce il ruolo centrale dell’inquadramento delle patologie dovute ad una deregolazione della risposta infiammatoria di tipo 2 e della presa in carico del paziente come strategia efficace di lungo periodo per incentivare l’appropriatezza terapeutica. Si tratta di patologie che compaiono soprattutto in bambini e in giovani adulti (con un grande impatto sulla qualità della vita) e che pongono in capo al Servizio Sanitario Nazionale la necessità di rafforzare le risposte alle esigenze di cura di questa fascia di popolazione. Mentre la prevalenza delle altre patologie croniche aumenta con l’età (il 66% delle persone tra i 75 e gli 84 anni è affetto da almeno una), le malattie infiammatorie di tipo 2, quali l’asma, la dermatite atopica, la rinosinusite cronica con poliposi nasale o la esofagite eosinofila, insorgono spesso già nell’infanzia per poi manifestarsi in diversi momenti successivi nel corso della vita del paziente. Il denominatore comune emerge poi dai dati riguardo alle possibili concomitanze. Nello specifico, circa il 48% dei pazienti con esofagite eosinofila presenta anche rinite allergica, circa la metà ha allergie alimentari, tra il 19 e il 39% dei pazienti soffre anche di asma e circa un paziente su 5 ha pure la dermatite atopica. Per contro, l’asma grave è associato a rinite allergica in circa il 45% e a poliposi nasale nel 43% circa dei pazienti. Il 9,6% dei pazienti italiani con asma grave soffre anche di dermatite atopica. E’ evidente come, per le loro caratteristiche, queste patologie richiedano un approccio specifico ma allo stesso tempo olistico, dalla diagnosi alla presa in carico, fino alla scelta della terapia e all’aderenza lungo il ciclo di vita.
L’attuale impostazione assistenziale presenta diverse criticità, che portano il sistema non solo a non riconoscerle tempestivamente ma a produrre potenziali sprechi e a generare risultati relativamente non soddisfacenti. In questo contesto i pazienti sono spesso disorientati e impiegano molte risorse nella gestione della propria salute, non sempre con gli esiti auspicati. L’effetto del mancato riconoscimento delle patologie infiammatorie di tipo 2 come gruppo di malattie a sè stante può essere rintracciato nell’assenza di un approccio unificato e coerente al loro trattamento. Il rischio è che gli operatori sanitari non indaghino o riconoscano la causa sottostante le patologie e, di conseguenza, ne trattino principalmente i sintomi, facendo affidamento ad esempio, ai corticosteroidi sistemici che per via dei potenziali effetti collaterali non sono idonei per queste patologie croniche. Secondo la comunità scientifica, il sovradosaggio e l’abuso di corticosteroidi orali sono sottostimati e non adeguatamente affrontati dai sistemi sanitari, con evidenti costi indiretti dovuti alla successiva gestione degli effetti collaterali associati. In conclusione, lo studio identifica possibili azioni da compiere con lo scopo di chiamare i decisori pubblici ad alcune priorità di intervento, a partire dagli strumenti già esistenti. Si auspica infatti: un aggiornamento del Piano Nazionale Cronicità (PNC) che tenga conto di queste patologie; un tempestivo recepimento delle prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), in cui è presente anche il test della frazione dell’ossido nitrico esalato (FeNO) oltre che un allargamento delle prestazioni esenti da ticket. Un rafforzamento dei centri di eccellenza, supportati anche dalle applicazioni digitali, potrebbe consentire un inquadramento omogeneo di queste patologie e una presa in carico del paziente più efficace nel lungo periodo. Disegnare linea guida nazionali a supporto della realizzazione di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale da applicare alle patologie derivanti da infiammazione di tipo 2 permetterebbe infine di garantire un approccio unitario e coerente come voluto dal Piano Nazionale della Cronicità senza escludere l’integrazione della presa in carico e cura dalle altre manifestazioni concomitanti.
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Ricostruzione mammaria, tessuti propri o protesi le strade più comuni

ROMA (ITALPRESS) – La ricostruzione mammaria è l’intervento che permette al chirurgo plastico di ricostruire una mammella demolita, in parte o in tutto, in seguito all’asportazione di un tumore. Il modo in cui viene eseguita la ricostruzione dipende innanzitutto dalle caratteristiche dell’intervento oncologico, e cioè se è stato necessario asportare tutta la mammella e magari anche i tessuti di rivestimento, o solo un quadrante, cioè una parte. La ricostruzione mammaria è anche diversa per i tempi in cui può avvenire, e cioè contestualmente all’intervento oncologico, oppure a distanza di mesi o anche anni, il cosiddetto secondo tempo. Infine, le ricostruzioni differiscono anche in base al materiale utilizzato, i tessuti della paziente, oppure dispositivi come protesi ed espansori. La ricostruzione mammaria è un intervento completamente personalizzato e avviene a carico del servizio sanitario nazionale senza alcuna spesa da parte della paziente. Sono questi alcuni dei temi trattati da Pietro Berrino, uno dei più famosi chirurghi plastici italiani e specialista in chirurgia plastica e oncologia, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
“Per la ricostruzione mammaria abbiamo due linee da poter seguire, quella che prevede l’uso di protesi, che è quella più semplice, o quella che prevede l’uso di tessuti propri, questi sono i due grandi filoni – ha esordito il professore – La ricostruzione con i tessuti propri addominali, quei tessuti che in altri interventi come l’addominoplastica vengono scartati per alleggerire l’addome, in questo caso è utilizzata affinchè, modellata in un certo modo, riesca a mimare quasi perfettamente il seno da ricostruire, con il grande vantaggio di non usare protesi che sappiamo nel tempo avere una certa instabilità: quella coi tessuti propri è un tipo di ricostruzione permanente”. Oltre all’utilizzo di tessuti propri, vi sono anche le alternative, più comuni, legate all’iniezione di grasso o all’utilizzo di una protesi: “C’è l’intervento microchirurgico con vantaggi e svantaggi rispetto a quello tradizionale, consiste nell’isolare questo settore di pelle con un’arteria e una vena per attaccarli ai vasi del torace – ha ribadito Berrino – In alternativa ci sono le iniezioni di grasso trapiantato o l’utilizzo di protesi. In prima battuta viene proposto l’intervento più semplice, che in linea di massima dà anche ottimi risultati, l’intervento più complesso, quello dai tessuti, viene utilizzato nei casi più seri”.
E per gli interventi più comuni, alla base dell’operazione vi è la figura dell’espansore: “Si tratta di una protesi vuota, che ha una valvolina attraverso la quale si può inserire del liquido per mezzo di un ago che passa attraverso la pelle – ha spiegato – Questo sacchetto vuoto viene riempito gradualmente in modo da creare lo spazio per la futura protesi. L’espansore viene pian piano sgonfiato e il suo volume viene sostituito da grasso iniettato prelevato altrove. Questa è una tecnica pochissimo invasiva e praticamente ambulatoriale”.
Infine, Berrino si è soffermato sulla soddisfazione per un chirurgo plastico nel vedere tornare alla normalità donne che hanno dovuto lottare contro un tumore al seno: “Le pazienti danno la maggior soddisfazione dal punto di vista umano, si vedono persone che rifioriscono e tornano quelle di prima grazie all’intervento ricostruttivo, dimenticano questo fardello – ha sottolineato – Questa è una chirurgia di grande soddisfazione, ci si sente utili alle pazienti. Anche nella fase pre-operatoria, il fatto di sapere di poter tornare integre – ha concluso – aiuta tantissimo ad affrontare l’iter terapeutico e operatorio per le malate oncologiche”.

– foto Italpress –
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Onde d’urto focali efficaci per curare le patologie ortopediche

ROMA (ITALPRESS) – Le onde d’urto focali sono state introdotte in medicina alla fine degli anni ’80 per frantumare i calcoli renali, operazione utile per favorirne l’espulsione naturale. Da decenni, sono impiegate in modo crescente anche per la cura, con azione biologica e non distruttiva, di molte patologie di tendini, ossa, muscoli e non solo. E’ una metodica sicura, non invasiva e pressochè priva di effetti collaterali. Le onde d’urto focali sono impulsi sonori di breve durata che producono nei tessuti dei micro stress meccanici concentrati su un’area ben precisa, il bersaglio, e in profondità. Si distinguono dalle onde radiali poichè queste ultime hanno una diversa forma d’onda, la cui energia tende appunto a diffondersi radialmente, cioè a disperdersi in superficie. Questi i temi trattati da Cristina D’Agostino, referente del centro terapia e ricerca sulle onde d’urto di Humanitas e presidente della società internazionale Terapia onde d’urto, intervistata da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress. “Le applicazioni delle onde d’urto focali sono veramente tante, abbiamo mutuato la tecnologia dalla litotrissia renale dove era stata inizialmente utilizzata per rompere i calcoli renali – ha esordito – In ambito muscolo-scheletrico, ortopedico e riabilitativo, le onde d’urto focali vengono utilizzate per tutta una serie di tendinopatie calcifiche e non calcifiche e per tutta una serie di patologie dell’osso come le fratture che non guariscono. Sicuramente è un aiuto agli ortopedici ed è un trattamento conservativo ben tollerato dal paziente se seguiamo le raccomandazioni della buona pratica clinica e se utilizziamo macchine ad hoc certificate”.
Scendendo nei dettagli della terapia con le onde d’urto focali, D’Agostino ha ricordato come si tratti di “un meccanismo di tipo biologico, non di rottura. In ambito muscoloscheletrico, noi non rompiamo nè spacchiamo niente, lo stimolo meccanico è recepito dalle cellule ed evoca azioni biologiche benefiche – ha spiegato – Un manipolo viene impugnato dall’operatore, che, previo controllo ecografico, fa un targeting e individua il bersaglio, lì poi applica il trattamento. Per i trattamenti di ordinaria amministrazione si usa il piccolo manipolo appunto a mano, in alternativa si usa la macchina grande in caso di trattamenti più complessi”.
Tra i trattamenti principali con le onde d’urto focali quello alla cuffia dei rotatori: “E’ uno dei trattamenti per eccellenza che possiamo fare, è una patologia dei tendini, dove può esserci o no la calcificazione. Le onde d’urto devono sempre essere inserite in un programma riabilitativo, di fatto si agisce sulla tendinopatia, la modulazione dell’infiammazione innesca tutta una serie di processi riparativi, si fa un’azione benefica – ha aggiunto D’Agostino – Si fa generalmente un ciclo di tre sedute con cadenza settimanale non rigida, appena finita la seduta si modula il trattamento in funzione del paziente, dello stadio della tendinopatia e del tipo di quest’ultima, inoltre a ogni seduta bisognerà avere un feedback della settimana del paziente. Chi si sottopone a questo trattamento ha una sensazione di pizzicore, perchè si parla delle onde focali – ha sottolineato – Non parliamo delle onde radiali che hanno più un’azione di contatto martellante diretto e che possono essere utilizzate in alcune tendinopatie, ma sono maggiormente tollerate sul piano muscolare”.
“La prima applicazione risale al 1991, quando due ortopedici bulgari produssero il primo lavoro scientifico – ha raccontato – L’azione è diretta di stimolo sulle cellule dell’osso che vengono spinte a produrre osso, è una medicina rigenerativa. Oggi diciamo che le onde d’urto hanno passato la fase pionieristica e sono approdate nell’ambito della medicina rigenerativa, come in caso di ferite che non si chiudono”. E con le onde d’urto è possibile anche intervenire, in un certo qual modo, sul miglioramento e su benefici legati all’aspetto fisico: “La rigenerazione coinvolge i tessuti connettivi a 360 gradi. Con le onde d’urto possiamo stimolare un’azione di rimodellamento e drenaggio dei liquidi. Non facciamo dimagrire o possiamo eliminare il grasso, ma per esempio può dare un aiuto in caso di cellulite. L’aspetto rigenerativo è quello che sta facendo scalpore in tutto il mondo al di là dei trattamenti ortopedici – ha concluso – Adesso c’è la possibilità di rigenerare il miocardio ischemico e di fare delle applicazioni sui traumi spinali”.

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