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Salute

Pnrr, Vodafone connette il primo ospedale del Piano “Sanità Connessa”

MILANO (ITALPRESS) – Vodafone Italia collega in banda ultralarga la prima struttura sanitaria fra le oltre 12 mila previste dal Piano “Sanità connessa” del PNRR: è l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, che opera nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale e Nazionale ed è sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università degli Studi di Bari.
L’attivazione delle reti ultraveloci del Policlinico di Bari rientra all’interno dei lavori previsti nel Lotto 6 del Piano Sanità Connessa, uno dei cinque piani operativi dell’Investimento 3.1 “Reti ultraveloci e 5G” del PNRR, gestito da Infratel Italia sulla base della convenzione operativa con il Dipartimento per la trasformazione digitale e aggiudicato a Vodafone Italia, grazie alla sinergia con Regione Puglia e la società in-house regionale InnovaPuglia.
L’obiettivo del Piano Sanità Connessa è fornire servizi di connettività a banda ultralarga alle strutture del servizio sanitario pubblico sul territorio nazionale, con una velocità compresa tra uno e dieci gigabit al secondo (Gbit/s) in base alla tipologia delle strutture collegate, dagli ambulatori ai grandi Poli ospedalieri. Il Piano è suddiviso in otto Lotti e prevede un investimento complessivo pari a circa 315 milioni di euro. Oltre all’attivazione delle reti ultraveloci, le strutture sanitarie interessate dagli interventi potranno godere, per almeno cinque anni, dell’accesso gratuito alla rete con banda minima garantita e servizi di assistenza tecnica continua.
Negli interventi sono compresi la fornitura e la posa in opera della rete di accesso e i servizi di gestione, l’assistenza tecnica e la manutenzione. L’infrastruttura è realizzata per garantire i più elevati standard di sicurezza nella trasmissione dei dati e la business continuity anche in caso di guasti o indisponibilità momentanea della rete. L’accesso a connessioni altamente performanti, integrate anche con soluzioni wireless e sistema Wi-Fi, consentirà alle strutture sanitarie di abilitare una serie di servizi digitali innovativi, sostenendo così la trasformazione dei servizi sanitari a beneficio della società. Inoltre, Vodafone fornirà servizi di consulenza e supporto sui temi della sicurezza informatica.
Vodafone mette a disposizione la sua tecnologia e piattaforme per sostenere la digitalizzazione degli ospedali, la telemedicina, visite mediche virtuali al servizio dell’esperienza e della salute dei pazienti. A livello globale Vodafone connette al settore sanitario già più di 20 milioni di dispositivi grazie all’IoT, AI, 5G ed Edge Computing e offre soluzioni di telemedicina basate su diverse tecnologie per supportare la pubblica amministrazione e i privati nell’adozione di nuovi modelli che mettano il paziente al centro e per migliorare la gestione delle risorse sanitarie.
In ambito Pubblica amministrazione, Vodafone è aggiudicataria dell’accordo quadro Consip per la sanità digitale 1 e 2 che prevedono l’affidamento di servizi applicativi e di servizi di supporto in ambito «sanità digitale – sistemi informativi clinico-assistenziali» per le pubbliche amministrazioni del Sistema Sanitario Nazionale.
Con l’obiettivo di sviluppare progetti in cui la tecnologia 5G abiliti nuove funzionalità e approcci all’istruzione e alla formazione nelle università e negli ospedali, nonchè la creazione di un sistema di assistenza continua, Vodafone Italia e Università degli Studi di Palermo hanno recentemente annunciato l’avvio del progetto che porterà per la prima volta in Italia alla realizzazione di una rete privata 5G ibrida (Mobile Private Network, MPN) su un polo universitario. Il progetto, aggiudicatario del Connecting Europe Facility dell’Unione Europea, prevede la realizzazione entro i prossimi tre anni di una copertura 5G dedicata sull’area dell’Università degli Studi di Palermo inclusa la sua sede distaccata a Trapani, e sul Policlinico Universitario Paolo Giaccone, ospedale universitario e sede della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo.
Il 5G di Vodafone Italia è stato poi protagonista nel novembre 2021 di un trial clinico per la riparazione della valvola mitrale con supporto da remoto al medico in sala operatoria condotto da IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Nell’ambito della sperimentazione 5G di Milano, Vodafone ha sviluppato diversi use case in ambito sanitario come progetti di telemedicina, soluzioni di robotica riabilitativa e di servizio e ambulanza connessa; alcuni hanno poi trovato concreta applicazione durante la pandemia da Covid-19.

– foto ufficio stampa Vodafone –

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Giacomo Poretti “Sono stato infermiere, ridere fa bene alla salute”

ROMA (ITALPRESS) – Fa bene al cuore, alla circolazione, ai polmoni, ai rapporti sociali e anche al sonno. Ridere è una specie di medicina, e molti studi lo confermano. Impariamo a ridere nella prima infanzia, con l’effetto di richiamare l’attenzione dei genitori e di attivare il sistema motivazionale dell’attaccamento-accudimento alla base di un pieno sviluppo cognitivo ed emotivo. E ancora, la risata aumenta la portata respiratoria, garantendo una migliore ossigenazione e inducendo il rilascio delle endorfine, il nostro antidepressivo naturale. Ridere fa bene anche al sistema immunitario, riduce la percezione soggettiva del dolore e la produzione di cortisolo, ormone coinvolto nelle reazioni psicofisiche allo stress. Favorisce inoltre la produzione di melatonina, responsabile della regolazione dei ritmi sonno-veglia, e migliora il tono dei muscoli del viso, delle spalle e dell’addome. Infine, ridere fa bene alla vita di relazione di coppia, perchè serve ad allentare la tensione che spesso complica i rapporti e crea un clima di intesa e complicità che spiana ogni difficoltà. Meglio di una sessione di allenamento, meglio di un sonnifero, meglio di una seduta di psicoterapia. Sono questi alcuni dei temi trattati da Giacomo Poretti, noto attore e comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo e direttore artistico del teatro Oscar di Milano, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress: “Ridere fa bene al cuore, ma non è un modo di dire, i cardiologi hanno dimostrato scientificamente che ridere fa bene alla salute, non solo le condizioni materiali ma anche quelle spirituali o psicologiche influiscono sulla salute – ha spiegato il noto comico – Non è facile ridere molto, ma soprattutto in famiglia o sul lavoro bisognerebbe cercare di applicare l’ironia davanti a un problema. E’ così che si stempera, ci proviamo tutti, riuscirci è difficilissimo. Una battutina che non offende o ferisce fa bene e alleggerisce le situazioni”.
Non tutti conoscono il passato da infermiere di “Giacomino”: “Io ho fatto l’infermiere, ero addirittura arrivato a essere un caposala. Entrato come OSS, ho scalato tutto lo scalabile e quando sono arrivato a fare il caposala poi me ne sono andato – ha raccontato – Io ho lavorato in ospedali cosiddetti difficili, in oncologia e altri reparti simili, dico che chi sta veramente male non ha tanta voglia di scherzare, l’importante è tenere compagnia, rispettando le varie situazioni, e quando si può si scherza. Osservare i medici si presta alla comicità. Uno degli sketch a cui sono più affezionato è quello del professor Alzheimer, interpretato da Giovanni, io nei panni del dottor Pivetta con Aldo che cambia il mio nome ogni tre secondi, il fatto di aver lavorato in ospedale ci ha aiutato molto”. E sul luogo comune per il quale ogni comico nella sfera privata sia in realtà molto triste: “Una vena malinconica ce l’ho, ma non mi ritengo triste come a volte si dice dei comici nella loro vita privata. Non mi capita tanto di ridere, forse perchè lo faccio per mestiere, ma ridere mi è molto difficile – ha ammesso Poretti – Il mio socio Giovanni mi fa ridere qualsiasi cosa faccia, e quando ridi tanto è un buon segno. Di recente al teatro Oscar abbiamo registrato una puntata del mio podcast. Con Aldo e Giovanni potremmo anche non vederci per dieci anni, ma sono certi che faremmo i rimbambiti per ore non appena ci incontriamo”.
E su un altro tema prettamente medico come l’ansia da prestazione: “Potrei fare un parallelismo tra il comico e il tifoso di calcio. Una pensa che all’inizio te la fai un pò sotto, però poi ti passa, invece non passa mai – ha spiegato Giacomo – Ultimamente mi sto cimentando da solo o con mia moglie in teatro, ogni volta c’è tanta ansia. Pensavo che invecchiando mi passasse, invece va sempre peggio. E per dire, la finale dell’Inter di Champions non l’ho vista”. Infine, sugli ultimi progetti in cantiere: “Sto lavorando alla scrittura di un nuovo spettacolo teatrale, il tema sarà il lavoro e debutterà il 7 novembre al teatro Oscar, anche questo è un progetto con mia moglie – ha concluso – E poi l’1 settembre dovrebbe uscire il mio nuovo libro di racconti edito da La Nave di Teseo”.
-foto Italpress –
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Uno studio, Donanemab rallenta il declino cognitivo di chi ha Alzheimer

SESTO FIORENTINO (FIRENZE) (ITALPRESS) – L’azienda farmaceutica Eli Lilly ha presentato i risultati completi dello studio di fase III Trailblazer-Alz 2, i quali dimostrano che donanemab ha rallentato in modo significativo il declino cognitivo e funzionale nelle persone con malattia di Alzheimer (AD) sintomatica precoce. I dati sono stati condivisi in occasione dell’edizione 2023 dell’Alzheimer’s Association International Conference (AAIC) nel corso di un simposio di primo piano, e sono stati pubblicati contemporaneamente sul Journal of the American Medical Association (JAMA). “I dati positivi di Trailblazer-Alz 2 danno speranza alle persone con malattia di Alzheimer, le quali hanno urgente bisogno di nuove opzioni terapeutiche. Questo è il primo studio di fase III in cui una terapia capace di modificare la progressione della malattia replica i risultati clinici positivi osservati in uno studio precedente”, ha affermato Huzur Devletsah, Presidente e Direttore Generale di Lilly Italy Hub. “Se approvato, riteniamo che donanemab possa fornire alle persone con malattia di Alzheimer benefici clinicamente significativi, nonchè la possibilità di completare il loro ciclo di trattamento già 6 mesi dopo che la placca amiloide è stata eliminata. Nell’ambito di un ecosistema sanitario già complesso per quanto riguarda il morbo di Alzheimer, dobbiamo continuare a rimuovere qualsiasi barriera di accesso alla diagnosi e terapia mirate all’amiloide”.
Lilly aveva precedentemente annunciato che, nel corso dello studio clinico di fase III, donanemab ha raggiunto l’endpoint primario e tutti gli endpoint secondari cognitivi e funzionali. La presentazione alla FDA statunitense per l’approvazione è stata completata lo scorso trimestre, con una decisione regolatoria prevista entro la fine dell’anno. Sono attualmente in corso le sottomissioni anche ad altre Autorità Regolatorie nel mondo, la maggior parte delle quali verrà completata entro la fine dell’anno.
I risultati di Trailblazer-Alz 2 supportano la domanda di Lilly per l’approvazione regolatoria per il trattamento di persone con malattia di Alzheimer sintomatica precoce positiva per l’amiloide (deterioramento cognitivo lieve o demenza lieve), a prescindere dal loro livello basale di tau.
TRAILBLAZER-ALZ 2 ha arruolato partecipanti con più ampi punteggi cognitivi e livelli di amiloide rispetto ad altri recenti studi sulle terapie mirate alla placca amiloide. I partecipanti a Trailblazeralz 2 sono stati stratificati in base al loro livello di tau, un biomarcatore predittivo per la progressione della malattia, in un braccio tau medio-basso (a volte indicato come tau intermedio) o in un braccio tau alto, che rappresentava uno stadio patologico successivo di progressione della malattia. Tutti i partecipanti sono stati quindi valutati nell’arco di 18 mesi, utilizzando scale che misurano sia la capacità cognitiva che quella funzionale, tra cui l’Alzheimer’s Disease Rating Scale integrata (iADRS) e il Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (CDR-SB).
Come riportato in precedenza, tra i partecipanti con livelli medio-bassi di tau (n=1182), il trattamento con donanemab ha rallentato in modo significativo il declino, con un risultato del 35% secondo la scala iADRS e del 36% secondo il CDR-SB. Tra tutti i partecipanti allo studio sull’AD sintomatica precoce positiva all’amiloide (n=1736), il trattamento con donanemab ha rallentato in modo significativo il declino del 22% secondo l’ iADRS e del 29% secondo il CDR-SB. Ulteriori dati presentati all’AAIC hanno rafforzato il fatto che, a prescindere dallo stadio clinico o patologico della malattia al basale, il trattamento con donanemab ha prodotto benefici cognitivi e funzionali rispetto al placebo: Un’analisi pre-specificata di sottopopolazione tra i partecipanti con tau medio-bassa basata sullo stadio clinico ha dimostrato un maggior beneficio di donanemab nei soggetti in uno stadio iniziale della malattia: o Nei partecipanti con decadimento cognitivo lieve (n=214), donanemab ha rallentato il declino del 60% secondo iADRS e del 46% secondo CDR-SB o Per i partecipanti con demenza lieve dovuta ad AD, n=534, donanemab ha rallentato il declino del 30% secondo iADRS e del 38% secondo CDR-SB).
Allo stesso modo, un’analisi di sottogruppo post-hoc tra i partecipanti con tau medio-bassa basata sull’età, ha dimostrato un maggiore beneficio di donanemab nei pazienti di età inferiore ai 75 anni: o Nei partecipanti di età inferiore ai 75 anni (n=267), donanemab ha rallentato il declino del 48% secondo iADRS e del 45% secondo CDR-SB. Nei partecipanti di età pari o superiore a 75 anni (n=266), donanemab ha rallentato il declino del 25% secondo iADRS e del 29% secondo CDR-SB. I risultati erano simili tra i vari sottogruppi, compresi i partecipanti portatori o meno di un allele ApoE4. L’effetto complessivo del trattamento con donanemab ha continuato a crescere durante tutto lo studio, con le maggiori differenze rispetto al placebo osservate a 18 mesi.
“Questi risultati dimostrano che diagnosticare e trattare le persone più precocemente nel corso della malattia di Alzheimer può portare a un beneficio clinico rilevante”, ha affermato Alessandro Padovani, Presidente della Società Italiana di Neurologia e Direttore dell’Istituto di Neurologia Clinica presso il Dipartimento di Continuità di Cura e Fragilità, AOU Spedali Civili di Brescia. “Il ritardo nella progressione della malattia nel corso della sperimentazione è significativo e può dare alle persone più tempo per fare le cose che sono significative per loro. Le persone che vivono con la malattia di Alzheimer precoce e sintomatica continuano a lavorare, a godersi i viaggi, a 4 condividere tempo di qualità con la famiglia: vogliono sentirsi se stessi, più a lungo. I risultati di questo studio rafforzano la necessità di diagnosticare e trattare la malattia prima di quanto si faccia oggi.”.
Donanemab agisce in modo specifico sulla placca amiloide depositata e ha dimostrato di portare alla sua rimozione nei pazienti trattati. Il trattamento con donanemab ha ridotto in modo significativo i livelli di placca amiloide, a prescindere dallo stadio patologico della malattia al basale. Tra tutti i partecipanti, il trattamento con donanemab ha ridotto la placca amiloide in media dell’84% a 18 mesi, rispetto a una diminuzione dell’1% per i partecipanti con placebo. Una volta soddisfatti i criteri predefiniti di clearance della placca amiloide, i partecipanti hanno potuto interrompere l’assunzione di donanemab. Circa la metà dei partecipanti ha raggiunto questa soglia a 12 mesi, e circa sette partecipanti su dieci l’hanno raggiunta a 18 mesi.
Nella fase patologica iniziale della malattia nei partecipanti con tau medio-bassa, il trattamento con donanemab ha prodotto assenza di progressione a un anno nel 47% dei partecipanti secondo la valutazione CDR-SB, rispetto al 29% con placebo. I partecipanti trattati con donanemab hanno anche presentato un rischio inferiore (39%) di progredire allo stadio clinico successivo della malattia nel corso dello studio di 18 mesi. Questo ritardo nella progressione ha significato che, in media, i partecipanti trattati con donanemab hanno avuto altri 7,5 mesi prima di raggiungere lo stesso livello di declino cognitivo e funzionale secondo CDR-SB rispetto a quelli con placebo.
L’incidenza di anomalie all’imaging correlate all’amiloide (ARIA, amyloid-related imaging abnormalities) e delle reazioni correlate all’infusione è stata coerente con il precedente studio Trailblazer-Alz.
Si verificano casi di ARIA in tutta la classe delle terapie anticorpali volte a eliminare la placca amiloide.
Sono più comunemente osservate come gonfiore temporaneo in una o più aree del cervello (ARIAE) o come micro-emorragie o siderosi superficiale (ARIA-H) – in entrambi i casi rilevate da risonanza magnetica – le quali possono essere gravi e, in alcuni casi, persino fatali. Questo rischio deve essere gestito mediante attenta osservazione, monitoraggio con risonanza magnetica e azioni appropriate, se 5 vengono rilevate ARIA. Sono state osservate anche gravi reazioni correlate all’infusione, nonchè anafilassi.
-foto Agenzia Fotogramma-
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Melanomi e altri tumori della pelle, i consigli dell’esperto

ROMA (ITALPRESS) – Il melanoma è un tumore maligno della pelle che origina dai melanociti, cellule dell’epidermide che producono melanina, il pigmento responsabile della colorazione della pelle e dei capelli. Fino a pochi anni fa considerato un tumore raro, oggi ha un’incidenza in crescita costante in tutto il mondo. Numerosi studi suggeriscono che questa sia addirittura raddoppiata negli ultimi dieci anni. Globalmente si stima che nell’ultimo decennio il melanoma abbia raggiunto centomila casi l’anno, con un aumento di circa il 15% rispetto al decennio precedente. In particolare, il melanoma è decine di volte più frequente nei soggetti di ceppo europeo caucasici rispetto alle altre etnie. I tassi di incidenza più elevati si riscontrano nelle aree molto soleggiate e abitate da popolazioni di ceppo nordeuropeo con la pelle particolarmente chiara. Rarissimo prima della pubertà, colpisce prevalentemente persone tra i 30 e i 60 anni. In Italia la stima dei melanomi e dei decessi a essi attribuiti è tuttora approssimativa e si aggira intorno a 7.000 casi l’anno, i dati relativi alla sopravvivenza sono in costante miglioramento grazie anche al diffondersi della diagnosi precoce. Sono questi alcuni dei temi trattati da Paola Queirolo, direttore del reparto oncologia medica del melanoma e sarcomi dello Ieo di Milano e coordinatore delle linee guida dell’associazione italiana di oncologia medica, intervistata da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress: “Il melanoma è un tumore che in genere è cutaneo, più raramente esistono i melanomi delle mucose ma sono davvero eccezionali, e nasce dai melanociti, le cellule deputate alle difese al sole – ha esordito la professoressa – E’ tipicamente un tumore che insorge sulla pelle esposta in modo acuto al sole o soprattutto è frutto di scottature subite nell’infanzia e nell’adolescenza. Ci sono lesioni che sono assolutamente subdole, i colori possono andare dal nerastro al blu al rossastro, ci sono anche le forme nodulari che sono rosa, quindi queste lesioni sono assolutamente difficili da diagnosticare e hanno bisogno di grandi specialisti nel controllo nel tempo”.
Ma chi è più a rischio? Queirolo prova ad analizzarlo: “Due dei sei fototipi più a rischio sono quelli con capelli rossi e pelle bianca, per esempio Nicole Kidman, oppure i biondi con lentiggini e occhi azzurri o verdi, se hanno avuto scottature nell’infanzia o nell’adolescenza sono maggiormente a rischio melanoma, e questi sono fattori immodificabili – ha spiegato – E poi vi sono i fattori legati alla forte esposizione al sole, negli ultimi anni assistiamo al fenomeno incredibile di bambini piccoli lasciati al sole per tutta la giornata, cosa che quando eravamo piccoli noi assolutamente non succedeva”. Alla base dei melanomi c’è sicuramente l’inquinamento, è un fattore importante nell’insorgenza di qualsiasi tipo di tumore – ha aggiunto – Per quanto riguarda il melanoma, iniziano in tal senso a esserci studi importanti ma recenti. Così come per il rapporto tra nutrizione e melanoma. E ci sono state anche descrizioni di aumenti di incidenza dove è più sottile l’ozono nell’atmosfera, per esempio in Australia”. E sulla possibilità di avere in tempi rapidi un vaccino per il melanoma: “I vaccini sono attuali nel senso che abbiamo già lo studio di fase uno che è stato portato a New Orleans da pochi giorni – ha spiegato – Quest’estate fortunatamente il mio centro è stato selezionato da alcuni altri in Europa per poter somministrare il vaccino fatto proprio con le cellule del tumore stesso, con il melanoma o metastasi di melanoma resecate, che vengono poi portate a un laboratorio centrale di Moderna e vengono selezionati circa una trentina di neoantigeni del tumore e poi somministrato in nove dosi ai pazienti dopo l’intervento”. “Ho scelto di occuparmi di melanoma proprio perchè è stato il modello di applicazione dell’immunoterapia – ha raccontato – Non funzionava la chemioterapia, poi è arrivata l’immunoterapia che ha dimostrato di poter guarire i pazienti anche dalla fase metastatica della malattia. I margini di guarigione sono cresciuti nel tempo, con la chirurgia sono guariti più dell’80% dei casi, nei casi di metastasi il 50% dei pazienti sono vivi a cinque anni. Prima dell’arrivo dell’immunoterapia, la mediana di sopravvivenza era di appena sei mesi”. Il melanoma non è però il tumore cutaneo più diffuso: “Il melanoma è il tumore più aggressivo e mortale, ma ci sono tumori molto più frequenti, come il carcinoma basocellulare, che rappresenta l’80% dei tumori cutanei ed è il più frequente nel mondo ma anche il più guaribile – ha aggiunto – Se non trattati chirurgicamente in tempi brevi, anche questo tipo di lesioni possono aumentare localmente, non danno metastasi ma rischiano di crescere”. Infine, un consiglio per non farsi prendere dal panico in caso di macchie della pelle: “E’ buona norma conoscere la regola dell’ABCDE, vale a dire l’asimmetria, i bordi irregolari, il colore disomogeneo, le dimensioni di più di cinque millimetri e l’evoluzione – ha concluso – E’ fondamentale eseguire una visita dallo specialista dei tumori cutanei, che sia un dermatologo o un oncologo, sono loro che conoscono i tipi di lesione e sanno come comportarsi”.
-foto Italpress –
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Allarme super batteri, Pregliasco “Usare meno gli antibiotici”

MILANO (ITALPRESS) – Uso degli antibiotici, allevamenti intensivi, guerra, crisi climatiche, disuguaglianze sanitarie sono le condizioni alla base dello sviluppo dei cosiddetti super batteri, microrganismi sempre più forti e sempre più difficili da combattere. Nel mondo le malattie infettive provocate dai super batteri hanno provocato almeno 700.000 morti all’anno. In Europa nel 2020 hanno colpito 600.000 persone causando più di 33.000 decessi, di questi ben 11.000 sono avvenuti nel nostro paese, che si è guadagnato così un poco lusinghiero primato nel continente. Un fenomeno che, secondo le stime, se non sarà arrestato in tempo, provocherà 10 milioni di morti all’anno entro il 2050, superando così persino i decessi causati dal cancro. Sono questi alcuni dei temi trattati da Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano e presidente dell’Anpas, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress: “I batteri cattivi sono batteri che purtroppo capiscono come schivare l’azione degli antibiotici – ha esordito il professore – Nel 1945 la penicillina, il primo antibiotico, ci aveva dato speranze notevoli, e così è stato, di ridurre l’impatto delle malattie infettive batteriche, ma poi i batteri, per un fatto naturale purtroppo di evoluzione e capacità di resistenza, hanno acquisito spesso e volentieri questa antibiotico resistenza, quindi la capacità di schivare l’antibiotico nei suoi effetti e vediamo adesso creare forme spesso pesanti, a volte anche mortali nelle persone più fragili, con un rischio futuro molto pesante se non si fa qualcosa”. E sono recenti due casi in Italia di contagio citati da Pregliasco: “In Italia di recente ci sono stati alcuni casi, un citrobacter a Verona in una terapia intensiva neonatale proprio a causa di un contagio che si è visto essersi protratto per diversi mesi o anni – ha spiegato – Un’altra situazione era legata agli strumenti veramente importanti come i sistemi per la circolazione extracorporea, che purtroppo però si sono contaminati anche qui con un micobatterio chimaerae, un nome bello ma pesante per i suoi effetti, che ha determinato pesanti situazioni su persone cardio-operate: per molti c’è stata la paura di essere coinvolti, perchè la patologia può insorgere anche in seguito”.
Sull’argomento, Pregliasco ha scritto un libro divulgativo: “Si intitola ‘I superbatterì per evidenziare che non si tratta di un libro scientifico nel senso tecnico e professionale, ma di un libro divulgativo dove raccontiamo storie di persone che hanno avuto dei guai, storie di persone che negli anni hanno poi fatto e stanno facendo cose in positivo – ha raccontato – Attraverso queste storie e questa individuazione delle persone poi si arriva nella parte finale al racconto di quegli elementi pratici e oggettivi che ognuno può attuare, perchè è una responsabilità condivisa”. Gli allevamenti intensivi, ora vietati in Italia, hanno determinato un grosso problema in passato: “Lo hanno fatto in termini di non responsabilità, ovvero di un uso improprio, eccessivo, per massimizzare il risultato degli allenamenti e far vivere male, in un contesto di affollamento, ma far crescere comunque gli animali – ha aggiunto – Oggi è vietato, l’Italia è molto attenta e ha prescritto la ricetta elettronica e l’indicazione solo di uso come è giusto che sia per gli umani per la terapia e non per la prevenzione, ma purtroppo dobbiamo considerare l’antibiotico come una lama che ogni volta che si usa un pochettino perde il filo, per cui non va sprecato”. Pregliasco ha ricordato come anche nella vaccinazione, per esempio quella per l’influenza o per il Covid, il batterio cerca di schivare l’antibiotico per un’evoluzione naturale, attrezzandosi. E se per l’OMS lo scenario è apocalittico, per il professor Pregliasco c’è ancora una speranza: “Abbiamo comunque la possibilità e l’opportunità di fare qualcosa. Le istituzioni devono fare sorveglianza, dare disposizioni, gli allevatori devono ridurre questo utilizzo degli antibiotici, i medici devono essere meno pesanti con la penna nell’indicazione a volte eccessiva dell’antibiotico, poi è necessario anche che le aziende farmaceutiche siano più attente, ultimamente avevano deviato la ricerca su argomenti più convenienti – ha ammonito – E poi c’è la responsabilità del paziente. Se l’antibiotico funziona, la sintomatologia migliora subito, molti non seguono la prescrizione nel dosaggio e nella tempistica: se il medico dice per cinque giorni, anche se c’è un immediato miglioramento, si proceda nel tempo. E’ una responsabilità di tutti, però è anche del singolo, ci vuole un’attenzione condivisa. “E’ da un pò di anni che non arrivano nuove molecole, ci sono nuovi antibiotici ma sono variazioni sul tema. Si stanno ricercando negli abissi marini, ma anche all’interno dei virus degli stessi batteri, un altro approccio interessante per avere una vasta scelta, ma per cui va fatta molta attenzione – ha ricordato – Un medico che usa l’ultimo antibiotico a disposizione vuol dire sprecarlo se non è necessario”. La chiosa è sulla recente vicenda personale che ha colpito Madonna: “E’ una donna di 64 anni, dunque comunque non fragilissima. Forse ha trascurato i primi segnali e poi si è ritrovata a dover andare in terapia intensiva. Questo dimostra che i batteri sono con noi, qualcosa con cui dobbiamo fare i conti – ha concluso – Il Covid ci ha insegnato che la natura riusciamo sì a inseguirla, ma sta anche a noi cittadini, istituzioni, ricercatori e medici di usare il buonsenso come sempre, anche se non è facile”.
– foto Italpress –
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Sanità, Lavoro&Welfare “Sviluppare alleanza fra pubblico e privato”

ROMA (ITALPRESS) – Centralità del servizio sanitario pubblico, tutela della parte più fragile del mondo lavorativo, sviluppare un’alleanza fra pubblico e privato soprattutto per quanto riguarda la sanità integrativa di carattere contrattuale. Sono questi alcuni temi al centro del convegno “Long term care. Sviluppo e sostenibilità” promosso dall’Associazione Lavoro&Walfare. Un incontro dedicato “alla fragilità delle persone più anziane che, nel momento in cui la popolazione tende per fortuna all’invecchiamento, hanno bisogno di maggiori cure. Per farlo noi crediamo nella centralità del servizio sanitario pubblico che è il pilastro essenziale ma, al tempo stesso, sappiamo che ci sono forme private di natura contrattuale o individuale che possono coprire altre esigenze non coperte dal servizio pubblico”, afferma Cesare Damiano, presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare.
“La nostra tesi è quella di sviluppare un’alleanza fra pubblico e privato – spiega – soprattutto per quanto riguarda la sanità integrativa di carattere contrattuale, i grandi fondi contrattuali delle categorie: dei metalmeccanici, dei chimici e di altre situazioni. Noi vorremmo che le adesioni si estendessero e includessero anche la parte più fragile del mondo del lavoro, ovvero chi non ha un lavoro continuativo e, nell’ambito del nucleo familiare, chi è più fragile, in particolare donne, giovani e anziani”, conclude.
Riccardo Cesari dell’Ivass sostiene come “per un nuovo welfare si potrebbe immaginare un partenariato Stato, imprese e Terzo settore dove lo Stato stabilisce le regole e le agevolazioni fiscali, i datori di lavoro e i lavoratori versano i contributi, la compagnie erogano le rendite e/o i risarcimenti in ‘forma specificà mediante imprese sociali specializzate, con presidi e vigilanza sulla qualità dei servizi”.
Domenico Proietti, segretario confederale Uil, evidenzia come l’impianto di previdenza complementare in Italia sia uno dei migliori al mondo, ma c’è la necessità di riflettere su quanto accaduto in questi anni. “La Uil ha una concezione molto chiara sull sanità pubblica, dobbiamo ribadire il valore del Ssn che deve essere pubblico, in questi anni è stato fortemente indebolito dai tagli e oggi la migliore politica economica è una buona politica sanitaria – afferma -, le risorse destinate alla sanità migliorano le prestazioni ma anche il sistema economico del Paese. Su questo c’è un ritardo della politica trasversale, tre anni fa non sono stati utilizzati i 37 miliardi del Mes sanitario, sono state sventolate bandierine ideologiche e c’è stata una miopia che oggi paghiamo molto caramente”.
Alberto Oliveti, presidente Enpam-Adepp, spiega che il nostro Paese in termini di copertura sociale “non ha numeri rilevantissimi e dobbiamo porci il problema di come far fronte alla questione. Come Fondazione Enpam ci siamo posti il problema di monitorare e collegare il patto tra generazioni subentranti; stiamo anche lanciando un progetto sulla prossimità: casa come primo luogo di cura e reti di professionisti che siano vicini. Noi ci prepariamo nel supportare questo rilancio, ovvero la possibilità per giovani professionisti di acquistare studi professionali adeguati, stiamo anche rilanciando la possibilità di dare supporto alla domiciliarità”, conclude.

– foto xb1/Italpress –

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Garibaldi Catania, il Team modello per migliorare la qualità dei servizi

CATANIA (ITALPRESS) – L’Arnas Garibaldi di Catania implementa i processi di amalgama professionale e propone un modello innovativo per migliorare la qualità dei servizi: il Team. Niente di nuovo apparentemente, ma del tutto rivoluzionario in un ambiente, quello ospedaliero, che da sempre stenta a comunicare al proprio interno. Capofila del nuovo corso è stata l’Unità Operativa Complessa di Ginecologia e Ostetricia, diretta dal professor Giuseppe Ettore, la quale non ha perso tempo e ha spalancato le porte del proprio reparto, presentandosi all’Azienda.
“Ad organico quasi al completo siamo circa centoquaranta – ha detto il primario aprendo l’incontro – e non è infrequente che in corsia due operatori che si incrociano magari ancora non si conoscano. Serve rafforzare i meccanismi di comunicazione tra tutti i professionisti che lavorano all’interno della stessa struttura, anche tra il mondo sanitario e amministrativo, creando un gioco di squadra vincente e di qualità”.
Un messaggio fondamentale che ha raggiunto un primo obiettivo, soprattutto se si considera che all’evento erano presenti decine di Medici, Biologi, Ostetriche, Infermieri, OSS, ASS, Amministrativi, i quali hanno anche festeggiato l’arrivo dei nuovi colleghi assunti di recente dall’Arnas Garibaldi. Peraltro tutti indossavano orgogliosamente la nuova divisa con il simbolo del Dipartimento Materno Infantile.
“Seppur nel pieno della calura catanese, che in questi giorni si fa sentire in tutta la sua intensità – ha aggiunto il professor Ettore – all’appuntamento non è mancato nessuno, nemmeno coloro che si trovavano in ferie”.
A portare i saluti aziendali sono intervenuti anche il Commissario Straordinario, Fabrizio De Nicola, il direttore amministrativo, Giovanni Annino, e il direttore sanitario, Giuseppe Giammanco, “tutti convinti che in questo momento di crisi della sanità pubblica una delle chiavi di volta è rappresentata dalla condivisione e dal gioco di squadra di tutti i componenti dell’ospedale”.
Infine, un breve e intenso momento di preghiera è stato affidato a Monsignor Genchi, il quale ha voluto ricordare “il profondo valore delle professioni sanitarie e dei bisogni dei pazienti”, conclude la nota.

– foto ufficio stampa Arnas Garibaldi –
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Sanità, in Senato un progetto sull’equità di genere nelle professioni

ROMA (ITALPRESS) – Affrontare il tema dell’equità di genere all’interno delle professioni sanitarie. E’ l’obiettivo del progetto SeGeA, presentato in Senato, nella Sala Zuccari del Palazzo Giustiniani. L’iniziativa è stata promossa dalla Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP. L’evento, che ha visto la partecipazione di esperti, professionisti del settore e rappresentanti istituzionali, ha avuto l’obiettivo di illustrare e diffondere l’applicazione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale, come stabilito dall’articolo 3 della legge 3 del 2018. La legge, promossa e firmata dal già Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha sancito l’importanza di considerare le differenze di genere nella pratica medica e di promuovere l’uguaglianza di accesso alle cure.
‘Il progetto SeGeA ha messo in luce diversi ambiti di disparità di sesso e genere, su cui è fondamentale intervenire, in modo strutturato e non rimandando alla sensibilità di ognuno – è quanto ha sottolineato in apertura dei lavori Teresa Calandra, Presidente della FNO TSRM e PSTRP, che ha aggiunto che tutto quel che oggi sappiamo o che sapremo studiando questi fenomeni non può solo servire a capirli meglio, ma deve necessariamente essere utilizzato per prevenirli, usando questo sapere per progettare e realizzare interventi che ne prevengano o controllino le causè.
Beatrice Lorenzin in apertura del convegno ha ribadito: ‘Siamo ancora molto indietro e la ricerca testimonia quello che noi già sappiamo: ci sono ancora degli scogli culturali molto grandi, c’è la consapevolezza, la percezione delle discriminazioni che le donne, che sono la maggioranza con circa l’80% del mondo sanitario, subiscono, sia in termini di carriera sia in termini di qualità professionale. I numeri ci dicono anche come questa percezione viene tradotta dal decisore politico, pensiamo alle commissioni, ai comitati, ai luoghi del potere del sistema sanitario ancora, purtroppo, prettamente maschilì.
Anche il Ministro della salute, Orazio Schillaci, ha fatto pervenire il proprio saluto all’evento: ‘Promuovere tra le professioniste e i professionisti della sanità un approccio attento e sensibile all’impatto delle differenze di genere sullo stato di salute e di malattia di ogni persona è un obiettivo sempre più impellente. Per centrarlo servono competenze e formazione specifiche che il vostro progetto intende favorirè.
Ha fatto pervenire i saluti anche Mariella Mainolfi, Direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del SSN del Ministero della salute che ha voluto testimoniare la sua vicinanza e il suo sostegno all’iniziativa per l’importanza e la sensibilità della tematica trattata, ribadendo che la Direzione generale delle professioni sanitarie che presiede sta lavorando sulla tematica della medicina di genere, oggetto dell’evento. ‘Non possiamo permetterci di rinunciare al prezioso insieme di idee, pensieri e contributi intellettuale delle donne, soprattutto quando rappresentano il 68% dei nostri professionisti. Questo evento rappresenta un’importante occasione per ribadire l’importanza di aver investito in questo progetto e per sottolineare il nostro impegno costante verso la promozione dell’uguaglianza di generè è il commento di Giovanni De Biasi, membro del Comitato centrale della FNO TSRM e PSTRP con delega all’equità tra i generi che, insieme a Fulvia Signani, Presidente di Engendering Health (EngHea), ha presentato il progetto SeGeA. Il progetto SeGeA, realizzato dalla FNO TSRM e PSTRP, in collaborazione con EngHea, si propone di promuovere un approccio di sesso e genere nelle professioni sanitarie attraverso l’implementazione di strategie basate su un solido razionale e un’articolata metodologia.
L’iniziativa ha previsto due momenti. ‘Una prima fase di indagine sui professionisti sanitari per comprendere quanto essi ritenessero importante conoscere i risvolti concettuali e pratici del tema, anche se gli stessi professionisti non erano ancora completamente alfabetizzati sulla questione. I risultati hanno consentito di porre le basi della seconda fase: un percorso formativo mirato a garantire la condivisione di un comune corpus teorico/pratico utile all’avvio della costruzione di una ‘comunità competentè sull’approcciò è il commento della Presidente Signani. Di fatto sono state messe a disposizione degli iscritti agli Ordini TSRM e PSTRP due eventi formativi con temi che informano delle differenze di sesso e genere sia nelle caratteristiche anatomo-patologiche che nella relazione con la persona assistita. I risultati ottenuti e le attività di formazione sono stati presentati da Chiara Annovazzi, Assegnista di Ricerca presso l’Università della Valle D’Aosta, e da Amelia Ceci, Referente della medicina di genere presso l’AUSL-IRCCS di Reggio Emilia, nonchè membro del Consiglio direttivo di EngHea.
Il questionario, composto appositamente assemblando scale validate e ricavate da letteratura nazionale e internazionale, ha visto l’accesso di più di 11.000 professionisti sanitari. Di questi, 6430 contributi sono stati completati e ritenuti statisticamente validi per le successive analisi. L’1% dei rispondenti ha preferito non dichiarare il genere, mentre, dei restanti, il 77% si è riconosciuto sotto la definizione ‘donnà, con proporzioni numeriche che rispecchiano il rapporto maschi/femmine degli iscritti alla Federazione nazionale. Dall’incrocio di risposte diverse emerge l’elemento significativo che le donne/professioniste risultano ancora molto condizionate dal ruolo tradizionale di persona dedita alla ‘cura domesticà. Nel quasi 80% dei casi le donne/professioniste, oltre al lavoro, si prendono cura di qualche famigliare, tanto da riportare un alto livello di ‘conflitto multi-ruolò, la situazione cioè di coloro che devono conciliare, non senza difficoltà, la vita privata e quella professionale. Dato che si manifesta concretamente anche nel fatto che il 23% delle donne, rispetto al 7% degli uomini, decide di svolgere la propria professione part-time, con le evidenti ed ovvie penalizzazioni di carriera.
Una tavola rotonda con la partecipazione di esperti e rappresentanti di diverse Istituzioni ha chiuso l’evento, tra i partecipanti del dibattito finale Luca Busani, rappresentante del Centro di riferimento di medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità (ISS), Flavia Franconi, Coordinatrice del laboratorio di medicina e farmacologia di genere del Consorzio interuniversitario INBB, Alessandra Gallone, Consigliere del Ministro dell’università e ricerca, Silvia Maffei, Medico ginecologa presso il CNR-Regione Toscana ‘G. Monasteriò di Pisa e membro del Consiglio direttivo di EngHea, Annamaria Moretti, Presidente nazionale del Gruppo italiano salute e genere (GISeG), Fulvia Signani, Presidente di EngHea e Teresa Calandra e Giovanni De Biasi, entrambi rappresentanti della FNO TSRM e PSTRP. Luca Busani, rappresentante del Centro di riferimento di medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità (ISS): ‘Il nostro Centro è interessato a raccogliere esperienze di questo tipo, che indaghino gli aspetti di sesso e genere, al fine di promuovere buone pratiche e una formazione specifica, colmando le lacune conoscitive e migliorando le competenze professionali a favore della salute della personà.
I libri di medicina riflettono i giovani uomini caucasici di 70 kg di peso. Curiosamente la stessa dose di farmaco è somministrata alle donne che pesano 10 kg di meno. Tutto ciò ha portato a diagnosi tardive nell’infarto del miocardio e in alcuni tumori (polmone) e a una minore appropriatezza terapeutica nell’infarto cardiaco, insufficienza renale nelle donne rispetto agli uomini. Come risolvere queste criticità? Flavia Franconi, Coordinatrice del laboratorio di medicina e farmacologia di genere del Consorzio inter-universitario INBB sostiene che la soluzione è la formazione: ‘Solo la conoscenza fa superare tutto ciò. Gli operatori sanitari devono essere consapevoli delle differenze anche per evitare rischi personali. La formazione deve essere presente in tutte le discipline dei corsi di laurea sanitarie, ma deve estendersi anche a professionisti non sanitari che disegnano e progettano i dispositivi medici (es. Fisici e Ingegneri), agli informatici che raccolgono ed analizzano i big-data perchè se non utilizzano un approccio di sesso-genere anche l’intelligenza artificiale perpetuerà il gender gap. Per non dimenticare le professionalità amministrative. Accanto alla formazione pre-laurea è necessario provvedere a quella continua adottando in ambedue casi a metodologie multidisciplinari e intersettorialì.
Alessandra Gallone, Consigliere del Ministro dell’università e ricerca, partecipando all’evento odierno ha ribadito che per migliorare il nostro sistema di cure occorre ‘personalizzare le terapiè rispettando le differenze di sesso e genere e ciò è possibile solo con la formazione. ‘L’Italia è stata il primo Paese in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di ‘generè in medicina, indispensabile a garantire ad ogni persona la cura migliore, rispettando le differenze e arrivando a una effettiva ‘personalizzazione delle terapiè. Per formare i professionisti della salute di domani è necessario offrirgli i migliori strumenti tecnologi, ampliare le loro possibilità di usare la robotica ma dobbiamo anche riportare al centro quella cura che non è un elenco di sintomi e terapie, ma la somma di osservazioni, di contatti e di dialogò.
La promozione di un approccio attento alle differenze di sesso/genere beneficerà non solo agli assistiti, ma anche ai professionisti sanitari stessi. Un’attenzione mirata alla specificità di genere consentirà di migliorare la qualità delle cure, aumentare l’efficacia dei trattamenti e prevenire potenziali danni legati a disuguaglianze di genere nel campo della salute, è la tesi sostenuta da Silvia Maffei, Medico ginecologa presso il CNR-Regione Toscana ‘G. Monasteriò di Pisa e membro del Consiglio direttivo di EngHea che dichiara: ‘E’ cruciale proporre l’approccio attento alle differenze sesso/genere a tutte le professioni sanitarie, con un coinvolgimento trasversale, includendo tutti i comparti organizzativi e clinici e mirando all’ottimizzazione delle performance cliniche e di ricercà.
La valutazione delle differenze di sesso e genere costituisce oggi un elemento fondamentale per lo sviluppo di una ‘medicina equa, appropriata ed inclusivà e l’utilizzo di indicatori specifici deve costituire parte integrante anche dei programmi di ricerca, formazione, comunicazione.
Secondo Annamaria Moretti, Presidente nazionale del GISeG, è necessario impostare politiche orientate a aumentare strategie efficaci per affrontare le disuguaglianze di genere nei servizi sanitari e garantire alle persone la cura migliore: ‘La possibilità che i Governi possano continuare a erogare percorsi di cura caratterizzati da elevata qualità a tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro caratteristiche biologiche, sociali e culturali, è non solo improbabile, ma anche strettamente correlata alla sostenibilità dei sistemi sanitari. E’ necessario quindi sollecitare le Istituzioni a sviluppare programmi per la conoscenza, la formazione e la promozione della salute e prevenzione delle malattie, investire nei sistemi di prevenzione ed assistenza primaria, trasferire l’assistenza sanitaria su territorio potenziando le cure ambulatoriali e domiciliari più accessibili e meno costose, con una particolare attenzione al rapporto tra indicatori di genere e sostenibilità sociale. La dimensione di genere nella salute è pertanto una necessità di metodo e analisi che diventerà presto, speriamo, strumento di governo e di programmazione sanitarià.
-foto ufficio stampa FNO TSRM e PSTRP –
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