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Eccessi cutanei post-dimagrimento, un aiuto dalla chirurgia plastica

MILANO (ITALPRESS) – Prima 150 chilogrammi, poi 90. Può succedere grazie a una lunga dieta ma anche, più spesso, in seguito a un intervento di chirurgia bariatrica a cui si ricorre negli obesi per modificare la struttura dell’apparato digerente con lo scopo di ridurre l’assunzione di cibo e calorie. In persone così fortemente in sovrappeso la perdita di 40-50 o anche 60 chili è positiva per la salute ma genera un nuovo problema. I tessuti di rivestimento, infatti, risultano molli, svuotati e cadenti. Una condizione esteticamente non gradevole ma soprattutto causa di fastidi, difficoltà nell’igiene personale e nei movimenti, a partire dal camminare. La chirurgia che si occupa di eliminare questi eccessi cutanei è detta morfofunzionale e viene eseguita dal chirurgo plastico. Si tratta di interventi sempre più frequenti e in crescita, attualmente stimati a oltre 30 mila all’anno in Italia. Questo è uno dei temi affrontati da Franco Bassetto, direttore UOC Chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
Se un paziente ex obeso riesce a mantenere il “peso per almeno sei mesi probabilmente è arrivato a una stabilità. A questo punto – ha spiegato – subentra la chirurgia plastica morfofunzionale che sarà applicata in più parti del corpo”.
“Il disagio che un paziente post-bariatrico vive è molto personale”, ha sottolineato. Spesso si comincia dalla regione addominale che quando perde “molto tessuto adiposo sottocutaneo forma una sorta di grembiule che interferisce con il modo di vestirsi e spesso anche con una vita sessuale normale”.
Tra gli interventi, prima “era molto richiesta la mammella mentre oggi – ha spiegato – molte pazienti scelgono la brachioplastica, cioè partire dalla radice delle braccia. La mammella continua comunque a essere un intervento molto richiesto”.
Ci sono rischi particolari? “Il rischio – ha detto – non è lo stesso della chirurgia estetica perchè queste pazienti conservano, per esempio, un calibro dei vasi che rimane quello di quando si erano ingrossati”.
“Molto spesso le pazienti – ha aggiunto – pensano che il percorso post-bariatrico sia semplice ma non è così perchè spesso gli interventi sono quattro o cinque, dobbiamo cercare di combinarli quando possiamo e c’è il discorso del rischio tromboembolico. Devono essere eseguiti in centri affidabili con anestesisti e un’èquipe chirurgica d’esperienza. L’intervento non può e non deve durare più di 3 o 4 ore”. In particolare, l’intervento combinato “deve prevedere una èquipe con più elementi coordinati da un unico regista ma che lavorano in contemporanea in più sedi corporee per ridurre il più possibile il tempo ma ovviamente – ha concluso – combinando interventi diversi”.

– foto Italpress –
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Terapisti occupazionali a confronto sul futuro della professione

ROMA (ITALPRESS) – Il 24 maggio ricorre la Giornata nazionale del Terapista occupazionale, una data storica che ricorda la pubblicazione del Decreto ministeriale (136/97), contente il profilo professionale, pubblicato successivamente in Gazzetta ufficiale (119/97). Giornata di festeggiamenti per i 3 mila Terapisti occupazionali di Italia. In alcune città le Commissioni di albo dei Terapisti occupazionali degli Ordini TSRM e PSTRP e la Associazione tecnico scientifica AITO (Associazione italiana Terapisti occupazionali) hanno organizzato molti eventi, con l’intento di promuovere la professione e farla sentire più vicina ai cittadini.
Per l’occasione la Commissione di albo nazionale dei Terapisti occupazionali (TO) annuncia l’avvio verso “Gli Stati generali della Terapia occupazionale”, che si concluderà a maggio 2024.
“Gli Stati generali, per definizione, sono uno spazio aperto di dialogo, accessibile a tutti i portatori di interessi su una precisa tematica – è il commento di Francesco Della Gatta, presidente della Commissione di albo nazionale TO – auspichiamo pertanto la costruzione di un percorso condiviso tra colleghi, per avviare un confronto proficuo per la nostra professione e che risponda sempre più ai bisogni di salute della popolazione”.
Il primo appuntamento, in preparazione di quello che si preannuncia uno storico evento per la professione del Terapista occupazionale, si terrà online il prossimo 27 maggio.
Questo incontro, a cui sono invitati tutti i Terapisti occupazionali, ha l’ambizione di ascoltare e confrontarsi con tutti per il futuro della professione in Italia.
“Riteniamo che per pensare al Terapista occupazionale del domani, sia determinante coinvolgere la nostra comunità, tutti insieme per la prima volta all’interno di un albo, per “fare ordine” tra identità, formazione, evoluzione delle competenze, aspetti giuridico medico legali, tematiche importanti che sono state al centro delle Giornate nazionali degli anni passati. Daremo la possibilità a tutti di interagire con domande, suggerimenti e spunti”, conclude Della Gatta.

– foto ufficio stampa Fno Tsrm e Pstrp –
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Modelli per malattie infettive in area Mediterraneo, Sicilia come hub

CATANIA (ITALPRESS) – Le malattie infettive non conoscono frontiere. Questo l’argomento affrontato a Catania, presso l’Auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini, al convegno MedCom Forum in Sanità dal titolo “Quali modelli organizzativi per le malattie infettive nell’area Mediterranea: la Sicilia come Hub”, organizzato da CerpMed (Centro Studi e Ricerche sulle Relazioni Pubbliche nel Mediterraneo) con il patrocinio di Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Regione Siciliana, Università degli Studi di Catania, Federsanità, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, SITA, Società Italiana di Microbiologia, Medici Senza Frontiere, CEFPAS, NCDC Lybia, ARNAS Garibaldi, Comunicazione Pubblica; e con il contributo incondizionato di Gilead Sciences, Menarini e Eht.
Il Convegno, che ha visto la partecipazione di personalità nazionali e internazionali, della Sanità e della Politica, ha puntato i riflettori sulla gestione delle malattie infettive nell’area del mediterraneo, analizzando con attenzione gli approcci dei singoli stati e proponendo l’introduzione di nuovi percorsi condivisi.
L’apertura dei lavori è stata preceduta dai saluti dal Presidente della Regione siciliana Renato Schifani, il quale ha ricordato l’importanza strategica del confronto e del dibattito nella lotta alle malattie infettive.
“L’emergenza Covid, che ha colpito l’intera comunità internazionale, – ha detto il Governatore – ci ha portato a riflettere molto sulla pericolosità delle malattie infettive per l’uomo. Ben venga, quindi, questo prestigioso Forum capace di attivare uno scambio proficuo di idee e proposte per giungere a modelli organizzativi idonei ad affrontare con efficacia le emergenze nell’area del mediterraneo”.
A dare il saluto ai numerosi ospiti intervenuti è stata Amanda Jane Succi, Presidente di Cerpmed, accompagnata dal Presidente del Comitato scientifico MedCom in Sanità, Francesco Santocono, ai quali si sono succeduti quelli di Kheit Abdelhafid, presidente delle comunità islamiche di Sicilia, di Girolamo Guarnieri, Responsabile Servizio Dasoe della Regione Siciliana.
Per l’area mediterranea sono intervenuti: Mohamad Fawzy El Nahif del Ministero della Salute Egiziano; Haider Muftah Salem El Saeh, Direttore Generale NCDC, Libia; Mira Al-Amer, Direttore Sanitario Malattie Infettive della Giordania; Abdulmenem Alkmashe, Direttore Ufficio Cooperazione Tecnica NCDC, Libia; Madonna Mattar, Presidente della Società Malattie Infettive del Ministero della Salute del Libano; Mohammad Al-Màayteh, Direttore Dipartimento Laboratori JCDC Jordan Center for Disease Control, Giordania; Orlando Armignacco, Direttore Sanitario Ospedale “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana, Albania; Leila Bouabid del Ministero della Salute della Tunisia; Najy Alsayed, Global Therapeutic Area Head Menarini Group; Ahmed Alaruusi del Dipartimento Emergenza Salute Pubblica NCDC, Libia.
“La presenza di molti relatori internazionali – ha detto la dottoressa Succi – dimostra il grande interesse che ruota attorno agli argomenti trattati in questo convegno. Ovviamente, adesso occorre lavorare insieme per costruire un programma di condivisione che possa durare nel tempo”.
Di altissimo valore i contenuti dei numerosi contributi proposti dai relatori, i quali continueranno a lavorare per gli obiettivi condivisi.
Tra questi quelli di Ranieri Guerra, Direttore Relazioni Internazionali Accademia Nazionale di Medicina; Tiziana Frittelli, Presidente Federsanità Anci; Anna Teresa Palamara, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore Sanità; Walter Ricciardi, Ordinario di Igiene presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma); Claudio Pulvirenti, Direttore USMAF SASN Sicilia Ministero della Salute; Claudio Mastroianni, Presidente della Società Italiana Malattie Infettive; Chiara Montaldo, Head of Medical Unit Medici Senza Frontiere MSF Italia; Stefania Stefani, Presidente Società Italiana di Microbiologia (SIM); Marco Magheri, Segretario Generale Comunicazione Pubblica; Bruno Cacopardo, Direttore Malattie Infettive ARNAS Garibaldi di Catania, Fabrizio De Nicola, Commissario Straordinario Arnas Garibaldi; Salvatore Giuffrida, Commissario Straordinario Ospedale Cannizzaro di Catania; Carmelo Iacobello, Direttore UOC di Malattie Infettive Azienda Ospedaliera Cannizzaro di Catania; Arturo Montineri, Direttore UOC Malattie Infettive San Marco Catania, Giuseppe Nunnari, Presidente Regionale SIMIT Sicilia; Fabrizio Pulvirenti, Direttore UOC di Malattie infettive Ospedale di Gela; Matteo Bassetti, Presidente Sita Società Italiana di Terapia Antinfettiva Antibatterica Antivirale Antifungina; Antonio Cascio Direttore UOC Malattie Infettive, AOU Policlinico “P. Giaccone” di Palermo; Antonio Craxì, Professore Ordinario di Gastroenterologia e già Direttore Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone” Palermo; Roberto Sanfilippo, Direttore Generale CEFPAS Regione Siciliana; Eleonora Indorato, Dirigente Scuola di Medicina generale CEFPAS; Frederico Da Silva, General Manager Gilead Sciences, Giovanni Distefano, Pubbliche relazioni Eht; Anna Maria Marino, Direttore Aria Catania dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia; Giuseppe Laccoto, Presidente della Commissione Sanità dell’Ars; Giovanni Burtone, componente della Commissione sanità della regione siciliana.
A concludere i lavori, dopo l’intervento istituzionale del Rettore dell’Università di Catania, Francesco Priolo, è intervenuto il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, il quale ha voluto sottolineare l’importanza della collaborazione e dell’universalità della copertura sanitaria.
“La maggior parte dei problemi relativi alla salute – ha concluso il Ministro – è di natura globale e richiede una soluzione globale. Al recente G7 in Giappone abbiamo condiviso un documento che va in questa direzione. Occorre tenere alta l’attenzione con un approccio sistematico, soprattutto rispetto alle malattie infettive, per le quali serve sostenere la ricerca con finanziamenti adeguati”.
foto ufficio stampa Arnas Garibaldi Catania
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Strabismo nei bambini, cruciale una diagnosi precoce

MILANO (ITALPRESS) – Lo strabismo è una malattia che riguarda circa il 3% dei bambini, con un lieve aumento negli ultimi anni. Si tratta di una condizione nella quale gli occhi sono male allineati e non sono orientati nella stessa direzione. Mentre un occhio fissa un oggetto, l’altro è rivolto all’interno, all’esterno, in alto o in basso. Può essere ereditario o dovuto ad anomalie oculari individuali. In due casi su tre allo strabismo è associata l’ambliopia, il cosiddetto “occhio pigro”, che comporta una riduzione dell’acutezza visiva di un occhio. Quando lo strabismo si instaura a causa dell’ambliopia, l’occhio che vede bene viene bendato per far sì che quello pigro lavori di più. La tempistica della diagnosi e del trattamento è cruciale. Infatti il difetto visivo diventa irrecuperabile quando si interviene troppo tardi, con danni che vanno ben oltre l’aspetto estetico. Lo strabismo pregiudica infatti lo sviluppo della funzione visiva binoculare che è quella che consente ad esempio di guidare la macchina e di usare i cellulari in maniera corretta. Lo strabismo è uno dei temi affrontati da Paolo Nucci, professore ordinario di Oftalmologia all’Università degli studi di Milano, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
E’ vero che c’è un aumento dello strabismo nei bambini? “E’ vero”, ha affermato Nucci. “La ragione principale, secondo gli studi americani – ha continuato -, è che abbiamo più bambini che hanno piccole sofferenze alla nascita. Questi bambini una volta avevano problematiche più importanti, oggi per fortuna ne hanno pochissime e tra queste rimane lo strabismo. Lo strabismo è legato a una disorganizzazione motoria che interessa la parte più particolare del movimento”.
Per Nucci bisogna innanzitutto far vedere il bambino “da un oculista esperto in questo ambito”. “Il problema principale dello strabismo – ha spiegato – è che questi bambini che hanno gli occhietti deviati tendono ad averne uno dei due che funziona meno. E’ il cosiddetto ‘occhio pigrò. Riconoscerlo prima significa gestirlo e trattarlo con più facilità e meglio”.
Come si corregge lo strabismo? “Prima di passare all’attività chirurgica – ha evidenziato -, la prima cosa che facciamo è bendare l’occhietto. E’ un viatico giusto per la chirurgia: bisogna arrivare con gli occhi che sono più o meno capaci di vedere allo stesso modo. Poi anche gli occhiali sono importanti. Si arriva alla chirurgia in genere verso i 30-36 mesi perchè in quella fase abbiamo ancora un cervello plastico che accetta questa nuova posizione degli occhi”.
Per quanto riguarda la chirurgia, secondo Nucci, “oggi la buona notizia è che si tratta di una chirurgia mininvasiva: facciamo incisioni di mezzo centimetro quadrato, le nascondiamo sotto la palpebra e viene fatto tutto in giornata. Una volta i bambini venivano bendati ed era una situazione abbastanza pesante dal punto di vista psicologico. Oggi i bambini escono sbendati”.
Quali sono i segnali che i genitori devono considerare? “Le mamme mediamente hanno il sesto senso – ha affermato – di capire che c’è qualcosa che non va negli occhietti del bambino. Il primo approccio è quello pediatrico. Bisogna andare dal pediatra di famiglia che ha già le armi, abbastanza rudimentali ma efficaci. Il controllo deve essere precoce perchè l’oculista mette in atto una serie di azioni che sono efficaci. Lo strabismo, però, non è soltanto un problema del bambino”, ha sottolineato. Anche l’adulto, infatti, può essere operato. “La chirurgia dello strabismo – ha evidenziato Nucci – non è da interpretare come chirurgia estetica: ha una sua grossa componente funzionale. Si può operare a qualsiasi età e l’adulto ha risultati comunque molto buoni. Oggi stiamo assistendo a una recrudescenza dello strabismo dell’adulto. Questo nasce in gran parte dal fatto che – ha concluso – molti adulti imparano a lavorare troppo da vicino e ci sono molti miopi”.

– foto Italpress –
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Oms, Schillaci “Dall’Italia collaborazione costruttiva”

ROMA (ITALPRESS) – “L’Oms ha un rilevante ruolo di guida, a livello globale, per il raggiungimento dei più alti livelli di salute quale diritto fondamentale di ogni persona. L’Italia continuerà a contribuire in modo costruttivo, insieme agli altri Stati europei, al dibattito in corso sul Regolamento Internazionale sulla Salute e sul nuovo accordo per le pandemie”. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci che, insieme al vice ministro Cirielli, ha incontrato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus oggi a Ginevra dove è in corso la 76° Assemblea Mondiale della Salute.
“La pandemia – ha aggiunto il ministro Schillaci – ci ha insegnato quanto sia importante costruire un’architettura sanitaria globale efficace per contrastare le sfide future e quanto sia fondamentale il ruolo dei professionisti sanitari che dobbiamo ulteriormente sostenere, obiettivi su cui siamo pronti a lavorare insieme”.
Il ministro ha anticipato alcune delle priorità che saranno sviluppate in vista della Presidenza italiana del G7 raccogliendo pieno sostegno dal Direttore Generale e l’offerta di piena collaborazione da parte dell’OMS al raggiungimento degli obiettivi della Presidenza italiana.

– foto ufficio stampa ministero della Salute –

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Dal Distretto Micronano una ricerca innovativa per il tumore al fegato

PALERMO (ITALPRESS) – Un rilascio mirato e controllato, tramite sistemi nanostrutturati macromolecolari per la cura del tumore al fegato, allo scopo di aumentare l’efficacia e ridurre la tossicità, evitando gli effetti collaterali comuni nella somministrazione degli antitumorali. E’ il risultato di “LiverSmartDrug – Micro e nanosistemi innovativi per la cura efficace del Tumore al Fegato”, il progetto di ricerca presentato questa mattina a Palazzo Steri, a Palermo, coordinato dal Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi.
La ricerca, avviata nel 2020 è la prosecuzione di una delle attività del progetto “Hippocrates”, anch’esso realizzato sotto il coordinamento del Distretto Tecnologico, che aveva ottenuto la brevettazione di un sistema molecolare efficace per il direzionamento di un farmaco, presente in commercio, per la cura dell’epatocarcinoma, grazie ad avanzati nanosistemi molecolari a base di un poliamminoacido sintetico biocompatibile.
Le attività scientifiche di questo progetto sono state coordinate sotto l’egida scientifica della professoressa Sabrina Conoci dell’Università degli Studi di Messina, già responsabile scientifico del progetto Hyppocrates, e hanno visto la partecipazione di oltre 40 tra professori e ricercatori di 5 dipartimenti universitari degli Atenei di Catania, Messina e Palermo.
“Le micro e nano-tecnologie rappresentano la nuova frontiera della ricerca biomedica avendo la materia di questa dimensionalità proprietà uniche e innovative”, ha dichiarato Sabrina Conoci, responsabile scientifica del Progetto.
Le attività di ricerca in vitro hanno dimostrato una migliore efficacia dei nanosistemi contenenti il farmaco antitumorale rispetto al farmaco libero.
Studi in vivo, su cavie da laboratorio, hanno mostrato un significativo aumento dell’efficacia di tali nanoparticelle contenenti il farmaco, nell’inibire la crescita tumorale rispetto al farmaco libero, dopo una somministrazione intraperitoneale.
Gli studi hanno permesso quindi di dimostrare che i nanosistemi somministrati si accumulano in maniera preferenziale nella massa tumorale, mentre la loro presenza negli altri organi è inferiore rispetto a quella mostrata dal farmaco non veicolato.
“Desidero ringraziare la responsabile scientifica e tutti i ricercatori che hanno permesso di raggiungere risultati così importanti e, inoltre, il Dipartimento Attività Produttive della Regione Siciliana, che ha creduto nel lavoro di sperimentazione, già avviato con Hippocrates, ha finanziato questo progetto e ci ha permesso di valorizzare i risultati ottenuti con la precedente ricerca – ha detto Filippo D’Arpa, amministratore delegato del Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nano Sistemi, al termine della presentazione -. Dopo l’ingegnerizzazione e l’ottimizzazione, questi sistemi di drug delivery innovativi saranno poi trasferiti in ambito industriale, con l’obiettivo di avviare collaborazioni con multinazionali farmaceutiche”.
Nel 2020 i casi stimati di tumori epatici sono stati 13 mila e l’epatocarcinoma rappresenta il 75-85% del totale. Il numero di decessi per tumore in Sicilia è stato di 12.700 e il tumore al fegato rappresenta la terza causa di morte, rappresentando l’8% del totale.

– foto credit Salvo Militello –
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Calcoli alla colecisti, ittero e pancreatite i pericoli maggiori

MILANO (ITALPRESS) – I calcoli alla cistifellea o calcoli biliari sono un disturbo molto comune dopo una certa età. Si stima che riguardino l’8% della popolazione dopo i 40 anni e siano frequenti in chi è in sovrappeso, obeso, nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 o con valori del sangue non corretti come il colesterolo alto. Un’alimentazione troppo ricca di grassi, brusche perdite di peso e familiarità sono altri fattori che possono contribuire alla comparsa dei calcoli. Non tutte le persone che li hanno, però, se ne accorgono. Nella grande maggioranza dei casi, infatti, i calcoli alla colecisti non danno sintomi oppure danno sintomi generici come bruciore di stomaco, pesantezza e difficoltà nella digestione. I calcoli possono però muoversi andando a infiammare la colecisti o peggio spostandosi dalla colecisti alla via biliare, che è il canale che mette in comunicazione la colecisti con l’intestino. Quando succede, e succede più spesso quando i calcoli sono piccoli, la via biliare viene ostruita, con la possibilità di sviluppare disturbi quali ittero e pancreatite. Questo è uno dei temi affrontati da Marco Montorsi, responsabile Unità operativa di chirurgia generale dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.
La colecisti, ha spiegato Montorsi, “è un organo cavo, di dimensione di 7-10 centimetri, di colore verdastro, che assomiglia a una pera ed è situata nella faccia inferiore del fegato. Fa parte del complesso delle vie biliari, cioè quelle strutture piccoline che trasportano nell’intestino la bile che si produce nel fegato. Questo è importante – ha sottolineato – perchè la bile ha la funzione di favorire la digestione, in particolare dei grassi. La colecisti è un organo che raccoglie la bile, la concentra e poi, quando il cibo che mangiamo arriva prima nello stomaco e poi nel duodeno, parte uno stimolo ormonale che fa contrarre la colecisti, la bile entra nell’intestino e permette la digestione dei grassi”.
Cosa succede quando i calcoli si inseriscono nei canali? “Se sono molto piccoli – ha spiegato – possono scivolare, ma in realtà producono sempre sintomi. Se sono un pò più grandi e si fermano nel punto cruciale in cui la via biliare termina nel duodeno possono provocare disturbi significativi”.
Quali segnali occorre considerare? “Il sintomo tipico, per il quale una volta fatta la diagnosi si è molto sicuri che sia stata una calcolosi da colecisti – ha affermato -, è la colica biliare. E’ un dolore molto forte che insorge acutamente ed è localizzato in centro addome o a destra. Alcuni pazienti hanno l’impressione di avere un infarto miocardico. Può talvolta trasferirsi posteriormente alla spalla. Non passa spontaneamente ma ha bisogno di antidolorifici”.
Si può confondere con una colica renale? “In medicina spesso i sintomi sono un pò sovrapponibili. La colica renale – ha evidenziato – in genere è un dolore più in basso e che talvolta si porta davanti. Indagando bene il tipo di dolore si può capire di cosa si tratta”.
Quali sono i passi da compiere per la diagnosi? “Il primo esame è l’ecografia. L’ecografia addominale – ha detto – è un esame sicuro, efficace e può essere eseguito in qualsiasi situazione, pure in emergenza quindi anche con paziente sotto dolore, e consente la diagnosi. A questo si può associare un prelievo di sangue e il dosaggio degli enzimi del fegato. Se queste cose sono positive, la diagnosi è virtualmente fatta. Nei casi particolari come ittero o pancreatite può essere necessario approfondire con un esame di secondo livello”.
Per quanto riguarda i casi in cui è necessario l’intervento, la colecistectomia laparoscopica è “diventata il gold standard”. “In Italia – ha ricordato – si fanno circa centomila colecistectomie laparoscopiche all’anno. E’ un intervento sicuro con una degenza molto breve e una ripresa delle funzioni del paziente molto veloce. Però è un intervento chirurgico in anestesia generale che richiede attenzione, valutazione del paziente e l’indicazione deve essere posta sempre con grande attenzione. I tagli classici – ha aggiunto – sono limitati a quando bisogna operare un paziente in emergenza. Non in tutti i casi, perchè la gran parte dei pazienti operati in urgenza si riesce a operare in laparoscopia. Resta una piccola quota, 5-7% dei casi”.
E’ possibile evitare il problema con lo stile di vita? “Evitarlo è difficile perchè c’è un complesso di fattori, come quelli genetici”, ha affermato Montorsi, sottolineando l’importanza di una “vita attiva, non sedentaria, movimento, controllo del peso, alimentazione sana”. “Se c’è un alimento che forse è meglio evitare in presenza di calcoli – ha concluso – è l’uovo perchè determina una contrazione violenta della colecisti”.

– foto Italpress –
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Un polso realizzato con una stampante 3D salva la mano di una neo-mamma

ROMA (ITALPRESS) – Eccezionale intervento effettuato al Gemelli dall’èquipe del professor Giulio Maccauro, direttore della UOC di Ortopedia. Salvata la mano destra di una donna affetta da un tumore raro del polso, grazie all’impianto di una protesi costruita su misura con una stampante 3D da un’azienda italiana, con le indicazioni degli ortopedici del Policlinico Gemelli. La giovane donna, diventata da poco mamma, sta bene e muove tutte le dita della mano. E’ il primo intervento di questo tipo effettuato al mondo e rappresenta un eccellente esempio di chirurgia personalizzata.
E’ una paziente di 39 anni ed è stata già sottoposta a diversi interventi ortopedici per il trattamento di un tumore raro che le aveva completamente distrutto l’articolazione del polso destro. La donna ha riacquistato l’uso della mano destra e scongiurato il pericolo di un’amputazione grazie a un complesso intervento chirurgico che rappresenta anche un ‘first’ assoluto a livello mondiale.
La paziente è stata sottoposta a resezione e ricostruzione del polso con stabilizzazione radio-metacarpica, grazie al posizionamento di protesi prodotta ‘su misurà per lei con una stampante 3D.
L’intervento è stato effettuato da un’èquipe altamente specializzata diretta dal professor Giulio Maccauro, direttore della UOC di Ortopedia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Ortopedia presso l’Università Cattolica, campus di Roma. Insieme a lui, anche il professor Antonio Ziranu, responsabile della UOSD di Traumatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola e ricercatore di ortopedia presso l’Università Cattolica, la dottoressa Elisabetta Pataia, chirurgo orto-plastico (chirurgo plastico ‘dedicatò all’ortopedia) e il dottorando Camillo Fulchignoni chirurgo della mano entrambi in forze al Policlinico Gemelli.
Sono i ‘pionierì di una procedura che inaugura un nuovo filone della medicina personalizzata e apre nuova e interessanti prospettive nella chirurgia ortopedica.
“L’impiego di una protesi 3D personalizzata – spiega il professor Maccauro – ci ha consentito di adattare l’intervento alle specifiche esigenze della paziente, garantendo un’accurata riproduzione anatomica e un elevato grado di funzionalità. La ricostruzione del polso con la stabilizzazione radio-metacarpica rappresenta un notevole progresso nel ripristino delle capacità motorie e nella qualità di vita della paziente”.
Ed è un intervento che ha un valore aggiunto particolare per una donna che è appena diventata mamma di una bambina; i chirurghi hanno atteso che finisse il periodo di allattamento per intervenire. La paziente è affetta da tumore a cellule giganti, un tumore raro (e la localizzazione al polso è una rarità nella rarità) localmente aggressivo e recidivato più volte, fino a comprometterle del tutto l’articolazione.
Era necessario, per salvarle la mano, sostituire il polso con una protesi. Ma non esistono protesi ‘industrialì (cioè già pronte) per questa parte del corpo (come accade invece per l’anca o per il ginocchio). “Per questo – aggiunge il professor Maccauro – abbiamo contatto un’azienda italiana, la Adler-Ortho, specializzata nella progettazione e produzione di protesi articolari che, partendo dalla TAC della paziente e seguendo le nostre indicazioni, ha realizzato al computer un prototipo, stampato 3D in plastica; lo abbiamo esaminato, chiesto di fare alcune modifiche e a quel punto è stata ‘stampatà la protesi definitiva in cronocobalto e titanio. Per l’intervento è stato necessario effettuare un doppio accesso – prosegue il professor Maccauro – dalla parte dorsale e dalla parte volare (inferiore) del polso, per liberare e mettere in sicurezza i vasi, i nervi e i tendini flessori ed estensori della mano. Successivamente abbiamo effettuato una resezione ossea prossimale dell’avambraccio e una resezione distale alla base dei metacarpi, che sono le ossa sulle quali si articolano le dita delle mani. Da ultimo abbiamo posizionato questa protesi, che consente di conservare il movimento delle dita”.
La paziente sta bene, è già tornata a casa e sta proseguendo le sedute di riabilitazione alla mano. Con la sua storia, ha contribuito a scrivere una nuova pagina nella storia della chirurgia ortopedica. Ma, come mamma, a lei forse importa di più poter continuare ad accarezzare e prendere in braccio sua figlia, con quella mano che aveva ormai dato per persa.

– foto ufficio stampa Policlinico Gemelli –
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