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Contratto di locazione ad uso abitativo, tutte le info

Contratto di locazione a uso abitativo: fac simile del modello di contratto. Come procedere alla registrazione con o senza cedolare secca, termini contrattuali, durata del contratto e possibilità di recesso. Uso abitativo transitorio, ordinario o per studenti universitari. Con canone libero o canone concordato.

Il contratto di locazione ad uso abitativo può seguire un regime di canone libero o concordat con le modalità che seguono.

Il contratto di locazione ad uso abitativo prevede un canone concordato quando a uso transitorio o uso per studenti universitari. Quando è un contratto di locazione di tipo ordinario ad abbracciare un affitto a canone concordato cambia la durata dello stesso contratto che sarà di 3 anni + 2 di rinnovo automatico o 3 anni + 3 in caso di intesa.  

Il contratto di locazione a uso abitativo con canone d’affitto libero ha la classica durata di 4 anni + 4 di rinnovo automatico, fatta eccezione in casi particolari o in presenza degli estremi per un recesso.

 

Contratto di locazione a uso abitativo con canone libero o canone concordato. Cosa cambia? 

Il cosiddetto “canone libero” è previsto solo per i contratti di locazione a uso abitativo con la durata di 4 + 4 anni. In questo contesto il canone mensile che l’affittuario dovrà pagare è concordato tra le due parti e non vi sono tetti massimi o minimi. 

In caso di contratto a uso abitativo con canone concordato (che possono essere ordinari dalla durata 3+2 anni, per uso transitorio o per studenti universitari), l’affitto da versare mensilmente deve rientrare tra un massimo e un minimo stabilito mediante accordi territoriali. 

 

Fac simile modello di contratto di locazione a uso abitativo

Al termine della pagina troverete un modello di contratto di locazione ad uso abitativo. Il modello riporta in apertura i dati del locatore e dell’affittuario, il canone mensile e altre info riguardo l’immobile.  Il canone mensile varia non solo in base alla tipologia abitativa (metratura, classe energetica…) e alla posizione, varia anche in base all’arredo. In caso di un locale ammobiliato, il locatore può tutelarsi facendo delle variazioni al fac simile del modello di contratto di locazione a uso abitativo, aggiungendo quindi delle note sul tipo di arredo e ulteriori condizioni contrattuali.

 

Contratti a uso abitativo transitorio o per studenti universitari

Il contratti di locazione ad uso abitativo può essere ordinario (già descritto, dalla durata 4 + 4 o 3 + 2 in caso di canone concordato) di tipo transitorio o a uso per studenti universitari.

 

Contratti di locazione a uso abitativo transitorio

Questo tipo di contratto di locazione a uso abitativo può essere stipulato solo in presenza di particolari esigenze a carico del locatore o dell’affittuario. Per esempio, se il locatore ha un’azienda potrebbe stipulare un contratto di locazione a uso abitativo transitorio per un suo dipendente, o ancora, un lavoratore trasfertista potrebbe necessitare di un’abitazione per la durata del suo contratto di lavoro a tempo determinato. 

La durata minima di un contratto di locazione ad uso abitativo transitorio è di un mese. La durata massima del contratto di locazione a uso transitorio è di 18 mesi. Questo tipo di contratto di locazione non è rinnovabile e il canone è di tipo “concertato”, cioè deve essere compreso entro dei limiti minimi e massimi, fissati dalle organizzazioni delle proprietà edilizie e degli inquilini.

 

Contratto di locazione a uso abitativo per studenti universitari

La durata minima di questo tipo di contratto a uso abitativo è di sei mesi fino a un massimo di 36 mesi. I proprietari che decidono di dare in affitto un locale abitativo agli studenti universitari possono beneficiare di agevolazioni fiscali. Il canone d’affitto è fissato dall’accordo territoriale tra organizzazioni sindacali, università e associazioni degli studenti. Il rinnovo del contratto di locazione per studenti universitari è automatico e dello stesso periodo alla prima scadenza (salvo disdetta).

 

Recesso del contratto di locazione a uso abitativo

Il conduttore (l’inquilino), può recedere in qualsiasi momento dal contratto di locazione a uso abitativo, vige  però l’obbligo di comunicazione mediante lettera raccomandata A/R all’indirizzo del locatore con un preavviso di 6 mesi. 

Il recesso è possibile anche quando non previsto nei termini del contratto di locazione a uso abitativo stipulato tra conduttore e locatore. In assenza di un’esplicita clausola di recesso, la legge (art. 3 L.n. 431/98) garantisce che il conduttore può avvalersi del diritto di recesso purché ricorrano validi motivi.

 

Ricapitolando i tipi di contratto di locazione a uso abitativo

  • Contratto di locazione a uso abitativo ordinario con canone libero
    Durata: 4 + 4 anni. Canone deciso tra il futoro inquilino e il proprietario.
  • Contratto di locazione a uso abitativo ordinario con canone concordato
    Durata: 3 + 2 anni o 3 + 3 anni. Canone individuato tra un range minimo e massimo fissato da organizzazioni territoriali.
  • Contratto di locazione a uso abitativo transitorio con canone concordato
    Durata: da un mese fino a 18 mesi. A canone concordato.
  • Contratto di locazione a uso abitativo per studneti universitari
    Durata: da 6 a 36 mesi. Il canone è concordato da organizzazioni territoriali e università.

Come registrare un contratto di affitto a uso abitativo

La registrazione del contratto di affitto a uso abitativo (sia esso transitorio, per studenti universitari o ordinario), può essere effettuata online, medinate il sito dell’agenzia delle entrate. Il contratto di affitto a uso abitativo può essere registrato con o senza cedolare secca. Per tutte le informazioni vi invitiamo a leggere le nostre guida:

1) Guida alla registrazione di un contratto di comodato

 

2) Registrare un contratto di locazione, costo e procedure

 

Fac simile del modello di contratto di locazione ad uso abitativo

Download del modello di contratto di locazione ad uso abitativo editabile.

Legge 104 art 3 comma 1 benefici

La persona con handicap così come da legge 104 art 3 comma 1 ha diritto a una serie di benefici che vanno dalle provvidenze economiche, alle agevolazioni fiscali, senza poi dimenticare la possibilità di accesso a permessi di lavoro retribuiti da parte di chi accudisce la persona con handicap. In questa pagina elencheremo quali sono i benefici previsti con la legge 104 art 3 comma 1.

 

Legge 104: pensione e indennità di accompagnamento 

La Legge 104/1992 non dà diritto a provvidenze economiche come pensioni, indennità o assegni. L’indennità di accompagnamento è un sostegno economico statale che va richiesto con apposita istanza presso l’Ufficio Invalidi Civili della ASL di competenza, insieme alla domanda di riconoscimento dell’invalidità civile.

 

Legge 104 art 3 comma 1 benefici

Agevolazioni per chi compra un’auto

Sono diverse le agevolazioni destinate a chi compra un’auto avvalendosi dei benefici disposti con la Legge 104. Tutti i dettagli possono essere consultati nella pagina intitolata: acquisto auto legge 104.

Ausili 

Qualsiasi “ausilio” può essere acquistato con IVA agevolata e con la possibilità di un maggiore sgravio fiscale. Per ausili si intendono apparecchi di ortopedia, docce, stecche, protesi dentarie, protesi oculistiche, apparecchi per facilitare l’audizione, saturimetri e altri strumenti di sostegno e misurazione. 

Sussidi tecnici e informatici 

Computer, fax, telefoni… qualsiasi apparecchiatura tecnologica che possa favorire l’autonomia della persona con disabilità può essere acquistata con l’applicazione dell’IVA agevolata al 4% e con la possibilità di detrarre l’intera spesa in sede di dichiarazione dei redditi. Per accedere a questo beneficio previsto dalla Legge 104 art 3 comma 1 sarà necessario disporre di una specifica prescrizione autorizzativa.

Assistenza specifica

Come capita con altri benefici previsti dalla legge 104 art 3 comma 1, questa agevolazione può essere fruita non solo dai portatori di handicap ma anche dai familiari che li abbiano a carico fiscale o dai familiari civilmente obbligati verso queste persone. Il beneficio si concretizza con la possibilità di detrarre, in sede di dichiarazione dei redditi, le spese sostenute per le badanti e le colf. Per approfondimento: come assumere una badante.

Detrazioni per familiari a carico

E’ prevista la detrazione di 800 euro (o 900 euro in caso di figli di età inferiore ai 3 anni) per ogni familiare a carico. Tale detrazione sono aumentate di ulteriori 220 euro per ogni figlio portatore di handicap ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Agevolazioni lavorative

I permessi lavorativi retribuiti così come il congedo per l’assistenza a minori con disabilità sono concessi con modalità più consistenti in caso di certificazione di handicap con connotazione di gravita così come disposto dalla Legge 104 art 3 comma 3. 

In caso di figlio minore con handicap con connotazione di gravità

Il padre o madre hanno diritto: 
- Fino ai tre anni: congedo parentale e prolungamento fino a tre anni anche frazionato in ore con indennità 30 % per tutto il periodo di prolungamento oppure a due ore di permesso giornaliero retribuito oppure a tre giorni di permesso mensile retribuito.
- Fino ai sei anni: congedo parentale e prolungamento fino a tre anni anche frazionato in ore con indennità 30 % per tutto il periodo di prolungamento oppure a tre giorni di permesso mensile retribuiti.
- Da sei ai dodici anni: congedo parentale e prolungamento fino a tre anni anche frazionato in ore con indennità 30 % per tutto il periodo di prolungamento oppure a tre giorni di permesso mensile retribuito.

Coloro che hanno figli minori con handicap senza connotazione di gravità possono ugualmente accedere ai permessi lavorativi e ai congedi ma con modalità differenti. 

Permessi lavorativi

Chi ha una persona con handicap a carico fiscale può beneficiare di 3 giorni di permesso mensile retribuito. Il medesimo beneficio spetta al padre o alla madre lavoratrice di persona con handicap grave.

Altri benefici in ambito lavorativo sono: la possibilità di rifiutare un trasferimento o di eseguire lavoro notturno così come la facoltà di scegliere la sede di lavoro. 

Tutti i benefici Legge 104 art 3 comma 1 sono disponibili nell’articolo inditolato: Benefici Legge 104.

 

Microcredito, cos’è e come funziona

 

Informazioni sul microcredito sociale, personale o d’impresa. Cos’è il microcredito e come funziona.

  • Cos’è il microcredito?

Il microcredito è uno strumento di lotta alla povertà e all’esclusione finanziaria. E’ per questo che spesso si sente parlare di “microcredito donne“, “microcredito e povertà”, “microcredito per pmi in difficoltà” o del “microcredito donne africane”. 

Il microcredito consiste nella concessione di piccoli prestiti destinati a persone che sono impossibilitata all’accesso al sistema bancario tradizionale perché non in possesso di quelle garanzie di reddito sufficienti per accedere al classico prestito personale. 

  • A quanto ammonta il microcredito? 


Stando alla Commissione Europea, il prestito in questione vede un ammontare medio di circa 10.000 euro fino a un massimo di 25.000 euro. Il microcredito per imprese non può superare il tetto massimo di 25.000 euro. Il microcredito sociale prevede una massimale di 10.000 euro.

  • Chi può accedere al microcredito?

La domanda del microcredito deve essere accompagnata da una motivazione, infatti il microcredito può essere concesso per:

  1. Avviare o consolidare una microimpresa in grado di produrre reddito. In questo caso la motivazione potrebbe essere l’acquisto di attrezzature, macchine, materiali…
  2. Sanare una situazione di difficoltà economica  temporanea, in questo caso, chi richiede il microcredito dovrà trovarsi in una situazione di emergenza economica con imminenti scadenze di pagamento.

Chi effettua la richiesta di accesso al microcredito non necessariamente deve dare garanzie economiche per la concessione del finanziamento. Le garanzie richieste sono solo personali che possano valorizzare il senso di responsabilità e di fiducia reciproca tra chi riceve il denaro (microcredito) e chi lo eroga (creditore). 

Il beneficiario che intende accedere al microcredito per consolidare o avviare una microimpresa, dovrà presentare il progetto imprenditoriale con fattibilità e sostenibilità nel tempo, il progetto dovrà avere le carte in regola per poter produrre abbastanza reddito per garantire l’autosostentamento e per restituire il prestito erogato attraverso il microcredito.

  • La storia del microcredito in Italia e nel mondo

Il microcredito è nato come uno strumento di supporto esclusivo per le persone in condizioni di povertà e gli emarginati dei villaggi bengalesi. Con il tempo, il microcredito si è diffuso evolvendosi in base alle esigenze locali: in Europa, al fine del 2009 risultavano erogati circa 828 milioni di euro. In Italia, circa il 40% dei beneficiari del microcredito sono immigrati. 

  • La normativa sul microcredito

In Italia, il microcredito è disciplinato dagli articoli 111 e 113 del Testo Unico Bancario (TUB) che suddivide questo particolare prestito in: microcredito d’impresa e microcredito di lavoro autonomo. Possono accedere al microcredito lavoratori autonomi (per l’esercizio dell’attività o per l’avvio di una nuova attività), microimprese, persone fisiche, società di persone (pmi), srl, società semplificate, cooperative e associazioni.

In caso di microcredito d’impresa, il richiedente dovrà accedere a servizi accessori quali tutoring per la verifica dell’andamento dell’attività economica, formazione, coaching, monitoraggio; prima dell’erogazione del microcredito d’impresa il beneficiario potrà farsi affiancare da un servizio di orientamento e pre-valutazione dell’idea imprenditoriale andando a elaborare al meglio l’idea progettuale. Tra i servizi accessori al microcredito d’impresa non mancano corsi di formazione su temi economici, finanziari e operativi. 

Anche con il microcredito sociale si potrà avere accesso a programmi di pre-valutazione e servizi d’ascolto. Nella fase di richiesta d’accesso al microcredito sarà valutata l’affidabilità del richiedente e in caso di assenso il soggetto potrà avere accesso a servizi accessori di tutoraggio e altri servizi di post-erogazione del microcredito sociale.

 

Prescrizione del reato, come funziona

Prescrizione del reato: quali sono i termini previsti dalla legge prima che un reato possa cadere in prescrizione? Tutte le informazioni sulla prescrizione del reato.

Il concetto di prescrizione del reato verte sul fatto che i diritti soggettivi non hanno durata illimitata nel tempo. La prescrizione prevista dal codice civile è, per definizione, l’estinzione del diritto che si verifica quando il titolare omette di esercitarlo per tutto il tempo previsto dalla legge. 

Sono molti i diritti, soprattutto di natura patrimoniale che, sforando i termini di legge, vedono il debitore svincolato dal pagare ogni sorta di pena. I diritti di natura patrimoniale sono quelli che prevedono il pagamento di somme di denaro, questi non sono gli unici reati prescrivibili per legge, anche per il cosiddetto “reato penale” esistono termini di prescrizione.

 

Il Calcolo della prescrizione di reato

Non esiste un calcolo universale per stabilire entro quanto tempo un certo reato possa “cadere in prescrizione“. I termini di prescrizione variano da reato a reato. In questo paragrafo riporteremo esempi pratici degli anni da attendere per vedere prescritto un determinato reato, dall’appropriazione indebita all’affitto. 

 

In generale, la prescrizione si compie in 10 anni; in questo contesto si parla di prescrizione ordinaria e va applicata sempre a meno che non subentri la cosiddetta “prescrizione breve” dalla durata di uno, due, cinque o sei anni.

  • Il reato di appropriazione indebita non può essere prescritto prima di 6 anni (art. 157 codice penale) dalla data di consumazione del reato e non dalla data di contestazione. 
  • In caso di incidente, se la parte lesa non fa causa entro 2 anni (scadenza del termine di prescrizione) non potrà più chiedere il risarcimento. 
  • Il diritto di incassare un “risarcimento danni” può essere esercitato entro 5 anni dal giorno in cui il fatto si è consumato. In caso in cui il risarcimento danni coinvolge la circolazione di veicoli, il diritto va in prescrizione in soli 2 anni.
  • Il diritto di riscuotere un pigione di una casa data in affitto si prescrive in 5 anni.
  • I diritti derivati dal contratto di assicurazione si prescrivono in un anno.

 

 

Come si interrompe la prescrizione? 


Se un reato ha raggiunto il termine di prescrizione non può avvalersi di proroghe. Al contrario, se un reato non ha ancora raggiunto il termine di prescrizione, lo stesso termine può essere facilmente rimandato facendolo decorrere daccapo. 

E’ vero che il countdowns dei termini di prescrizione del reato parte dal giorno in cui si è consumato il reato, tuttavia, notificando una citazione in causa al debitore sarà possibile “prorogare i termini di prescrizione”. 

Per interrompere il termine di prescrizione e farlo ripartire da zero, è possibile:

  • – notificare una citazione in causa al debitore.
  • – Inviare una diffida in forma scritta (costituzione in mora) per mezza di raccomandata A/R o con posta elettronica certificata.

Infortunio sul lavoro: il risarcimento

Infortunio sul lavoro: quando è previsto un risarcimento e cosa fare in caso di infortunio sul lavoro. Gli obblighi del datore di lavoro e di chi subisce l’incidente.

Si può parlare di risarcimento per infortunio sul lavoro quando l’assicurazione obbligatoria Inail copre ogni incidente avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro. Per essere considerato un vero infortunio sul lavoro, la vittima dovrà portare danni permanenti o momentanei ma per più di tre giorni. Il risarcimento per un infortunio sul lavoro è ben differente dall’indennizzo previsto per la malattia professionale perché è causato da un evento improvviso e violente. 

Un infortunio non deve necessariamente avvenire sul posto di lavoro o durante l’orario lavorativo per aver diritto al risarcimento. Per essere considerato “infortunio sul lavoro” e aver diritto al risarcimento, l’incidente può avvenire in tutte quelle situazioni dove esiste un rapporto (anche indiretto) di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta e l’incidente che ha causato l’infortunio.

Un esempio lampante è dato dal risarcimento previsto per il cosiddetto infortunio in itinere: l’inail tutela i lavoratori nel caso di infortunio che si verifica nel compiere il tragitto da casa al lavoro e viceversa. Nella tutela è compresa qualsiasi modalità di spostamento, dai mezzi pubblici all’all’auto privata (solo se l’uso è necessario). A regolare i termini del risarcimento previsto per l’infortunio sul lavoro è l’art. 13 del DLGS n. 38/2000.

 

Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro

 

1. In teoria, in caso di incidente sul lavoro, l’infortunato dovrebbe avvisare prima il datore di lavoro che provvederà poi a inviarlo al pronto soccorso. Nella maggior parte dei casi, quando si verifica un infortunio sul, viene allertato prima il pronto soccorso.

2. Con la visita medica al pronto soccorso verrà rilasciato il primo certificato medico che dovrà poi essere trasmesso al datore di lavoro.

3. Il datore di lavoro dovrà effettuare la denuncia dell’infortunio sul lavoro sfruttando il modello dell’inail. Il modello Mod. 4 Bis Prest serve a denunciare all’Inail eventuali infortuni sul lavoro, l’inoltro del modello dovrebbe essere fatto entro 2 giorni dall’evento, pena una multa amministrativa da 1.290,00 € fino a 7.745,00 euro. Per un infortunio dei lavoratori autonomi del settore artigianato o del settore agricolo, non sono previste sanzioni pecuniarie ma per l’omessa denuncia si perderà, in parte, il diritto all’indennità.

4. Chi ha subito l’incidente, due o tre giorni prima della scadenza della prognosi indicata sul certificato medico del pronto soccorso, dovrà recarsi alla visita medica presso gli ambulatori dell’Inail. 

Solo dopo questa trafila si potrà parlare di risarcimento. A seguito della prima visita medica dell’Inail, sarà necessario fissare un secondo incontro in caso di infortunio temporaneo. Alla vittima dell’incidente sarà rilasciato un certificato medico INAIL da consegnare al datore di lavoro. Per poter riprendere il lavoro, l’inail, in secondo momento, dovrà rilasciare un ulteriore certificato medico per notificare la chiusura definitiva dell’infortunio temporaneo.

 

Infortunio sul lavoro e risarcimento 

Chi necessita di assistenza e ulteriori informazioni in tema di risarcimenti per infortunio sul lavoro, può rivolgersi ai Patronati. L’assistenza dei Patronati va a tutelare i lavoratori infortunati, per legge, in modo del tutto gratuito.

 

Separazione consensuale senza avvocato

Separazione consensuale senza avvocato: le istruzioni per accedere alla separazione consensuale e poi al divorzio senza necessità di un avvocato. Separazione consensuale davanti al Giudice o al Sindaco.

La separazione consensuale senza avvocato è possibile quando tra i due coniugi è già presente un accordo sulle condizioni di mantenimento e sull’affidamento dei figli. Con la separazione consensuale senza avvocato, i due coniugi possono rivolgersi direttamente al giudice per usufruire di una sorta di divorzio fai da te. In questa pagina vedremo come ottenere la separazione senza avvocato.

Quando si parla di separazione dei coniugi, la figura dell’avvocato non è sempre necessaria, lo è in caso di separazione dei coniugi giudiziale (contenziosa) ma non in caso di separazione consensuale. Grazie al divorzio breve, l’unico vantaggio della separazione consensuale non è il risparmio sulle spese per l’avvocato: con la separazione dei coniugi consensuale, i tempi di attesa per accedere al divorzio sono di soli 6 mesi.

 

Separazione consensuale senza avvocato, le istruzioni

Per formalizzare la separazione in Tribunale senza avvocato e far scattare il periodo di attesa dei sei mesi necessari per l’accesso al divorzio, basterà predisporre un ricorso congiunto e depositarlo in Tribunale. Da qui, i coniugi dovranno comparire davanti al Giudice che provvederà a rendere effettiva la separazione. Trascorsi sei mesi da questa data, i coniugi potranno ottenere il divorzio, ossia il definitivo scioglimento della promessa matrimoniale. Per ottenere la separazione senza avvocato bisognerà:

1. Stendere il ricorso

In questa fase potrebbe essere consigliata la figura di un avvocato o di una persona competente superpartis. Non sempre i due coniugi riescono a essere obiettivi su temi quali assegni di mantenimento, assegnazione della casa… Chi vuole fare da solo può sfruttare uno dei tanti modello e moduli di separazione consensuale disponibili online. 

2. Depositare il ricorso 
Il ricorso va depositato nella cancelleria della Sezione Famiglia oppure, in caso di piccoli tribunali, va consegnato presso la cancelleria del Presidente del Tribunale. I coniugi dovranno rivolgersi al tribunale della città di ultima residenza in comune. 

3. L’udienza 
Dopo circa 15 giorni sarà necessario contattare la cancelleria per apprendere la data della vostra udienza. In occasione dell’udienza dovrete presentarvi davanti al Giudice e chiedere la convalida della separazione così come richiesto con il ricorso. 

4. Documento di separazione 

Pochi giorni dopo l’udienza, ricordate di passare in cancelleria per richiedere la copia autenticata dell’omologa di separazione così da farla registrare allo stato civile.

5. I documenti da allegare al modulo di separazione consensuale 

Alla richiesta di separazione consensuale senza avvocato andranno allegati i seguenti documenti:

  • Certificato di residenza del marito
  • Certificato di residenza della moglie
  • Stato di famiglia
  • Estratto per riassunto dell’atto di matrimonio del Comune in cui si è registrato il matrimonio
  • Scheda ISTAT compilata
  • Contributo unificato da 43 euro 

Mentre il contributo unificato si compra nelle tabaccherie, la scheda ISTAT può essere scaricata dal portale istat.it si tratta del mod. Istat M. 252. La compilazione è semplice, ricordatevi che si tratta di un documento a soli fini statistici.

 

Separazione consensuale in tribunale o al comune?

I coniugi, una volta concordati i termini di separazione consensuale senza avvocato, potranno separarsi, divorziare o modificare le condizioni depositando il ricordo in tribunale o al municipio cittadino.

E’ possibile accedere alla separazione in Comune (davanti al sindaco o a chi ne fa le veci) solo quando:

  • non ci sono figli minorenni
  • non ci sono figli maggiorenni bisognosi di tutela (disabili o economicamente non autosufficienti)
  • in caso di trasferimenti patrimoniali (assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento…).

Per maggiori informazioni sulla separazione consensuale senza avvocato vi rimandiamo all’articolo “come funziona il divorzio breve“.

 

Assegno di mantenimento, tutte le informazioni

Assegno di mantenimento: la normativa, quando spetta, su cosa si basa il calcolo e tutte le informazioni su separazione e divorzio. Dal divorzio consensuale a quello contenzioso. 

L’assegno di mantenimento può essere frutto della volontà del Giudice in caso di divorzio contenzioso, oppure scelto liberamente dai coniugi in caso di divorzio consensuale o  assistito. La presenza e l’entità dell’assegno di mantenimento sono stabiliti in sede di separazione dei coniugi. L’assegno di mantenimento consiste nel versamento di una somma di denaro (che può essere modificata nel tempo) a beneficio del coniuge economicamente debole o avente figli nati dal matrimonio. 

La normativa di riferimento per l’assegno di mantenimento è il d.lgs 154/2013.

 

Assegno di mantenimento, quando spetta

L’assegno di mantenimento diventa un diritto del coniuge economicamente debole quando si verificano alcune circostanze, nello specifico:

 

  • – nella domanda di separazione il coniuge economicamente debole ne fa richiesta.
  • – Al coniuge che richiede il mantenimento non deve essere addebitata la separazione.
  • – Il coniuge che richiede l’assegno di mantenimento deve essere economicamente debole cioè non avere “adeguati redditi propri”.
  • – Il coniuge che deve versare l’assegno di mantenimento deve disporre di mezzi economici idonei.

 

In caso di separazione, il coniuge economicamente favorito dovrà provvedere al mantenimento materiale non solo del coniuge economicamente debole ma anche dei figli. E’ per questo che è importante distinguere l’assegno di mantenimento a favore del coniuge da quello a favore dei figli, quindi, in molte situazioni, il coniuge con adeguati redditi propri, dovrà elargire un doppio assegno di mantenimento:

  1. un assegno di mantenimento a favore dei figli
  2. 
un assegno di mantenimento a favore del coniuge

Oltre a chiarire la differenza tra assegno di mantenimento per coniuge e quello per i figli, è necessario fare luce su quando si versano gli alimenti.

Tra le circostanze necessarie a ottenere l’assegno di mantenimento abbiamo chiarito che la richiesta di separazione non deve partire da chi richiede il mantenimento. Se chi richiede il divorzio è il coniuge economicamente debole, questo potrà ambire al versamento degli alimenti, cioè potrà ricevere periodicamente una somma di denaro nei limiti dei bisogni necessari a garantirgli il suo sostentamento. 

Al contrario, l’assegno di mantenimento tiene conto del reddito del coniuge economicamente più forte e del tenore di vita abituale del coniuge economicamente debole. Come è chiaro, il calcolo dell’assegno di mantenimento non è facile da portare a termine.

Un altro argomento che potrebbe interessarvi: Imu per coniugi separati, chi deve pagare?

 

Assegno di mantenimento ai figli minorenni

Dopo aver parlato dell’assegno di mantenimento al coniuge, passiamo all’obbligo che ha ciascun genitore nel mantenimento dei figli. Anche in questo caso, il calcolo dell’assegno di mantenimento ai figli si fa in proporzione al reddito. Per il calcolo dell’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto per i figli è necessario considerare:

 

  • le esigenze del figlio
  • tenore di vita del minore durante la convivenza dei genitori
  • affidamento del figlio (permanenza presso ciascun genitore)
  • reddito di entrambi i genitori
  • valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore

 

L’assegno di mantenimento ai figli è dovuto anche in caso di affidamento condiviso. 

 

Assegno di mantenimento ai figli maggiorenni

Questa volta la normativa di riferimento è l’art. 155-quinquies del Codice Civile che prevede: qualora la coppia abbia figli maggiorenni non economicamente autosufficiente, il giudice potrebbe ugualmente disporre il pagamento di un assegno periodico atto al mantenimento dei figli maggiorenni. In caso di figli maggiorenni disabili o portatori di handicap si applica la normativa prevista per l’assegno di mantenimento dovuto ai figli minorenni. La normativa appena citata è ribadita dal d.lgs 154/2013 che ribadisce il potere del giudice di valutare le circostanza e obbligare uno dei coniugi a versare l’assegno di mantenimento ai figli anche in caso che abbiano raggiunto la maggiore età.

 

Divorzio e assegno di mantenimento in sede di dichiarazione dei redditi

In caso di divorzio, in sede di dichiarazione dei redditi, si fa confusione tra assegno di mantenimento del coniuge separato e l’assegno di mantenimento dei figli.

Chiariamo subito che, l’assegno di mantenimento del coniuge separato o divorziato è deducibile dal reddito imponibile del coniuge che lo versa mentre costituisce reddito imponibile per chi lo percepisce. Al contrario, l’assegno per il mantenimento dei figli non è deducibile dal reddito di chi lo paga e non costituisce reddito imponibile per il coniuge che lo incassa.

 

Divorzio consensuale e assegno di mantenimento

Dall’Agosto 2014, con l’introduzione del cosiddetto Divorzio breve, è stata definitivamente sancita la possibilità di separarsi senza l’ausilio di un legale. La separazione senza avvocato, per legge, è consentita quando i due coniugi sono d’accordo sia sul divorziare sia sulle condizioni (per patrimonio comune, uso dell’abitazione, assegno di mantenimento, ecc.). Dalla separazione, in caso di divorzio consensuale, i tempi di attesa per lo scioglimento del vincolo matrimoniale è di soli sei mesi. Per maggiori informazioni vi rimandiamo alla pagina: Separazione consensuale senza avvocato.

 

Detrazione spese mediche 2016

Detrazione spese mediche 2016: quali sono le spese detraibili e cosa cambia, a partire dal 2016, nel modello 730 precompilato.

Con la dichiarazione dei redditi dello scorso anno c’è stato il debutto del nuovo modello 730 Precompilato, un sistema rivoluzionario in grado di aiutare i più inesperti ma non ancora completo. L’incompletezza del modello 730 Precompilato 2015 era dettata dal fatto che le spese mediche e sanitarie non erano inserite automaticamente dal sistema. Con la prossima dichiarazione dei redditi e il modello 730 precompilato 2016, invece, anche le spese mediche e sanitarie verranno automaticamente inserite.

 

Detrazione spese mediche 2016, come funziona

Nella dichiarazione dei redditi precompilata 2016 saranno già presenti i dati che riguardano le spese mediche sanitarie, dati prelevati dal sistema «Tessera Sanitaria».

Questo significa che ogni volta che si utilizza la tessera sanitaria, viene registrata la spesa medica o sanitaria sostenuta. Ecco a cosa serve il cosiddetto “scontrino parlante” della farmacia ed ecco perché il farmacista vi chiederà la tessera sanitaria al momento dell’acquisto di farmaci.

Mediante l’impiego della tessera sanitaria, saranno salvati e trasmessi tutti i dati riguardanti le spese mediche, grazie a questi dati, l’Agenzia delle Entrate provvederà a ricavare l’importo complessivo delle spese mediche detraibili ed a inserirle nel modello 730 precompilato 2016.

In altri termini, i professionisti o le strutture che erogano servizi sanitari quali ospedali, ambilatori, medici, farmacie, inviano al Sistema Tessera Sanitaria i dati relativi alle prestazioni che hanno erogato nel corso dell’anno fiscale. Dal 1° marzo del 2016, tale sistema, provvederà a fornire all’Agenzia delle Entrate i dati raccolti sulle spese sanitarie di ogni contribuente.

Dal 15 aprile di ciascun anno, il contribuente potrà  accedere al sistema TS (TS è l’acrnimo di Tessera Sanitaria) per consultare e verificare le singole voci di spesa.

Le spese mediche e sanitarie detraibili dalla dichiarazione dei redditi 2016 prevedono una detrazione del 19% Irpef; tale agevolazione riguarda sia il contribuente che il coniuge o familiare a carico, a patto che tali prestazioni o esami, vengano regolarmente documentati con relativa fattura, ricevuta fiscale, parcella o scontrino parlante. 

 

Detrazione spese mediche 2016, quali spese sono detraibili

Ai fini di detrazione della spesa sostenuta, sul documento va indicato obbligatoriamente il codice fiscale, il tipo di prestazione o natura, qualità e quantità dei prodotti acquistati.

Quali spese mediche è possibile detrarre al momento della dichiarazione dei redditi?
Ecco le seguenti spese mediche che possono essere detratte dal 730:

  • Ticket sanitari;
  • interventi chirurgici e trapianti;
  • Visite mediche prestate da dottori generici, specialisti e omeopati;
  • Assistenza infermieristica o fisioterapica;
  • Esami di diagnostica e di laboratorio qualora prescritti da un medico;
  • Cure dentistiche odontoiatriche;
  • Spese per l’acquisto o il noleggio di attrezzature mediche;
  • Spese per cure termali su prescrizione medica (no viaggio e soggiorno);
  • Spesa per assistenza, cure e farmaci per una persona anziana ricoverata in un Istituto;

 

Detrazione spese mediche 2016, opposizione del nuovo modello Precompilato


È possibile opporsi all’inserimento telematico  delle detrazioni fiscali relative alle spese sanitarie; in tal caso, il contribuente dovrà comunicare al Fisco la volontà di non autorizzare la trasmissione dei propri dati.

Dovrà, pertanto, non comunicare il proprio codice fiscale a chi emette lo scontrino parlante, oppure chiedere al medico o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione sulla ricetta o documento. 

Dall’1 al 28 febbraio di ogni anno si può manifestare l’opzione direttamente dal sito dell’Agenzia delle Entrate.