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Imu per coniugi separati: come funziona

La scadenza dell’acconto dell’Imu e della Tasi è alle porte, così è lecito chiedersi in caso di coniugi separati come funziona il pagamento dell’Imu e della Tasi, due tributi legati all’abitazione. 

Chi deve pagare l’Imu e la Tasi nel caso in cui l’abitazione è assegnata a uno dei coniugi separati o divorziati? 

 

Imu per coniugi separati: come funziona

A seguito di un divorzio o una separazione, il giudice spesso assegna la casa a uno dei due coniugi (in genere alla madre che ottiene la custodia dei figli). In questo caso, uno dei coniugi si aggiudica il diritto di abitazione indipendentemente dalla proprietà dell’immobile.

Ciò sta a indicare che il coniuge assegnatario è considerato titolare del diritto di abitazione; in questo contesto la quota di proprietà dell’immobile effettivamente detenuta diventa trascurabile perché non viene considerata. Il coniuge assegnatario è tenuto al pagamento dei tributi sulla casa così come prevede il regolamento del comune in cui è ubicato l’immobile. 

Questa è la regola generale ma ci sono delle considerazioni specifiche per quanto riguarda l’Imu e la Tasi proprio nel caso di coniugi separati. Ricordiamo che per l’IMU sono previste esenzioni per la prima casa.

 

Esenzione dell’Imu per il coniuge assegnatario 


Per quanto riguarda l’IMU, nel caso più frequente, il coniuge assegnatario dell’immobile anche se acquisisce il diritto di abitazione, l’immobile è considerato come prima casa e quindi, il coniuge assegnatario non dovrà pagare la prima rata dell’IMU.

 

Quando uno dei coniugi ha una seconda casa

Altro esempio molto frequente configura la storia di un marito proprietario unico di un immobile o proprietario di una singola quota (comproprietà con l’altro coniuge) assegnato alla ex moglie con figli, che a seguito della separazione o del divorzio, ha deciso di andare a vivere nella sua seconda casa, sempre di proprietà, che adibisce a sua abitazione principale;

in questo frangente bisogna tener presente che il marito non è obbligato a pagare l’imu sull’immobile rimasto alla moglie con figli come se fosse una seconda casa (ne’ al pagamento dell’IMU maggiorata sul secondo immobile che ha adibito ad abitazione principale). In questo caso, l’ex marito non è considerato titolare di una seconda casa dal momento che la sua ex moglie è stata assegnataria del diritto di abitazione.

 

Tasi per coniugi separati o divorziati, come funziona?

Per il pagamento della Tasi la trama si infittisce: non sono previste esenzioni per la prima casa! Il principio generale vuole che a pagare la Tasi siano sia il proprietario dell’immobile, sia il detentore (quindi l’assegnatario) quindi anche nel caso degli ex coniugi separati o divorziati, dovrebbe esserci una ripartizione della Tasi con precise modalità.

 

In caso di divorziati o separati comproprietari

Se gli ex coniugi sono comproprietari, il pagamento (come il diritto delle eventuali detrazioni fiscali) della Tasi andrebbe suddiviso tra i due coniugi in base alle quote di possesso.

 

Se l’ex moglie vive in casa del marito 


Nel caso in cui l’ex coniuge assegnatario non sia, in alcun modo, proprietario dell’immobile o di sue quote, il pagamento della Tasi andrebbe suddiviso analogamente a quanto avviene tra il proprietario e l’inquilino: l’ex coniuge proprietario dell’immobile dovrà pagare una quota che va dal 90 al 70% della tasi mentre l’assegnatario (di solito la moglie) della casa dovrà pagare una quota di Tasi variabile tra il 10% e il 30% così come previsto dalla delibera comunale.

Anche se queste sono le modalità per il pagamento della tasi per coniugi divorziati, lo scorso anno il MEF ha generato confusione affermando che l’ex coniuge assegnatario:

“è titolare del diritto di abitazione e, indipendentemente dalla quota di possesso dell’immobile, è il solo che paga la Tasi con l’aliquota e la detrazione, eventualmente prevista, per l’abitazione principale”

Le indicazioni del MEF non possono essere considerate in nessun modo un riferimento su cosa dice la legge, pertanto, almeno per la Tasi, è consigliato fare una verifica presso gli uffici comunali quali sono le specifiche disposizioni di riferimento.

 

Come funziona il divorzio breve in Italia

Chi si sta chiedendo come divorziare in Italia deve sapere che con la riforma del divorzio è stato approvato nel nostro Paese anche quello Breve. Il divorzio breve è stato introdotto alla Camera con 317 voti favorevoli e 182 voti contrari.

 

Come funziona il divorzio breve ?

Grazie al divorzio breve è possibile, anche in Italia, divorziare senza mai mettere piede in un tribunale. L’unica controindicazione sono i contenziosi, infatti è possibile accedere al divorzio breve solo se tra marito e moglie non vi sono contenziosi e che sia trascorso un anno dal momento della separazione. Con il processo breve è possibile, quindi, divorziare davanti al sindaco o da un ufficiale di stato civile. Si accorcia l’iter e diminuiscono anche le spese.

Tornando alla domanda come divorziare in Italia, segnaliamo che con il divorzio breve i coniugi potranno comparire innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune (sindaco) per ufficializzare e concludere un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio, o ancora, di cessazione degli effetti civili e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Non è obbligatorio farsi assistere da avvocati/difensori: grazie al divorzio breve è possibile divorziare senza avvocato.

 

Quando non è possibile usufruire del divorzio breve?

Il divorzio breve non è fruibile in caso di figli minori o di figli, anche maggiorenni, portatori di grave handicap o economicamente non autosufficienti. I coniugi possono usufruire del divorzio breve a condizioni che l’accordo non contenga atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali. Non è possibile avvalersi del dovorzio breve in caso di contenziosi tra i coniugi.

Viste le condizioni del divorzio breve, segnaliamo che per rendere ufficiale un divorzio bisognerà passare due volte dal sindaco. Infatti, dopo la prima richiesta, al fine di promuovere una maggiore riflessione sulla decisione di separazione, è stato previsto un secondo appuntamento con il Sindaco (in qualità di ufficiale di stato civile) a distanza di 30 giorni: il divorzio, seppur in forma breve, non va preso a cuor leggero, una separazione è sempre dolorosa e prima di procedere è bene interrogarsi su come salvare il matrimonio o se c’è qualcosa da poter fare per migliorare un rapporto che sembra giunto al termine. 

 

Legge sul divorzio breve

Le novità introdotte dal divorzio breve vanno a modificare tre articoli della legge n. 898/70 sul divorzio; grazie alle modifiche, per divorziare, non saranno più necessari tre anni di separazione ma solo uno o addirittura solo 9 mesi e l’intero iter è reso più semplice. 

Per citare la normativa, ecco le novità introdotte con l’approvazione del divorzio breve in Italia:

  • Art. 1.

1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell’articolo 3 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale.»

Sono sostituite dalle seguenti:

«dodici mesi dalla notificazione della domanda di separazione. Qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. Nelle separazioni consensuali dei coniugi, il termine di cui al primo periodo è di sei mesi decorrenti dalla data di deposito del ricorso ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi.».

  • Art. 2.

1. Al secondo comma dell’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono state aggiunte le seguenti parole: «o di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio».

  • Art. 3.

1. All’articolo 191 del codice civile, con l’approvazione del divorzio breve, è stato aggiunto il seguente comma: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. Qualora i coniugi siano in regime di comunione legale, la domanda di separazione è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini della stessa annotazione».

 

Cosa dice la legge: chi paga l’IMU e la Tasi in caso di coniugi separati o divorziati? 

Per sapere chi deve assolvere al pagamento dell’Imu o della Tasi in caso di coniugi separati vi rimandiamo all’approfondimento intitolato: Imu per coniugi separati: come funziona?

Pensioni, come calcolare l’importo del rimborso 

Il rimborso delle pensioni è stato reso legittimo dalla Corte Costituzionale, così, quasi 4 milioni di italiani hanno diritto al rimborso della pensione percepita dal 2012 a oggi.

 

Il governo ha approvato il decreto legge sulle pensioni dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco dell’indicizzazione voluta dall’ex ministro Elsa Fornero. 

L’importo totale che il Governo rimborserà ai pensionati italiani ammonta a 2 miliardi e 180 milioni di euro. Perché la gran parte dei pensionati italiani spetta il rimborso

Stando alla Corte Costituzionali le suddette pensioni avrebbero avuto diritto a una rivalutazione al ritmo del 90% sino a 5 volte il minimo e del 75% oltre le cinque volte il minimo.

A sancire il tutto è il decreto legge n.65 del 2015 pubblicato in Gazzetta Ufficiale proprio in risposta alla sentenza della Consulta che ha stabilito l’illegittimità del blocco dell’indicizzazione degli assegni nel biennio 2012-2013 superiori a tre volte il trattamento minimo inps (1.405 euro lordi). Il Governo, quindi, per ovviare all’errore compiuto con la riforma pensioni della Fornero, ha stabilito dei rimborsi.

Rimane il blocco sugli assegni (pensioni) superiori a sei volte il minimo ma viene riconosciuta una parziale rivalutazione per gli assegni inferiori a tale valore seguendo la rappresentazione riportata nell’immagine che segue. A proposito di queste affermazioni, in coda all’articolo vedremo come calcolare l’importo del rimborso pensioni.

rimborso pensioni

 

 

Chi non ha diritto al rimborso pensione?

Come premesso e come ci ricorda il Premier Renzi, non hanno diritto al rimborso pensioni circa 670.000 persone le cui pensioni superano oltre sei volte il minimo. 

 

Pensioni, come calcolare l’importo del rimborso 

Il calcolo del rimborso per la mancata rivalutazione del biennio 2012-2013 funziona in questo modo:

  •  pensioni tra 3 e 4 volte il minimo: rivalutazione del 40%,
  •  pensioni tra 4 e 5 volte il minimo: rivalutazione del 20%,
  •  pensioni tra 5 e 6 volte il minimo: rivalutazione del 10%.

Per il calcolo del rimborso pensioni pe ril biennio 2014-2015 verrà riconosciuta solo il 20% della rivalutazione attribuita nel biennio 2012-2013, vale a dire che per gli assegni vi è una rivalutazione pari a:

  •  pensioni tra 3 e 4 volte il minimo: rivalutazione dell’8%
  •  pensioni tra 4 e 5 volte il minimo: rivalutazione del 4%
  •  pensioni tra 5 e 6 volte il minimo: rivalutazione del 2%

Dal 1 gennaio 2016 dovrebbe esserci un aumento. Le aliquote di rivalutazione per gli assegni in parola passeranno al 50% della rivalutazione riconosciuta nel biennio 2012-2013.

La rivalutazione sarà pari a:

  •  pensioni tra 3 e 4 volte il minimo: rivalutazione del 20%
  •  pensioni tra 4 e 5 volte il minimo: rivalutazione del 10%
  •  pensioni tra 5 e 6 volte il minimo: rivalutazione del 5%

 

Come viene erogato il rimborso pensioni

La misura varata dal governo prevede un rimborso una tantum compreso tra i 278 e i 750 euro lordi per il triennio 2012-2014 più un rimborso meno consistente erogato nel 2015 e nel 2016 in attesa che nel 2017 venga introdotto il nuovo sistema di indicizzazione per tutti gli assegni pensionistici. 

In termini pratici, dal 1° agosto 2015, i titolari dei trattamenti pensionistici che nel 2011 erano superiori ai 1.443 euro lordi mensili, avranno diritto al solo riconoscimento degli arretrati e non alla ricostruzione de trattamento pensionistico. Al contrario, dal 1° gennaio 2016, questi stessi contribuenti avranno diritto sia alla rivalutazione del trattamento pensionistico sia alla valutazione degli arretrati e vedranno un leggero aumento della pensione (meglio definito come adeguamento) dato dalla perequazione (rivalutazione) degli stessi arretrati.

A chi altri spetta il rimborso pensioni?
Il rimborso pensioni spetta anche agli aredi, coniugi o figli di pensionati aventi diritto al rimborso. 

Approfondimento sul tema pensioni in Italia, rimborsi e riforme:
1) Riforma pensioni, più flessibilità in uscita 
2) Riforma pensioni del Governo Renzi

Professioni più ricercate in Italia 

Professioni più ricercate in Italia: ecco il resoconto di un’analisi che vi svela quali sono le figure professionali più ricercate in Italia. 

Chi è a caccia di nuovi lavori farà bene a informarsi su quali sono i mestieri più ricercati in Italia analizzando l’andamento del mercato del lavoro e i dati statistici forniti da ISTAT e altri enti di ricerca.

Tra il 2011 e il 2014, la figura professionale più richiesta è stata quella del programmatore di software subito seguita dai fisioterapisti ma questi del 2014 non sono i dati più aggiornati, le novità più recenti riguardano proprio il 2015.

Stando ai dati contenuti nel Rapporto “Talent Shortage 2015” redatto dal ManPower Group, nonostante l’elevato tasso di disoccupazione, quasi un’azienda su tre ha difficoltà a reperire personale qualificato; 
in particolare, a riscontrare questo tipo di difficoltà sono le aziende che cercano i macchinisti, gli addetti alla segreteria e gli assistenti di Direzione o di Amministrazione. Al terzo posto si piazzano i tecnici specializzati.

Quello dei tecnici specializzati è tra i mestieri più richiesti di sempre, nella fattispecie si ricercano figure professionali tecniche specializzate quali:

  • – responsabili della produzione industriale;
  • analisti e progettisti di software;
  • imprenditori e tecnici della gestione di cantieri edili e di servizi;
  • specialisti di saldatura elettrica;
  • esercenti nelle attività ricettive.

Tra le professioni tecniche non specializzate, le figure professionali più ricercate in Italia sono:

  • – fisioterapisti;
  • – specialisti nei rapporti con il mercato;
  • – addetti alla logistica nella gestione del trasporto delle merci;
  • – contabili;
  • – addetti alla vendita e alla distribuzione.

Le analisi statistiche non si limitano a descrivere la situazione del mondo del lavoro, vi sono anche rapporti che mirano a prevedere l’andamento del fabbisogno occupazionale. Stando ai dati Isfol le professioni più ricercate a breve termine sono anche quelle più con basso profilo. Tenendo conto della situazione economica del nostro Paese, i calcoli Isfol potrebbero essere validi anche nel prevedere i lavori più richiesti in Italia nel 2016 e nel 2017

 

Professioni emergenti secondo Isfol 

Le professioni più ricercate corrispondono ai profili a bassa e media qualifica come addetti ai servizi di igiene e pulizia, personale di segreteria, esercenti, fabbro, costruttore di utensili, addetti alla ristorazione e esercenti delle vendite all’ingrosso. Tra i mestieri più ricercati a elevata  qualifica i dati Isfol segnalano i tecnici delle attività finanziarie e specialisti in scienze giuridiche.

 

I nuovi lavori

Tra i nuovi lavori emergono i mestieri legati alla Green Economy come ingegnere energetico, energy manager e installatore di pannelli solari.

Riforma pensioni del Governo Renzi

Con la riforma pensioni del Governo Renzi si parla di pensione anticipata, prestito pensionistico e della cosiddetta Quota 100. Si tratta di una serie di proposte che mirano a dare più flessibilità per uscire dal mondo del lavoro. Tra le proposte più favorite nella riforma pensioni di Renzi vi è la Quota 100. Il progetto mira a reintrodurre la pensione di anzianità abolita con la riforma pensioni del Governo Monti. Grazie alla Quota 100 si andrebbe a restituire maggiore flessibilità in uscita a partire da 62 anni di età o anche prima dei 60 anni. 

 

Riforma pensioni e quota 100

La proposta quota cento parte dal presupposto di ripristinare il vecchio sistema delle quote, cioè quello che consentiva di sommare l’età anagrafica del lavoratore agli anni di contributi maturati durante il lavoro. Nello specifico, con la riforma Quota 100, i lavoratori che vogliono andare in pensione dovrebbero avere un’età anagrafica minima di 62 anni e cumulato almeno 38 anni di contributi (62 + 38 = 100), analogamente, un lavoratore che ha “solo” 37 anni di contributi dovrà aspettare il 63esimo compleanno per andare in pensione (63 + 37 = 100).

 

 

Riforma pensioni e quota 101

Più sacrifici sono richiesti ai lavoratori autonomi, cioè agli iscritti alle gestioni speciali e nella gestione separata, in questo caso si parla di Quota 101 infatti i lavoratori, per chiedere la pensione, dovranno avere un minimo di 63 anni di età con 37 anni di contributi alle spalle. In entrambi i casi è prevista la cosiddetta pensione anticipata, in questo caso il lavoratore dovrà rispondere a uno dei due requisiti: almeno 35 anni di contributi o almeno 62 anni di età. Per andare in pensione anticipata si dovrà scendere al compromesso di vedere una penalizzazione variabile sull’introito pensionistico, proprio come spiegato sul nostro precedente articolo intitolato Riforma pensioni: più flessibilità in uscita“.

 

Un’altra proposta interessante, avanzata sempre da Cesare Damiano, prevede la possibilità di andare in pensione (uscita dal lavoro) per tutti coloro che hanno totalizzato 41 anni di contributi, in questo caso non ci sarebbe alcuna penalizzazione e soprattutto nessuna soglia anagrafica da dover rispettare. Dando la priorità ai 41 anni di contributi si andrebbero a privilegiare solo i lavoratori precoci: chi inizia a lavorare a 18 anni dovrà attendere il 59esimo compleanno per poter conseguire la pensione senza alcun tipo di penalizzazione e soprattutto senza dover aspettare i 62 anni.

Un’altra opportunità per andare in pensione prima dei 60 anni di età spetta alle donne ma anche in questo caso ci sono compromessi da accettare: si tratterebbe di una pensione calcolata interamente con metodo contributivo, cioè di una pensione ridotta. In questo contesto le lavoratrici del settore pubblico e privato potrebbero andare in pensione a 57 anni e 3 mesi mentre le lavoratrici autonome dovrebbero aspettare i 58 anni, in ogni caso le lavoratrici dovrebbero aver raggiunto i 35 anni di contributi. Questa proposta dovrebbe diventare ufficiale con la riforma pensione 2015 anche se la Lega ha chiesto di rinviare ulteriormente fino al 31 dicembre 2018.

 

Assegno universale per gli over 55 senza lavoro

Mentre si continua a discutere della riforma pensioni del Governo Renzi, Tito Boeri, presidente dell’Inps parla di un assegno universale per tutti gli over 55 senza lavoro.

Tito Boeri, in collaborazione con Giuliano Poletti, ministro del welfare, si prepara a presentare una proposta che vede l’emissione di un assegno universale per gli over 55 che sono rimasti senza lavoro. Anche il presidente dell’Inps si dice d’accordo con buona parte di quanto previsto dalla riforma pensioni del governo Renzi, soprattutto è favorevole a un ricalcolo contributivo e a una modifica sui requisiti di età e contributi analogamente a quanto visto con la Quota 100.

Per proseguire con la riforma pensione di Renzi sarà necessario intervenire con tagli alle cosiddette baby pensioni e alle pensioni di invalidità e reversibilità così da non intaccare i conti pubblici. 

 

Prestito pensionistico

Renzi, per ora, è stato molto vago nel pronunciarsi: ancora non è chiara quale proposta introdurrà con la prossima Legge di Stabilità. Oltre alla quota 100 e all’assegno di solidarietà, sul tavolo di Renzi è arrivata anche la proposta del prestito pensionistico, una misura non sempre ben vista dai lavoratori ma che potrebbe trovare terreno fertile con la riforma pensioni prevista con la prossima Legge di Stabilità. Il prestito pensionistico prevede un sostegno economico per i lavoratori che non hanno ancora maturato i requisiti richiesti per la pensione, il prestito sarà poi restituito al momento del pensionamento effettivo.

Questa possibile misura è stata presa in considerazione per salvaguardare tutti i lavoratori di età avanzata che hanno perso il lavoro e non posseggono ancora i requisiti necessari per il pensionamento. Il prestito pensionistico dovrebbe rientrare nella riforma pensioni che prevede l’introduzione della quota 100.

Foto di Anna De Simone  

Richiedere l’Estratto Conto Equitalia, le istruzioni

Le istruzioni per richiedere l’Estratto Conto Equitalia mediante il servizio web o recandosi al classico sportello Equitalia. Dai dati d’accesso al servizio online alla gestione della delega per la richiesta presso gli uffici.

Come premesso, l’Estratto conto Equitalia si può richiedere presso gli sportelli degli Uffici Equitalia oppure si può ottenere direttamente online mediante un servizio messo a disposizione ai debitori.

 

Richiedere estratto conto Equitalia allo sportello

In questa pagina vedremo come visualizzare l’estratto conto Equitalia online. Per chi vuole richiedere l’estratto conto presso gli uffici Equitalia non dovrà fare altro che recarsi a uno sportello munito di documento di identità. L’Estratto conto sarà stampato al momento. Per motivi di privacy, presso lo sportello Equitalia dovrà recarsi direttamente il debitore oppure un suo incaricato munito di opportuna delega. La delega per ottenere l’estratto conto Equitalia si ottiene mediante il servizio online che vedremo in seguito. 

 

Estratto conto Equitalia online

Con il servizio Estratto conto Equitalia è possibile verificare online la propria situazione debitosa e consultare i dettagli di ogni singolo tributo. Il servizio dedicato all’Estratto conto Equitalia è fruibile da tutti, è sempre attivo e contiene le informazioni a partire dall’anno 2000 fino a oggi. Il servizio, non solo consente di verificare la propria situazione nei riguardi dell’ente creditore Equitalia, inoltre dà la possibilità di saldare il proprio debito direttamente online.

 

Come funziona l’Estratto conto Equitalia online

Basterà collegarsi al sito del Gruppo Equitalia e accedere alla sezione Estratto contopresente nell’Home Page del portale. Da qui, sarà necessario inserire le proprie credenziali per sapere se ci sono cartelle Equitalia da pagare e verificare il dettaglio dei singoli tributi. 

Grazie al servizio dedicato all’Estratto Conto, l’utente potrà verificare gli interessi e le altre spese assoggettate al vecchio conto da pagare. Tra le altre possibilità offerte vi è quella di poter controllare il dilazionamento di pagamento già in corso e verificare la presenza e il tipo di provvedimenti emessi: sgravi, sospensioni, ipoteche, fermi amministrativi… Insomma, il servizio Estratto Conto Equitalia sarà anche comodo ma se avete una situazione tumultuosa non vi rivelerà certamente cose allegre! 

 

Come pagare le cartelle Equitalia online

Sempre mediante il servizio Estratto conto Equitalia si ha la possibilità di pagare le cartelle esattoriali direttamente online. In questo contesto bisognerà selezionare le cartelle Equitalia che si vogliono pagare online e generare (automaticamente) il codice Rav, una serie numerica che identificherà il vostro pagamento. Accedendo alla sezione Paga online di Equitalia, oppure tramite il proprio servizio di Home banking, sarà possibile pagare le cartelle esattoriali Equitalia sfruttando il codice Rav generato con il servizio Estratto conto.

Attenzione! Non si possono dilazionare le cartelle accumulatte, per il dilazionamento sarà necessario recarsi allo sportello degli uffici Equitalia.

 

Come accedere all’Estratto Conto Equitalia 

Per accedere al servizio Estratto Conto di Equitalia bisognerà premunirsi delle credenziali (nome utente e password) fornire dall’Agenzia delle Entrate o dall’Inps. 

I dati da inserire per accedere al servizio online per verificare l’Estratto conto Equitalia sono gli stessi per l’accesso al cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate o il pin dell’Inps. 

Per ottenere le credenziali per l’accesso al cassetto fiscalde dell’Agenzia delle Entrate è possibile eseguire la classica registrazione online sul sito dell’Agenzia delle Entrate oppure chiamando al numero verde 848.800.444. L’unico “seccatura” è che il pin di accesso sarà rilasciato in due trance, la prima immediata e per via telefonica o telematica e la seconda parte sarà recapitata a casa. Questi dati personali serviranno non solo per controllare l’Estratto conto Equitalia ma anche per accedere ai servizi Internet di Fisconline.

Analogamente, per ottenere il pin dell’Inps sarà necessario iscriversi al portale ufficiale dell’INPS oppure telefonare al numero verde 803.164.

 

La delega per visualizzare l’Estratto conto Equitalia

Dalla sezione Estratto conto si può accedere al servizio Gestione deleghe mediante il quale il debitore può incaricare una persona di fiducia a richiedere il proprio Estratto conto. Per delegare una persona a visualizzare il proprio Estratto conto Equitalia sarà necessario inserire il codice fiscalde dell’intermediario da delegare. 

Per avere maggiori informazioni
Per ottenere informazioni aggiuntive è possibile chiamare ai numeri messi a disposizione da Equitalia. Il numero verde 800.178.078 fruibile gratuitamente da telefono fisso o al numero 02.36793679 fruibile da cellulare con tariffa a seconda del proprio operatore telefonico.

 

Come non pagare le Cartelle Esattoriali di Equitalia  

Grazie alla Legge di Stabilità 2015 c’è stato una sorta di condono delle cartelle Equitalia. Mediante questo provvedimento di legge una buona parte delle cartelle esattoriali rilasciate da Equitalia sono state annullate. Per tutti i dettagli vi rimandiamo all’articolo: Condono cartelle Equitalia, tutte le info.

Quote latte, contenziosi per gli allevatori italiani

Quote latte: cosa sono, perché sono state introdotte e cosa cambia per gli allevatori italiani ora che sono state abolite? Ecco tutta la storia delle quote latte in Italia e in Europa.

Quello delle Quote latte è un tema ancora molto caldo per gli allevatori italiani. Sono state introdotte nel 1984 e in Italia hanno innescato problemi sia allo Stato, sia ai produttori. Dal 1° Aprile 2015 le Quote latte non esistono più e per gli allevatori italiani si riapre l’orizzonte incerto del mercato libero. 

Cosa sono le quote latte?

Prima dell’introduzione delle Quote Latte tra i produttori vigeva una linea di forte tutela per la quale, la Comunità Economica Europea (così si chiamava allora l’Unione Europea) garantiva l’acquisto del latte prodotto in eccesso a un prezzo base. A causa di questo provvedimento, i produttori di latte sono andati incontro a un surplus produttivo che ha toccato l’apice tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. 

Introducendo le Quote Latte, la CEE (Comunità Economica Europea) riuscì a governare l’offerta di latte sul mercato imponendo ai produttori di rispettare delle quantità di latte da mettere in commercio; con le quote latte, la responsabilità della sovrapproduzione di fatto passava ai singoli produttori e la CEE non era tenuta a versare alcun importo base. 

Le Quote Latte sono nate con il Regolamento dell’Unione Europea n. 856 del 1984. In quell’anno, ogni Stato membro della Comunità Economica Europea (allora composta da 10 Paesi, contro i 28 dell’attuale Unione Europea) negoziò la propria Quota latte, cioè la quantità di latte che poteva produrre senza incorrere nel versamento di un forte prelievo supplementare che aveva lo scopo di scoraggiare la produzione in eccedenza, un provvedimento che fu impropriamente definito “multa”. In parole più semplici: chi produceva un surplus di latte doveva versare una cifra danarosa nelle casse della CEE. 

La storia delle Quote latte in Italia

Nello stabilire la quantità di latte che l’Italia poteva produrre ci sono stati molti problemi: il sistema produttivo italiano è sempre stato scettico a dichiarare agli organismi statistici (Istat) l’effettivo livello di produzione, inoltre allora, più di oggi, il mercato del latte era estremamente frammentato. 

A causa di questi problemi, l’Italia dichiarò una produzione annuale di latte di poco inferiore ai 9 milioni di tonnellate, dato che non si affiancava alla realtà in quanto la produzione effettiva ammontava a 11,5 milioni di tonnellate. 

In questo scenario, per tranquillizzare gli allevatori, il Ministro dell’agricoltura (allora era Filippo Maria Pandolfi) affermò che i produttori non sarebbero stati penalizzati; in effetti è fu lo Stato italiano ad accollarsi il “prelievo straordinario” che invece doveva essere a carico di chi produceva più latte del consentito e quindi degli allevatori.

Stando alle ricostruzione della Corte dei Conti (effettuate solo nel 2012), questa operazione è costata allo Stato italiano 2,537 miliardi di euro solo negli anni tra il 1984 e il 1995. Nel 1995 nella CEE fece ingresso la Finlandia e nel rivalutare le quote latte, a Bruxelles, qualcuno si accorse che in Italia i prelievi per gli eccessi di produzione di latte li pagava lo Stato e non i produttori che avevano “sforato“.  Quell’anno per l’Italia fu davvero dura: ci fu un ricorso alla Corte di Giustizia Europea per illegittimo aiuto di Stato. A causa della sentenza della Corte di Giustizia, gli allevatori italiani furono costretti a pagare ingenti somme che, ancora oggi, non sono state versate. 

Le Quote Latte e gli allevatori italiani

Ancora oggi resta il problema di riscuotere il dovuto dagli allevatori che hanno podotto più del consentito. Il provvedimento della Corte di Giustizia Europea è, almeno in parte, ingiusto:  gli allevatori sono costretti a pagare per un’eccedenza che esiste solo sulla carta causata dall’iniziale errore di comunicazione della propria produzione. Il settore lattiero italiano non è stato in grado di valutare attentamente e di comunicare la quantità di latte di produzione annua. 

Molti allevatori italiani, per porre rimedio all’errore iniziale, si sono adeguati acquistando o affittando le quote per mettersi in regola, la spesa complessiva degli allevatori per l’acquisto o l’affitto di ulteriori quote latte è stata stimata intorno ai 1,85 miliardi di euro. Questa fetta di allevatori sta attendendo che il resto dei produttori venga sanzionato come previsto…. e sta aspettando da molti anni. 

Sotto le pressioni dell’UE, il governo italiano ha istituito varie corti d’inchiesta per indigare tra gli allevatori italiani, infatti, tra i produttori c’è chi non ha pagato l’eccedenza prodotta, chi ha pagato a caro prezzo l’acquisto o l’affitto di quote extra e anche chi, delle quote latte, se n’è approittato. Sono circa 70 le Procure italiane che ancora indagano, molte le sentenze definitiva ma troppe ancora quelle lasciate in sospeso. 

L’Italia non può sanare il debito degli allevatori perché vige il principio che in assenza della restituzione da parte dei responsabile, l’aiuto del governo sarebbe illegittimo e andrebbe ad avviare una procedura di infrazione contro l’Italia.

 

Chi ha approfittato delle Quote latte?

Una buona fetta di produttori italiani ha sfruttato le quote latte per fingersi produttore mentre, in realtà, importava il latte dall’estero facendolo passare per italiano e quindi munto da vacche inesistenti. Altri allevatori hanno approfittato delle quote latte cedendole impropriamente a terzi quando sarebbe stata prevista la ri-distribuzione gratuita delle quote.

Per risolvere la matassa, nel 2009, l’Unione Europea da una parte ha cercato di aumentare le Quote latte dell’Italia portandole a 10,9 milioni di tonnellate annue, codì  da non appesantire ulteriormente i debiti degli allevatori e dall’altra ha riconfermato l’obbligo per il nostro Governo di individuare i responsabili allevatori e di riscuotere le somme dovute. L’azione per la riscossione viene affidata, oltre all’Agea, anche a Equitalia.

 

A quanto ammonta il debito degli allevatori italiani?

Stando ai complicati conteggi portati avanti dalla Commissione Europea, ci sono ancora 1,343 miliardi di euro da far pagare agli allevatori. La cifra è stata resa nota nel febbraio 2015 dalla Corte di Giustizia europea. La Commissione Europea sta attualmente studiando un metodo efficace di riscossione e i contenziosi andranno avanti per molti altri anni. 

 

Cosa cambia con la fine delle Quote latte?

Con la fine delle Quote latte, l’offerta degli allevatori tornerà a essere libera e regolata dal classico principio della concorrenza. A lungo andare, il mercato libero potrebbe portare alla diminuzione del prezzo del latte pagato alla stalla. Oggi, mediamente, il prezzo del latte pagato alla stalle è intorno ai 35 centesimi al litro. Il rischio per gli allevatori italiani è quello di dover uscire dal mercato comunitario considerando che gli allevatori nostrani hanno costi di produzione più elevati rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. 

 

La cronostoria delle Quote Latte in Italia

    • – 1984 – Furono introdotte le quote latte e l’Italia dichiarò una produzione annua inferiore ai 9 milioni di tonnellate
    • – 1989 – La Comunità Europea tentò di ridurre ulteriormente le Quote latte a tutti i Paesi Membri, dopo una difficile trattativa l’Italia portò le sue Quote latte a 9,9 milioni di tonnellate, quota che però sarebbe entrata in vigore solo nel 1994. L’Italia, per risanare intanto il surplus di latte prodotto dai suoi allevatori rispetto alla Quota stabilita dovette versare 3,620 miliardi di lire senza rivalersi sugli allevatori.  La CEE pretendeva dallo Stato italiano che da lì in poi facesse estinguere “le multe” direttamente agli allevatori.
    • – 1995 – Il ricorso alla Corte di Giustizia Europea condanno lo Stato italiano e gli allevatori furono costretti a pagare. La questione dei pagamenti è tutt’oggi rimasta in sospeso.
    • – 1997 – Istituita la prima corte d’inchiesta dal Governo italiano
    • – 1999 – L’Italia riuscì a farsi aumentare la sua quota latte di 0,6 milioni di tonnellate con l’entrata in vigore di questo aumento già dal 2000.
    • – 2003 – Istituita una seconda corte d’Inchiesta da parte del Governo italiano
    • – 2003 – Con il Decreto Legge 28 Marzo 2003, n. 49 (conversione in legge del 30 maggio 2003 n. 119) gli allevatori hanno avuto il permesso di rateizzare le proprie pendenze nell’arco di trent’anni. Purtroppo Bruxelles non ha recepito così la norma e gli anni di rateizzazione sono diventati 14.
    • – 2008 – L’Union Europea concede, a tutti gli Stati membri, un aumento del 2% delle Quote latte. All’Italia, l’UE, concede un ulteriore aumento del 5%.
    • – 2009 – Istituita la terza corte d’inchiesta. Considerato tutti gli aumenti concessi in via straordinaria dall’UE, la Quota latte per il nostro Paese arriva a cifra 10,9 milioni di tonnellate. Finalmente, dopo anni di lotte, è stata raggiunta la produzione annua ottimale ma restano in sospeso le vecchie somme da versare. Viene coinvolta Equitalia si sperava in una sorta di condono delle cartelle Equitalia ma invano. I provvedimenti di riscossione andranno avanti.
    • – 2013 – Le stime parlano di somme da versare pari a 1,4 miliardi di euro. L’Unione Europea trattiene la somma dai contribuita da erogare al nostro Paese.
    • – 2015 – La Quote Latte sono state abrogate ma in Italia continuano le indagini, i contenziosi, le sentenze e i ricorsi per il surplus prodotto negli anni passati.

Foto di Anna De Simone

Grattacielo Pirelli, tutte le informazioni

Il Grattacielo Pirelli, noto a molti come “Pirellone“, è stato realizzato tra il 1956 e il 1960 su progetto dell’architetto Giò Ponti.  

Originariamente il Pirellone costruito per ospitare gli uffici della celebre azienda italiana di pneumatici Pirelli infatti, nell’area in cui sorge oggi il Grattacielo Pirelli, un tempo esistevano degli stabilimenti del gruppo, distrutti dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale. Nel 1978 il Grattacielo Pirelli venne acquistato dalla Regione Lombardia, per farne la propria sede principale dopo una ristrutturazione ad opera dell’architetto Bob Noorda.

Dove si trova il Grattacielo Pirelli?

Per arrivare al Grattacielo Pirelli di Milano bisogna raggiungere Piazza Duca d’Aosta, 5, 7A, è qui che si trova l’ingresso principale. Per accedere agli uffici si usa l’affaccio secondario in Via Fabio Filzi 20, 22 e 24. Il Grattacielo Pirelli può contare su un ulteriore affaccio secondario, in Via Giovanni Battista Pirelli 10, 12. 

Incidente aereo al Grattacielo Pirelli 

grattacielo pirelli milano

L’incidente aereo di Milano ha come triste protagonista il Grattacielo Pirelli. Era il 18 aprile del 2002 quando un piccolo aereo da turismo si schiantò contro i piani alti del Grattacielo Pirelli. Il bilancio delle vittime conta 70 feriti e 3 morti. L’incidente vede il tragico errore umano del pilota Luigi Fasulo, al quale fu negato l’atterraggio per problemi di traffico aereo.

Il pilota, in attesa dell’autorizzazione dell’atterraggio, sbaglio rotta e si schianto contro il 26° piano del Grattacielo Pirelli. Alcuni testimoni riferirono di aver visto l’aereo accennare una virata con il motore al massimo, ma ormai era troppo tardi per evitare l’impatto. Secondo la ricostruzione dei tecnici, il pilota, nell’ultimo tratto di rotta, aveva il sole di faccia, particolare che può aver contribuito a nascondergli il grattacielo.

L’aereo turistico schiantato contro il Grattacielo Pirelli era un Rockwell Commander simile a quello riportato nella foto in basso. A seguito dell’incidente, lo storico grattacielo di Milano fu momentaneamente chiuso fino al restauro iniziato nel 2003.

grattacielo milano incidente

Grattacielo Pirelli a Milano, l’architettura

E’ edificato su un lotto il cui basamento occupa l’intera superficie, mostra uno stile architettonico improntato al razionalismo dove una torre sorge al centro del basamento che costituisce il piano terra. Si presenta con forme chiuse e importanti. Con i suoi 127 metri di altezza, il grattacielo di Milano è tra le torri in calcestruzzo armato più alte del mondo. Ha una pianta esagonale larga 18,5 metri e lunga 70,4 metri, l’ingresso principale accoglie il pubblico da Piazza Duca d’Aosta, mentre l’accesso agli uffici si affaccia su via Fabio Filzi. 

I 18,5 metri di altezza possono sembrare molti ma per una torre di 127 metri non lo sono affatto: la snellezza del Grattacielo Pirelli ha richiesto delle soluzioni tecniche particolari con l’impiego di pilastri rastremati e la realizzazione della parte centrale di ogni piano con una struttura simile a un ponte. In questo contesto l’architetto Ponti è stato supportato dall’ingegno del professor Arturo Danusso e dell’ingegner PierLuigi Nervi. 

Per garantire la stabilità del Pirellone, il Grattacielo Pirelli è costantemente monitorato tramite dispositivi sotterranei.

I materiali d’impiego che caratterizzano la facciata curtain wall sono semplici ma d’effetto: vetro, alluminio, acciaio mentre piastrelle di ceramica rivestono la struttura esterna in cemento armato. Ancora oggi, i curtain wall sono tipicamente disegnati con la struttura di alluminio estrusa, sebbene una nicchia di applicazioni speciali sia rappresentata dalle strutture in acciaio per le caratteristiche fisiche e meccaniche di questo materiale che permette luci più ampie. Non a caso l’idea di Gio Ponti era quella di illuminare la strade di Milano di notte con la luce emessa dallo stesso grattacielo.

Curiosità 

Il Grattacielo Pirelli occupa la posizione numero 9 nella top ten dei grattacieli più alti d’Italia.

Per rispettare la tradizione che nessun edificio di Milano possa essere più alto della Madonnina del Duomo (109 metri), sul tetto del Grattacielo Pirelli fu posta una miniatura della Madonnina in ora, alta solo 85 cm.

Nel video che segue, una serie di immagini e fotografie del Grattacielo Pirelli, dalle origini a oggi.

Il grattacielo Pirelli in numeri

 

  • – 127,10 metri d’altezza.
  • – 32 piani.
  • – 710 scalini.
  • – 24.000 mq di superficie interna.
  • – 60.000 tonnellate di peso.
  • – 2 metri lo spessore dei pilastri centrali.
  • – L’ascensore arriva solo fino al piano 31.

 

Grattacielo Pirelli, contatti

Piazza Duca d’Aosta, 20124 Milano
Numero di telefono: 0267651

Prossimi grattacieli a Milano

Nell’articolo dedicato ai Grattacieli a Milano, abbiamo elencato anche i grattacieli in progettazione e quelli in costruzione. 

I prossimi grattacieli di Milano fanno parte di diversi progetti in cantiere, in particolare citiamo il progetto CityLife, che prevede la costruzione, nella zona dell’ex Fiera, di tre grattacieli e un parco di 170 mila metri quadrati. La gara per la costruzione dei prossimi grattacieli di Milano è stata vinta dalla Cordata City Life con 523 milioni di euro. I prossimi grattacieli di Milano sono: Torre Hadid, soprannominata Lo Storto, Torre Libeskind, soprannominata Il Curvo, Torre Duilio e Torre Arduino.