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Siae dona 50mila euro per le donne afghane

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ROMA (ITALPRESS) – Sull’esempio di sette grandi autrici italiane, SIAE sostiene la Fondazione Pangea Onlus nel progetto “Emergenza Afghanistan” con un contributo di 50 mila euro.
Laura Pausini, Fiorella Mannoia, Giorgia, Elisa, Alessandra Amoroso, Emma, Gianna Nannini, si sono infatti unite per il concerto “Una. Nessuna. Centomila”, concerto di beneficenza contro la violenza sulle donne prodotto e organizzato da Friends&Partners e Riservarossa, e hanno scelto di fare una prima devoluzione di 200.000 euro a Pangea, a favore del progetto Emergenza Afghanistan. L’evento ha già venduto oltre 90.000 biglietti su 103.000: tanti sono gli spettatori che potranno partecipare alla RCF Arena di Reggio Emilia (Campovolo) l’11 giugno 2022.
“Come già accaduto in molte altre occasioni di emergenza sociale, le nostre magnifiche autrici manifestano la propria concreta solidarietà mettendo la loro voce a disposizione di chi in questo momento non può averne. La musica è veicolo di emozioni e di gioia ma anche di aiuto e di vicinanza – continua il Presidente Mogol – e la Società Italiana degli Autori ed Editori non poteva non essere al loro fianco”.
“Siamo sinceramente emozionati dalla generosità di SIAE che ha scelto di sostenere Pangea con un’importante donazione. È un gesto importante perché nasce dal cuore e dalla voglia di aiutare concretamente le donne afghane e i loro bambini. L’ondata di solidarietà che le sette autrici di “Una nessuna e centomila” sono riuscite a scatenare ci commuove. Fondazione Pangea Onlus sta vivendo momenti di preoccupazione e angoscia per quello che sta accadendo in Afghanistan. Lavoriamo a Kabul da 18 anni e in questi anni abbiamo aiutato oltre 7.000 donne ad avere consapevolezza dei propri diritti e a sognare un futuro diverso per loro stesse e per i propri bambini. Ora Pangea non può lasciarle sole. Per questo continueremo a lavorare in Afghanistan accanto alle donne e ai loro figli”, dichiara Luca Lo Presti, Presidente di Pangea.
“Siamo orgogliosi di sostenere Pangea nel progetto “Emergenza Afghanistan”. Interverremo subito – dichiara il Direttore Generale SIAE Gaetano Blandini – con un sostegno di 50 mila euro. Nonostante la Società stia attraversando, a causa della pandemia, un momento difficile dal punto di vista degli incassi, vogliamo esserci, e ci auguriamo che anche altre società ci seguano e manifestino la necessaria sensibilità per emergenze come questa, in cui siamo chiamati tutti in prima persona a non voltarci dall’altra parte ma a guardare negli occhi quello che accade ed essere strumenti di aiuto attivo”.
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Venezia, al Lido arriva “Freaks out” di Gabriele Mainetti

VENEZIA (ITALPRESS) – In una Mostra che sta finalmente tenendo a battesimo film a lungo attesi e in qualche caso già pronti da tempo, forse uno dei più attesi, almeno per il cinema italiano, era “Freaks Out”, l’opera seconda di Gabriele Mainetti che infine vede la luce oggi sul Lido nel concorso di Venezia 78. L’attenzione che si nutriva per il ritorno dietro la macchina da presa del regista romano dopo l’exploit di pubblico e critica che aveva segnato il suo esordio con “Lo chiamavano Jeeg Robot” era stata frustrata dalla lunga gestazione di un progetto ambizioso e difficile, oltre che molto costoso per gli standard produttivi italiani. L’esito che viene accolto alla Mostra è pieno e convincente, nonostante qualche remora e anche qualche malcontento serpeggi tra le reazioni del pubblico e della stampa del Lido: nelle intenzioni di Mainetti doveva essere “un film che fosse insieme un racconto d’avventura, un romanzo di formazione e – non ultima – una riflessione sulla diversità” e va detto che il regista può ritenersi soddisfatto. Ambientato nella Roma città aperta del 1943, “Freaks Out” ha per protagonisti quelli che potremmo definire quattro “mutanti”, ovvero quattro fenomeni da baraccone che attraversano la città occupata dai nazisti in cerca di Israel, un mite e affettuoso mago ebreo (interpretato da Giorgio Tirabassi) che li ha raccolti e riuniti nel suo circo. L’unità del gruppo è la forza ulteriore che li segna sia sul piano umano che su quello pratico, della sopravvivenza in un mondo che non solo è ostile con i “diversi” ma per giunta è anche in guerra. Ed è proprio la perdita della loro unità a fare da molla per la loro avventura. Lo schema su cui “Freaks Out” si struttura è questo, basato sull’articolazione ampiamente avventurosa di una fiaba popolata da creature straordinarie che attraversano uno scenario storico che il nostro paese conosce bene, e con esso anche il nostro cinema neorealista. Mainetti ribalta il tavolo del realismo e instaura un regime pienamente fantastico che non perde occasione per amplificare gli aspetti spettacolari. Il film ha quasi sempre un ritmo pieno e sostenibile (solo la scena del combattimento finale appare troppo lunga) e i protagonisti sono caratteri pieni, capaci di dire se stessi sia nella dimensione umana che un quella superumana che li offre sostanzialmente col destino dei supereroi. Insomma “Freaks Out” convince sia come progetto che come film e giunge infine sugli schermi con tutte le carte in regola per incontrare il favore del pubblico. Grazie anche alle belle interpretazioni di tutti i protagonisti.
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E’ morto Nino Castelnuovo

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ROMA (ITALPRESS) – E’ morto, all’età di 84 anni, l’attore Nino Castelnuovo. Nato a Lecco, inizia a lavorare per la televisione nel 1957, anno in cui partecipa come mimo al programma Zurlì il mago del giovedì, di Cino Tortorella. Esordisce poi al cinema in Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi, e prosegue interpretando ruoli secondari da attore giovane in numerose pellicole, alcune delle quali anche di rilievo come Il gobbo (1960) di Carlo Lizzani e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti.
L’occasione internazionale arriva con il musical francese Les Parapluies de Cherbourg (1964) di Jacques Demy, un film interamente cantato, in cui interpreta la parte del protagonista accanto a una giovane Catherine Deneuve. Il film ottiene all’estero consensi di critica e di pubblico e vince la Palma d’oro a Cannes, ma passa quasi inosservato in Italia per la idiosincrasia del pubblico italiano nei confronti dei musical, ancor più se sottotitolati.
In compenso, qualche anno più tardi Castelnuovo diverrà uno degli attori più popolari in Italia grazie al ruolo di Renzo Tramaglino nella riduzione televisiva de I promessi sposi, andata in onda sul primo canale della Rai nel 1967, per la regia di Sandro Bolchi. Le sue scelte successive hanno privilegiato la televisione, dove ha preso parte a numerosi sceneggiati che hanno fatto seguito al primo grande successo; da ricordare Ritratto di donna velata (1974), con Daria Nicolodi. Nel 1976 subisce una grave perdita familiare, quando suo fratello Pierantonio viene picchiato a morte.
Recita in uno dei più premiati film di tutti i tempi, Il paziente inglese (1996), nei panni dell’entusiasta archeologo italiano D’Agostino. Il pubblico lo ricorda ancora per la sua lunga carriera di atletico testimonial nella pubblicità dell’Olio Cuore, in cui veniva ripreso nell’atto di saltare una staccionata. Nel 2013 Castelnuovo ha vestito i panni dello spregiudicato giudice Savio, nella serie Le tre rose di Eva 2, ruolo che ha continuato a ricoprire anche nella terza stagione della serie televisiva nel 2015.
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Alla Mostra di Venezia dibattiti su ricerca e formazione nel cinema

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VENEZIA (ITALPRESS) – L’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Ente dello Spettacolo hanno promosso oggi due eventi alla 78^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia incentrati su ricerca e formazione nel settore del cinema e degli audiovisivi. La giornata è stata pensata per evidenziare come il cinema, da sempre caleidoscopio dell’animo e delle possibilità umane, ha una fondamentale valenza culturale e la capacità di raccontare il Paese, è fattore di crescita economica per i territori, offre possibilità di futuro professionale per i giovani, è occasione di innovazioni linguistiche e industriali.
In particolare, presso lo spazio Fondazione Ente dello Spettacolo all’Hotel Excelsior al Lido di Venezia alle ore 11 si è parlato di “Territori mediali: come la comunicazione, il cinema e la televisione raccontano e rappresentano i luoghi e quali opportunità per le destinazioni nazionali”.
Dopo l’introduzione di Massimo Scaglioni, direttore del Certa, Centro di ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica, hanno aperto i lavori i saluti del rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli, e del presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, don Davide Milani.
Il rettore ha dichiarato che “lo studio delle opere cinematografiche e degli audiovisivi in Università Cattolica ha una lunga storia, direi pionieristica: a partire dai professori Mario Apollonio e Gianfranco Bettetini l’ateneo ha indagato precocemente sul valore culturale, sociale e politico dell’opera cinematografica e televisiva. Oggi riflettiamo sul rapporto del cinema con i territori, i luoghi, le location grazie all’originale ricerca del Certa. Ci sono film che prescindono dal luogo, altri che sono incastonati nei luoghi e da questi influenzati; altre opere audiovisive sono narrazione di un luogo o un territorio. Questi luoghi rappresentano contesti socio-culturali, comunità che si presentano al grande pubblico nazionale e internazionale. Le opere audiovisive ci portano come spettatori dentro i luoghi valorizzandone nei casi migliori la loro dimensione culturale e sociale. Non si rappresentano solo destinazioni, ma percorsi, contesti, storie; su questo si può fare leva per promuovere nella visione dei luoghi attraverso gli audiovisivi un recupero dell’approccio del viaggiatore dell’Ottocento più che del semplice turista che spesso ha poco tempo per visitare una città, un territorio. Ecco che un’opera cinematografica così intesa può rappresentare un mezzo per una conoscenza meno superficiale della ricchezza e della bellezza del nostro paese”.
La valenza culturale e sociale delle opere audiovisive è stata sottolineata anche da don Davide Milani: “Lavorare sul rapporto cinema e territori per noi è importante perché, come Fondazione Ente dello Spettacolo e Rivista del Cinematografo, non ci occupiamo di cinema anzitutto come fatto economico ma ci interessa come occasione culturale e sociale. Una questione che spesso viene dibattuta in modo superficiale, semplicemente in termini di attrattività turistica e produzione immediata di ricchezza. In realtà il cinema può stimolare i territori a conoscersi, indagare sulla propria storia, tradizioni, eccellenze, patrimoni culturali. E soprattutto attrezzarsi per narrarsi a sé e a chi non conosce queste esperienze. Dall’incontro tra territori così e il cinema nascono le storie che danno forma all’immaginario filmico, rendendo universalmente conosciute preziose esperienze locali. Così il nostro Paese diventa più forte e coeso”.
Durante l’incontro è stata presentata la ricerca condotta dal Certa e da Cattolica per il turismo in partnership con Publitalia80, realizzata nel 2021 per rispondere alla domanda: in che modo è possibile far ripartire e far crescere un settore come il turismo penalizzato dalla pandemia, ma che resta un motore essenziale per il pil del Paese?
Massimo Scaglioni ha associato a questo un altro interrogativo: “Quanto i media audiovisivi, in particolare il cinema, la serialità, la televisione, la pubblicità sono in grado di generare notorietà su alcuni luoghi, immagini, e innescare meccanismi di desiderabilità? I media in questo ambito svolgono un ruolo essenziale per promuovere le destinazioni turistiche e per costruire un immaginario e uno story telling sui luoghi italiani. Dall’indagine è emerso che il 56% dei turisti viaggiatori europei riconosce che i contenuti audiovisivi hanno contribuito a formare un’immagine delle regioni italiane. I media tradizionali, in particolare quelli che esaltano la dimensione della narrazione e della rappresentazione come il cinema e la serialità, sono essenziali a monte per creare notorietà, attrattività e desiderabilità”.
L’Università Cattolica è stata protagonista alle ore 14 di un altro evento intitolato “Formare all’audiovisivo. Le sfide di un’industria che cambia” dove il prorettore dell’Ateneo, Antonella Sciarrone Alibrandi, ha portato il suo saluto.
“Per il quarto anno la nostra università è presente a Venezia nello spazio della Fondazione Ente dello Spettacolo – ha sottolineato il prorettore Sciarrone -. E oggi ha potuto mostrare le sue due anime: nell’incontro di questa mattina la ricerca e nel pomeriggio la formazione. La matrice è quella di una università sempre in dialogo e che costruisce percorsi formativi in sinergia con gli stakeholder e con i protagonisti delle filiere, in questo caso del cinema e dell’audiovisivo. Nell’anno del Centenario dell’Ateneo è significativo vedere oggi la presenza di tanti nostri studenti che fanno attività di stage e di nostri alumni a testimonianza di un legame che continua anche una volta che il percorso formativo è terminato con un grande arricchimento per tutti”.
I percorsi formativi di laurea e post-laurea comprendono anche l’accompagnamento al mondo del lavoro e su questo fronte è intervenuto il direttore della sede di Milano dell’Università Cattolica, Mario Gatti per il quale “il mix tra accademia e professioni è una vera e propria “fertilizzazione” che contribuisce alla formazione delle nuove generazioni e all’aggiornamento dei professionisti. Da un lato, infatti, l’università può sempre imparare e dall’altro le professioni possono contare su giovani preparati che si affacciano alla professione e su persone che si aggiornano”.
Un esempio virtuoso di formazione postlaurea che è stato raccontato durante l’incontro è il master “International Screenwriting and Production”.
“Il master è nato nel 2000 come corso breve e da allora (quando regnava la mini-serie che oggi non si vede praticamente più), sono cambiate molte cose – ha dichiarato il direttore Armando Fumagalli -. Sono subentrate le piattaforme, gli story editor e i producers vanno sul set… Capire come sta cambiando questo mondo è certamente importante. D’altra parte, però, l’attività formativa del master consiste anche nel trasmettere nozioni fondamentali sullo storytelling, applicate alla cinematografia e agli audiovisivi, che servono sempre. Una persona con una formazione completa sarà in grado di scrivere un film, un libro o un podcast”. Durante l’incontro hanno portato la loro testimonianza due alumnæ dell’Ateneo. Veronica Galli, oggi Story Editor and Development Executive presso Lotus Production, si è laureata ai corsi triennale e magistrale di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere e ha frequentato il Master International Screenwriting and Production. Si è diplomata allo stesso master anche Bianca Sartirana, Managing Director and Executive Producer di Save The Cut che in Università Cattolica ha conseguito anche due lauree, triennale e magistrale, alla facoltà di Lettere e Filosofia.
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Tommaso Paradiso torna con il nuovo album “Space Cowboy”

MILANO (ITALPRESS) – Da oggi è disponibile in pre-order “Space Cowboy”, il nuovo album di Tommaso Paradiso, previsto per gennaio 2022, al quale seguirà il tour nei palazzetti italiani, riprogrammato per la primavera 2022.
Tommaso Paradiso racconta: «Ringrazio quell’omino che un giorno non precisato di tantissimi anni fa si dimenticò di raggiungermi nella sala prove di via Carlo Mirabello. Mi preparai mesi per quel provino, ma lui, quel produttore, non venne. Semplicemente si dimenticò, o forse nella sua testa quell’appuntamento non era mai esistito. Quella mattina piansi, ero deluso, ma cominciai a sognare. E da lì in poi più le delusioni mi attaccavano più i miei sogni si irrobustivano, mi proteggevano, mi portavano lontano. Quei sogni sono diventati canzoni e le canzoni sono diventate la mia unica salvezza, un grido, un gesto di follia, uno squarcio, la compagnia del presente, il legame con il passato, tutte le immagini di proiezioni future, lettere imbustate e spedite con il cuore sopra. Non so se le canzoni siano genitori o figli, non l’ho ancora capito, fatto sta che oggi mi hanno accompagnato qui, in un’altra stazione, in un altro punto dello spazio e del tempo, in un’altra storia tutta da vivere e da raccontare. Sono sul precipizio dell’emozione o come urlerebbe il poeta: “Sto gonfio d’amore””.
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E’ morto Jean-Paul Belmondo

PARIGI (ITALPRESS) – Da sempre apprezzato come attore per il suo stile scanzonato e brillante e per il suo grande carisma, che lo hanno contraddistinto in molteplici film, spesso in ruoli da “duro con il cuore tenero”, se n’è andato all’età di 88 anni Jean-Paul Belmondo.
Nato a Neuilly-sur-Seine, esordisce cinematograficamente nel 1956 con il cortometraggio Molière di Norbert Tildian. Il film che lo consacra come uno dei maggiori attori francesi presso pubblico e critica è Fino all’ultimo respiro (1960) di Jean-Luc Godard, che lo aveva già diretto precedentemente nel cortometraggio Charlotte et son Jules. Dopo il successo con il film di Godard, Belmondo viene contattato da Claude Sautet per recitare accanto a Lino Ventura nel suo noir Asfalto che scotta (1960), molto apprezzato dalla critica. Con l’interpretazione seria e malinconica di Eric Stark, Belmondo dimostra notevole talento e intensità drammatica.
Seguono successivamente le ottime prove recitative in film di buon successo, come Lèon Morin, prete (1961) e Lo spione (1962), entrambi di Jean-Pierre Melville, maestro indiscusso del noir francese, regista che tra l’altro era apparso in un cameo nel film Fino all’ultimo respiro, nelle vesti dello scrittore Parvulesco. Nel 1963 Belmondo viene chiamato dal regista Renato Castellani per il suo Mare matto, dove interpreta brillantemente un marinaio livornese, innamorato di una pensionante (interpretata da Gina Lollobrigida) che poi si imbarcherà per trasportare un carico di vino, sotto la guida dell’ammiraglio (Odoardo Spadaro). Riconosciuto ormai come un divo fra i più popolari del cinema francese, con L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca, Belmondo inizia la svolta del suo percorso artistico verso un filone più commerciale, tuttavia sempre molto apprezzato dal pubblico. Nel 1970 ottiene infatti un enorme successo internazionale con Borsalino, interpretato al fianco di Alain Delon. Ritornerà solo nel 1974 al cinema d’autore con Stavisky il grande truffatore di Alain Resnais, ma senza riscuotere particolari consensi.
Negli anni settanta si specializza nel genere poliziesco, interpretando spesso molte scene pericolose senza controfigura, intervallando la sua produzione con pellicole drammatiche: in questi anni lavora sotto la direzione di grandi registi come Henri Verneuil, Georges Lautner, Philippe Labro, Jacques Deray e Philippe de Broca. Ottiene ancora un grande riconoscimento dal cinema nel 1989, quando riceve il Premio Cèsar per il migliore attore per il film Una vita non basta di Claude Lelouch. Il 18 maggio 2011 viene insignito della Palma d’oro alla Carriera durante la 64^ edizione del Festival di Cannes. Nel 2016, assieme al regista Jerzy Skolimowski, gli viene assegnato il Leone d’oro alla carriera alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
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A Gennaro Sangiuliano il premio “Pio Alferano”

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CASTELLABATE (SALERNO) (ITALPRESS) – Arte, Cultura, Ambiente, Imprenditoria e Sociale. Sono gli ingredienti del Premio “Pio Alferano”, giunto alla nona edizione, sotto la direzione artistica di Vittorio Sgarbi, nello scenario della corte interna del Castello dell’Abate, a Castellabate.
La manifestazione è organizzata dalla Fondazione “Pio Alferano e Virginia Ippolito”, presieduta da Santino Carta, e dal Comune di Castellabate.
La serata, condotta dalla giornalista televisiva Greta Mauro, ha visto oltre ai premiati, la presenza di altri ospiti di spicco del mondo dello spettacolo, della cultura e dell’imprenditoria. A realizzare il Premio 2021 è stato, invece, lo scultore Livio Scarpella, confezionando una pregiata scultura in ceramica, ispirata alla figura mitologica greca di Medusa.
Per l’edizione 2021, uno dei premi è andato a Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2 che con il suo telegiornale e con il suo approfondimento Tg2 Post condotto da Manuela Moreno sta ottenendo ascolti significativi.
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A Venezia in prima mondiale la fantascienza di “Dune”

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VENEZIA (ITALPRESS) – La fantascienza tetragona del canadese Denis Villeneuve applicata al pianeta di sabbia che ha cambiato il volto della letteratura fantascientifica: Venezia 78 rivela finalmente al mondo la nuova faccia cinematografica della celebre saga di “Dune”, scritta a metà degli anni Sessanta dall’americano Frank Herbert. Già portato sullo schermo quasi quarant’anni fa da David Lynch, in un kolossal che all’epoca apparve improbo e oggi gode comunque dello status di cult d’autore, il ciclo e ora affrontato con il vigore spettacolare e produttivo necessario da Denis Villeneuve in questo sul attesissimo film. Al Lido, dove viene presentato in prima mondiale, non c’è sostanzialmente film più atteso e l’accoglienza è stata calorosa: quello che abbiamo visto è il primo capitolo di un dittico che riduce per lo schermo il primo romanzo della saga herbertiana: il secondo è attualmente in preproduzione, mentre è annunciata una serie che dovrebbe metter mano agli altri capitoli. L’approccio adottato da Denis Villeneuve è tarato su una spettacolarità altisonante e profonda, in cui i toni della tragedia classica si innestano naturalmente con le tematiche che il romanzo sviluppa sottotraccia: da una parte c’è una storia di imperi stellari, di casate nobiliari che governano pianeti come fossero feudi, di discendenze segnate dal destino del comando, di tradimenti e amori che segnano la storia; dall’altra c’è una sensibilità spirituale che si incarna in un messianesimo stellare, la tensione ecologista da anni sessanta, innervata di argomentazioni lisergiche, la riflessione sul rapporto tra il potere e la libertà dell’individuo. In scena c’è l’esile presenza di Timothée Chalamet, che è un Paul Atreides inaspettatamente carismatico: la vicenda ruota su di lui e sul suo destino di liberatore dei Fremen, la popolazione indigena del pianeta sabbioso Arrakis tenuta in soggezione dagli Harkonnen, crudele popolo che sfrutta il pianeta e la sua sabbia, chiamata “spezia” e usata come preziosissima droga in grado di allungare la vita e dare poteri di veggenza.
Paul è il principe ereditario della casata Atreides governata da suo padre, il duca Leto (interpretato da Oscar Isaac con il suo solito piglio austero), ma nelle sue vene scorre anche il sangue della madre (Rebecca Ferguson), sacerdotessa di un ordine millenario di sole donne che tramano nell’ombra dell’Impero per assicurare la continuità della vita, preparando l’avvento di un uomo destinato a portare pace e armonia nell’universo. Il film entra subito nel suo pieno spettacolare, innervando sin dall’inizio tutte le trame che compongono il plot: la partenza dal pianeta natale degli Atreides, segnata dal forte sospetto di una trappola ordita dall’Imperatore ai danni della casata, allunga ombre cupe su uno scenario che del resto si spinge nenne classiche tonalità oscure della visione fantascientifica di Villeneuve. A differenza dell’ormai lontano film di Lynch, che era caratterizzato da una visionarietà più lisergica e artificiosa, il Dune di Denis Villeneuve è pregno delle forme tetragone che caratterizzano il suo cinema, monoliti semoventi, strutture magniloquenti e leggere, che il regista mette in efficace relazione visiva con l’elemento sabbioso che caratterizza il pianeta Arrakis. Villeneuve evita di dare visibilità piena agli enormi vermi che si muovono sotto la sabbia del pianeta, preferendo concentrare l’attenzione sulle dinamiche psicologiche, drammatiche della vicenda. Questo si traduce un un film pensoso, quasi introflesso, anche se non privo di ampie scene di guerra stellare, combattimenti corpo a corpo coreografati con efficacia, effetti visivi affascinanti. Siamo insomma in presenza di una fantascienza che si prende sul serio e cerca di sfruttare in toto il materiale offerto dalla preziosa saga di Frank Herbert.
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