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A VENEZIA 22 JULY”, GREENGRASS RACCONTA UTOYA

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Ancora uno sguardo nel buio della mente del terrorismo, ancora un film che ricostruisce gli eventi legati alla storia recente della paura che attanaglia il nostro mondo. Dopo aver raccontato l’attacco alle Twin Towers In “United 93”, in “22 July” Paul Greengrass scandaglia i fatti e gli esiti del terribile attacco terroristico sferrato contro la Norvegia da Anders Behring Breivik, il simpatizzante dell’estrema destra xenofoba che il 22 luglio 2011 mise in ginocchio il paese con due attentati, uno con un’autobomba contro la sede del governo a Oslo, che provocò 8 morti e 209 feriti, e l’altro sull’isola di Utoya, contro un campus giovanile del Partito Laburista Norvegese, che provocò 69 morti e 110 feriti. Nel suo film, presentato in concorso a Venezia 75, Greengrass cerca la via dell’analisi spettacolare, non soffermandosi solo sugli eventi legati ai due attacchi in sé, ma spingendosi in una ricostruzione che verte soprattutto sulle conseguenze umane, sociali, politiche di quegli attentati.

Il ritratto di Breivik è tagliente, Greengrass sceglie di guardarlo bene in faccia, raccontarne la logica aberrante, dargli parola per individuare le stolide ragioni che erano alla base dei suoi atti, delle folli recriminazioni di liberazione del territorio nazionale ed europeo in generale dalla cosiddetta invasione etnica e culturale dei musulmani. Parole che risuonano sinistre perché riecheggiano quelle pronunciate proprio in questi giorni dai governanti di molti paesi europei e che risultano alle orecchie di noi italiani come particolarmente preoccupanti. Dopo aver ricostruito con una certa precisione sia l’attentato di Oslo che la sparatoria di Utoya (alla quale è invece interamente dedicato il film norvegese “Utøya 22. Juli” di Erik Poppe, visto in concorso a Berlino), Greengrass racconta contemporaneamente sia le fasi del processo a Breivik, sia le conseguenze sulla vita privata dei sopravvissuti, puntando sul gancio narrativo offerto da due personaggi reali, l’avvocato Lippestad, che garantisce la difesa dell’attentatore nonostante le sue convinzioni politiche di sinistra, e uno dei sopravvissuti, il giovane Viljar Hanssen, gravemente ferito e segnato nel corpo e nello spirito dalle conseguenze dell’attacco.

“22 July”, che è una produzione Netflix e sarà presentato a ottobre nei cinema come evento prima di essere lanciato sulla piattaforma on line, garantisce l’analisi dei motivi e lo scandaglio delle verità, mantenendo un livello drammaturgico efficace e insistendo sul tema della paura da cui scaturisce e su cui allo stesso tempo punta sia il terrorismo che tutti gli estremismi (religiosi e politici che siano).

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A VENEZIA LA “CAPRI REVOLUTION” DI MARIO MARTONE

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Il percorso nella storia italiana che Mario Martone conduce da qualche tempo a questa parte si sposa con l’istinto storico che il Concorso di questa 75ma Mostra veneziana sta abbondantemente dimostrando di film in film: dopo “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso”, con “Capri-Revolution” il regista napoletano si spinge ancora una volta nel cuore dei processi di mutamento identitario e culturale del nostro paese, scegliendo la prospettiva dell’esperienza della comune che il pittore tedesco Karl Diefenbach creò a Capri a inizio Novecento. Un piccolo gruppo di persone provenienti da tutta Europa si ritrovò nella natura incontaminata di Capri per dare vita a ricerche artistiche tra pittura e danza, professando un rapporto più organico e spirituale con la natura attraverso il nudismo, la medicina omeopatica e la dieta vegetariana: insomma una scheggia di futuro che alle nostre orecchie risuona come abituale, ma che all’epoca doveva risultare difficilmente comprensibile, soprattutto per la popolazione di Capri.

Martone punta proprio sul rapporto tra questa difformità della comunità guidata dal pittore Seybu rispetto alla cultura del territorio e l’uniformità che l’esperienza di questi artisti dimostrava invece rispetto alla natura incontaminata dell’isola. Un dialogo quasi impossibile, che trova però una inattesa mediazione in una giovane pastorella caprese, Lucia (interpretata da Marianna Fontana, una delle due gemelle di “Indivisibili”), che saprà farsi attrarre del modo di vivere di quella comunità e finirà con l’entrare in osmosi con la loro cultura, facendola propria e mediandola con un senso quasi atavico delle cose della terra e degli uomini che la porteranno infine a prendere una strada tutta sua. Il mondo intanto ha imboccato la strada della guerra, professata con tanto vigore dal medico condotto del paese, portatore di uno spirito positivista che dialoga, sia pur in opposizione, con lo spiritualismo professato da Seybu. “Capri-Revolution” segue queste linee tematiche secondo una struttura molto ordinata, quasi didascalica nella formulazione degli opposti e nella rappresentazione dei differenti ambiti culturali.

Il film tende ad essere un oggetto libero, strutturato essenzialmente sul dialogo tra la composizione precisa, quasi pittorica delle inquadrature e la pulsione quasi materica degli elementi che la compongono: l’acqua, la luce, le rocce, il mare sono i colori sulla tavolozza di Martone, ma il regista non riesce purtroppo a trovare quasi mai un giusto equilibrio. Il film risulta statico narrativamente, fragile nella elaborazione tematica, incapace di seguire le linee di una libertà espressiva che pure dovrebbero presiedere alla composizione complessiva. Martone lavora troppo di testa e di polso sulla materia che ha a disposizione e alla fine si rimpiange che a raccontare una simile storia non sia stato un regista come Bernardo Bertolucci.

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A VENEZIA “UNA STORIA SENZA NOME” CON MICAELA RAMAZZOTTI

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Come fossimo in un giallo di Hitchcock, ma siamo invece al centro di un intrigo di mafia di quelli incredibilmente veri e ancora non risolti: il mistero della Natività del Caravaggio trafugata a Palermo nel 1969 e a tutt’oggi ancora non ritrovata. I pentiti si rimpallano verità sulla sua sorte, che vanno dai mille pezzi in cui si sarebbe sbriciolata al momento di essere consegnata al committente sino all’esser stata data in pasto ai porci… Fatto sta che ancora oggi non si hanno certezze, sicché Roberto Andò insieme ad Angelo Pasquini hanno messo mano a una sceneggiatura in perfetto stile giallo in cui inventano le loro ipotesi, legandole al mondo che meglio conoscono, quello del cinema.

Nasce così “Una storia senza nome” il film firmato da Roberto Andò che viene presentato oggi Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e che arriverà nelle sale italiane il 20 settembre prossimo. Protagonista è una Micaela Ramazzotti in versione svampita dark lady per caso: il suo personaggio, Valeria, è in realtà la segretaria di una casa di produzione, ma è anche la ghost writer di un famoso sceneggiatore (Alessandro Gassman) che da anni si affida solo a lei per i suoi script. Quando però Valeria gli consegna un soggetto dettatole da un misterioso anziano signore (Renato Carpentieri) che sembra saperla lunga su cose di mafia, la faccenda si complica e diventa imprevedibilmente pericolosa. Perché quel misterioso signore è un poliziotto e la storia che le ha raccontato è vera ed ha a che fare con il furto del celebre dipinto caravaggesco da parte della mafia. Valeria si ritrova così sempre più spinta in un vortice di misteri, tra pedinamenti, telecamere nascoste, mafiosi che pestano lo sceneggiatore, incontri segreti nel cuore del governo, trattative… E soprattutto il set del film, che nel frattempo è andato in produzione, diretto da un famoso regista internazionale (interpretato da Jerzy Skolimowski) e prodotto con soldi della stessa mafia… La quale a questo punto vuole scoprire chi è il misterioso sceneggiatore che sta scrivendo quello script e conosce così tanti segreti.

Roberto Andò si diverte a raccontare una storia che ha il gusto pienamente giallo, ambientandola (con una certa libertà creativa) nel mondo del cinema, tra set, case di produzione, sceneggiatori e registi. Il film riesce nel gioco di equilibrio tra la trama gialla e le sfumature sentimentali e comiche che comunque danno il loro apporto. Micaela Ramazzotti tiene fede al suo personaggio, virandolo in versione sexy quando necessario.

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VENEZIA, LEONE D’ORO A “ROMA” DI CUARON

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La Giuria di Venezia 75, presieduta da Guillermo del Toro e composta da Sylvia Chang, Trine Dyrholm, Nicole Garcia, Paolo Genovese, Malgorzata Szumowska, Taika Waititi, Christoph Waltz, Naomi Watts, dopo aver visionato tutti i 21 film in concorso, ha deciso di assegnare il Leone d’oro per il miglior film a Roma di Alfonso Cuarón (Messico).
Leone d’argento – Gran premio della giuria a: The Favourite di Yorgos Lanthimos (Uk, Irlanda, Usa); Leone d’argento – Premio per la migliore regia a: Jacques Audiard per il film The Sisters Brothers (Francia, Belgio, Romania e Spagna). Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a: Olivia Colman nel film the Favourite di Yorgos Lanthimos (Uk, Irlanda, Usa); Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a: Willem Dafoe nel film At Eternity’s Gate di Julian Schnabel (Usa, Francia).

Premio per la migliore sceneggiatura a: Joel Coen ed Ethan Coen per il film The Ballad of Buster Scruggs di Joel Coen ed Ethan Coen (Usa). Premio speciale della giuria a: The Nightingale di Jennifer Kent (Australia). Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente a: Baykali Ganambarr nel film The Nightingale di Jennifer Kent (Australia).

 

GOMORRA, MARCO D’AMORE GIRA SPIN-OFF SU CIRO

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Marco D’Amore, che indossa i panni di Ciro Di Marzio nella serie Gomorra, sarà il protagonista e dirigerà il film dal titolo provvisorio “Immortale”, spin-off di Gomorra. La pellicola sara’ prodotta da Cattleya. Lo riferisce Deadline. 
Lo scrittore di Gomorra, Leonardo Fasoli sta lavorando alla sceneggiatura del film. Vision Distribution, la società di distribuzione cinematografica nata dall’accordo di Sky Italia con altre case di produzione, si occupera’ della distribuzione.

EROS RAMAZZOTTI «STAVO PER RITIRARMI DALLE SCENE»

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«Ho passato qualche anno in cui non sapevo se continuare o fermarmi per sempre. Mi sono chiesto se continuare avesse un senso perché mi sono detto: “Che lo compongo a fare un disco tanto per farlo?”. Ci sono tanti artisti che vivono di memoria, non volevo iscrivermi al club».
La risposta che Eros Ramazzotti si è dato si chiama Vita ce n’è, ed è il suo quindicesimo album, che definisce rivoluzionario. «Per realizzarlo ho speso un anno e mezzo della mia vita in studio. È un disco che considero un nuovo inizio», racconta a Vanity Fair, dove torna a parlare a quasi tre anni dalla sua ultima intervista e alla vigilia del lancio (il 23 novembre) cui farà seguito – prima data 17 febbraio 2019, Monaco di Baviera – un tour mondiale.

 

«Sulla mia storia gli americani avrebbero già fatto un film». La madre casalinga, il padre imbianchino, la vita «in armonia, con le tasche vuote» a cinecittà, dove Fellini lo prese come comparsa in Amarcord e si trovò in un hangar caldissimo, sotto una fitta (e finta) nevicata, a tirare «palle di neve sudando sotto il cappotto».
Tutto era già scritto, ricorda nella storia di copertina di Vanity Fair, nel suo carattere di adolescente: «Ero chiuso, più che timido. Il mio migliore amico era Billy, il mio cane. Un pastore belga con il quale correvo e andavo in piazza a osservare e ascoltare gruppetti pieni di persone che non facevano altro che dire “andiamo a ballare, a divertirci, a mangiare una pizza”. Cazzeggiavano tutti. Io stavo in disparte e pensavo che la mia vita dovesse essere comunque un’altra roba». La precoce passione per la musica («Suono da quando ho cinque anni, provavo a insegnare a tutti il rock and roll»), gli inizi da «autodidatta di merda», l’arrivo a Milano «in cuccetta, perché all’epoca dell’aereo avevo paura», i primi anni massacranti dopo il successo («Da Terra Promessa, che vinse a Sanremo Giovani, avrò fatto il giro del mondo in 80 giorni, come Giulio Verne, almeno 200 volte»).

 

Ora che ha quasi 55 anni, e oltre 35 di carriera, non cova nessun rancore verso chi un tempo non credeva in lui. «Dicevano che invece di cantare belavo? Me ne sono sempre fregato. Scherzavano sul fatto che avessi la mascella come l’uomo di Neanderthal? Ci ridevo e pensavo: ’Sti cazzi». Lo snobbavano perché cantava d’amore? «Ho vinto sempre con quello e adesso, dopo anni di irrisioni, sentire il coro di quelli che riscoprono quel sentimento un po’ mi fa sorridere». L’unico parametro credibile per valutare una carriera, spiega a Vanity Fair, è la durata: «Oggi se i giovani resistono due generazioni sono dei mostri e sarebbe difficile emergere anche per me. Imbarcano chiunque per fare cassa e dopo una stagione li accantonano per dare spazio ad altri dieci disgraziati».
Dice di apprezzare Coetz, Calcutta, Ghali, e anche un musicista del pallone come Cristiano Ronaldo: «Fa girare il denaro, crea un indotto, scuote il mercato, dà lavoro a tanta gente. Criticarlo è demenziale. Con i social adesso si dà addosso a chiunque, ma aggredire chi procura introiti è autolesionista. L’hanno fatto anche con me e posso dire che anche io come Ronaldo muovo una piccola economia che fa bene a qualcuno. Non sarò mai geloso dei numeri di Vasco Rossi ad esempio. Ha fatto lavorare decine di migliaia di persone per mesi. E io quando gli altri lavorano e guadagnano sono contento».

 

Definisce il suo rapporto con il denaro «pulito», e ricorda il padre comunista che «immaginava un mondo equo in cui a tutti toccasse in sorte un pezzo di pane. Era utopia e lo scoprì sulla sua pelle. La tessera del Pci la presi anche io, ma solo per sei mesi. (…) Alle ultime elezioni ho votato 5 Stelle e lo rifarei. Ci vuole tempo per cambiare e migliorare l’Italia: parliamo di decenni, non di un anno o due». Non avrebbe firmato un appello contro Matteo Salvini che a volte gli appare «duro e pesante» ma non pensa che abbia tutti i torti «in assoluto» e possa vantare almeno un pregio: «Smaschera l’ipocrisia generale».

DAVID GUETTA, ARRIVA “7” CON SIA, J.BALVIN, BIEBER

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Dopo 4 anni da “Listen”, David Guetta torna con un nuovo album in studio, ‘7’, in uscita il 14 settembre.
Il prossimo doppio album vede come al solito la presenza di artisti che primeggiano nelle classifiche internazionali mostrando in questo caso la loro abilità nel realizzare con David tracce che mescolano la dance insieme a vari generi. L’album include alcune  hit già edite come “2U” con Justin Bieber, “Flames” con Sia, “Like I Do”con Martin Garrix e Brooks e l’attuale singolo e hit “Don’t Leave Me Alone” con Anne-Marie. Guetta non è nuovo alle sue collaborazioni con artisti superstar del mondo del pop e dell’hip hop che anche in quest’album vengono valorizzati al massimo.

Tra gli artisti che hanno collaborato con David a questo giro possiamo ricordare tra i vari:  Anne-Marie, Bebe Rexha, Black Coffee, G-Eazy, J.Balvin, Jason Derulo, Jess Glynne, Justin Bieber, Lil Uzi Vert, Madison Beer, Martin Garrix, Nicki Minaj, Sia, Stefflon Don, Steve Aoki e Willy William.
Due nuove tracce sono uscite il 24 Agosto, “Goodbye”con Jason Derulo feat. Nicki Minaj & Willy William e”Drive” con Black Coffee.

Tracklisting:
1. David Guetta – Don’t Leave Me Alone (feat. Anne-Marie)
2. David Guetta – Battle (feat. Faouzia)
3. David Guetta & Sia – Flames
4. David Guetta – Blame It On Love (feat. Madison Beer)
5. David Guetta, Bebe Rexha & J. Balvin – Say My Name
6. Jason Derulo & David Guetta – Goodbye (feat. Nicki Minaj & Willy William)
7. David Guetta – I’m That Bitch (feat. Saweetie)
8. David Guetta, Martin Garrix & Brooks – Like I Do
9. David Guetta – 2U (feat. Justin Bieber)
10. David Guetta – She Knows How To Love Me (feat. Jess Glynne & Stefflon Don)
11. David Guetta & Steve Aoki – Motto (feat. Lil Uzi Vert, G-Eazy & Mally Mall)
12. Black Coffee & David Guetta – Drive (feat. Delilah Montagu)
13. David Guetta – Para que te quedes (feat. J. Balvin)
14. David Guetta – Let It Be Me (feat. Ava Max)
15. David Guetta & Sia – Light Headed

 

 

LA VITA PROMESSA, LUISA RANIERI MADRE CORAGGIO

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Il personaggio di Carmela, madre coraggio che arriva a New York negli anni Venti durante il flusso migratorio in cui eravamo noi italiani a spostarci per cercare un’esistenza più dignitosa, l’ha affascinata fin da subito: “Mi sono innamorata pazzamente di lei” dice Luisa Ranieri, protagonista de “La vita promessa”, quattro puntate (prodotte da Picomedia e Rai Fiction) dirette da Ricky Tognazzi, in onda su Raiuno da domenica 16 settembre. Ranieri spiega: “Carmela, come tutti i personaggi che hanno delle sfumature, non è un cliché, non è la solita mamma da fiction. È una donna che ha zone grigie come, ad esempio, il rapporto conflittuale con suo figlio. E’ un personaggio a tutto tondo che ogni attrice vorrebbe incontrare nel suo percorso”.
La storia, dicevamo, è quella di Carmela che scappa dalla Siclia negli Stati Uniti con i suoi figli in cerca di una vita migliore. A scriverla è stata l’indimenticata Laura Toscano, sceneggiatrice che, ricorda il direttore di Rai Fiction Tinni Andreatta, “ha firmato grandi successi della Rai. Ha scritto dieci anni fa questa storia che, oggi, è ancora più attuale. È una storia che racconra la nostra condizione di emigranti. C’è il tema dell’immigrazione e c’è il tema della crisi. E c’è la forza dei sentimenti”.
Il regista conferma: “E’ una storia che riflette anche la storia di oggi. Allora arrivavano a New York dodicimila immigrati al giorni. Noi italiani eravamo la feccia ma venivamo accolti. Ora è il momento di pagare questo debito” afferma Tognazzi che, sulla Ranieri, aggiunge: “Luisa ha superato se stessa. La cosa bella è la sua grande generosità”.
Accanto a Luisa Ranieri nel cast de “La vita promessa” ci sono, tra gli altri, Thomas Trabacchi (“All’epoca in Italia di faceva fatica a mangiare. Se ci guardiamo indietro e capiamo chi siamo, avremo qualche indicazione su dove dovremmo andare”), Lina Sastri (“Il mio è un personaggio piccolo ma bello, una donna che accoglie gli immigrati per denaro, con un animo prepotente e burbero ma con un animo generoso”), Miriam Dalmazio (“La mia Rosa è un personaggio bellissimo, una prostituta che ha il sogno americano per raggiungere ciò che non ha mai avuto”), e Francesco Arca: “Il mio personaggio è l’anima nera di questa serie”, dice mentre Cristiano Caccamo, che interpreta il figlio maggiore di Carmela, anticipa: “Il mio personaggio è un po’ scorretto, con uno spirito di vendetta”.