MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Intesa Sanpaolo ha definito un accordo con le Organizzazioni sindacali i termini del Contratto di secondo livello del Gruppo. Viene così a costituirsi l’assetto normativo di riferimento di un avanzato sistema di welfare concepito attraverso il confronto con il sindacato, in cui gli istituti di Intesa Sanpaolo si integrano con quelli normati dalla contrattazione collettiva nazionale.
L’accordo raggiunto va nella direzione della valorizzazione e dell’ulteriore ampliamento degli strumenti di welfare a beneficio delle 80 mila persone di Intesa Sanpaolo e delle loro famiglie, il miglioramento dell’efficacia dell’organizzazione aziendale e la definizione di politiche del lavoro sostenibili e differenziate anche in fasi diverse della vita lavorativa che possano creare coesione e solidarietà tra le diverse generazioni presenti in azienda. Gli accordi riguardano, in particolare, i percorsi di sviluppo professionale, la conciliazione dei tempi di lavoro e di famiglia, l’inclusione, la formazione, la previdenza complementare.
Il contratto di secondo livello – rinnovato con l’accordo del 3 agosto 2018 e successivamente modificato anche in occasione dell’integrazione del Gruppo UBI – era in scadenza il 31 dicembre 2021. La durata del contratto è 1° gennaio 2022-31 dicembre 2025. In tale contesto è stata anche conclusa l’armonizzazione dei trattamenti normativi ed economici riferiti al Personale dell’ex Gruppo UBI avviata con l’accordo 14 aprile 2021.
“Con il nuovo contratto più benessere in azienda e maggiore efficacia della macchina organizzativa. Gli importanti accordi sottoscritti tra Intesa Sanpaolo e le organizzazioni sindacali offrono un quadro normativo avanzato entro il quale giocano un ruolo fondamentale aspetti come la conciliazione, la formazione, i percorsi di sviluppo professionale. Ringrazio le Organizzazioni sindacali nazionali e di Gruppo per le ottime relazioni e il dialogo sempre costruttivo: anche in questa occasione sono state trovate soluzioni valide e condivise che porteranno ad un maggiore benessere per le colleghe e i colleghi di Intesa Sanpaolo e ad un ulteriore miglioramento dell’efficacia della macchina organizzativa”, ha dichiarato Paola Angeletti, Chief Operating Officer Intesa Sanpaolo.
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Intesa Sanpaolo, accordo con i sindacati per accrescere il welfare
Fastweb, smart working ma ufficio ibrido non si può abbandonare
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – In Fastweb l’era dello smart working inizia nel 2016. Quattro anni prima della pandemia l’azienda assume un’iniziativa per consentire al 70% dei dipendenti (che sono 2800 nelle 17 sedi italiane) di utilizzare il lavoro da remoto per un giorno della settimana. Di tutti gli utenti abilitati l’84% dei dipendenti ha subito utilizzato l’opportunità dello smart working, per una media di 3 giorni al mese, contro i 4 disponibili.
“Poi è scoppiato il Covid e con un accordo sindacale abbiamo subito esteso lo smart working a tutti i dipendenti per tutti i giorni della settimana, e non mi pare che ci siano stati contraccolpi nella generazione di valore. Tutto è andato bene”, racconta Matteo Melchiorri, Chief Human Capital Officer di Fastweb. “In realtà già a gennaio 2020 avevamo aggiornato l’accordo per raddoppiare l’utilizzo del lavoro da remoto, da 4 a 8 giorni al mese, ma l’emergenza sanitaria ha cambiato tutti i programmi”, aggiunge.
E quello che era iniziato come un provvedimento più orientato al bilanciamento di vita e lavoro, introducendo la flessibilità più come benefit di welfare aziendale, si è rivelato premessa per una radicale riorganizzazione del lavoro.
Le infrastrutture tecnologiche – e Fastweb può contare su soluzioni all’avanguardia – hanno consentito di procedere più spediti sulla strada del lavoro da remoto. “Il futuro non sarà senza ufficio – precisa Melchiorri – ma si imporrà un modello ibrido, che non potrà più fare a meno della flessibilità, della responsabilità e di una nuova leadership che si dovrà costruire, più rivolta al “care” che al controllo. Prevale la cura delle persone. Il responsabile del team dovrà sempre più essere attento alla condizione di chi lavora con lui”.
Sarebbe sbagliato per Melchiorri parlare di un “ritorno” in ufficio: non c’è nulla del passato che si possa riprodurre nel futuro. “Ma certamente lo spazio comune fa parte dell’identità aziendale – aggiunge il dirigente Fastweb – la socialità e la creatività hanno bisogno di fisicità, di incontri. La creatività non è pianificabile; invece, fino ad ora ci siamo accontentati di pianificare tutto l’imprevedibile. E il lavoro da remoto è tutto pianificabile”.
In Fastweb sono consapevoli della necessità di recuperare lo spazio comune; per ora il 10-12% è tornato a frequentare l’ufficio nelle sedi (più tutti i negozi) di lavoro, dove vige il blocco che scatta quando si supera il 40% delle prenotazioni tramite la App aziendale. Per ricreare occasioni di incontro, anche da remoto, in Fastweb hanno creato il “random cafè”. Funziona così: ci si iscrive a una piattaforma che, tramite un algoritmo individua appuntamenti da remoto per un caffè virtuale tra colleghi di sedi diverse. Se si accetta l’invito capita quindi di ritrovarsi a chiacchierare – tramite pc – tra colleghi che forse mai si sarebbero incontrati. Alla tradizionale macchina per il caffè ci si ritrovava per lo più tra compagni di scrivania.
All’orizzonte resta un problema irrisolto collegato agli spazi e alla loro nuova gestione ai tempi dello smart working. Se l’accesso viene limitato al 40% della capacità, c’è un problema di ridondanza? Bisogna ridurre le superfici? O semplicemente si devono ridisegnare i layout degli uffici. “Credo che dovremo prevedere meno postazioni singole – conclude Melchiorri – di certo servirà una razionalizzazione dei luoghi. La nuova gestione degli spazi sarà un tema fondamentale dei prossimi mesi”.
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Welfare Italia Forum, 41,5 mld dal Pnrr entro il 2026
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – In Italia, il welfare è la principale voce di spesa pubblica con 576,2 miliardi di euro (il 66,2% della spesa pubblica) includendo i 3 pilastri “tradizionali” (Sanità, Politiche Sociali, Previdenza) e l’Istruzione, con un aumento di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2009. E’ quanto emerge dal Rapporto 2021 del Think Tank “Welfare Italia”.
Al 2019 la componente previdenziale assorbe circa la metà delle risorse: il 51,3% della spesa sociale totale. Segue la spesa sanitaria (20,1%), quella in politiche sociali (16,5%) e la spesa in istruzione (12,1%). Rispetto al 2009, il peso relativo dell’istruzione ha subito la variazione peggiore (-2,1 punti percentuali), seguita dalla sanità (-1,6 punti percentuali). Al tempo stesso, le politiche sociali sono cresciute di 2,8 punti percentuali, l’aumento più significativo nell’ultimo decennio. Il confronto europeo conferma lo sbilanciamento della spesa dell’Italia sulla componente previdenziale: l’Italia è infatti il primo Paese tra i Big5 europei per incidenza della spesa in previdenza rispetto al PIL (16,5%, rispetto ad una media del 12,6% dell’Eurozona). Al contrario, il valore dell’Istruzione incide solo per il 3,9% del PIL italiano, rispetto ad una media dell’Eurozona pari a 4,6%.
Secondo le stime del Think Tank “Welfare, Italia”, la crisi COVID-19 ha indotto un incremento generalizzato di tutta la spesa in welfare nel 2020. In particolare, il principale aumento è stato registrato dalla spesa per politiche sociali (+36%), che supera per la prima volta i 100 miliardi di Euro. Seguono la previdenza (+2,5%, superando i 300 miliardi di Euro) e l’istruzione (+2,1%).
Per quanto riguarda la spesa sanitaria, i valori a consuntivo del 2020 Sanità Politiche sociali Previdenza riportano un aumento del +6,6% portando la spesa totale a superare i 120 miliardi di Euro.
Per affrontare le conseguenze della crisi indotta dal COVID-19, l’UE ha messo a disposizione dei Paesi membri una prima linea di supporto attraverso lo strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in emergenza (SURE).
L’importante innovazione rispetto al ruolo europeo è costituita dal fatto che i prestiti (per un ammontare di 90,3 miliardi di Euro) sono stati finanziati tramite emissione di social bond da parte della Commissione Europea, delineando uno dei primi strumenti di debito comune emesso dai Paesi membri.
L’altro grande intervento europeo è costituito dall’istituzione di Next Generation EU, uno schema finanziario di medio-lungo termine (2021-2026) volto a rispondere alla crisi COVID-19. Tramite diversi meccanismi (tra cui Recovery and Resilience Facility e React- EU) Next Generation EU destinerà ai Paesi membri 806,9 miliardi di Euro in prestiti e sovvenzioni, finanziati da titoli di debito garantiti dall’Unione Europea (confermando, di fatto, la linea tracciata dal SURE nel processo europeo di integrazione fiscale). Nella visione della Commissione Europea sono tre i programmi che dovranno guidare gli sforzi congiunti verso un’Europa sociale forte e coesa: 1) il quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027; 2) Next Generation EU; 3) il Pilastro dei diritti sociali.
Per accedere alle risorse di Next Generation EU, i Paesi membri hanno dovuto predisporre un Piano dettagliato di riforme e investimenti, ovvero il Recovery and Resilience Plan (RRP), dedicando almeno il 37% della dotazione finanziaria complessiva a interventi legati alla transizione energetica e il 20% a interventi dedicati al digitale.
Considerando il totale di fondi veicolati attraverso la Recovery and Resilience Facility, l’Italia è il primo Paese beneficiario dello strumento per un totale di 191,5 miliardi di Euro, tra sovvenzioni (68,9 miliardi di Euro) e prestiti (122,6 miliardi di Euro), ovvero 2,7 volte gli importi richiesti dalla Spagna, 4,8 volte gli importi richiesti dalla Francia e 7,4 volte gli importi richiesti dalla Germania. Con specifico focus rispetto ai fondi destinati al welfare, il Think Tank “Welfare, Italia” stima che il PNRR vi destinerà non meno di 41,5 miliardi di Euro, pari al 22% del totale, grazie alle azioni previste nelle Missioni 4, 5 e 6.
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Roma Capitale punta su SmartBus, welfare per la mobilità
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – La transizione ecologica ed energetica coinvolge anche i mezzi del servizio di trasporto pubblico della Capitale. A partire dal 25 ottobre, infatti, e per un periodo di prova di sei mesi, Atac sperimenta il primo SmartBus, attivo sulla linea 64 che collega la stazione Termini con la stazione San Pietro, dove è collocato l’impianto di ricarica per la vettura. Il progetto è stato sviluppato grazie al lavoro congiunto di Roma Servizi per la Mobilità, Atac ed Ecobus. Un esperimento che arriva dopo le già collaudate esperienze di SmartBus a La Spezia e Torino. Lo SmartBus che circolerà per le strade della Città eterna si presenta esternamente in maniera simile ad un bus tradizionale, ma offre al proprio interno maggiori spazi che derivano da minori ingombri del sistema di accumulo UCSS rispetto a quelli degli autobus elettrici a batteria di pari dimensione. Tra le altre caratteristiche che spiccano di questi nuovi mezzi del futuro anche moderni servizi di comunicazione e geolocalizzazione che permettono ai passeggeri di avere informazioni di viaggio costantemente aggiornate.
“Le caratteristiche tecniche consentono di quantificare per ciascun SmartBus su dieci anni un risparmio di almeno 250mila euro rispetto al migliore autobus a batteria”, ha spiegato Paolo Bernardini, ceo di E-CO, azienda produttrice di questi moderni, tecnologici bus a bassissimo impatto ambientale. “Il miglioramento della qualità della vita dei cittadini e la salvaguardia del nostro futuro sono i motivi che hanno spinto Atac a compiere questa scelta”, gli ha fatto eco l’amministratore unico del trasporto pubblico romano, Giovanni Mottura.
Il veicolo, prodotto da Consorzio SmartBus, Joint Venture tra E-CO, Higher e Chariot, ha tutte le caratteristiche per la realizzazione di una mobilità smart e sostenibile. Il nuovo autobus, infatti, presenta minori pesi e ingombri, grazie all’impiego di un sistema di accumulo a ultracondensatore di ultima generazione ad elevata potenza e densità energetica, studiato da E-CO Hev, società spin-off del Politecnico di Milano. Oltre ad essere un veicolo green, dunque, SmartBus dovrebbe comportare notevoli risparmi economici, anche per quanto riguarda i costi di smaltimento delle batterie così come i costi di realizzazione dei siti di ricarica in deposito e per il rifornimento elettrico. La sperimentazione sulla linea 64 è il primo passo di una politica di investimento dedicata all’incremento dei mezzi elettrici che Atac sta sviluppando in collaborazione con Amn e Atm. L’azienda prevede infatti di aumentare significativamente la dotazione di bus elettrici grazie ai fondi previsti dal Pnrr.
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Il buono pasto digitale per la sostenibilità e la salute
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – L’edizione 2021 dell’Indagine FOOD (Fighting Obesity through Offer and Demand) – la ricerca realizzata dal Gruppo Edenred che ogni anno misura e analizza i temi legati all’alimentazione e alla pausa pranzo – ha avuto come focus le nuove abitudini alimentari quotidiane e le nuove pratiche messe in atto dai ristoratori nel post-pandemia. Lo studio ha coinvolto 66.410 lavoratori e 1.370 operatori della ristorazione nei venti paesi distribuiti tra Europa, Asia e America Latina, compresa l’Italia.
L’edizione 2021 della ricerca conferma che per le persone che svolgono un’attività lavorativa è sempre più importante seguire un’alimentazione sana anche in pausa pranzo. Nel mercato italiano questa tendenza è resa evidente dal 79% dei lavoratori intervistati che si dichiara oggi molto più attento alla propria salute e alle proprie abitudini alimentari. Una consapevolezza maggiore rispetto a quanto emerge a livello mondo (percentuale comunque alta che tocca il 69%). Il 78% dei lavoratori italiani si aspetta un’offerta più sana da parte dei ristoranti, dato in linea con quello globale del 79%; inoltre nel 76% dei casi richiede una maggiore presenza di alimenti freschi nei menù, percentuale notevolmente più alta rispetto al 65% registrato sugli altri mercati.
In Italia un altro importante risultato riguarda l’apprezzamento dei lavoratori nei confronti dell’introduzione delle soluzioni digitali. Il 90% degli intervistati ha infatti espresso un giudizio positivo sul processo di digitalizzazione che ha reso i buoni pasto fruibili da smartphone in qualsiasi momento, da casa, in ufficio e in trasferta. Questo grande risultato è rafforzato dal successo registrato in questi mesi dall’app Ticket Restaurant che, con oltre un milione di download, si è posizionata nella top ten delle applicazioni più scaricate dagli italiani all’interno della categoria cibo e bevande.
Dal lato dei lavoratori il buono pasto continua inoltre a rappresentare un supporto economico immediato e concreto per le famiglie che, grazie a questo strumento, vedono crescere il proprio reddito effettivo. Anche per quanto riguarda i ristoratori italiani sondati dall’indagine si registra un alto gradimento nei confronti delle innovazioni introdotte nel settore: il 74% di loro apprezza molto l’introduzione dei buoni pasto digitali, strumenti che si adattano benissimo ai nuovi metodi di somministrazione, come food delivery e take-away, la cui maggiore diffusione è coincisa con le fasi di lockdown. Tendenza questa confermata dalla percentuale di ristoratori italiani, il 70%, che, anche per adeguarsi alle misure restrittive dell’ultimo anno, hanno attivato servizi di consegna e asporto. Food delivery e take-away si sono velocemente affermati nelle nuove abitudini di consumo degli italiani che nel 79% dei casi, in linea con i dati globali, si aspettano da parte della ristorazione questo tipo di servizi.
Come per gli utilizzatori di buoni pasto, anche i ristoratori dimostrano una maggiore attenzione nei confronti di un’alimentazione sana ed equilibrata e nel 62% dei casi emerge la forte convinzione che l’introduzione di piatti più salutari sia stata accolta in maniera positiva dalla clientela, dato leggermente superiore rispetto al 59% registrato negli altri mercati.
L’edizione 2021 dell’Indagine FOOD 2021 ha toccato anche la lotta allo spreco alimentare, tema sul quale la quasi totalità dei fruitori di buoni pasto si è dichiarata attenta: il 96% degli intervistati in Italia, percentuale che ricalca quella globale. Tra i lavoratori italiani, l’85% è interessato a conoscere quali ristoranti siano impegnati nella lotta allo spreco. Su questo argomento Edenred Italia è impegnata in prima linea grazie anche alla partnership con Too Good To Go lanciata lo scorso marzo, che ha portato ad oggi a “salvare” 32.852 magic box, corrispondenti all’80% delle 40.000 (equivalenti a 100 tonnellate di CO2, come 300 voli Roma – Londra) poste come obiettivo per il 2021.
Un’ultima nota sull’impatto ambientale derivante dai nuovi metodi di vendita e consumo: il 55% dei ristoratori italiani ha introdotto misure per ridurre e gestire in maniera sostenibile i rifiuti prodotti da food delivery e take-away. Su questo la ristorazione italiana ha dimostrato maggiore sensibilità rispetto a quella degli altri paesi, dove questo dato si attesta sul 42%.
“L’Indagine FOOD 2021 conferma la tendenza registrata negli ultimi anni verso una maggiore attenzione nei confronti di un’alimentazione sana ed equilibrata in pausa pranzo, diventata ormai un elemento cardine per le abitudini alimentari dei lavoratori ed un fattore decisivo per le attività della ristorazione – dichiara Stefania Rausa, Direttore Marketing & Comunicazione di Edenred Italia -. La ricerca evidenzia inoltre un apprezzamento diffuso per la svolta digitale impressa al settore dei buoni pasto, ed una maggiore sensibilità verso la lotta allo spreco alimentare e la difesa dell’ambiente. Temi come la sostenibilità e la diffusione di una cultura digitale, insieme alla promozione di un’alimentazione sana, caratterizzano il nostro impegno e il nostro percorso di crescita”.
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Per gli psicologi cresce il disagio tra i giovani
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Otto italiani su dieci chiedono lo psicologo nella scuola, percentuale che cresce fino a 9 su 10 tra i giovani; due italiani su tre lo chiedono in aiuto al medico di famiglia, negli ospedali, nei servizi sociali, nelle carceri; sette lavoratori su dieci lo vorrebbero nelle aziende. Sono alcuni dei numeri diffusi dal presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, David Lazzari, in occasione delle Giornata nazionale della Psicologia, celebrata con un convegno a Roma al quale hanno preso parte numerosi esponenti del mondo delle istituzioni, della politica, della società, della medicina e dello sport, a partire dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Un allarme sociale e un vero e proprio appello alle istituzioni, quello lanciato dal presidente del Cnop che parla di un “crescente bisogno psicologico nel Paese, di una forte richiesta da parte dei cittadini di una rete sociale per difendere e promuovere il benessere psicologico” che si scontra però, ha avvertito Lazzari, “con una risposta pubblica carente nonostante le normative avanzate che, sulla carta, garantiscono l’assistenza psicologica”.
Gli psicologi nel pubblico per quanto riguarda il nostro Paese sono 5mila, con una media che si attesta a 5,3 per 100mila abitanti, esattamente la metà di quella dei Paesi più avanzati secondo un report dell’Oms. E a confermare questo quadro è stato proprio il ministro Speranza: “Oggi la risposta pubblica in termini di assistenza di fronte alle domande e necessità di aiuto psicologico ai cittadini è al di sotto delle aspettative. C’è un problema di personale che è fondamentale risolvere, ma oggi ci sono risorse che non c’erano e dentro la riforma del Servizio sanitario nazionale, e anche nella sfera dell’assistenza psicologica, si devono fare passi in avanti”. A confermare la maggiore richiesta di aiuto psicologico da parte degli italiani è stato il vicepresidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto, presentando l’ultima indagine realizzata dall’istituto demoscopico secondo la quale gli italiani “faticano a mettersi alle spalle la pandemia psicologica”, conseguenza della crisi da Covid-19, e “il 10% circa della popolazione appare più stressata rispetto al periodo pre-Covid. A subirne di più le conseguenze – ha continuato – sembrano essere i giovani, tra i quali, come emerge da un’altra ricerca svolta a fine 2020, la gioia era presente solo nel 2%”.
E a proposito dei giovani, Gigliuto sostiene che per combattere questa pandemia psicologica, secondo gli italiani un ‘vaccinò sarebbe rappresentato proprio dal supporto e dalla presenza di psicologi nelle scuole, “gradita a più di 8 cittadini su 10″, in particolare gli italiani si aspettano che i ragazzi ottengano dagli psicologi quell’ascolto e quel confronto che tanto sono mancati ai giovani negli ultimi 20 mesi”. Una richiesta che sembra trovare ascolto nella proposta di legge presentata dal deputato di Coraggio Italia, Emilio Carelli, di inserire uno psicologo in ogni scuola italiana per intercettare il disagio mentale post-Covid, per fare un’azione di prevenzione e per aiutare i ragazzi nell’affrontare i problemi psicologici: “C’è una proposta di legge presentata alla Camera, che prevede la figura dello psicologo in ogni scuola. In Italia ci sono 37mila istituti tra primari e secondari. Finora alcune scuole autonomamente e con propri mezzi hanno chiesto l’aiuto per una consulenza a uno psicologo part-time. La mia proposta è un professionista iscritto all’Ordine assunto a tempo indeterminato con regolare concorso”. Una soluzione che, secondo Carelli, servirebbe a “intercettare situazioni di disagio a seguito della pandemia, ma anche i casi di bullismo e cyberbullismo, e le difficoltà di apprendimento e dislessia. Spero calendarizzata, per poi essere approvata prima della fine della legislatura”.
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Fondi pensione, crescono adesioni e rendimenti
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Covip ha pubblicato i principali dati statistici della previdenza complementare aggiornati al mese di settembre 2021.
A settembre del 2021 le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari sono 9,571 milioni, in crescita di 229.000 unità (+2,5 per cento) rispetto alla fine del 2020. A tale numero di posizioni, che include anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti che può essere stimato in 8,650 milioni di individui.
Tra le tipologie di forma pensionistica, i fondi negoziali registrano un incremento di 91.000 posizioni (+2,8 per cento), per un totale a fine settembre di 3,353 milioni. Otre metà della crescita si ha in quei fondi per i quali sono attive le adesioni contrattuali, in particolare nel fondo rivolto ai lavoratori del settore edile (circa 46.000); seguono il fondo territoriale destinato ai lavoratori della regione Veneto (circa 7.600) e il fondo dei lavoratori del commercio e dei servizi (circa 7.000). Nelle forme pensionistiche di mercato, si rilevano 70.000 posizioni in più nei fondi aperti (+4,3 per cento) e 72.000 posizioni in più nei PIP nuovi (+2 per cento); alla fine di settembre del 2021, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 1,697 milioni e 3,582 milioni di unità. Le risorse destinate alle prestazioni sono, a fine settembre 2021, pari a 208,5 miliardi di euro, circa 10,5 miliardi in più rispetto a fine 2020. Nei fondi negoziali, l’attivo netto è di 63,9 miliardi di euro, il 5,8 per cento in più. Nelle forme di mercato, esso ammonta a 27,6 miliardi nei fondi aperti e a 42,2 miliardi nei PIP “nuovi” aumentando, rispettivamente, dell’8,9 e dell’8,1 per cento. Nei nove mesi del 2021 le forme pensionistiche di nuova istituzione hanno incassato 8,8 miliardi di euro di contributi. Rispetto al corrispondente periodo del 2020, segnato dalla diffusione dell’emergenza epidemiologica, i flussi contributivi aumentano di circa 660 milioni di euro (+8,1 per cento). L’incremento si riscontra in tutte le forme pensionistiche, con variazioni tendenziali che vanno dal 6,2 per cento dei fondi negoziali, all’8,4 dei PIP fino al 13,3 per cento dei fondi aperti.
Nei nove mesi del 2021 i risultati delle forme complementari sono stati in media positivi, soprattutto per le linee di investimento caratterizzate da una maggiore esposizione azionaria. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i rendimenti si sono attestati, rispettivamente, al 3,1 e al 4,1 per cento per fondi negoziali e fondi aperti; nei PIP di ramo III essi sono stati pari al 7,3 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari allo 0,9 per cento. Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, nel periodo da inizio 2011 a fine settembre 2021, il rendimento medio annuo composto è stato pari al 3,7 per cento per i fondi negoziali, al 3,8 per i fondi aperti, al 3,8 per i PIP di ramo III e al 2,3 per cento per le gestioni di ramo I; nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari all’1,9 per cento annuo.
(ITALPRESS).
In Italia tra due anni solo 2 dipendenti su 5 in presenza
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – I cambiamenti indotti dalla pandemia nel mondo del lavoro sono destinati a lasciare un segno permanente in Italia: tra due anni si prevede che solo il 42% dei dipendenti lavorerà in azienda, circa la metà del periodo pre-COVID ma in aumento rispetto alla situazione attuale, dove a recarsi sul posto di lavoro è appena il 32%. Lo rivela una anticipazione dei risultati della ricerca Benefit Trends Survey 2021-2022 condotta da Willis Towers Watson su un campione di aziende attive nel nostro Paese e rappresentanti circa 155.000 lavoratori.
La modalità ibrida, ovvero sia da remoto sia in presenza, tra due anni resterà comunque più diffusa di quella completamente a distanza, sebbene quest’ultima abbia registrato, l’anno scorso, una maggiore crescita proporzionale. Nel 2019 infatti la stragrande maggioranza dei dipendenti, l’82%, lavorava in ufficio. Erano solo il 12% i lavoratori che si alternavano tra casa e ufficio e il 6% quelli in remoto: oggi invece sono rispettivamente il 31% e il 38%, con un evidente balzo di crescita in entrambe le categorie.
Anche gli accordi di lavoro futuri rifletteranno la nuova normalità, col 26% delle aziende che si attende che i dipendenti lavoreranno in alternanza paritetica tra luogo di lavoro e da remoto, il 33% più da casa che non da ufficio e il 41% all’opposto. Sta cominciando però un riassestamento della percentuale di dipendenti che lavorano solo da remoto (tra due anni scenderanno dal 38% al 23%), mentre stanno aumentando di contro quelli che lavorano in presenza (tra due anni saliranno dal 32% al 42%) e in modalità ibrida (dal 31% al 35%).
Sette aziende su dieci (71%), inoltre, progettano oggi di consentire un pieno ritorno in ufficio su base volontaria entro la fine dell’anno, mentre il 47% non sono ancora sicure di quando termineranno i protocolli anti-COVID e solo un 10% prevede di fermarli prima del 2022.
“Il lavoro ibrido è destinato a giocare un ruolo di primo piano in futuro, andando a coprire fino a un terzo della forza lavoro aziendale. Abbiamo sperimentato cambiamenti profondi durante il Covid e le persone hanno bisogno di essere sostenute in questa transizione. Nel passaggio verso la “nuova normalità” le aziende devono concentrarsi sulla employee experience, personalizzando l’offerta di benefit, integrando il wellbeing nei propri programmi e supportando i dipendenti in un contesto di lavoro più agile e flessibile”, spiega Alessandro Brioschi, Health & Benefit Senior Consultant di Willis Towers Watson.
(ITALPRESS).









