Lavoro & Welfare

Intesa Sanpaolo, inclusività all’avanguardia per la gestione HR

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Intesa Sanpaolo è la prima Banca in Italia e tra le prime in Europa a ricevere la Gender Equality European & International Standard (GEEIS-Diversity), certificazione internazionale dell’associazione Arborus rilasciata tramite Bureau Veritas e finalizzata a valutare l’impegno delle organizzazioni in materia di diversità e inclusione. “Questa certificazione volontaria indica che Bureau Veritas riconosce l’attenzione di Intesa Sanpaolo per l’equità di genere e per la valorizzazione della componente femminile della Banca. Una significativa attestazione dei risultati raggiunti con le nostre politiche di genere che conferma il buon posizionamento nei principali indici internazionali in ambito di promozione delle pari opportunità sul luogo di lavoro”, ha commentato Paola Angeletti, Chief Operating Officer Intesa Sanpaolo.
“Grazie all’attività di valutazione da parte di Bureau Veritas, Intesa Sanpaolo ha avuto la conferma della maturità del suo approccio in ambito Diversity & Inclusion, misurandosi con uno standard che esprime le best practice a livello internazionale – afferma Diego D’Amato, Presidente e Amministratore Delegato di Bureau Veritas Italia – Per Bureau Veritas è motivo di orgoglio confrontarsi con realtà all’avanguardia nell’ambito della gestione delle risorse umane”. Il processo di valutazione ha esaminato i dati, i processi del personale, le policy e i piani d’azione con particolare attenzione alla consequenzialità tra le attività di ascolto, le iniziative e i progetti svolti e il monitoraggio dei risultati. Intesa Sanpaolo è inoltre inserita nel Bloomberg Gender-Equality Index 2021 (GEI) con punteggio ampiamente superiori alla media del settore finanziario globale e nel Diversity & Inclusion Index di Refinitiv, indice internazionale che seleziona le 100 aziende al mondo quotate in borsa come più inclusive e attente alle diversità; è stata inoltre riconosciuta da Equileap Research nella top 5 del FTSE MIB 40, nella classifica 2020 Gender Equality in Spain, Italy and Greece.Bureau Veritas – riconosciuto da Arborus come unico ente incaricato delle attività di verifica per il label GEEIS – ha scelto di implementare tale modello anche al proprio interno, testimoniando direttamente l’impegno per le tematiche Diversity & Inclusion.
(ITALPRESS).

Italia no profit, community in crescita e inclusiva

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – La composita community di Italia non profit si espande a tassi esponenziali dimostrando sempre nuove necessità. Lo dimostrano i dati del Non Profit Philanthropy Social Good Covid-19 Report 2020 di Italia non profit che evidenziano come, con l’avvento della pandemia, il Terzo Settore si sia trovato a utilizzare metodi più digitali nel quotidiano. Ad esempio il 27,9% delle organizzazioni ha attivato lo smart working, il 23,5% ha utilizzato la formazione a distanza e le videoconferenze, il 19% ha creato contenuti digitali per l’attività dell’ente, il 12% raccolte fondi digitali e il 5,3% ha orientato attività di digital marketing verso nuovi target. Cambiano i tempi, mutano i bisogni e si modificano di conseguenza anche i servizi che la piattaforma offre agli utenti.
“Abbiamo iniziato il nostro percorso cinque anni fa rendendo accessibili le informazioni relative alle organizzazioni non profit e al settore. E’ nata così la community più grande del Terzo Settore: punto d’incontro e di riferimento per enti, operatori, aziende, fondazioni e cittadini. Una community che sin dalla sua nascita ha puntato sulle potenzialità del digitale per anticipare i tempi e rispondere a tutte le nuove necessità e bisogni. Una scelta che si è rivelata vincente e che ci porta oggi ad aprire 8 nuove vacancy in diverse funzioni aziendali. Vogliamo contribuire alla professionalizzazione del Settore mettendo a disposizione un know how specializzato e risorse digitali, continuando a lavorare accanto a enti, aziende, fondazioni, banche e donatori” – spiega Giulia Frangione, CEO di Italia non profit.
Nata dall’idea delle due cofondatrici, nella startup innovativa a vocazione sociale e società benefit sono impiegate attualmente in maniera stabile 12 professionisti e professioniste con età media di 33 anni (la presenza femminile è pari al 70%, equidistribuita all’interno dell’organigramma tra funzioni operative e manageriali). Ogni anno, inoltre, la società accoglie giovani che desiderano intraprendere la propria carriera nei temi del digitale, data analysis, sostenibilità, collaborando con le principali realtà accademiche e formative italiane.
Italia non profit ha aperto 8 nuove posizioni per cercare talenti digitali in grado di sviluppare progetti innovativi dedicati a chi dona, a chi lavora nel non profit, ai volontari e a chi investe nel sociale. Il tutto per mettere sempre di più a disposizione del Settore i migliori dati, informazioni, prodotti e tecnologie disponibili lavorando accanto a enti, aziende, banche, assicurazioni, fondazioni filantropiche e donatori. Le posizioni aperte spaziano dalle vendite, al marketing, alla comunicazione digitale, allo sviluppo di nuovi prodotti, al web developement e richiedono diverse seniority. Queste figure entreranno a far parte di un team con skills specifiche e lavoreranno con le metodologie agili più innovative. Avranno la possibilità di creare progetti di impatto sociale e di sviluppare una carriera internazionale collaborando con i principali player del mercato.
(ITALPRESS).

Anche le spese Dad fanno parte del welfare aziendale

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Una buona notizia dall’Agenzia delle Entrate: le spese sostenute dai lavoratori per l’acquisto dei device necessari ai figli per seguire le lezioni scolastiche e i corsi universitari rientrano nel quadro dell’esenzione fiscale di cui all’Art. 51, c.2, lett. f-bis) del TUIR. Dunque il riferimento al favor fiscale per questo tipo di acquisti non è più l’Art. 51, c.3 la cui soglia massima del resto, pur recentemente elevata a 516 euro dal DL “Sostegni” (sia pure solo fino al 31 dicembre 2021), non era e non sarebbe stata verosimilmente sufficiente a coprire questo tipo di spesa.
L’Agenzia delle Entrate riconosce adesso che il costo sostenuto per l’acquisto di pc e tablet – alla condizione di cui ora diremo – riferendosi a “dispositivi fondamentali per consentire la ‘didattica a distanzà, il cui utilizzo è finalizzato all’educazione e all’istruzione” (i costi dei cui servizi erano già defiscalizzati dalla lett. f-bis della norma citata) è, a sua volta, escluso dalla base imponibile ai fini della determinazione del reddito di lavoro.
Lo precisa la Risoluzione 37/E del 27 maggio 2021 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate a seguito dell’interpello proposto da un’impresa che intendeva verificare se il proprio piano di Welfare Aziendale potesse includere il rimborso di queste spese o consentire direttamente l’acquisto dei beni strumentali alla “Didattica a Distanza” (cd. “DaD”) fruendo di appositi voucher e sulla base di specifiche convenzioni cui accedere anche tramite la piattaforma web allestita da un Provider.
La positiva risposta fornita dal Fisco è sottoposta all’unica condizione, peraltro delineata anche dall’azienda interpellante, dell’acquisizione della documentazione, di fonte scolastica o universitaria, che attesti l’effettiva frequenza delle lezioni nella modalità della “classe virtuale”.
Il Welfare Aziendale, con questa importante Risoluzione, aggiunge un ulteriore tassello al suo impianto orientato alle finalità sociali che non solo ne costituiscono il fondamento che giustifica il trattamento di favore riconosciuto ai benefit indicati dal TUIR, ma rappresenta un ulteriore dimostrazione di come proprio tali finalità sociali, per il futuro, caratterizzeranno sempre di più i programmi di Welfare Aziendale e ciò lungo il dispiegarsi di quel trend post-pandemia che ha già rimesso al centro del dibattito (e soprattutto degli interventi aziendali) i servizi dedicati alla famiglia e più in generale quelli dell’ampia categoria del “people care”.
(ITALPRESS).

Ivass, insufficiente la cultura assicurativa degli italiani

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) ha pubblicato l’indagine sulle conoscenze e i comportamenti assicurativi degli italiani. 54/100 l’indice generale di assicurazione, 5 gli indici sintetici di punteggio
L’indagine IVASS muove dalla necessità di giungere alla definizione di strumenti di misurazione del livello di alfabetizzazione assicurativa precisi e affidabili. Tra le utilità del lavoro c’è sicuramente quella di averci fornito una ricca mole di informazioni che verranno messe a disposizione delle istituzioni, degli studiosi, degli stakeholders per stimolare contributi sia sul piano del metodo che delle azioni da intraprendere.
I numeri dell’indagine (campione e modalità di conduzione dell’intervista): 2.053 intervistati. 54 domande raggruppate in 5 aree conoscenza assicurativa, fiducia verso compagnie e intermediari, avversione al rischio, logica assicurativa, efficacia della comunicazione.
Per ogni sezione di domande sono stati attribuiti punteggi da 0 a 100 sulla base dei quali è stato elaborato un Indice generale di assicurazione. La sufficienza è attribuita al conseguimento di un punteggio pari a 60.
interviste tutte face to face nel rispetto del contesto pandemico.
L’Indice generale di assicurazione in Italia è di 54/100. Non è possibile una comparazione con altre realtà internazionali perchè l’indagine IVASS è la prima realizzata a livello Paese.
Il punteggio dei 5 indici sintetici:

1. conoscenza assicurativa: 30,4, calcolato come media delle valutazioni di:
conoscenza dei termini di base: 40,6
conoscenza dei prodotti assicurativi: 20,1
La conoscenza assicurativa degli italiani è insufficiente, sia quella di base – che è stata indagata chiedendo la definizione corretta di tre concetti tipici della cultura assicurativa: Premio, Franchigia, Massimale – sia quella sui prodotti assicurativi. Ad influenzare il livello di conoscenza degli italiani è soprattutto il livello di scolarizzazione. A una maggiore scolarizzazione sono associati livelli di conoscenza più elevati. La conoscenza è migliore negli uomini rispetto alle donne e al Nord rispetto al Sud e alle Isole. Chi abita in città di medie dimensioni ha una maggior conoscenza rispetto a chi vive in grandi città o piccoli centri urbani. Un eccesso di fiducia (overconfidence) nelle proprie conoscenze emerge dalla differenza fra la percentuale di chi afferma di avere conoscenze assicurative e quella di chi risponde correttamente alle domande.
Poco più del 60% degli intervistati afferma di conoscere bene tutti e tre i concetti di premio, massimale e franchigia ma la percentuale di chi risponde correttamente e congiuntamente alle domande su questi tre concetti è appena del 13,9%. Un quarto del campione di coloro che ritengono di conoscere cosa si intenda per premio pensa che con esso si possa indicare anche il capitale in caso di rimborso.
Anche in tema di prodotti assicurativi è stata riscontrata una divaricazione fra l’affermazione di conoscerli e la reale conoscenza. L'”overconfidence” varia a seconda delle polizze: va da più di dieci volte nella temporanea caso morte, a quattro volte in quella infortuni, a tre volte di quelle di previdenza complementare e a due volte in media di quelle vita.
Il 68,7% delle persone ritiene di non aver bisogno dei consigli dell’assicuratore nè di doversi affidare a fonti informative esterne. Questo eccesso di fiducia nelle proprie capacità può indurre l’assicurato a scelte tendenzialmente poco efficaci ed efficienti. Vi è in sostanza una errata percezione del proprio livello di alfabetizzazione assicurativa. Agire per migliorare la conoscenza diventa sfidante in considerazione della particolare natura del target, convinto di non averne bisogno.
2. fiducia: 59,5
La fiducia verso la compagnia e/o l’intermediario non è l’unico elemento che influenza le scelte dei consumatori. In particolare, l’importanza della fiducia – come elemento che influisce sulle scelte assicurative – diminuisce all’aumentare della scolarizzazione e nei grandi centri urbani. Si nota invece un aumento significativo dell’importanza della fiducia negli over 65.
3. avversione al rischio: 60,2
Dall’indagine è emerso che più elevato è il livello di istruzione, maggiore è l’avversione al rischio. Inoltre, l’avversione al rischio è più marcata nei giovani e nel Nord Est. Tuttavia, gli intervistati pur timorosi dei rischi che corrono non accedono alle relative coperture. Ad esempio, per il 76,7% degli intervistati i timori più sentiti per il presente o il futuro sono i problemi di salute per malattie o infortuni e tuttavia una Polizza Malattia è sottoscritta dal 10,6% degli intervistati, percentuale che sale al 20,2% per la Polizza Infortuni. Ad analoghe conclusioni si giunge in merito al timore di calamità naturali: anche se è maggiore al Sud e nelle Isole rispetto al Nord, è proprio al Nord che si riscontra una maggiore percentuale di sottoscrizione di queste polizze (circa 20% vs. il 4,1% al Sud e il 3,5% nelle Isole).
4. logica assicurativa: 63,7

E’ intesa come “capacità di individuare i corretti collegamenti logici tra concetti in ambito assicurativo”. E’ più elevata per gli uomini e per la popolazione ricompresa nelle fasce di età 18-34 anni e 35-54 anni ed è positivamente correlata con il livello di scolarizzazione. I punteggi differiscono in relazione alle aree geografiche: i punteggi di Sud e Isole sono più bassi che nel resto d’Italia.
I dati sulla logica assicurativa possono suggerire che il cittadino italiano, se accompagnato a maturare una conoscenza di base e dei prodotti adeguata, abbia la capacità di trarre delle conseguenze decisionali corrette.
A tale constatazione si aggiunge un dato di natura comportamentale: il 65,9% del campione dichiara di avere una buona propensione (molto e abbastanza) alla valutazione di diverse offerte prima di scegliere quale polizza sottoscrivere. Questa propensione è più marcata negli uomini rispetto alle donne, si riduce all’aumentare dell’anzianità e cresce all’aumentare della scolarizzazione.
5. efficacia della comunicazione assicurativa: 56,3

Il set informativo dei prodotti assicurativi è considerato abbastanza chiaro solo dal 34% degli intervistati; più del 50% invece manifesta insoddisfazione sulla comprensibilità. In particolare, scarsa comprensibilità, opacità e complessità delle polizze è rilevata dagli intervistati con alta scolarizzazione. Non emergono differenze per genere, età e area geografica. In generale, chi è più consapevole, perchè dispone di strumenti interpretativi/culturali maggiori (laureati e studenti) o perchè è più abituato ad assicurarsi, ritiene le informazioni assicurative scarsamente comprensibili.
La scarsa comprensibilità risulta tra le principali cause di mancata sottoscrizione della polizza (50%), subito dopo il costo (67,5%); seguono la sfiducia nei confronti delle assicurazioni (42,4%) e da esperienze negative pregresse (28,7%).

Cultura assicurativa
Oltre il 70% degli intervistati considera la cultura assicurativa non adeguata. Questa considerazione negativa si accentua all’aumentare della competenza assicurativa e del titolo di studio (laurea triennale e magistrale). E’ opinione degli intervistati che il gap conoscitivo andrebbe colmato innanzitutto dalle istituzioni pubbliche (60%) (IVASS, Consob, Banca d’Italia, Ministero dello Sviluppo Economico) e delle compagnie assicurative, banche e intermediari assicurativi (45,5%).

(ITALPRESS).

Cnel, Italia tra paesi con più “vitalità sussidiaria” in Europa

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Il terzo settore cresce nonostante la pandemia e oggi conta 375.000 istituzioni (+25% in 10 anni). Gli italiani che lo sostengono con contributi sono 6,7 milioni, il 13% degli over 14. Un universo che conta 375.000 istituzioni tra associazioni, fondazioni e cooperative sociali, in aumento del 25% rispetto a 10 anni fa. Gli italiani che partecipano ad attività associative sono 10,5 milioni, vale a dire 1 su 5 tra chi ha più di 14 anni. Il valore della produzione è stimato in 80 miliardi di euro e sfiora il 5% del Prodotto interno lordo. Gli addetti sono 900.000 (70% donne), ai quali si aggiungono 4 milioni di volontari.
E’ quanto emerge da una ricerca condotta da CNEL, Fondazione Astrid e Fondazione per la Sussidiarietà, in occasione della presentazione del volume “Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani”.
La ricerca conferma che la Penisola è uno dei Paesi con più “vitalità sussidiaria” in Europa, con un’associazione ogni 160 abitanti. Circa l’85% delle istituzioni del terzo settore è rappresentato da associazioni, il restante 15% sono cooperative sociali, fondazioni, sindacati o enti. Due terzi delle istituzioni non profit (65%) operano in cultura, sport e ricreazione; seguono l’assistenza sociale e la protezione civile (9%), le relazioni sindacali e imprenditoriali (6%), la religione (5%), l’istruzione e ricerca (40%) e la sanità (4%).
Gli italiani sopra i 14 anni che versano contributi al terzo settore sono oltre 6,7 milioni, pari a 13 su 100. I “sostenitori” sono più diffusi al nord. Il record va al Trentino Alto Adige, dove il 27% degli over 14 contribuisce al terzo settore, seguito da Friuli Venezia Giulia (21%) e Valle d’Aosta (20%). In coda Sicilia (6,1%), Campania (7,4%) e Calabria (7,5%). La maggiore concentrazione di “supporter” del non profit è nei piccoli Comuni, fino a 2.000 abitanti con il 14,8% degli over 14 e nelle zone centrali delle grandi città metropolitane (14,6%).
“Il vasto mondo del terzo settore e più in generale del privato sociale rappresenta una risorsa di enorme valore per il Paese e la sua economia, come abbiamo avuto modo di sperimentare durante l’emergenza sanitaria ed in particolare nei mesi difficili del lockdown, e porta un contributo determinante all’occupazione sia in termini quantitativi che qualitativi – dichiara Tiziano Treu, presidente CNEL – Avrà un ruolo strategico anche nell’attuazione del PNRR. Per questo associazioni e imprese sociali vanno sostenute e tenuta in debita considerazione come più volte evidenziato in audizioni parlamentari e con documenti del CNEL presentati a Governo e Parlamento”.
“Questa nuova ricerca – sottolinea Franco Bassanini, presidente Fondazione Astrid – e ancor più ampiamente quella che presenteremo il 28 maggio al CNEL fanno emergere il ruolo cruciale delle comunità intermedie in un mondo in rapida trasformazione. Nel quale la globalizzazione e le tecnologie digitali, e ora la pandemia, producono frammentazione e atomizzazione. Ma nel quale è sempre più evidente che, al contrario, solo la rivitalizzazione della trama delle comunità intermedie (ridefinite nei loro obiettivi e modi di operare) consentirà di far fronte alle sfide della sostenibilità sociale e ambientale e alla crisi di legittimazione e rappresentatività dei nostri sistemi democratici, indeboliti dalle pratiche illusorie della disintermediazione politica e sociale”.
“La pandemia- osserva Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – ha esaltato il ruolo del terzo settore che ha affiancato l’intervento pubblico in settori chiave come l’assistenza e la salute. Certo l’emergenza Covid ha penalizzato alcuni comparti come asili, centri diurni per invalidi, attività sportive e ricreative. Nonostante la crisi, privati ed enti pubblici hanno sostenuto con donazioni e contributi il terzo settore, riconoscendo il suo grande valore sociale e contribuendo a diffondere la cultura della sussidiarietà”.
(ITALPRESS).

Buoni pasto, dopo la crisi la ripresa

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Il buono pasto è il benefit di welfare aziendale di gran lunga preferito dai lavoratori. Il 40% dei lavoratori che durante la pausa pranzo mangia fuori casa usa i buoni pasto nei 170.000 esercizi convenzionati, in larga maggioranza piccoli bar e ristoranti. L’intero mercato vale circa 3 miliardi, dei quali il 30% rivolti alla Pubblica Amministrazione e assegnati con gara Consip, giunta quest’anno alla nona edizione. Sono circa 100.000 le aziende, enti e amministrazioni che riconoscono i buoni pasto a circa 2,5 milioni di dipendenti: 1,7 nel settore privato, 900.000 in quello pubblico. Ancora pochi se si considera che i lavoratori subordinati in Italia sono quasi 18 milioni. Il buono pasto prima dell’emergenza pandemica era usato al 70% nei bar, ristoranti, gastronomie e per il 30% nella grande distribuzione. Durante la crisi degli ultimi due anni, le percentuali si sono ribaltate: 80% nella grande distribuzione, 20% nei bar, ristoranti e nelle mense diffuse. Matteo Orlandini, nuovo presidente di Anseb (l’Associazione che rappresenta le principali società emettitrici di buoni pasto), ha rilasciato la sua prima intervista a Fortune Italia web, in un momento del tutto particolare per il mercato di riferimento. Il lavoro da remoto ha messo in crisi la ristorazione collettiva e potrebbe cambiare anche quello dei buoni pasto.
Il mercato dei buoni pasto dopo Covid-19: con lo smart working c’è il rischio di una contrazione delle emissioni?
“Per leggere cosa succederà in futuro, partiamo dall’ultimo anno. Sì, il mercato dei buoni pasto ha subito una contrazione, tra il 30% e il 35%. Di questa contrazione, una parte ha riguardato i lavoratori in cassa integrazione o con attività sospese (il 15%); un secondo filone sono state le imprese che pre-Covid elargivano i buoni pasto con una scelta unilaterale e hanno deciso di sospenderli durante il periodo pandemico (il 10%); infine, e qui sta la parte illegittima, alcuni datori di lavoro, inadempiendo i precedenti accordi, hanno privato i loro collaboratori del buono pasto (un altro 15% della perdita totale). Ciò è avvenuto soprattutto all’inizio della pandemia e in alcuni settori che hanno fatto ricorso massiccio al lavoro agile emergenziale, soprattutto nel settore bancario, finanziario e assicurativo. Negli ultimi mesi, da una parte, la contrattazione aziendale ha sempre più riconosciuto anche il trattamento assistenziale allo smart-worker; dall’altra, il fenomeno di massa che avevamo osservato nel 2020 sta rientrando. Stiamo tornando ai volumi precedenti: siamo ad un -15% sul periodo pre-Covid”.
Il futuro sono i buoni pasto elettronici. Come sta procedendo lo switch tra carta ed elettronica?
“La legge di bilancio per il 2020 aveva previsto una forte agevolazione all’utilizzo del buono pasto elettronico. Chiamiamolo, più comprensivamente, digitale: card, app, soluzioni tech aiutano la pausa pranzo dell’80% dei lavoratori che usano i buoni pasto, circa 2 milioni di persone. Infatti, la soglia di esenzione fiscale è aumentata per il titolo elettronico da 7 a 8€, contestualmente riducendo l’esenzione per il cartaceo da 5,29 a 4€. Le società che emettono buoni pasto erano pronte a una grande campagna comunicativa. Alcuni studi avevano stimato un incremento del mercato da 3 miliardi sino a 3,7 miliardi di €, con un’estensione del buono pasto digitale sino al 96%. Poi, il Covid-19”.
Buoni pasto nella Pa (compresa l’ultima gara in corso da un miliardo): lo smart working potrebbe creare problemi sensibili anche nella Pa?
“In questo panorama, la pubblica amministrazione rappresenta un player contrattuale molto forte. Le gare Consip tendono ancora ad influenzare negativamente gli sconti sul mercato. Le ultime hanno visto comunque un trend decrescente: da sconti elevati sopra il 20%, stiamo scendendo vicini al 17%. Anche qui, e questo è il dato prospettico, assistiamo ad un aumento degli aspetti qualitativi: le gare pubbliche più recenti chiedono convenzioni con pubblici esercizi vicini alle sedi di lavoro, con prodotti biologici, a km 0 e senza glutine. Il mercato dei buoni pasto sta diventando sempre più attento al benessere e alla sicurezza, d’altronde questa è la tendenza di tutto il welfare aziendale”.
I buoni pasto diventeranno sempre più concorrenti della ristorazione collettiva: è una opportunità?
“Il cambiamento è già in atto. I lavoratori pranzano nei pubblici esercizi del quartiere, usano il buono pasto nel supermercato convenzionato vicino a casa, si fanno consegnare a casa, negli uffici o in spazi di co-working i pasti. Sia la ristorazione collettiva che i pubblici esercizi sono i partner delle società emettitrici: stanno cambiando le modalità di produrre e distribuire il cibo, e i buoni pasto possono aiutarli in questo. Noi ci aspettiamo un aumento dell’utilizzo del buono pasto come titolo di legittimazione, flessibile e digitale, per acquisire i servizi delle pause pranzo: c’è ancora un 70% di lavoratori privati da coinvolgere. Le società emettitrici si sono inventate nuove soluzioni: il buono pasto oggi si usa per i pasti a domicilio, per gli office lunch, ha favorito la spesa online, alcuni hanno predisposto convenzioni con le mense per favorire comunque una pausa pranzo sana. Il messaggio è chiaro: “non importa dove lavori, ci interessa la qualità del tuo lavoro”. Questo è anche lo spirito della norma sul lavoro agile, d’altronde”.
Buono pasto e welfare aziendale: un binomio insostituibile. C’è ancora spazio di crescita?
“Abbiamo visto gli ultimi dati sul welfare aziendale: ormai è una realtà diffusa, che interessa circa 6 milioni di lavoratori del settore privato. Ci sono però ancora tanti spazi di penetrazione, così come per i buoni pasto. Il nostro primo consiglio è contrattualizzare, accordarsi, fare piani interni, per essere chiari con i propri collaboratori, rivolgersi al territorio. Solo così potrà crescere il welfare per i lavoratori, prendendosi cura dei loro bisogni sociali”.

(ITALPRESS).

Rete al Femminile aiuta il work life balance delle professioniste

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Rete al Femminile è un’associazione italiana di promozione sociale per lo sviluppo dell’imprenditoria femminile in tutti i settori. Opera a livello nazionale e locale, attraverso reti provinciali, con attività concrete di condivisione, aggiornamento professionale e networking, per diffondere la cultura economica e imprenditoriale fra tutte le professioniste d’Italia.
Lavorando da casa e da sole si deve trovare il modo di trovare un proprio equilibrio tra il tempo che si dedica al lavoro e quello che si dedica a sè stesse e/o alla propria famiglia. E’ fondamentale riuscire a riappropriarsi del proprio tempo, così da aumentare la propria produttività. Ma com’è possibile trovare un buon equilibrio tra vita privata e sfera lavorativa?
Fare rete è la risposta, soprattutto in un periodo difficile come quello odierno e specialmente per le donne freelance che devono destreggiarsi tra famiglia, lavoro, economia domestica e vita di coppia. La caratteristica di essere multitasking è necessaria, ma sapere di avere un gruppo fidato di libere professioniste con le quali confrontarsi, supportarsi e perchè no, lamentarsi della propria giornata lavorativa, sicuramente aiuta.
Monica Spinazzola inizia la sua avventura come assistente virtuale nel 2015: “nel 2016 mi sono lanciata a capofitto nell’attività aprendo la partita Iva, ma senza informarmi prima sui dettagli tecnici e burocratici. Avevo bisogno di confrontarmi con chi già lavorava da libera professionista da tempo, così grazie a Rete al Femminile ho trovato altre donne, altre freelance che mi hanno aiutato sia dal punto vista professionale, fornendomi indicazioni specifiche, sia dal punto di vista umano per il sostegno e il supporto che ho ricevuto” conclude Monica.
Una delle chiavi più importanti per trovare un equilibrio con se stessi e il proprio lavoro, o Work Life Balance, infatti, risiede proprio nella capacità di organizzarsi e di saper organizzare il proprio tempo. Diventare consapevoli di come gestire la propria attività, ma con un occhio di riguardo su come trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro. Avere delle colleghe con le quali confrontarsi, e alle quali chiedere aiuto e consiglio, può essere un primo passo per diventare più consapevoli e del tempo che abbiamo a disposizione. “Spesso noi donne rischiamo di sottrarre tempo alla nostra attività, sentendoci poi insoddisfatte. Oppure dedichiamo il 100% di noi stesse e del nostro tempo al lavoro dimenticandoci di prenderci cura del nostro benessere e di divertirci”, conclude Monica.
(ITALPRESS) – (SEGUE).
Oltre a Rete al Femminile, sul web e soprattutto su Facebook esistono diversi gruppi al femminile che nascono proprio con l’obiettivo di mettere in contatto le donne che si sono o si stanno affacciando alla libera professione. Questi gruppi permettono di condividere conoscenze, esperienze, pareri professionali e umani. “Sono luoghi virtuali, utili però per tutte coloro che vogliono confrontarsi liberamente e tenersi aggiornate su temi e argomenti specifici. E non manca mai la componente umana” spiega Monica. “Soprattutto quando si lavora da casa e da soli, si sente il bisogno di un feedback esterno: è importante confrontarsi con altre persone di fiducia o magari con potenziali clienti, così da capire se l’idea o il progetto funzionano o meno. E’ per questo che voglio condividere con voi il concetto di Buddy (dall’inglese compagno-fratello-amico). Il Buddy è come un compagno di squadra che ti sprona a dare sempre il meglio di te” – spiega Monica, e continua – “Ho un gruppo di amiche freelance con le quali una o due volte al mese ci incontriamo di persona o su Skype, con le quali parlare sia di lavoro sia di quotidianità”, conclude.
(ITALPRESS).

Intesa Sanpaolo e Fipe, nuove azioni welfare per lavoratori e famiglie

MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Intesa Sanpaolo e FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) hanno siglato un accordo che prevede finanziamenti per esigenze di liquidità, finanziamenti a sostegno della nuova imprenditoria e di quella femminile, azzeramento delle commissioni sui micro-pagamenti. L’accordo mette al centro non solo le aziende associate alla Federazione che operano nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo ma anche le persone, attraverso supporti finanziari per le famiglie degli associati, sostegni dedicati alle mamme lavoratrici, agevolazioni per acquistare gli strumenti necessari per lo studio a distanza dei ragazzi e una serie di servizi di carattere non finanziario.
“Il nostro obiettivo è quello di fornire strumenti e servizi di sviluppo per i nostri associati, per rispondere alle loro esigenze specifiche e facilitare una ripartenza il più agile possibile in questo periodo drammatico. Di fronte alle ingenti perdite subite, chiediamo interventi adeguati a tutti i livelli”, ha dichiarato Aldo Cursano, Vice Presidente Vicario Fipe e Presidente Fipe Toscana di FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi. “La partnership con Intesa Sanpaolo si inserisce in un percorso di alleanze e collaborazioni col fine di sostenere le micro, le piccole e medie imprese associate, migliorando la relazione tra banca e impresa – ha proseguito -. Apprezziamo la vicinanza di una banca che crea una corsia preferenziale per accedere al credito e alla liquidità. Il sistema bancario ha il ruolo fondamentale di sostenere le piccole e medie imprese, indispensabili per la sopravvivenza e la crescita del paese”.
Andrea Lecce, responsabile Direzione Sales & Marketing Privati e Aziende Retail di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato: “La collaborazione con FIPE è collaudata da tempo, grazie a diversi accordi siglati in passato. La situazione emergenziale provocata dall’epidemia da Covid 19 e i conseguenti provvedimenti per contenere il diffondersi del virus hanno particolarmente colpito ristorazione, turismo e settore dell’intrattenimento. Le aziende hanno visto ridurre drasticamente le proprie attività in termini non solo di fatturato, ma anche di capacità di generare ricchezza e occupazione. Abbiamo ritenuto particolarmente importante essere al fianco di questi operatori e mettere a disposizione soluzioni non solo finanziarie per far fronte a questo eccezionale periodo critico”.
(ITALPRESS).