MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Il Cda della Fondazione per l’Educazione finanziaria e al Risparmio, costituita dall’ABI, ha nominato Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer di Intesa Sanpaolo, come Presidente, riconfermando Corrado Sforza Fogliani, Presidente di Assopopolari, per la carica di Vicepresidente della Fondazione.
Compongono il nuovo Consiglio di Amministrazione della FEduF, in carica per il prossimo triennio: Mauro Buscicchio, Direttore Generale della Banca Popolare Pugliese; Andrea Cecchini, Managing Director e Country Head Italy, di RBC Investor Services Bank;
Matteo Cidda, Responsabile della Comunicazione del Banco BPM;
Maurizio Giglioli, Vicedirettore Centrale, Head Strategic Marketing & Planning di Credem; Anna Grosso, Condirettore Generale di Banca Sella; Claudia Segre, Presidente Global Thinking Foundation; Eugenio Tangerini, Responsabile del Servizio External Relation and Corporate Social Responsibility di BPER.
Il Collegio dei Partecipanti della Fondazione ha inoltre formalmente eletto il Collegio dei Revisori presieduto da Marco Bormetti, Commercialista indicato da Creval e composto da Massimo Mossino, Direttore Generale di Biver Banca (Gruppo Cassa di Risparmio di Asti) e da Antonio D’Elia, CFO Banca di Credito Popolare.
“L’educazione finanziaria rappresenta non solo uno strumento di tutela e valorizzazione del patrimonio economico individuale e sociale, ma un diritto di cittadinanza in qualche modo richiamato dalla stessa Costituzione italiana – ha dichiarato Stefano Lucchini, neo Presidente della FEduF -. Confido che l’azione della Fondazione, espressione dell’impegno profuso dalle banche per la crescita della cultura economica degli italiani, possa divenire sempre più catalizzante rispetto ai soggetti privati attivi in questo ambito, ponendosi come un fil rouge che colleghi le tante esperienze di successo in una grande azione di sistema.
Nell’assumere questo nuovo incarico – ha continuato Lucchini – desidero ringraziare, a nome del Consiglio di Amministrazione, il Prof. Andrea Beltratti, che ha presieduto la FEduF dalla sua nascita, guidandola con successo nella sua fase di crescita e consolidamento”.
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Lucchini “Educazione finanziaria è un diritto di cittadinanza”
Enel, accordo con sindacati su nuovo modello welfare
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Un confronto sull’ipotesi di esternalizzazione di alcune attività “core”, come le manovre di esercizio sulla rete elettrica di media tensione. Le iniziative di mobilitazione, senza precedenti, con lo sciopero degli straordinari e lo sciopero generale del 19 novembre 2020, pur garantendo le prestazioni essenziali per la continuità del servizio pubblico e della sicurezza del sistema elettrico con non pochi sacrifici. Il nuovo sciopero fissato per lo scorso 17 dicembre, fermato grazie all’accordo trovato con Enel. “Abbiamo dimostrato di avere consapevolezza della delicatezza e della difficoltà del momento che stiamo vivendo. Come Flaei-Cisl, siamo stati coerenti con la nostra storia e la nostra mission, facendo prevalere la responsabilità sugli interessi di parte, tutelando il futuro della politica energetica italiana, scelta strategica che non può vedere il sindacato assente”, spiega Salvatore Mancuso, segretario generale della Flaei-Cisl ovvero il comparto delle aziende elettriche.
Segretario Mancuso, sospeso lo sciopero del 17 dicembre, con Enel avete sottoscritto un accordo giudicato importante dalle parti.
Che fase comincia ora per voi?
“Come Flaei-Cisl, lo abbiamo già detto a chiare lettere, parlando di monitoraggio e di un ruolo che siamo pronti a ritagliarci da “vigilantes dell’accordo”. Adesso ci aspettiamo unicamente fatti concreti, passi specifici che non si limitino alle sole parole, alle mere dichiarazioni d’intenti. Con l’azienda c’è stato un enorme salto di qualità, quello che io ho chiamato il ‘momento dell’ascoltò che ha prodotto ‘il momento della condivisionè: l’accordo sottoscritto l’11 dicembre rappresenta un cambio di paradigma per tutti, vertici, sindacato, lavoratori”.
Cosa intende per cambio di paradigma?
La “nuova Enel” è una prospettiva reale che deve accomunare e riguardare ogni componente, nessuna esclusa. Dobbiamo essere compartecipi del futuro, guardare in avanti, avere chiaro il disegno di una nuova azienda, competitiva, proiettata efficacemente verso le nuove strategie energetiche del paese. La stessa rivendicazione occupazionale, al primo posto nelle nostre priorità, non va vista come una battaglia di retroguardia, conservativa, ma all’interno di un progetto, di una visione. E’ questione di vita o di morte. Guardi, uno dei motivi per cui abbiamo sospeso lo sciopero, oltre alla soddisfazione per il sì alle nostre richieste, è stato anche per senso di responsabilità nei confronti degli italiani, colpiti dall’emergenza pandemica. I lavoratori del comparto elettrico, hanno lavorato con grande impegno in questi mesi drammatici, garantendo un servizio professionale e altamente specializzato. Per questo non c’era e non c’è bisogno delle esternalizzazioni”.
Come giudica l’accordo?
“E’ un buon inizio. Abbiamo accolto una disponibilità non da poco. In relazione al piano industriale 2021-2023, l’azienda non procederà più sulla esternalizzazione delle manovre e sulle reperibilità di zona; ha confermato investimenti per il prossimo triennio di ben 14 miliardi di euro, fondamentali per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per la digitalizzazione della rete. E poi, le nuove assunzioni: al momento fissate nella cifra di 900 unità. Il segnale maggiore colto da noi, è che le professionalità andranno tutelate all’interno dell’azienda, non pensando all’esterno”.
Quali saranno ora i prossimi passi?
“Ripeto, ci aspettiamo ora comportamenti coerenti con l’accordo.
Dopo le feste partiranno i tavoli del confronto e della verifica.
E li affronteremo con la fermezza della nostra storia, ma anche con ottimismo. Noi siamo pronti a lavorare, ma vogliamo la nuova Enel al nostro fianco. A due cose non rinunceremo mai. Una è la condizione di ogni dialogo con l’azienda, lo stop all’articolo 177 del codice degli appalti, quello delle esternalizzazioni. La seconda, è la partecipazione azionaria dei lavoratori. Il nostro fiore all’occhiello”.
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Le Fondazioni sono la cerniera del welfare italiano
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Nell’autunno del 2021 sarà presentato il Quinto Rapporto sul secondo welfare in Italia, che raccoglierà le principali ricerche condotte nel biennio 2020-2021 da Percorsi di secondo welfare, Laboratorio dell’Università degli Studi di Milano che da un decennio analizza e racconta i cambiamenti in atto nel sistema sociale del nostro Paese. Secondo Welfare sta realizzando un percorso di ricerca che coinvolge organizzazioni del Terzo Settore, enti filantropici, imprese, parti sociali e attori pubblici che a vario titolo operano nel campo delle politiche sociali. L’obiettivo, anche grazie al loro contributo, è realizzare un Rapporto di ricerca in grado di descrivere la complessità del presente, che aiuti ad approfondire le sfide imposte dalla pandemia di Covid-19 al nostro welfare e identificare come affrontarle in maniera efficace.
L’incontro pubblico ‘Più bisogni, quali risorse? Le sfide del secondo welfare di fronte alla pandemià, svoltosi online a causa delle misure per il contenimento del virus, è stato aperto da Franca Maino, direttrice di Percorsi di secondo welfare e docente dell’Università degli Studi di Milano, che ha spiegato come i ricercatori del Laboratorio da tempo siano impegnati a comprendere come la crisi del Covid stia influenzando il sistema sociale italiano e, in particolare, in che modo si stiano ridefinendo i rapporti tra Pubblico e privato e tra il livello nazionale e locale. La realtà fluida e imprevedibile di questi mesi non permette ancora di capire a pieno la portata dei cambiamenti in atto. Proprio per questo, attraverso tre Focus Group, il team di ricerca si è confrontato con testimoni privilegiati che si occupano di filantropia, welfare aziendale e welfare di prossimità.
Maino ha raccontato che la filantropia può essere una preziosa cerniera tra pubblico e privato per irrobustire gli interventi di welfare sui territori. A questo scopo, tuttavia, gli attori filantropici, da un lato, sono alla ricerca di strumenti e luoghi di confronto che permettano loro di allinearsi su questioni chiave, come la lettura dei bisogni, l’individuazione di esperienze positive e l’implementazione di soluzioni efficaci. Dall’altro, si interrogano su quale possa essere la strada migliore per fare advocacy rispetto all’attore pubblico, stimolando l’innovazione dentro e insieme alla PA. La vera sfida in questo senso sta nella capacità di co-progettare gli interventi e, soprattutto, metterli in atto senza temere il fallimento, da cui c’è sempre molto da imparare. Proprio la possibilità di “sbagliare” è individuata dagli attori della filantropia come una caratteristica che non va persa ma, anzi, andrebbe valorizzata mettendo in comune gli errori così da evitare che altri possano commetterli.
Sul fronte del welfare aziendale, invece, Maino ha riportato come oggi per gli attori che operano in questo mondo il grande tema sia il superamento dell’autoreferenzialità per “riconoscersi” reciprocamente come interlocutori che possono generare cambiamento. Se questo avvenisse, grazie in particolare alla territorializzazione degli interventi, si aprirebbero opportunità importanti per una migliore integrazione dei servizi e per fare rete, allo scopo di fornire risposte necessarie a contrastare le diseguaglianze crescenti. In tal senso, ha sottolineato Maino, sarebbe preziosa anche una regia nazionale che possa indicare alcune linee da seguire a livello locale per creare sinergie tra Pubblico e privati.
Per quanto riguarda il cosiddetto welfare di prossimità, invece, appare necessario ripartire dal welfare locale per lasciarsi alle spalle interventi di stampo familistico e assistenziale. In particolare, una maggiore centralità della società civile e del Terzo Settore, capace di rafforzarsi attraverso innovazione e ibridazione, potrebbe essere favorita attraverso forme concrete di co-progettazione con il Pubblico, in grado di mobilitare le comunità e dare vita ad alleanza inedite. Il protagonismo dei territori dovrebbe tuttavia essere sempre conciliato con l’universalismo dei diritti, e in questo quadro l’auspicio è che la legge 328/2000, a vent’anni dalla sua introduzione, possa esprimere finalmente tutto il suo potenziale.
Nel corso della successiva tavola rotonda moderata da Alberto Puliafito, direttore di Slow News, Francesco Profumo, Presidente dell’ACRI, e Tiziano Treu, Presidente del CNEL, si sono confrontati su quanto emerso durante la prima parte dell’incontro.
Francesco Profumo ha ricordato che “di fronte all’emergenza innescata dalla pandemia da Covid-19, le Fondazioni di origine bancaria si sono subito attivate per supportare le autorità sanitarie e le organizzazioni che aiutano le persone più colpite dalla crisi. Questa doverosa risposta all’emergenza non ha, però, stravolto il modo di operare nè gli obiettivi di lungo periodo delle Fondazioni. Esse, infatti, continueranno a svolgere il loro ruolo di agenti dello sviluppo sostenibile e inclusivo dei territori e del Paese. Come hanno sempre fatto in questi trent’anni, continueranno ad essere attivatori di comunità e sperimentatori di progettualità per contrastare le disuguaglianze e favorire il bene comune”.
Tiziano Treu ha invece sottolineato come “il welfare aziendale è stato capace di rispondere a nuove urgenze legate al contenimento del virus: introducendo dispositivi e regole di sicurezza per evitare contagi sui luoghi di lavoro, integrando il reddito dei lavoratori sospesi dall’attività, prevedendo ulteriori misure di conciliazione come permessi e congedi. In prospettiva, quando il welfare aziendale tornerà a regime, dovrà prevedere interventi su bisogni “strutturali”, supplenza a carenze del welfare pubblico, integrazione al salario per facilitare rinnovi contrattuali ma anche la ricerca di sinergie con enti locali e welfare on top per regolamento aziendale. Restano però problemi aperti su cui fare attenzione: come raggiungere le PMI, ma anche come riordinare le priorità per quel che riguarda gli incentivi fiscali”.
Livia Turco, che non è riuscita a intervenire, ha condiviso per iscritto il proprio pensiero, che riportiamo di seguito. “La pandemia ci dimostra il valore del welfare di prossimità: costruire legami umani, prendersi cura delle persone, costruire comunità. Bisogna però compiere delle scelte nette per realizzare il Welfare Sociale, pilastro previsto dalla “Legge Quadro per un sistema integrato di interventi e servizi sociali”. La 328/2000 è infatti rimasta inapplicata nella parte che definisce i Livelli Essenziali dei Servizi e Prestazioni, che debbono essere finanziati da un adeguato Fondo Sociale Nazionale. Bisogna ripartire da qui, con un ruolo autorevole del soggetto pubblico come sollecitatore di responsabilità per l’inclusione sociale verso tutti gli attori economici e sociali. Attraverso la co-progettazione deve saper coinvolgere le competenze del Terzo Settore e costruire un’integrazione tra welfare pubblico, welfare aziendale e welfare delle fondazioni bancarie attraverso i Patti Territoriali per il Benessere Sociale, al fine di realizzare obiettivi condivisi di benessere e inclusione sociale”.
Le conclusioni dell’incontro sono state affidate a Maurizio Ferrera, Scientific Supervisor di Percorsi di secondo welfare e professore di Scienza Politica dell’Università degli Studi di Milano. Ferrera ha ricordato i limiti che ancora sconta il welfare pubblico: prevalenza di trasferimenti monetari rispetto ai servizi, squilibri distributivi tra insider (dipendenti pubblici) e outsider (autonomi, precari) del mondo del lavoro, gap di genere e una generalizzata difficoltà di accesso per i cittadini. Anche il secondo welfare, tuttavia, non è esente da criticità. Dopo dieci anni di studi è ancora evidente la perdurante frammentazione dei servizi, a cui si aggiunge una diffidenza ideologica di alcune parti della società che faticano ad accettare il ruolo di Terzo Settore e attori privati, anche quando questi si incastrano virtuosamente con l’azione pubblica.
Secondo Ferrera la pandemia può però essere un’occasione per affrontare questi limiti. A livello micro, ad esempio, agendo per rafforzare i servizi territoriali – soprattutto tramite pratiche di co-progettazione e co-produzione che coinvolgano Pubblico e privati – per affrontare in particolare i rischi nel campo della conciliazione famiglia-lavoro, della non autosufficienza e dell’esclusione lavorativa. In questo senso Ferrera ha parlato dell’esperienza di France Service, in cui diversi attori del secondo welfare (fondazioni, associazioni, corpi intermedi…) in coordinamento con lo Stato francese, agiscono come broker del welfare, aiutando i cittadini a districarsi tra i servizi esistenti e favorendone l’accessibilità. Delle vere e proprie “case del welfare”, che stanno diventando anche punti di aggregazione sociale e culturale. A livello macro si potrebbero invece colmare “buchi” importanti sul fronte assicurativo e previdenziale, dove mancano strumenti integrativi adeguati alle nuove esigenze della società.
In generale, secondo Ferrera, abbiamo di fronte alcune sfide precise per limitare queste debolezze e aprire la strada a un “neo-universalismo sostenibile”: un raccordo più diretto all’agenda UE sull’innovazione sociale e sulle “città del futuro”, la creazione di cabine di regia per la creazione di ecosistemi sociali integrati, la canalizzazione di investimenti di banche e imprese per la sostenibilità sociale, un incentivo alla “creatività” da parte del mondo assicurativo.
(ITALPRESS).
Veneto welfare, accreditamento potenzia previdenza complementare
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Attraverso la piattaforma Veneto Welfare, la Regione istituisce un sistema regionale di accreditamento, primo modello in Italia di certificazione e monitoraggio di forme di welfare.
“Vogliamo dare un riconoscimento alle forme di welfare collettive che garantiscono presenza sul territorio, ritorno di investimenti nell’economia regionale e servizi di qualità, avviando al contempo il primo sistema di certificazione e monitoraggio del welfare in Italia”. Così l’Assessore al lavoro della Regione del Veneto, Elena Donazzan, ha commentato l’avvio del sistema regionale di accreditamento delle forme di welfare collettive, previsto dalla legge regionale n. 15/2017 e formalmente attivato a partire da oggi da Veneto Welfare, l’unità operativa di Veneto Lavoro con funzioni di promozione e sviluppo della previdenza complementare e degli strumenti di welfare integrato in regione.
L’accreditamento è aperto ai fondi pensione negoziali iscritti all’albo nazionale Covip, ai fondi sanitari integrativi bilaterali, alle forme di welfare contrattuale gestite dagli enti bilaterali e dai fondi di solidarietà e ad altre forme collettive di welfare integrativo di tipo aziendale o territoriale. Per poter presentare richiesta di accreditamento e di iscrizione al relativo Elenco regionale è necessario possedere un’adeguata struttura sul territorio, sia in termini di servizio offerto che di utenti, presentare profili di costo contenuti ed efficienza gestionale, e, relativamente ai soli fondi pensione,prevedere una quota di investimenti in Veneto.
“Veneto Welfare – continua l’Assessore Donazzan – nasce con lo specifico compito di dare impulso allo sviluppo della previdenza complementare e più in generale ai sistemi di welfare integrato in regione. L’avvio dell’accreditamento rappresenta una tappa importantissima nel percorso di costruzione di un sistema veneto del welfare che abbiamo intrapreso e ci consente di far sì che la legge regionale non rimanga lettera morta. La vicinanza ad altri territori, dove vi è una tradizione consolidata su questi, quali il Trentino, ci ha certamente aiutato in questo cammino, ma ciò che più ci ha spinto è la consapevolezza che nel nostro territorio, oltre al welfare pubblico, coesistono da anni forme di welfare collettivo e aziendale, esperienze pluriennali di previdenza complementare e di assistenza sanitaria integrativa e un privato sociale che supporta con competenza ed efficienza l’integrazione delle fasce più deboli. Il nostro obiettivo è quello di mettere a sistema questo enorme patrimonio di conoscenza e avviare processi di incentivazione”.
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Intesa Sanpaolo, il welfare per l’occupazione al femminile
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Presentato durante l’incontro streaming dal titolo Il ruolo delle donne nello sviluppo del Sud Italia. Consapevolezza e valorizzazione del talento femminile per supportare la crescita economica e sociale del territorio, il programma di Intesa Sanpaolo ha l’obiettivo di sostenere la formazione di giovani studentesse al Sud per favorire il lavoro femminile, ridurre il gender gap e aumentare l’inclusività.
L’incontro trae spunto dall’avvio, pochi giorni fa, di YEP -Young Women Empowerment Program, il progetto realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con la Fondazione Ortygia Business School per l’inclusione di genere e la valorizzazione dei giovani talenti femminili. Grazie a YEP per 6 mesi giovani studentesse avranno la possibilità di confrontarsi ed esplorare le dinamiche dell’orientamento e del mondo del lavoro con una manager di Intesa Sanpaolo (Mentor) attraverso una relazione di mentoring one-to-one.
Il programma è rivolto alle studentesse iscritte al primo o secondo anno dei corsi di laurea magistrale in Ingegneria Gestionale, Ingegneria Informatica, Ingegneria delle Telecomunicazioni, Ingegneria Meccanica, Ingegneria dell’Automazione, Ingegneria dei Sistemi Medicali e fornirà strumenti utili per orientare in modo consapevole le proprie scelte accademiche e di carriera. Le studentesse potranno acquisire strumenti utili a comprendere i propri punti di forza e le proprie inclinazioni, per prendere in mano il proprio futuro e proporsi nel mondo del lavoro con maggiore consapevolezza.
“La partecipazione femminile al mondo del lavoro incide sulla competitività delle imprese e sul PIL del Paese, tutte le grandi e medie aziende si pongono ormai la domanda su come e dove reperire personale femminile qualificato. Non possiamo permetterci di lasciare a casa metà della popolazione”, ha affermato Paola Angeletti, Chief Operating Officer di Intesa Sanpaolo.
In Italia la percentuale di donne che occupano posizioni tecnico-scientifiche è tra le più basse dei Paesi Ocse: il 31,7% contro il 68,9% di uomini e solo il 5% delle 15enni italiane aspira a intraprendere professioni tecniche o scientifiche. Permane quindi un orientamento prevalente delle ragazze a indirizzare i propri studi verso le materie umanistiche, soprattutto al Sud. Con la trasformazione digitale si rendono necessarie professioni che fino a pochi anni fa non erano centrali come lo sono ora.
Prendendo parte alla giornata, il ministro per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti ha sottolineato che “la formazione deve abilitare le donne a essere pienamente cittadine del mondo del lavoro che ci attende (…) nella progettazione degli algoritmi del mondo del lavoro del futuro, altrimenti avremmo un mondo dell’intelligenza artificiale scritto solo da uomini. C’è fin da ora necessità di progettazione al femminile”.
Studi e ricerche convergono su un generale peggioramento dei numeri relativi all’occupazione femminile con la diffusione e il protrarsi della pandemia, e, come spesso accade, la situazione si amplifica al Sud, dove il tasso di occupazione femminile è da tempo intorno al 30% e dove molte donne smettono di lavorare per difficoltà di conciliazione, mancanza di servizi per l’infanzia e fattori culturali. Dopo la prima fase di adattamento per garantire continuità, occorre trovare nuove modalità di lavoro e una nuova organizzazione degli spazi, adeguare l’infrastruttura tecnologica e la mobilità urbana e, non ultimo, ripensare la normativa.
“L’esclusione delle donne dal mercato del lavoro genera un effetto moltiplicatore verso il basso, della competitività delle imprese e, di conseguenza, del PIL”, ha affermato Lucrezia Reichlin, presidente della Fondazione Ortygia Business School e professore di Economia alla London Business School.
“L’impresa – ha aggiunto la docente – ha una responsabilità sociale in questo ambito, con le risorse umane, la valorizzazione del talento, la capacità di fare crescere le donne. Questo vale soprattutto per le grandi imprese, ma al sud ci sono poche grandi imprese, molte sono imprese a conduzione familiare e qui si ripropongono dei modelli che sono quelli familiari. Quindi occorre fare rete per cambiare questa situazione”.
Cinque gli atenei coinvolti nell’iniziativa, dei 67 con cui Intesa Sanpaolo lavora stabilmente in Italia, 16 al Sud: Università degli Studi di Napoli Federico II, Politecnico di Bari, Università della Calabria, Università degli Studi di Catania e Università degli Studi di Palermo. Intesa Sanpaolo, che con oltre 100.000 persone è uno dei più grandi datori di lavoro in Italia, assume ora laureati e laureate in fisica, ingegneria, informatica e altre materie tecnico-scientifiche.
Per incoraggiare l’iscrizione di ragazze a facoltà STEM e l’acquisizione di competenze sempre più richieste anche nel settore bancario, Intesa Sanpaolo ha deciso di mettere a disposizione cinque borse di studio per neo studentesse delle università del Sud.
“Da tempo Intesa Sanpaolo è impegnata per superare la disparità di genere. Negli anni abbiamo adottato diverse misure come la Policy sulla Diversity & Inclusion, l’inserimento di un obiettivo manageriale specifico – un KPI – sull’equità di genere e percorsi di accelerazione professionale per le nostre manager più talentuose. Abbiamo inoltre un programma specifico destinato al top management sulla leadership inclusiva. I nostri risultati ci sono stati riconosciuti più volte, anche di recente con l’inclusione, unica banca italiana, nel Diversity & Inclusion Index di Refinitiv che seleziona le 100 aziende al mondo quotate in borsa più inclusive e attente alla diversità”, ha ribadito Paola Angeletti.
“Per quanto riguarda in generale le misure per facilitare la formazione dei giovani, abbiamo prestiti a condizioni molto favorevoli per gli studenti e le studentesse universitarie con ‘Per Meritò, che vede 72 milioni di euro erogati al 30 settembre, e poi c’è il prestito dedicato agli studenti del sud, ‘Fondo StudioSì’, realizzato con il Ministero dell’Università e della Ricerca e la BEI, per cui abbiamo stanziato 50 milioni – ha aggiunto. Abbiamo anche iniziative per le scuole secondarie, come un programma di alternanza scuola lavoro tra i più ricchi e ambìti in Italia che tocca 2.500 studenti di 100 scuole in venti regioni, al Sud 500 studenti in scuole di Napoli, Bari, Cagliari, Cosenza, Catania e Palermo, e che si pone come un vero e proprio orientamento alle professioni bancarie, e una importante collaborazione a Taranto con IBM per trasmettere a studentesse e studenti competenze su intelligenza artificiale e diagnostica informatica”.
L’incontro è stato anche occasione per presentare analisi e proposte legate all’occupazione femminile al Sud in una situazione che ha portato ad un’accelerazione straordinaria del lavoro a distanza, una modalità di lavoro che Intesa Sanpaolo ha adottato fin dal 2015 e che ha visto le persone abilitate passare da 14 mila a fine 2019 a 77 mila in pochi mesi. Intesa Sanpaolo si impegna da anni con misure fortemente orientate alla conciliazione, tra cui una rete di asili nido propri, congedi parentali per i papà, un catalogo di oltre 200 servizi in convenzione da utilizzare lungo tutto l’arco della vita, dalla nascita agli studi dei figli, dal tempo libero all’assistenza agli anziani.
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Assofondipensione, per 2021 detassare fondi e incentivare adesioni
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Il confronto di Assofondipensione con il governo e le istituzioni portato avanti dal presidente Giovanni Maggi ha pubblicamente fatto un passo avanti con l’Assemblea annuale dei fondi pensione negoziali, cui hanno partecipato tra gli altri il Sottosegretario al MEF Pier Paolo Baretta, il Presidente di CDP Giovanni Gorno Tempini e il Presidente della Covip Mario Padula.
Chiamato in causa dai punti fondamentali della relazione del Presidente, il Sottosegretario Baretta ha annunciato che al ministero del Lavoro si sta già lavorando a una nuova modalità di adesione ai fondi pensione basata sul silenzio-assenso, formula sperimentata con successo per un semestre in passato.
Ha riconosciuto lo squilibrio fiscale italiano, denunciato nella relazione di Giovanni Maggi, concordando che si deve andare verso una tassazione europea (esenzione dei contributi, esenzione dei rendimenti, tassazione della prestazione) così come Assofondipensione chiede da tempo, e che gli incentivi agli investimenti nell’economia reale vanno trasformati in credito di imposta, inserendo i fondi pensione nella riforma fiscale che il governo affronterà nel 2021. Soprattutto il Sottosegretario Baretta ha definito “strategico” nella trasformazione e nella crescita del Paese il ruolo dei fondi pensione, che nei loro investimenti sono portatori di una visione non speculativa e di lungo periodo, confermando il sostegno alle iniziative con CDP.
Nella sua relazione all’Assemblea il Presidente Maggi ha sottolineato gli obiettivi del Progetto Economia reale con la Cassa Depositi Prestiti e il Fondo Italiano di Investimento, per la “costituzione di una piattaforma per l’investimento dei fondi pensione negoziali in fondi di private equity, private debt e impatto sociale con l’obiettivo – ha sottolineato Maggi – di facilitare l’afflusso di investimenti verso l’economia nazionale. I primi strumenti di investimento sono stati costituiti e molti fondi pensione hanno già aderito per circa 100 milioni di euro complessivi”. La comunanza di interessi con Assofondipensione è stata ribadita da Giovanni Gorno Tempini, Presidente di CDP, che gestisce il risparmio postale ed è di gran lunga primo investitore italiano nei mercati alternativi di immobiliare, infrastrutture private equity e privat debt, dove ha impegnato 7,5 miliardi di euro in strumenti che ne muovono complessivamente 20.
Gorno Tempini ha parlato anche delle nuove iniziative di CDP nel venture capital a cominciare da un fondo per il trasferimento di tecnologia al mondo produttivo sul quale si apre un dialogo con gli investitori istituzionali.
Sul fronte delle iniziative di formazione e di sensibilizzazione dei lavoratori dipendenti per l’incremento delle adesioni, l’Assemblea 2020 di Assofondipensione segna il coinvolgimento di Patronati e CAF, rappresentati in Assemblea da Giovanni Angileri, presidente della Consulta dei Caf, e da Manuela Tomolillo per la Centrale dei Patronati.
All’obiettivo di aumentare le iscrizioni ai fondi pensione ha dedicato parte della sua relazione Mario Padula, Presidente della Covip, l’Autorità di Vigilanza sul settore. Ha auspicato tra l’altro iniziative a favore delle adesioni online, soprattutto per i giovani che sono la fascia di lavoratori più lontana dalla previdenza complementare, e una revisione del comparto di investimento cosiddetto di default, quello nel quale il nuovo iscritto viene inserito se non dà indicazioni.
Nel suo intervento conclusivo il vicepresidente di Assofondipensione Domenico Proietti ha sottolineato i grandi progressi della governance dei fondi negoziali. Per l’obiettivo adesioni ha indicato la formula online come strumento per i dipendenti delle piccole e medie imprese, a favore delle quali – per compensare la mancata disponibilità del TFR destinato alla previdenza, ha proposto l’istituzione di un fondo pubblico di garanzia per l’accesso al credito.
(ITALPRESS).
Welfare di precisione, la ricetta di Unipol e Ambrosetti
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – Con l’obiettivo di fornire un contributo di riflessione e delineare proposte di policy per l’evoluzione del welfare, il Think Tank Welfare, Italia ha approfondito il sistema di welfare italiano nello scenario pre-COVID, le implicazioni dell’emergenza COVID-19 e i principali strumenti introdotti per rispondere ai bisogni di protezione da parte dei cittadini. L’occasione è stata nei giorni scorsi la presentazione del secondo Rapporto Welfare, Italia nato dalla collaborazione del Gruppo Unipol con The European House- Ambrosetti.
Prendendo in considerazione il welfare state nel suo complesso, nel 2018, la spesa sociale italiana ha mobilitato risorse economiche pari a 493,5 miliardi, il 57,7% della spesa pubblica totale nell’anno.
Tale spesa è in crescita rispetto all’anno precedente (488,3 miliardi), pari al 57,3% della spesa pubblica totale. In particolare, la spesa previdenziale italiana ha registrato negli ultimi 10 anni un costante aumento in valore assoluto fino a raggiungere i 288,5 miliardi nel 2018, ma una riduzione del proprio peso complessivo in relazione al PIL dal 2013 anche per effetto della cosiddetta “Riforma Fornero”, introdotta nel 2012 al fine di tenere sotto controllo la spesa previdenziale e la sostenibilità dei conti pubblici.
Con riferimento alla componente sanitaria, il trend in valore assoluto è altalenante. Osservando le variazioni in relazione al PIL emerge una tendenza di “mancati aumenti” negli ultimi anni: nel 2009 la spesa sanitaria pubblica era pari a c.a. il 7,0% del PIL, mentre nel 2018 tale valore è sceso al 6,4%, seguendo un trend di continua decrescita.
Ulteriore punto di attenzione è rappresentato dalle eterogeneità regionali: la spesa sanitaria pubblica pro capite è pari a più di 2.438 Euro nella Provincia Autonoma di Bolzano, il territorio con la spesa più elevata, mentre in Campania, Regione con la spesa più limitata, si ferma a 1.755 Euro. Le politiche sociali, infine, componente del welfare state italiano con il peso relativo più basso, hanno assistito a una rapida evoluzione negli ultimi 10 anni. Le risorse destinate alle politiche sociali erano al 2009 pari a c.a. 71,8 miliardi, salite a 91,4 miliardi nel 2018 (+27,2% vs. 14,2% in media nell’Eurozona).
Il dibattito online è stato introdotto da Pierluigi Stefanini (Presidente, Unipol Gruppo) e Valerio De Molli (Managing Partner e CEO, The European House – Ambrosetti). Sono intervenuti tra gli altri il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, il ministro per le Pari opportunità e per la Famiglia, Elena Bonetti, e poi Walter Ricciardi, Veronica De Romanis, Daniele Franco, Giuseppe Guzzetti, Giovanni Toti. Le conclusioni del ceo del Gruppo Unipol, Carlo Cimbri.
Dall’analisi dei dati dell’Osservatorio, un elemento ricorrente è costituito dalle differenze tra i diversi sistemi di welfare. Per portare a sintesi queste considerazioni legate alla diversa capacità di risposta dei sistemi di welfare regionali, il Think Tank Welfare, Italia ha messo a punto uno strumento originale di monitoraggio, basato su 22 KPI (Key performance indicator) quantificabili, monitorabili e riproducibili nel tempo, relativi alla capacità di risposta del sistema di welfare nei territori, attraverso una vista sintetica declinata su base regionale. Il livello regionale è qui assunto come l’ambito ideale in cui focalizzare le analisi perchè direttamente in carico delle competenze sanitarie, ma anche rappresentativo delle differenze esistenti tra le Regioni negli altri ambiti. Il Welfare Italia Index si compone, pertanto, di due dimensioni funzionali a raffigurare gli attributi che meglio caratterizzano la capacità di risposta del sistema welfare: dimensione di input, ovvero indicatori di spesa in welfare che raffigurano quante risorse sono allocate in un determinato territorio; dimensione di output, ovvero indicatori strutturali che rappresentano il contesto socio-economico in cui si inserisce la spesa in welfare.
In questo senso, il Welfare Italia Index è uno strumento originale che valuta, attraverso la creazione di un indicatore sintetico, aspetti legati alla spesa in welfare e altri legati ai risultati che tale spesa produce. I risultati del Welfare Italia Index 2020 mettono in luce una forte polarizzazione regionale. La P.A. di Trento (83,4 punti) registra lo score più elevato, seguita dalla P.A. di Bolzano (80,5 punti) e dall’Emilia-Romagna (75,9 punti). In una scala tra 0 e 100 vi sono oltre 28 punti di differenza tra le due estremità del ranking. Inoltre, le ultime 8 Regioni appartengono tutte all’Italia Meridionale e Insulare e la migliore di queste – ovvero la Sardegna (14° con 64,2 punti) – dista circa 20 punti dalla prima.
Si stima che il COVID-19 abbia generato un sovraccarico di costi per la sanità quantificabile in 1,8 miliardi, di cui più di 1,5 miliardi per i casi COVID-19 guariti (657 milioni nello scenario a regime più ottimistico) e quasi 260 milioni di Euro per i decessi legati al virus (quasi 250 milioni di Euro nello scenario a regime più ottimistico). Inoltre, le giornate in terapia intensiva legate ai ricoveri COVID-19 ad oggi hanno avuto costi stimati superiori a 265 milioni e i tamponi effettuati hanno comportato costi stimati superiori a 309 milioni. In questo quadro evolutivo, il programma nazionale di riforma del Governo, elaborato come base per il Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa (PNRR), le cui progettualità sono funzionali all’ottenimento dei fondi del c.d. Recovery Plan, riporta un fabbisogno per la sanità pari a 32 miliardi necessari ad attuare un piano di completo rinnovo infrastrutturale e tecnologico.
Le tre linee d’azione delineate in questo Rapporto per il potenziamento del sistema di welfare nello scenario post COVID-19 sono il risultato di un processo di riflessione propositiva sviluppato dal Think Tank Welfare, Italia nel corso degli ultimi mesi e riguardano gli ambiti di sanità, politiche sociali e previdenza. Le linee d’azione sono indirizzate all’implementazione della visione evolutiva che abiliti un modello di “welfare di precisione” con policy effettivamente targettizzate ai bisogni evolutivi dei cittadini.
(ITALPRESS).
Welfare di territorio, una rivoluzione rimasta incompiuta
MILANO (ITALPRESS/WEWELFARE.IT) – E’ stata una rivoluzione. Incompiuta. Vent’anni dopo la promulgazione della legge 328/2000 (la prima legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), è stato fatto un bilancio del welfare pubblico di territorio. Analizzare l’impatto che in venti anni la legge ha avuto sul sistema degli interventi e dei servizi sociali dei Comuni e favorire il confronto tra gli attori locali: questi i principali obiettivi del convegno online I vent’anni dalla Legge 328/2000 nella Penisola: le trasformazioni del welfare locale che si è svolto il 13 novembre 2020.
Il Convegno è stato promosso da Cittalia – Fondazione Anci, Fondazione IFEL e il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre nell’ambito del progetto Penisola sociale. E’ stato il direttore di Cittalia e Responsabile dell’area welfare Anci, Luca Pacini, a introdurre i lavori della giornata a cui sono seguiti i saluti del Segretario generale dell’Anci, Veronica Nicotra e del Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, Massimiliano Fiorucci.
Dopo anni di tagli continui e cospicui alla spesa sociale dei Comuni, il triennio che ha preso avvio nel 2020 ha registrato un piccolo segnale positivo: la spesa sociale locale potrà contare su 650 milioni di euro aggiuntivi nel corso del triennio: circa 215 milioni in più all’anno da ripartire tra i settemila Comuni italiani.
L’appuntamento si è svolto in due sessioni tematiche: nel corso della prima parte intitolata La legge 328/2000 dopo vent’anni: quale eredità? i relatori si sono confrontati sui principi e i fondamenti della Legge per esaminare il welfare locale alla luce delle mutate condizioni con cui il Paese è stato chiamato a confrontarsi anche recentemente. Appassionato l’intervento di Livia Turco, già parlamentare e ministra, autrice della riforma, e oggi Presidente della Fondazione Nilde Iotti. La Turco ha rivendicato le intuizioni della legge 328/2000 e la sua larga incompiutezza in fase di applicazione. La mancata definizione dei livelli essenziali nelle politiche sociali ha di fatto frenato l’effetto della norma, che è diventata tuttavia il pilastro delle politiche sociali sul territorio.
I tagli degli anni successivi ai bilanci dello Stato e l’approvazione della riforma costituzionale del titolo V hanno messo in ginocchio l’opera di riforma rivoluzionaria prevista dalla legge, che all’articolo 1 dichiara: “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”.
E’ toccato a Luca Vecchi, Sindaco di Reggio Emilia e delegato Anci al welfare tracciare le linee di un possibile sviluppo delle norme collegate: “Un vero welfare di comunità nasceva allora, integrando pubblico e privato e favorendo l’accesso del Terzo settore all’erogazione di prestazioni sociali”. Proprio la posizione del Terzo settore è stata ricordata dall’intervento di Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum del Terzo settore. Dopo l’intervento di Raffaele Tangorra, Segretario generale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali è toccato a Chiara Saraceno, Università di Torino, Honorary Fellow, Collegio Carlo Alberto, rammentare che proprio la definizione di “diritti sociali” è stata possibile solo con il varo della legge 328/2000.
Un percorso lungo di evoluzione culturale e giuridica: i diritti fondamentali della persona non sono legati alla sua attività di lavoro; c’è un diritto delle persone che viene prima e nonostante il lavoro. Resta a oggi la convinzione che il processo avviato vent’anni fa sia rimasto incompiuto. E oggi ci troviamo ad assistere a un quadro troppo frammentato tra gli organismi che si occupano di welfare.
Nella seconda sessione dei lavori una tavola rotonda dal titolo La realizzazione dei sistemi locali di welfare: il contributo di analisi di Penisola sociale, moderata da Paolo Zurla dell’Università di Bologna, ha riportato il frutto del lavoro di cinque gruppi composti da amministratori, operatori, docenti e studiosi, che hanno svolto un originale percorso di approfondimento. Sono stati i cinque coordinatori a presentare i risultati del lavoro degli ultimi mesi: Elide Tisi per il gruppo disabilità, Maurizio Motta per il gruppo anziani e non autosufficienti, Germana Corradini per il gruppo minori e famiglie, Fiorenza Deriu per il gruppo povertà e marginalità estreme e Francesca Biondi Dal Monte per il gruppo politiche di integrazione dei cittadini stranieri. La tavola rotonda è stata chiusa dal professor Marco Burgalassi dell’Università Roma Tre.
E’ stata proprio la legge 328/2000 a declinare per prima il principio di sussidiarietà orizzontale quale criterio di cooperazione e reciproca integrazione tra sfera pubblica e privata, centrato su di un positivo rapporto “partenariale pubblico-privato”. In quest’ottica, la sussidiarietà orizzontale non assume tanto una valenza negativa, vale a dire di difesa delle originarie “competenze” o prerogative dell’autonomia privata nei confronti dell’intervento pubblico; quanto piuttosto una positiva valenza di integrazione dei soggetti privati nella concreta definizione dei modi di realizzazione delle attività di interesse generale e di perseguimento dell’interesse pubblico.
Il Convegno ha rappresentato l’appuntamento conclusivo di un ciclo di tre Conversazioni sul sociale promosse sempre da Penisola sociale anche grazie a un originale lavoro di raccolta e diffusione di pratiche, studi, documenti ed esperienze di welfare promosse dai Comuni italiani.
(ITALPRESS).









