Lavoro & Welfare

Welfare, A Napoli le imprese scelgono AON

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Dopo Welfare Uip realizzata per l’Unione Industriale Pisana, AON gruppo leader nella consulenza dei rischi e delle risorse umane, nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa Uniservizi, insieme a Unione Industriali Napoli ha realizzato la piattaforma Welcome Welfare che permette alle imprese di gestire in modo snello ed efficace i flexible benefit dei propri dipendenti: in tal modo, i benefici della normativa relativa al welfare aziendale risultano ottimizzati a favore di imprese e dipendenti. Il servizio comprende un’assistenza personalizzata tramite un call center composto da oltre 100 professionisti qualificati di Aon, che consente ai singoli dipendenti di effettuare in modo tempestivo e autonomo le scelte di conversione del proprio budget welfare senza l’assistenza e il coinvolgimento diretto dell’azienda. La piattaforma Welcome Welfare propone inoltre servizi in convenzione con partner selezionati del territorio, offrendo condizioni economiche particolarmente vantaggiose a tutte le imprese associate.

Obiettivi primari della piattaforma sono la riduzione del cuneo fiscale per le imprese e i lavoratori, l’aumento del potere d’acquisto delle famiglie e l’estensione generalizzata dei benefici del welfare aziendale. Il welfare aziendale, infatti, è una forma di retribuzione in beni e servizi in natura che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente, secondo quanto indicato dal Tuir artt. 51 e 100. Si tratta di uno strumento innovativo di politica retributiva utilizzabile dalle aziende come leva di engagement e incremento della produttività dei propri dipendenti. Vito Grassi, Presidente di Unione Industriali Napoli, dichiara: “L’intesa con Aon rientra nella nostra strategia finalizzata a promuovere l’innovazione tecnologica per lo sviluppo dell’impresa. Nel caso specifico, la crescita è culturale e sociale, oltre che economica. Accanto ai vantaggi fiscali per imprese e lavoratori assicurati dall’implementazione del welfare aziendale attraverso l’utilizzo della piattaforma, vanno considerati infatti i miglioramenti nei servizi destinati ai lavoratori e alle loro famiglie. L’ottica è di porre al centro la persona, in coerenza con il nuovo modello di relazioni industriali, che punta a garantire maggiore flessibilità incrementando la produttività, in una logica di condivisione e inclusione”.

Enrico Vanin, CEO di Aon SpA e Aon Hewitt Risk&Consulting aggiunge: “Siamo soddisfatti di questa partnership con Unione Industriali Napoli, che rappresenta un valore aggiunto per le PMI associate, che possono così offrire ai propri dipendenti una vasta gamma di soluzioni in ambito welfare, attraverso operatori attivi sul territorio di appartenenza. Attraverso la piattaforma infatti i dipendenti delle aziende possono scegliere in autonomia come meglio desiderano spendere il proprio credito in flexible benefit, in funzione delle loro esigenze, che differiscono molto in base alle fasce d’età. Aon ha una lunga esperienza in quest’ambito, avendo realizzato la prima piattaforma per l’erogazione di questo tipo di servizi ai propri dipendenti nel 2010, decidendo poi di promuoverla anche a terzi una volta testata la sua funzionalità”. Marco Antonio Colonna, Consigliere Delegato ed Area Manager Centro Sud di Aon SpA, conclude: “In Italia la presenza di Aon in più di 25 città consente di essere vicini al territorio e alle specificità locali e di settore. Grazie, infatti, alla sua capillarità, Aon offre best practice provenienti dal network internazionale alle imprese locali con un’elevata personalizzazione per ogni realtà aziendale. In particolare, l’ufficio di Napoli si avvale oggi di una prestigiosa sede locale che impiega più di 25 professionisti al servizio di numerosi clienti del panorama Corporate, Enti Pubblici e degli Ordini Professionali”.

(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).

Gruppo Hera top employer, “Hextra” è l’attenzione per i dipendenti

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Per il Gruppo Hera l’attenzione alle risorse umane è un elemento portante della strategia d’impresa. Le modalità organizzative della multiutility, fortemente innovative, hanno alla base il coinvolgimento di tutti i lavoratori, così che essi possano dare significato e concretezza al loro operato in modo coerente al purpose aziendale. Il Gruppo Hera continua così a dedicare risorse, attenzione e impegno ai 9000 lavoratori ottenendo per l’undicesima volta consecutiva la certificazione del Top Employer Institute olandese, che dal 1991 conduce una ricerca incentrata sugli standard qualitativi in termini di gestione delle risorse umane. Top Employer è uno dei più prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale del settore. Il rigoroso processo di selezione e certificazione delle aziende si basa su un’analisi di dati e verifiche approfondite che riguardano: investimenti in formazione e sviluppo; politiche di welfare e on-boarding per i neo-assunti; pianificazione dei processi di selezione e carriera; strategie mirate a far crescere i talenti; cultura aziendale e ambiente di lavoro.
Tra le best practice che la contraddistinguono, spicca tra tutte Hextra, il piano integrato di welfare aziendale rivolto a tutti i dipendenti del Gruppo (per un investimento di 4, 9 milioni di euro nel 2019) e caratterizzato da una quota di risorse economiche “personalizzabile”da ciascun lavoratore in base alle proprie esigenze, nonché dalla possibilità di convertire parte del premio di risultato in un’ulteriore quota welfare. Per il miglioramento della qualità e dell’agilità del lavoro, sedi e ambienti di lavoro sono stati resi sempre più confortevoli, funzionali e collaborativi, e già dal 2017 è stato introdotto lo smart working che, dopo una fase sperimentale con risultati positivi e significativi, coinvolge oggi oltre 1500 lavoratori. Resta, inoltre, centrale l’impegno per la garanzia delle pari opportunità, per l’inclusione e per la valorizzazione delle diversità, come testimoniato dal recente ingresso nel Bloomberg Gender-Equality Index 2020e dal “Diversity& Inclusion Index”di Refinitiv (ex Thomson Reuters), nell’edizione 2019 Hera è risultata la terza azienda in Italia e la 14esima a livello internazionale, nonché prima multiutility in assoluto.
Herasi conferma, inoltre, ai primi posti tra le aziende italiane che investono sullo sviluppo personale e professionale dei propri dipendenti con quasi 29 ore di formazione pro capite all’anno, ben al di sopra alla media nazionale del settore, pari a circa 250mila ore erogate complessivamente, grazie a un investimento di 1,7 milioni di euro; Hera risponde a uno scenario occupazionale in rapida evoluzione,promuovendo tra i propri lavoratori digitalizzazione e nuove competenze, per sviluppare un know-how tecnologico e tecnico capace di accompagnare e sostenere la crescita e la complessità raggiunta dal Gruppo. In questo ambito, è fondamentale il ruolo svolto da Heracademy, la corporate university che permette alla multiutility di dialogare con le aziende e le principali istituzioni del territorio.
“Ricevere questa certificazione per l’undicesimo anno consecutivo è la dimostrazione della validità del percorso intrapreso –ha dichiarato il Presidente Esecutivo di Hera Tomaso Tommasi di Vignano–. Ma non per questo pensiamo sia abbastanza”.
“Ai nostri dipendenti, infatti, vogliamo continuare a dedicare risorse importanti in termini di sviluppo, benessere, formazione, fornendo loro le migliori condizioni di lavoro possibili: questo significa anche garantire un contesto lavorativo inclusivo e partecipativo – ha aggiunto -. Hera è un’azienda in continua crescita e i risultati sono il frutto dell’impegno dei lavoratori che,ogni giorno, con le loro attività creano valore sui territori dove operiamo. La strada da percorrere è quella che conduce al miglior servizio per i cittadini e le comunità locali e senza le persone, senza metterle al centro dei processi di creazione del valore e senza farle sentire protagoniste nel business e nelle sfide del nostro tempo, nessuna strategia potrebbe tradursi in realtà”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)

Censis-Eudaimon, paura per la tecnologia ma fiducia nel welfare

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Il 3° rapporto di Censis realizzato in collaborazione con Eudaimon, società di servizi per il welfare aziendale, con il contributo di Credem, Edison, Michelin e Snam, è stato presentato a Roma. Nel rapporto si legge che il 70% dei lavoratori (il 74% degli operai) “teme la riduzione di redditi e tutele sociali”. “Sette milioni di lavoratori italiani hanno paura di perdere il proprio posto di lavoro a causa dell’arrivo delle nuove tecnologie: dai robot all’intelligenza artificiale. L’85% dei lavoratori esprime una qualche paura o preoccupazione per l’impatto atteso della rivoluzione tecnologica e digitale (il dato supera l’89% tra gli operai)”.
“Per due lavoratori su tre che già ne beneficiano (il 66%), il welfare aziendale sta migliorando la loro qualità della vita. Le percentuali sono elevate tra dirigenti e quadri (89%), lavoratori intermedi (60%), operai (79%)”. Il 54% dei lavoratori “è convinto che gli strumenti di welfare aziendale potranno migliorare il benessere in azienda. E in vista dell’arrivo di robot e intelligenza artificiale, il welfare aziendale viene annoverato tra le cose positive che si possono ottenere in un futuro immaginato con meno lavoro, meno reddito e minori tutele”.
Per il 50% degli intervistati “si imporranno ritmi di lavoro più intensi, per il 43% si dilateranno gli orari di lavoro, per il 33% (il 43% tra gli operai) si lavorerà peggio di oggi, per il 28% (il 33% tra gli operai) la sicurezza non migliorerà”. “per il 58% degli intervistati (il 63% tra gli operai) in futuro si guadagnerà meno di oggi”. E per il 50% “si avranno minori tutele, garanzie e protezioni”. In questo caso le percentuali restano elevate tra dirigenti e quadri (54%), operai (52%) e impiegati (49%). “Forte è anche il timore di nuovi conflitti in azienda: per il 52% dei lavoratori (il 58% degli operai) sarà più difficile trovare obiettivi comuni tra imprenditori, manager e lavoratori”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT)

Intesa Sanpaolo sostiene la cultura del dono del farmaco

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La collaborazione tra Intesa Sanpaolo e la Fondazione Banco Farmaceutico onlus rientra in un accordo più ampio di durata quadriennale (2018-2021), che prevede l’impegno del Gruppo nel sostenere l’attività della Fondazione per la raccolta e la distribuzione agli enti caritativi che assistono le persone indigenti di farmaci in corso di validità da farmacie e da aziende farmaceutiche.
In questa settimana sarà possibile acquistare uno o più medicinali da banco in una delle oltre 5.000 farmacie che, in tutta Italia, aderiscono all’iniziativa. I medicinali raccolti saranno consegnati agli oltre 1.800 enti assistenziali convenzionati con Banco Farmaceutico, che offrono cure e medicine gratuite a chi non può permettersele.
Secondo il Rapporto sulla Povertà Sanitaria di Banco Farmaceutico, in Italia nel 2019 c’è stato il picco di richieste da parte degli enti, pari a 1.040.607 confezioni di medicinali (+4,8% rispetto al 2018); 473.000 persone povere si sono ammalate e hanno chiesto aiuto per curarsi; su 5 milioni di persone in povertà assoluta, 1 milione 260.000 sono minori, mentre 1 famiglia su 5 con figli è stata costretta a rinunciare alle cure per ragioni economiche.
In Banca la cultura del dono del farmaco si esprime anche nel progetto “Recupero farmaci validi non scaduti”, promosso dal 2016 dall’Associazione Lavoratori Intesa Sanpaolo, che prosegue con periodiche giornate di raccolta nelle mense aziendali per raccogliere farmaci con almeno 8 mesi di validità da destinare alla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus.
L’iniziativa è resa possibile anche grazie all’accordo quadriennale tra la Banca e la Fondazione che ha già consentito la raccolta di 131 mila farmaci e di ampliare la rete dei centri di raccolta già esistenti, promuovendone di nuovi e favorendo i flussi di distribuzione verso le zone a maggiore necessità. Il progetto rientra nell’obiettivo inserito nel Piano di Impresa 2018-2021, programma di contrasto alla povertà e riduzione delle disuguaglianze. Nel 2018 la Banca ha destinato 62 milioni di euro alla crescita della comunità, una cifra che la porta ad essere uno dei primi operatori in ambito sociale in Italia, per raggiungere obiettivi concreti e misurabili, anche attraverso il sostegno a enti e associazioni caritative.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).

Comeback Welfare, per tornare alla parità sociale

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“Il welfare nasce come strumento di parità ora invece sta diventando sempre più uno strumento di differenziazione. ComeBack Welfare ha una finalità sociale volta a creare un welfare budget per tutti”. Così Domenico De Liso, ha illustrato quali sono i principi che rappresentano la mission di ComeBack Welfare, start up nata dall’idea di un gruppo di giovani imprenditori attivi in diversi settori industriali che hanno creato una piattaforma virtuosa di “recupero welfare”. Lanciata pochi mesi fa dopo quasi tre anni di attenta progettazione, la piattaforma avrà clienti attivi già a partire dai prossimi giorni. ComeBack Welfare si propone di attivare un rapporto fiduciario capace di rafforzare sia i legami commerciali tra le imprese aderenti che quelli relazionali interni a ciascuna realtà: “Dopo anni di esperienza nel settore metalmeccanico mi sono reso conto che la revenue commerciale da dover ridare al cliente a fine anno poteva essere investita in modo etico e sostenibile affinché, da mero vincolo di dipendenza nel rapporto cliente/fornitore si potesse elevare a meccanismo per sostenere sia la soddisfazione dei bisogni individuali e familiari dei lavoratori, sia la fidelizzazione, l’engagement e la produttività delle aziende nelle quali lavorano”. Come spiegato sul sito della piattaforma il sistema è semplice e intuitivo e si basa sulla reciprocità del fare impresa. Qualsiasi azienda, soprattutto le startup o le Pmi, possono inserire sulla piattaforma gli ordini ai fornitori (nazionali e/o internazionali) cosicché il sistema possa calcolare il plafond disponibile in base agli ordini che i fornitori (invitati dall’azienda) avranno ricevuto e renderà spendibili gli importi maturati affinché siano utilizzati per il sostegno del welfare aziendale. La percentuale in gioco è nettamente inferiore agli “sconti” di fine anno richiesti ai fornitori ed è pari al 1,5% del valore di ciascun ordine con il quale creare o incrementare il budget da investire per il benessere dei collaboratori e dell’impresa stessa. In base agli studi effettuati è stato associato a ciascun tipo di impresa un possibile volume d’affari stimando che gli acquisti di materie prime e servizi incidano per il 50% del fatturato rispetto al quale sarà poi calcolato il “ritorno di welfare” che l’impresa può generare. “Un’azienda di taglia ‘micro’, con soli 4 dipendenti e un fatturato inferiore a 1 milione è in grado di ottenere fondi da destinare al welfare aziendale in misura individualmente superiore a quella ottenibile dalle altre classi d’impresa. Diventa addirittura possibile ottenere quasi il doppio del budget pro capite che potrebbe generare un grande azienda”. Facendo riferimento ai dati della ricerca effettuata da Cgil/Nomisma – i quali dimostrano come la fruizione dei servizi di welfare non riguardi allo stesso modo tutte le categorie di lavoratori poiché all’aumentare dell’inquadramento lavorativo e del titolo di studio aumenta anche la fruizione – ComeBack Welfare si presenta dunque, ha ribadito De Liso, “come uno strumento su cui fare affidamento e leva comune tanto per i sindacati che per le aziende. Il vero welfare per le persone è quello on top e non quello relativo al premio di risultato eventualmente convertito in servizi perché, in quest’ultimo caso, manca la continuità che è la caratteristica saliente di qualsivoglia reale tutela. E il welfare aziendale deve esprimere tutele, prima che essere una premialità, come tale aleatoria”. “Con la nostra piattaforma di accounting offriamo alle imprese un tool per attivare un meccanismo capace di dare continuità agli stanziamenti destinati al welfare ed attraverso il nostro progetto vorremmo sensibilizzare i provider a lavorare con le aziende in un’ottica di pianificazione che non sia “usa e getta” ma che possa avere una ricaduta a lungo termine sia a livello sociale che territoriale”. L’intento di De Liso è chiaro: “Comeback Welfare da start up mira a diventare una Società Benefit, mentre è già la prima community B2B di aziende realmente socialmente responsabili che, unite da un rapporto fiduciario, creano nell’esercizio della loro usuale attività di business un fondo welfare”. Prossimo step? De Liso ha le idee chiare: “Ampliare l’impatto dell’iniziativa e rendere la piattaforma capace di consentire alle aziende di destinare una quota parte degli importi maturati anche al welfare del territorio, rafforzando ulteriormente il loro legame con i luoghi nei quali fanno impresa”.
(ITALPRESS/WELFARE.IT).

Lavazza, Welfare per famiglie e coppie di fatto

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Gli accordi di secondo livello nella multinazionale del caffè si stipulano per sedi di lavoro e a Gattinara arriveranno la «banca ore», il bonus bebè e infine i permessi familiari valevoli anche per gli «affini», cioè per i conviventi di qualunque sesso. A Gattinara si producono le cialde dei sistemi espresso Lavazza Espresso Point, Lavazza BLUE e Lavazza A Modo Mio ed è qui che nasce la distribuzione automatica. L’azienda ha recentemente affrontato importanti investimenti per potenziare l’attività produttiva e per l’aggiornamento tecnologico dell’impianto. Secondo Erik Beligni, Direttore Relazioni Industriali di Lavazza, «iI nuovo accordo contiene importanti novità che vedono al centro lo sviluppo dello Stabilimento insieme alle proprie persone, in un percorso volto alla ricerca dell’eccellenza nel livello di servizio, qualità, efficienza e flessibilità». Con il nuovo accordo siglato il premio medio annuo, dai 2800 euro del 2019, a fronte del raggiungimento degli obiettivi potrà arrivare a superare ampiamente i 3.000 euro di qui al 2023. La «banca del tempo», che all’impianto di Gattinara non era presente, consentirà di convertire gli straordinari in permessi e verrà poi introdotto lo smart working che permetterà agli impiegati di stabilimento, con caratteristiche compatibili all’utilizzo dello strumento, di poter lavorare, per una parte del proprio tempo, senza vincoli di sede. Importante poi il riconoscimento di una «gratifica matrimoniale» di 250 euro per tutte le unioni stabili riconosciute dall’ordinamento e anche per le coppie di fatto e quelle omosessuali che si siano sposate in Comune, e l’introduzione del «bonus bebè» di 250 euro a ogni dipendente, in occasione della nascita o adozione di un figlio. L’azienda prevederà, inoltre, l’attribuzione di una mensilità aggiuntiva al compimento del 25esimo e 35esimo anno di servizio. Infine, verrà introdotto l’ulteriore ampliamento del sistema di welfare per i lavoratori e le loro famiglie attraverso un’ampia offerta di strumenti e servizi di carattere previdenziale, sanitario e sociale, con la possibilità di destinare a tali iniziative una quota a scelta del premio che sarà incrementata del 10%.
(ITALPRESS/WELARE.IT).

Massagli (Anseb) “400 euro in più esentasse con buoni pasto digitali”

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Emmanuele Massagli, Presidente di ANSEB (Associazione Nazionale Società Emettitrici Buoni Pasto), ricorda la posizione dell’Associazione, “da anni al fianco degli esercenti affinché la conformazione dei bandi di gara pubblici per la fornitura dei servizi sostitutivi di mensa al massimo ribasso venga rivista: deve essere premiata la qualità delle offerte e non soltanto il risparmio generato al bilancio dello Stato, come da troppo tempo accade”. La nota e triste vicenda di QuiGroup è stata l’inevitabile conseguenza di un insieme complesso di storture, con responsabilità da ascrivere non soltanto alle gare al massimo ribasso, ma alla stessa azienda, avente un modello di business del tutto diverso dalle altre. Per questo è non soltanto sbagliata tecnicamente, ma anche capziosa politicamente ogni semplicistica generalizzazione: “il mercato del buono pasto è ad oggi sano e in crescita, anche grazie alla nuova Legge di Bilancio che sta dando un forte impulso alla diffusione dei buoni pasto digitali, vero e proprio veicolo di tecnologizzazione dei fruitori e degli esercenti nella direzione della cashless economy”.
L’abbassamento della detrazione fiscale sul buono pasto cartaceo a 4 euro e l’innalzamento del valore defiscalizzato dei buoni pasto elettronici a 8 euro, vanno in questa direzione: “è una misura che riconosce ai lavoratori un incremento di 400 euro non tassati all’anno, da spendere per una pausa pranzo sana presso la rete di ristoratori e imprese della grande distribuzione”. “La filiera del buono pasto è lunga ed è eccessivo il potere di forzatura nelle mani dei committenti, in primis quello pubblico. Non bisogna inoltre mai dimenticare che il buono pasto è innanzitutto una misura di welfare per i lavoratori e che le inefficienze di tutta la filiera, comprese quelle degli esercenti, si scaricano sui consumatori”. Al fine di tutelare tutti gli attori del sistema, ANSEB propone in ogni sede, da quando è stato riformato il Codice dei contratti pubblici alcuni emendamenti all’articolo 144 utili a: verificare la solidità degli emettitori, a garanzia del committente pubblico e, soprattutto, degli esercenti convenzionati; incrementare la trasparenza del mercato, vietando la duplicazione dei soggetti: l’azienda assegnataria dell’incarico deve essere la stessa che rimborsa la filiera una volta che i dipendenti pubblici hanno utilizzato i buoni pasto; istituire una commissione nazionale partecipata da tutti i portatori di interesse in grado di monitorare l’andamento del mercato e intervenire tempestivamente sulle anomalie che si registrassero nella esecuzione delle gare pubbliche.
È quindi con soddisfazione che ANSEB apprende che anche le sigle dei pubblici esercizi e della distribuzione organizzata sono pervenute alle stesse conclusioni da anni sostenute in tutte le sedi dalla Associazione. Per questo la stessa ANSEB invita tutti gli attori coinvolti, compresi i sindacati e i consumatori, a partecipare a un tavolo di discussione avente l’obiettivo di migliorare sempre di più uno strumento che è senza dubbio il benefit preferito dai dipendenti italiani. “Siamo certi che solo una azione realmente unitaria e sincera, non corporativistica, può essere in grado di convincere il Legislatore a riformare in meglio il buono pasto, garantendo a tutti i soggetti coinvolti trasparenza ed equo riconoscimento”. (ITALPRESS/WEWELFARE.IT).

Ci vuole un “coach”. Welfare aziendale sì, ma personalizzato

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La paura delle nuove tecnologie (sarebbero 7 milioni i lavoratori che temono un impatto negativo sul loro lavoro: perdita del posto, diminuzione delle retribuzioni, etc.) suggerisce a Censis ed Eudaimon (nel terzo Rapporto sul welfare aziendale) di “enucleare l’idea di welfare aziendale come coaching per il cambiamento: un processo di accompagnamento al cambiamento tecnologico e digitale che parte dall’ascolto dei bisogni dei lavoratori, prosegue con la presa in carico e l’individuazione delle soluzioni, dando ai lavoratori strumenti concreti di sostegno e punti di riferimento stabili”. Ci vuole un “coach” per essere guidati nell’impatto delle nuove tecnologie, ma ci vuole un “coach” anche per trovare le migliori soluzioni ai propri bisogni di welfare. “La soluzione non è il catalogo, anche se si tratta di offerte sempre più ampie e più articolate” sostiene Alberto Perfumo, ad di Eudaimon. È già difficile decifrare e individuare i bisogni personali. Ancora più complicato trovare le risposte più giuste e pertinenti, più personalizzate.
Il welfare pubblico offre risposte standard ai bisogni delle persone, è già si tratta di una giungla di norme, diritti, servizi da “riscuotere”. Ma non c’è più la società di massa. Le necessità si sono fatte nuove e diverse. La personalizzazione è indispensabile, ma richiede un impegno. Per questo il welfare aziendale deve essere innanzitutto un servizio di coaching, per trovare e costruire la soluzione più idonea alla propria necessità di lavoratori e di famiglie. “Il welfare che serve – conclude Perfumo – deve essere personalizzato, partecipato e flessibile”.
(ITALPRESS/WEWELFARE.IT).